«Tutti sanno del terribile caso di padre Maciel. Dobbiamo certamente considerare chi è stato coinvolto. Anche se in buona fede erano convinti che Maciel fosse un uomo di Dio: questo fatto ora è di pubblico dominio. La gente sa chi è stato associato a lui. E questo potrebbe condurre alla sensazione che non è la direzione da prendere». Sono le ultime parole di un cardinale statunitense, Francis George di Chicago, dopo che anche il «gruppo degli americani» ha accettato, per evitare ulteriori tensioni, il «black-out» informativo imposto dal decano del Collegio Cardinalizio, Angelo Sodano.
Lo stesso Sodano era il segretario di Stato quando Marcial Maciel veniva festeggiato in Vaticano per i 60 anni di sacerdozio. E da quella festa si era dissociato il solo cardinale Joseph Ratzinger, allora prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, un uomo mite ma determinato, che cercava da tempo di processare il fondatore dei Legionari di Cristo, e che una volta eletto Papa tra i suoi primi atti impose al prete messicano - stupratore di seminaristi e dei suoi stessi figli naturali - di ritirarsi e ordinò una «Visita Apostolica» le cui conclusioni furono che «i gravissimi e obiettivamente immorali comportamenti di padre Maciel, confermati da testimonianze incontrovertibili, si configurano, talora, in veri delitti e manifestano una vita priva di scrupoli e di autentico sentimento religioso». Mentre «non di rado - affermava la nota vaticana del primo maggio 2010 - un lamentevole discredito e allontanamento di quanti dubitavano del suo retto comportamento, nonché l'errata convinzione di non voler nuocere al bene che la Legione stava compiendo, avevano creato attorno a lui un meccanismo di difesa che lo ha reso per molto tempo inattaccabile, rendendo di conseguenza assai difficile la conoscenza della sua vera vita». Tutto questo pesa ora come un macigno sul Conclave. A rafforzare una sostanziale e costante sottovalutazione del problema degli abusi era stato anche il fatto che Papa Wojtyla, arrivato da una realtà dove la Chiesa era stata osteggiata dal regime comunista con ogni mezzo, comprese accuse calunniose di pedofilia. Tanto che dalla Santa Sede poté partire una lettera del cardinale Dario Castrillon Hoyos, allora prefetto per il clero, indirizzata a un vescovo francese, per congratularsi con lui della mancata segnalazione di un prete pedofilo alla polizia. E non meraviglia dunque che il vescovo emerito di Ivrea, monsignor Luigi Bettazzi, ancora oggi si appiattisca sulle dichiarazioni di Sodano del 2010, che bollarono come «chiacchiericcio» le proteste delle vittime, difese invece con forza dal Papa oggi Emerito (e in quei giorni anche dai cardinali Schoenborn di Vienna e O'Malley di Boston). «Prima di denunciare - ha detto Bettazzi esprimendo una posizione diffusa nel post-concilio e fortemente avversata da Ratzinger - bisogna essere molto sicuri, vedere se la persona può recuperare. E chiarire con l'interessato. Anche se nel passato siamo stati poco attenti alle vittime. Le cose vanno valutate bene, magari ci sono inesattezze». Una linea soft contro la quale Joseph Ratzinger, da cardinale e da Papa, si è battuto strenuamente fino a completare un quadro normativo d'avanguardia, avviato con Giovanni Paolo II, e che propone davvero un salto di qualità nella lotta alla pedofilia, del quale peraltro si vedono già i primi frutti, come tutti i dati recenti riconoscono. Nessuna legge statale persegue i rapporti sessuali con i minorenni - anche maggiori di 16 anni - con la stessa severità, nessuna fa decorrere i termini di prescrizione - 10 anni, cioè il doppio che in Italia - al raggiungimento del 18esimo anno della vittima. Non solo: a seguito della «Visita Apostolica in alcune diocesi dell'Irlanda, come pure in seminari e congregazioni religiose» e delle inchieste del promotore di giustizia Charlese Scicluna, il Pontefice ha poi sostituito una decina di presuli irlandesi (sono 80 quelli rimossi in 8 anni di Pontificato in tutto il mondo) e estromesso dalla gestione pastorale ed amministrativa il primate, cardinale Sean Brady, mandando un coadiutore con pieni poteri ad affiancarlo. Ci sono molte zone d'ombra nella gestione dei casi prima del Pontificato Ratzingeriano e delle 600 denunce all'anno che ancora arrivano, la maggior parte risalgono a prima del 2000, ma esse riguardano la responsabilità dei vescovi locali che rifiutavano il ruolo di guide e cercavano di non istruire i processi magari convincendo i sacerdoti pedofili a chiedere la riduzione allo stato laicale per potersi sposare, come accaduto nel caso Kiesle. O coprivano i pedofili perché rei anch'essi degli stessi crimini, come l'ex arcivescovo benedettino Weakland. Quanto ai due casi nei quali Ratzinger fu fermato dal Papa polacco, Maciel e Groer, il Pontefice ora dimissionario ebbe maggiore percezione delle tremende e impensabili realtà che riguardavano il fondatore di un importante ordine religioso e il cardinale di Vienna rispetto al predecessore. Su Groer, tra l'altro, alla fine Wojtyla si convinse, tanto che prima gli affiancò Schoenborn e poi lo confino' in un monastero in Germania. Analogo trattamento Ratzinger intendeva riservare al cardinale di Los Angeles, Roger Mahoney (accusato di aver coperto 129 casi), che ha prima affiancato e poi sostituito arrivando infine ad autorizzare il successore, monsignor José Gomez a sollevarlo da tutti gli incarichi e dalle celebrazioni pubbliche. Ma ora i cardinali insabbiatori parteciperanno al Conclave e Joseph Ratzinger se ne starà, come ha promesso, «nascosto dal mondo, in preghiera». «Possano la nostra tristezza e le nostre lacrime, il nostro sforzo sincero di raddrizzare gli errori del passato, e il nostro fermo proposito di correzione, portare abbondanti frutti di grazia», aveva scritto Benedetto XVI nella Lettera sugli abusi sessuali in Irlanda, pubblicata il 20 marzo 2010, unendo il suo dolore sincero a quello delle vittime di tanto scempio, dopo essersi «soffermato con loro, ascoltato le loro vicende, preso atto della loro sofferenza, pregato con e per loro». «Tutti noi stiamo soffrendo come conseguenza dei peccati di nostri confratelli che hanno tradito una consegna sacra o non hanno affrontato in modo giusto e responsabile le accuse di abuso», spiegava il Papa oggi dimissionario, qualificando nello stesso modo - ed è uno dei grandi elementi di novità di questo straordinario documento - i crimini dei preti pedofili e la colpevole passività dei vescovi. «Seri errori furono commessi nel trattare le accuse», ammetteva dunque il Pontefice tedesco, che confessava di aver provato in prima persona anch'egli «lo sgomento e il senso di tradimento che molti hanno sperimentato al venire a conoscenza di questi atti peccaminosi e criminali e del modo in cui le autorità della Chiesa in Irlanda li hanno affrontati».
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L’appello dei cardinali: “Il Vaticano deve cambiare”
Riforme e rapporto con i vescovi, i temi condivisi in modo trasversale
ANDREA TORNIELLICITTÀ DEL VATICANO
Collegialità e riforma della Curia. Non era mai accaduto che così tanti cardinali chiedessero un cambio di direzione nella gestione della «macchina» curiale vaticana.
E affrontassero il tema dell’organizzazione dei dicasteri, del loro coordinamento, del collegamento con le conferenze episcopali. E questo significa che il nuovo Papa, chiunque esso sia, difficilmente potrà ignorare queste indicazioni, che sono conseguenza delle esperienze non certamente positive vissute negli ultimi anni nel rapporto tra Roma e gli episcopati.
La discussione su questo è stata franca ma fraterna. Diversi porporati di peso negli ultimi giorni hanno affrontato senza giri di parole la questione, sia chiedendo informazioni sul dossier Vatileaks, sia parlando della necessità di un cambio di rotta nella gestione della Curia e della Segreteria di Stato rispetto all’ultimo periodo. Le risposte alla prima richiesta non sono state esaustive, perché Papa Ratzinger ha stabilito che la «Relatio» preparata dai porporati Herranz, Tomko e De Giorgi sia consegnata al successore.
Ma ai cardinali che chiedevano lumi, le tre eminenze inquirenti hanno fornito nei colloqui a tu per tu qualche ragguaglio. Per quanto riguarda la Curia, sia prima che dopo la presentazione di alcune proposte da parte del cardinale Coccopalmerio, altri porporati hanno detto di ritenere non più procrastinabile la riforma che Benedetto XVI, a margine della cerimonia del Mercoledì delle Ceneri, avrebbe detto con rammarico di non essere riuscito a fare.
Interventi in questo senso, in favore di una diversa gestione della Curia e di alcune riforme, sono arrivati dal tedesco Walter Kasper, dall’austriaco Christoph Schönborn, dall’ungherese Peter Erdö, dal peruviano Jean Luis Cipriani Thorne, dal francese André Vingt-Trois, dallo spagnolo Antonio María Rouco Varela, dall’indiano Ivan Dias, lo sloveno Franc Rodé. L’esigenza di un cambio di passo, di maggiore collegialità, di un Papa meno isolato e meno schermato dalla Segreteria di Stato sono elementi destinati a pesare nel conclave.
Alcuni porporati, come Camillo Ruini e Stanislaw Dzwisz, hanno provato a tracciare un’identikit del futuro Papa, mentre altri hanno parlato più in generale sulla natura della Chiesa, come Angelo Scola, o del tema della verità, come Angelo Bagnasco.
Anche ieri nel corso dell’ottava congregazione, i cardinali hanno affrontato molti argomenti: il dialogo interreligioso e in particolare con l’islam, tema questo trattato fin da lunedì, ad esempio da un cardinale africano, che ne ha parlato in termini realistici, lontani da visioni idilliache e «buoniste».
Si è parlato delle sfide della bioetica, entrate a pieno titolo tra le sfide «sociali», come ha scritto Benedetto XVI nell’enciclica «Caritas in veritate». Si è tornati a parlare di evangelizzazione, e dell’«annuncio gioioso dell’amore e della misericordia di Dio», di una Chiesa che si fa prossima alle persone là dove esse vivono: un tema affrontato ieri mattina dall’arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio. Di evangelizzazione ha parlato anche il cardinale Crescenzio Sepe.
Nel giorno della festa dell’8 marzo i cardinali hanno affrontato anche il tema del ruolo delle donne nella Chiesa: argomento sul quale aveva rilasciato dichiarazioni il cardinale italo-argentino Leonardo Sandri. E sempre ieri si è parlato pure dell’importanza dei laici nella nuova evangelizzazione, argomento toccato in particolare dal cardinale portoghese José Saraiva Martins. Altri temi ricorrenti sono stati quello della giustizia e della lotta alla povertà, e di una maggiore presenza della Santa Sede sulla scena internazionale.
Il «cantiere» della nuova evangelizzazione, lasciato aperto da Benedetto XVI, rimane fondamentale: non serve dunque - per usare l’espressione dello storico Alberto Melloni - un Papa «sceriffo» e neppure un Papa «manager». Serve invece un Papa pastore, che sappia mostrare il volto sorridente e misericordioso di Dio alle donne e agli uomini contemporanei. E che certo sia anche in grado, grazie a collaboratori adeguati, di rinnovare il volto della Curia romana e di garantire più collegialità.
Dopo quasi una settimana di incontri, le proposte in campo si precisano e le candidature si consolidano. Al momento però ancora diversi porporati hanno l’impressione di trovarsi di fronte a un conclave non semplice. Appare dunque difficile che il «miracolo» dell’elezione del nuovo Papa in sole 24 ore possa ripetersi.
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