Il Concilio di Melloni. Il “balzo in avanti”… tra le braccia di Satana
Giovedì 24 gennaio, nel contesto delle ricorrenze del cinquantenario del Concilio Vaticano II, s’è svolta a Pavia una conferenza dal titolo “La Pentecoste del Concilio”, con unico relatore Alberto Melloni, giornalista del Corriere della Sera e segretario della Fondazione per le Scienze Religiose Giovanni XXIII, ben noto per essere uno dei fari del progressismo italiano, ultimo frutto della scuola bolognese di Dossetti e Alberigo.
Melloni, navigato giornalista di mondo, ha sfoderato le proprie doti da talk-show, dove conta di più l’impressione immediata, l’estro originale, il gusto gossipparo e la continua ironia.
Melloni, navigato giornalista di mondo, ha sfoderato le proprie doti da talk-show, dove conta di più l’impressione immediata, l’estro originale, il gusto gossipparo e la continua ironia.
Non poteva non partire dall’esaltazione del Beato Giovanni XXIII – a cui senz’altro dobbiamo tutti grande venerazione –, condotta però con un fine ben preciso: contrapporlo a tutti i Papi della storia precedente e, più o meno velatamente, a tutti quelli successivi. Con un primo autogol, l’epigono bolognese menziona una delle fondamentali virtù di Roncalli, l’obbedienza (intesa anche verso le gerarchie ecclesiastiche), di cui poi darà egli stesso grande dimostrazione nel corso della conferenza. Il cuore del discorso insiste sul Papa buono (tranquilli: il celebre discorso con la luna e la carezza è stato ovviamente proiettato!), in mezzo al branco di leoni complottisti, ai cardinali menefreghisti e «fascisti» («non c’era nemmeno uno di colore!», ha sentenziato colui che, sotto sotto, auspica l’arrivo della “quota rosa”…), ai soliti discorsi sul papato di transizione.
Scontata è la forzatura di celebri affermazioni di Giovanni XXIII, a partire dalla «nuova Pentecoste» che avrebbe dovuto derivare dal Concilio; profondamente scorretta la scelta di far ascoltare in latino la celebre Gaudet Mater Ecclesia, per nascondere – sospettiamo noi, malfidenti – queste fondamentali parole del beato: il Concilio «vuole trasmettere pura ed integra la dottrina, senza attenuazioni o travisamenti […] È necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che corrisponda alle esigenze del nostro tempo»[1].
Scontata è la forzatura di celebri affermazioni di Giovanni XXIII, a partire dalla «nuova Pentecoste» che avrebbe dovuto derivare dal Concilio; profondamente scorretta la scelta di far ascoltare in latino la celebre Gaudet Mater Ecclesia, per nascondere – sospettiamo noi, malfidenti – queste fondamentali parole del beato: il Concilio «vuole trasmettere pura ed integra la dottrina, senza attenuazioni o travisamenti […] È necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che corrisponda alle esigenze del nostro tempo»[1].
La linea di Melloni è chiara: Roncalli ha operato una fortissima rottura, a cui con fatica il malefico Paolo VI, dileggiato sotto vari punti di vista (notevole esempio di obbedienza al successore di Pietro!), ha tentato di porre rimedio chiudendo bruscamente il Concilio. Peccato che lo stesso Giovanni XXIII, dopo il grande ottimismo iniziale (la speranza era di rinnovare dall’interno la Chiesa, nel solco della Tradizione di sempre), avesse manifestato chiaro scontento di come stava evolvendo il Vaticano II[2]e, a buon diritto, tutti i suoi successori abbiano insistito sulle grandi difficoltà che sono subentrate, soprattutto il cosiddetto “para-concilio”, ossia quelle forzature che fanno leva, più che sui documenti conciliari, su presunti spiriti soggiacenti, frenati e celati in extremis dalle forze “malvagie” della Chiesa.
Ecco il modus operandi melloniano, che affidandosi al proprio umorismo oscilla tra feroci accuse nei confronti degli ultimi pontificati, colpevoli di aver disilluso le attese del Concilio[3], e la contraddittoria affermazione dell’unità della Chiesa attuale, che sarebbe interamente ispirata al Concilio[4].
Le incongruenze scoppiano quando un’ingenua domanda dal pubblico chiede lumi sull’ermeneutica della continuità. Qui Melloni dà il meglio di sé, accusando da un lato il Papa di aver sopravvalutato il suo uditorio nel famoso discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005, dall’altro il «giornalume tradizionalista» di aver totalmente frainteso le parole di Benedetto XVI, che nell’esprimersi così avrebbe attinto alla propria impostazione filosofica platonica.
Rasentiamo il ridicolo! Come appare evidente alla lettura del discorso ratzingeriano, il riferimento è chiaramente alle ermeneutiche del Vaticano II e alla contingenza storica della Chiesa[5], non a un fantomatico iperuranio. Melloni addirittura tenta di presentarsi “dalla parte della continuità”, estraendo il passe-partout che molti progressisti usano: l’accusa al gruppo maledetto[6], i lefebvriani ovviamente, che manipolerebbero addirittura l’opinione comune (eppure, sembra che siano i Melloni e i Battista a scrivere sul principale quotidiano nazionale).
Rasentiamo il ridicolo! Come appare evidente alla lettura del discorso ratzingeriano, il riferimento è chiaramente alle ermeneutiche del Vaticano II e alla contingenza storica della Chiesa[5], non a un fantomatico iperuranio. Melloni addirittura tenta di presentarsi “dalla parte della continuità”, estraendo il passe-partout che molti progressisti usano: l’accusa al gruppo maledetto[6], i lefebvriani ovviamente, che manipolerebbero addirittura l’opinione comune (eppure, sembra che siano i Melloni e i Battista a scrivere sul principale quotidiano nazionale).
Ma il Pontefice pensa in primo luogo ai progressisti nella sua condanna dell’ermeneutica della rottura: questa, infatti, «asserisce che i testi del Concilio come tali non sarebbero ancora la vera espressione dello spirito del Concilio. Sarebbero il risultato di compromessi nei quali, per raggiungere l’unanimità, si è dovuto ancora trascinarsi dietro e riconfermare molte cose vecchie ormai inutili. Non in questi compromessi, però, si rivelerebbe il vero spirito del Concilio, ma invece negli slanci verso il nuovo che sono sottesi ai testi […] sarebbe necessario andare coraggiosamente al di là dei testi». C’è ben poco da fraintendere: stiamo parlando delle avanguardie nostrane! Possiamo ammirare l’astuzia del tentativo di dribblare la recente definizione di «interpretazioni eretiche» del Concilio formulata dal cardinale Müller[7] (certo non un tradizionalista!), ma, caro “dattero” bolognese, non ci freghi!
Ecco dunque Melloni, quello che nei suoi starnazzanti articoli accusa la Chiesa attuale di fondamentalismo, di aver «dimenticato che la vita è fatta di percorsi tortuosi»[8]; quello che è incapace di comprendere il recente Discorso per la Pace di Benedetto XVI, quello che critica velenosamente le mobilitazioni di piazza contro il mariage pour tous; quello che pontifica contro il «ritualismo pizzuto», la «religiosità precotta» e «i più cocciuti tradizionalisti»[9]; quello che sproloquia sul pluralismo religioso[10], ignorando i moniti del pontefice[11]. Nell’arsenale di Melloni non può poi mancare il secondo cavallo di battaglia dei progressisti: il “passatismo” del rito in latino, un “atto di regresso oscurantistico”, com’è definito da chi palesemente non lo conosce né lo comprende.
Melloni, insomma, mentre si professa storico, fa del Concilio il randello per la sua lotta ideologica, propagandando «la profezia del cardinale Martini»[12], l’unico che avrebbe rotto con il modello tradizionale per cui «un cattolico, specialmente se gesuita e vescovo, debba essere e non possa non essere arrogante, chiuso, mordace, sprezzante, spietato con gli altri, autoindulgente con se stesso», in una ben poco obbediente contrapposizione con il Magistero, a suo dire impegnato in «un’agenda corta, fatta di lotta al relativismo e di concessioni ai lefebvriani».
Caro Melloni, continua pure ad auspicare un’assurda collegialità ecclesiale che travalichi il definito spazio del Concilio (come insegna invece il Magistero), e continua pure a esortare alla realizzazione del sogno martiniano («un balzo innanzi verso una collegiale schietta»[13]), ma sia chiaro a tutti quanto già diceva papa Montini sul «fumo di Satana» entrato nella Chiesa: questo «balzo innanzi»[14] porta dritto tra le braccia del Nemico.
[1] S. Oec. Conc. Vat. II. Constitutiones, Decreta, Declarationes, 1974, pp. 863-865.
[2] Oltre alle tante riflessioni degli ultimi pontefici, si pensi a quanto emerge dai diari del cardinal Siri, al quale Roncalli avrebbe rivelato «che non era affatto contento del Concilio».
[3] «Una comunione che […] attende ancora un “balzo innanzi”» (CdS 29 Ottobre 2012, p. 30).
[4] «La Chiesa è nella sua interezza quella del Concilio» (CdS 10 Ottobre 2012, p. 38).
[5] «l’“ermeneutica della riforma”, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato».
[6] Secondo una strategia già stigmatizzata da Benedetto XVI, cfr. Lettera ai Vescovi del 10 Marzo 2009.
[7] Osservatore Romano 29 Novembre 2012.
[8] CdS 16 Dicembre 2012, p. 34.
[9] CdS 10 Ottobre 2012, p. 38.
[10] CdS 6 Ottobre 2012, pp. 1. 5.
[11] «se la libertà di religione viene considerata come espressione dell’incapacità dell’uomo di trovare la verità e di conseguenza diventa canonizzazione del relativismo, allora essa da necessità sociale e storica è elevata in modo improprio a livello metafisico ed è così privata del suo vero senso, con la conseguenza di non poter essere accettata» (Discorso alla Curia romana, 22 Dicembre 2005).
[12] CdS 2 Settembre 2012, p. 32.
[13] CdS 2 Settembre 2012, p. 32.
[14] CdS 2 Settembre 2012, p. 32; CdS 29 Ottobre 2012, p. 30.
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