ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 2 gennaio 2013

Omaggi di loggia


Montalcini: Raffi (Grande Oriente d’Italia), una perdita per tutta l’umanità. Nel suo nome, proseguire le battaglie di pensiero e di libera ricerca.

Si aggiunge nel testo: “All’Obbedienza di Palazzo Giustiniani, Rita Levi Montalcini era legata da sentimenti di amicizia e confronto sincero, tanto da essere ospite a Villa il Vascello, il 21 settembre 2002, insieme a Rigoberta Menchù, per parlare di scienza e pace a servizio dell’uomo”. (http://www.grandeoriente.it/comunicati/2012/12/montalcini-raffi-%28goi%29,-una-perdita-per-tutta-lumanita.aspx)
Articoli precedenti di Radio Spada su Rita Levi Montalcini:
- Rita Levi Montalcini: fu vera gloria?
- Ebraismo(?): ma Rita Levi Montalcini non era atea? “Contraddizioni” assortite.

http://radiospada.org/2013/01/02/la-massoneria-omaggia-r-levi-montalcini/


L'Osservatore Romano
(Giulia Galeotti) Rita Levi Montalcini fa parte delle storie della mia infanzia. Raccontava infatti mia nonna che mentre, già dottoressa in chimica, lavorava nei laboratori dell’università, per un certo periodo collaborò con loro una laureanda, pressoché sua coetanea, molto determinata che veniva dal nord.
«Aveva le idee terribilmente chiare: si capiva che sarebbe andata lontano». Ne parlava con stima, ma non (debbo ammettere) con eccessiva simpatia: del resto, le loro strade di lì a poco avrebbero preso direzioni opposte. In un’epoca in cui per le donne la conciliazione tra famiglia e carriera era pressoché impossibile, pur essendosi laureata brillantemente e avendo iniziato a lavorare al Consiglio Nazionale delle Ricerche, mia nonna conobbe un uomo, lo sposò, lasciò il lavoro ed ebbe quattro figli (e tredici nipoti). Rita Levi Montalcini, invece, tirò dritta nel suo amore per la scienza, arrivando a diventare una delle neurologhe più famose al mondo, vincendo il premio Nobel per la medicina nel 1986.
Nata a Torino il 22 aprile 1909 in una famiglia ebrea sefardita (il padre Adamo Levi era ingegnere elettrotecnico e matematico, la madre Adele Montalcini era pittrice) con la gemella Paola (anche lei pittrice), Rita era l’ultima nata, dopo Gino (scultore e architetto) e Anna. Determinante il clima familiare: i genitori, coltissimi, trasmisero ai figli la passione per la ricerca intellettuale.
Scelta la facoltà di medicina (era una delle sette donne iscritte al tempo), si laureò a Torino nel 1936 con lode, specializzandosi poi in neurologia e psichiatria. Rita era ancora terribilmente incerta: dedicarsi alla professione medica o portare avanti anche le ricerche in neurologia? Scelse Rita, ma scelse anche la storia: dalla promulgazione delle leggi razziali la giovane fu costretta a proseguire i suoi studi prima in Belgio e poi, rientrata a Torino, in un piccolo laboratorio privato. Durante l’occupazione tedesca, trascorse un periodo di clandestinità a Firenze. Nel 1947 si stabilì quindi negli Stati Uniti dove insegnerà poi biologia alla Washington University di Saint Louis (1956-1977). Intanto, dal 1969, era stata chiamata a dirigere il laboratorio di biologia cellulare del Cnr.
Levi Montalcini ha dedicato la sua vita alla scienza, con una particolare attenzione allo studio del sistema nervoso e dei fattori specifici della sua crescita. Sono anni in cui la questione del cervello passa dall’essere area d’interesse marginale a tema centrale per la ricerca biologica. E tra le sue scoperte scientifiche, ha avuto particolare rilievo l’identificazione del Nerve Growth Factor (Ngf), il fattore che stimola e regola l’accrescimento delle cellule nervose. Scoperta che la porterà al cospetto dei reali di Svezia.
Prima donna ammessa alla Pontificia Accademia delle Scienze (1974) e prima presidente donna dell’Istituto dell’Enciclopedia Treccani (1993-1998), nel 2001 è stata nominata senatrice a vita della Repubblica italiana «per aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo scientifico sociale».
In apparenza fragile, ma in realtà tenace e fortissima, sempre elegante nei modi — su «La Stampa» del 14 ottobre 1986 Primo Levi la definì «una piccola signora dalla volontà indomita e dal piglio di principessa» — incarnazione della perfetta scienziata (precisa, intelligentissima e un po’ distaccata), con la sua voce inconfondibile, l’accurata pettinatura e un grande spirito d’avventura («ha l’animo di Cristoforo Colombe» disse una volta la gemella Paola), Levi Montalcini è divenuta negli anni un personaggio molto amato dal grande pubblico. E questo anche grazie alla sua partecipazione alla vita italiana con frequenti dichiarazioni e prese di posizioni sui grandi temi (scientifici e non) all’ordine del giorno. Più volte interpellata a esprimersi su donne e carriera, sulla ancora ridotta presenza femminile in diversi ambiti (dalla politica alla ricerca scientifica), ha sempre ostinatamente risposto che «l’umanità è fatta di uomini e donne e deve essere rappresentata da entrambi».
La popolarità di Rita Levi Montalcini è legata ai suoi tanti testi, anche divulgativi e autobiografici (il primo fu Elogio dell’imperfezione). Nel 2005 pubblicò il suo primo libro per ragazzi, Eva era africana in cui raccontava la vita di donne coraggiose in lotta per la rinascita del loro continente. Quel continente da cui nacque la storia dell’umanità: «in Etiopia nel 1974 gli archeologi trovarono Lucy, lo scheletro del primo essere umano — raccontò alla presentazione del volume la senatrice a vita — Possiamo proprio dire che Eva era africana».
Il 30 dicembre 2012 Rita Levi Montalcini si è spenta a Roma (i funerali si sono svolti il 2 gennaio a Torino, in forma privata). Aveva 103 anni, vissuti in prima linea in un Novecento difficile, specie se si era donna, ebrea, nubile e scienziata. Enorme il cordoglio manifestato anche dalla gente comune, che sente di aver perso un pezzo della propria storia. Una storia fatta anche da una donna divenuta — con assoluto impegno, tenacia e fatica — la Signora della scienza.
Non può certo essere un caso (o un mero sintomo di ignoranza) il fatto che su twitter in molti abbiano espresso il loro dolore per la morte della «Signora delle mille lire». Il ritratto che capeggiava su quelle banconote infatti, non era di Rita Levi Montalcini: era di Maria Montessori, l’altra grande scienziata italiana del Novecento. Due donne diverse, ma anche due donne simili, nella loro caparbia volontà di dedicarsi — e poi eccellere — in un lavoro che è ancora oggi noto e riconosciuto nel mondo intero.
L'Osservatore Romano, 3 gennaio 2013.
http://ilsismografo.blogspot.com/2013/01/italia-osservatore-roma-no-la-neurologa.html
Luci e ombre di un Nobel
Giovanna Arcuri02-01-2013
Il politicamente corretto ha le sue regole e sono regole ferree. Una di queste impone che di alcuni personaggi della cultura, della politica, delle arti etc non si possa che parlare bene, anzi benissimo. I distinguo sull’operato di questi soggetti vengono giudicati, ben che vada, come un’operazione di cattivo gusto.
Rita Levi Montalcini, deceduta lo scorso 30 Dicembre all’età di 103 anni, forse appartiene alla schiera di questi intoccabili, perché oggi ricevere un Nobel – un qualsiasi nobel – è salire agli onori degli altari laici già in vita, immaginarsi quando poi si è morti.
Nessuno discute qui le sue capacità scientifiche (non è il nostro compito), ma il successo come scienziati non ne autorizza la beatificazione. In realtà nella vita della Montalcini ci sono luci e ombre. La sua esistenza sin da giovane è segnata dalla sofferenza: di origine ebraica, nel 1938 deve lasciare l’Italia a seguito delle leggi razziali e riparare in Belgio. Ma l’esilio dura poco: nel ’40 scappa di nuovo, lascia il Belgio a motivo dell’invasione di Hitler e fa ritorno in Italia.
Nel 1974 la Chiesa le chiede, prima donna, di entrare a far parte della Pontificia Accademia delle Scienza. Questo a riprova che la Barca di Pietro accoglie tutti, anche persone di credo differente. Anzi nel caso della Montalcini persino persone per nulla credenti. Infatti, intervistata da Piergiorgio Odifreddi nel sul libro “Incontri con menti straordinarie”, alla domanda se credesse in Dio lei risponde: “Sono atea. Non so cosa si intenda per credere in Dio”. Quindi nessuna discriminazione verso l’atea Montalcini da parte della Chiesa e stesso atteggiamento di rispetto del premio Nobel verso la Chiesa. Infatti in occasione della lettera appello di 63 docenti nel gennaio del 2008 affinché il Santo Padre non mettesse piede all'Università La Sapienza per tenere una lectio magistralis, la Montalcini, pur essendo stata invitata ad aderire, rifiuta di sottoscrivere l’appello. Nonostante ciò gira voce sui giornali che ci sia almeno un’adesione privata se non pubblica e formale, ma il premio Nobel smentisce categoricamente e fa sapere per bocca dell’Osservatore Romano che “in qualità di membro della Pontificia Accademia delle Scienze e dell’ammirazione che nutro verso il Pontefice non avrei mai espresso quanto attribuitomi”.
La ricerca scientifica, che la condusse a vincere il Nobel per la medicina nel 1986, fu una vera vocazione che la assorbì completamente tanto che forse per questo motivo non si sposò mai. Di certo interpretava la sua professione come una missione. Infatti ebbe a dire nel 2009 in occasione di una cerimonia presso l’Istituto Superiore della Sanità per celebrare i suoi 100 anni: “Non ero nata per fare lo scienziato, ma per andare in Africa ad aiutare chi ne ha bisogno. Da adolescente volevo andare in Africa come Albert Schweitzer e curare i lebbrosi. Adesso, nell'ultima tappa della mia vita, esaudisco il desiderio di aiutare popolazioni sfruttate. Posso dire che l'unico motivo per cui ho lavorato è stato aiutare gli altri". Tale slancio verso il prossimo è testimoniato anche dal fatto che lei, seppur atea, devolse parte dei proventi del premio Nobel a favore della Comunità ebraica di Roma per la costruzione di una sinagoga.
Comprendeva anche i limiti della ricerca scientifica e non la venerava come una nuova religione che avrebbe liberato l’uomo dalle superstizioni e dai falsi miti. Infatti in occasione di un’intervista rilasciata alCorriere della Sera nel Novembre del 2006 tenne a precisare che “gli scienziati non detengono il monopolio della saggezza. La soluzione dei problemi che affliggono l'intero genere umano, fino a porne in pericolo la sopravvivenza, spetta in pari misura a filosofi, uomini di religione, educatori e appartenenti ad altre discipline”.
Queste sono alcune luci della vita della Montalcini. Ma ci sono anche ombre. Sempre nell’intervista appena citata la Montalcini rende noto che si allinea al darwinismo duro e puro: “La recente rinascita del movimento creazionista, basata sulla concezione del ‘disegno intelligente’, nega la validità delle selezione darwiniana. Una negazione, questa, derivante dall'ignoranza delle rigorose prove dei nuovi apporti della genetica”. Insomma chi nega che dietro il creato c’è un Creatore pecca di ignoranza.
Ma proseguiamo nella lettura dell’articolo: “Personalmente, pur dichiarandomi laica o meglio agnostica e libera pensatrice, mi ritengo tuttavia profondamente ‘credente’, se per religione si intende credere nel bene e nel comportamento etico: non perseguendo questi principi, la vita non merita di essere vissuta”. Cosa stona in questa frase che tutti sposeremmo appieno? Stona il fatto che il “credere nel bene e nel comportamento etico” per la Montalcini significava essere a favore di eutanasia, fecondazione artificiale e aborto.
Nell’articolo citato la giornalista Barbara Palombelli le chiede cosa pensi dell’eutanasia. Ecco la sua risposta: “Nessuno ha il diritto di sopprimere la vita, l'eutanasia potrebbe essere concessa, sempre e soltanto nella fase terminale di malattie che provocano gravi sofferenze, in seguito a processi degenerativi o neoplastici senza speranza di guarigione. Sono favorevole all'eutanasia soltanto per la propria persona attraverso un testamento ‘biologico’ stilato, a norma di legge, in pieno possesso delle proprie facoltà mentali, nel quale si dichiari che qualora non si fosse più in grado di possedere le facoltà di intendere e di volere, una commissione di medici esperti può porre fine alle gravi sofferenze o ad una vita priva di capacità cognitive”.
Al tempo del referendum per abrogare alcune parti della legge 40 che disciplina la fecondazione artificiale l’associazione radicale Luca Coscioni la intervista per sapere le sue intenzioni di voto. “Voto naturalmente quattro Sì – risponde la Montalcini – perché penso che la legge 40 ci voleva, ha riempito un vuoto ma non l’ha riempito in modo soddisfacente e per va ampiamente revisionata. Su molte cose non sono d’accordo: l’impianto di embrioni senza l’analisi preventiva è assurdo, l’impianto dei tre embrioni è contro la donna, è tutto contro la salute della donna. Sono anche a favore dell’eterologa perché è permissiva e non costrittiva. Quindi ritengo che noi dobbiamo votare – non bisogna astenersi perché è assurdo – e bisogna votare per quattro Sì, che mi pare tengano conto di cose che, non si sa perché, la legge 40 non aveva esaudito come si doveva. Nutro vivamente la speranza di una vittoria del Sì perchè se dovesse vincere il No, secondo me, torniamo al Medioevo.” E poi un appello: “Per il bene vostro e dei vostri figli voi dovete andare a votare, perché senza questo voto torniamo molto indietro, finiremo, probabilmente, per eliminare anche la legge sull'aborto”.
Per inciso, sull’aborto, la Montalcini negli anni Settanta fece parte Movimento di Liberazione Femminile per la regolamentazione dell'aborto. Non cambiò mai idea. Infatti il 25 Novembre 2009 all'Università Bicocca di Milano in occasione del “Sysbiohealth symposium 2009” dichiarò: la pillola abortiva RU486 "ha dato risultati straordinari. Penso molto bene di questo farmaco. Conosco colui che l'ha scoperto, è venuto da me e posso dire che i risultati sono straordinari”. Una vera entusiasta della morte chimica del nascituro.
In merito alla ricerca sugli embrioni il premio Nobel non ha dubbi: la legge 40 "limita la ricerca – afferma il 12 Aprile 2005 presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Firenze - non ammettendo neppure l'uso di embrioni che purtroppo sarebbero votati ad essere gettati via. Non si devono fare gli embrioni per la ricerca scientifica, è assurdo, ma quelli che abbiamo in soprannumero debbono essere utilizzati perchè le possibilità delle cellule staminali embrionali sono enormemente superiori a quelle delle cellule adulte". Affermando lei nobel – a margine – una vera e propria inesattezza scientifica, dato che le staminali adulte ad oggi hanno ottenuto risultati ben più promettenti delle staminali embrionali.
Perché tanto plauso a favore della sperimentazione sugli embrioni? Perché l’embrione non è una persona. “L'embrione – dichiara a Repubblica nell’Aprile del 2005 - è un ammasso di poche cellule privo della linea cerebrale che dà la possibilità di vita umana. La discussione se l'embrione è persona o no si trascina da molti secoli e sarà probabilmente sempre tale, ai limiti tra la legge, la morale, la scienza e la religione: ciò che non deve essere fatto è imporre per legge una credenza ideologica, religiosa e morale a tutti”.
Una figura quindi da incensare senza se e senza ma? Il caso della Montalcini pare che ci conforti nel dire che la regola dei distinguo valga ben più della regola del politicamente corretto.

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