ROMA – Tutti i principali bookmaker consideranoAngelo Scola come favorito del Conclave (al via martedì) per la successione a Joseph Ratinger. La tabella elaborata dal sito Oddschecker.com le società di scommesse Bet365, SkyBet, Boyle Sports, Betfred, Sportingbet, Bet Victor, Paddy Power, Stan James, Ladbrokes, Coral, William Hill, Bwin, YouWin, BetWay e Pinnacle segnalano il 71enne arcivescovo di Milano in vantaggio su 64enne cardinale ghanese Peter Turkson, presidente del Pontifico Consiglio della Giustizia e della Pace, e sul 78enne segretario di stato vaticano Tarcisio Bertone.
Scola oscilla tra quota 3,00 e quota 4,00. Scommettendo ciè un euro sulla elezione dell’arcivescovo di Milano, in caso di vincita si incassano tra i 3 e i 4 euro. Turkson si muove tra quota 3,75 e 5,00. Bertone tra 4,50 e 6,00. Quarto nella classifica dei favoriti per i bookmaker è il 63enne arcivescovo di San Paolo del Brasile Odilo Pedro Scherer. Seguono, in ordine, il 66enne canadese Marc Ouellet, presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina, il 68 arcivescovo di Vienna Christoph Schonborn, Gianfranco Ravasi, 70 anni, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, Peter Erdo, 60 anni, presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, il 69enne presidente della Cei Angelo Bagnasco, l’argentino Leonardo Sandri, 69 anni, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, Francis Arinze, 80 anni, cardianle di Velletri-Segni.
E grazie alle buone chance di Scola, Bertone, Ravasi e Bagnasco gli italiani sono nettamente favoriti. Paddy Power paga l’elezione di un Papa di casa nostra a 1,80. Bwin a 1,95. I cardinali del Sud o Centro America vengono quotati dagli stessi bookmaker rispettivamente a 3,50 e 3,75. Gli africani a 3,75 e 5,00. Gli americani (del Nord) a 11,00 e 34,00. Al 15 febbraio, stando alle quote delle stesse società di scommesse, il favorito per l’elezione a vescovo di Roma era Peter Turkson.
Si profila un duello Scola-Scherer. La Polonia cattolica va in crisi d'identità
Il weekend in arrivo vede i cardinali in una sorta di libera uscita: niente Congregazioni generali, macontinueranno a discutere tra di loro. Mentre cresce il consenso attorno ad Angelo Scola, l’arcivescovo di Milano, l’altro grande nome resta Odilo Scherer, l’arcivescovo di San Paolo del Brasile ed è molto probabile che le votazioni (la prima nel pomeriggio di martedì 12, per le ore 19 è attesa la fumata) vedranno convergere voti su entrambi.
SCOLA PIACE ALL'ESTERO...- È interessante sottolineare che i due vivono una sorta di curiosa inversione: Scola è appoggiato dagli europei, parte degli italiani e sembrerebbe trovare spazio all’estero grazie alla sua statura internazionale. Anche gli americani, team che ha davvero fatto squadra in maniera innovativa in questo pre-Conclave, non sarebbero insensibili al fascino del porporato di Malgrate (Lecco), in virtù della presenza ciellina negli States e nel Sudamerica (altro fattore da non sottovalutare). Perché è vero che Scola ha tenuto un basso profilo cercando di non essere troppo accostato a Comunione e Liberazione negli ultimi mesi: ma è altrettanto chiaro che negli ambienti di CL, dicono ad Affaritaliani, c’è chi sta facendo una sorta di “rassegna geografica” della presenza ciellina nel mondo e l’eventuale notorietà presso i confratelli dell’arcivescovo di Milano che in queste ore viene sempre più indicato come papabile.
...SCHERER AI CURIALI- L’altro lato curioso della vicenda è che Scherer, malgrado sia un personaggio proveniente dal Sudamerica e abbastanza ferrato sulla macchina curiale, stenterebbe a convincere i cardinali non curiali e – come abbiamo scritto in questi giorni – troverebbe contro di lui una certa fronda internazionale che, proprio per la vicinanza o le simpatie della Curia, non sarebbe disposta a far convergere voti su di lui. Tanto che qualche detrattore lo indicherebbe come “scialbo” o comunque poco incisivo. Certo non è assimilabile ai ratzingeriani, a differenza di Scola che ha da sempre un ottimo rapporto con Joseph Ratzinger e scrive dagli anni ’70 su Communio, la rivista di teologia fondata proprio dal Papa dimissionario. Ma passa per essere un tipo conservatore e dunque non molto avanzato sulle questioni prima di tutto morali.
POLONIA LACERATA- In tutto questo, mentre la macchina vaticana continua la sua corsa verso la Cappella Sistina, è interessante sottolineare il rischio Polonia, paese tra i più cattolici al mondo e ultimamente un po’ in sordina dopo la morte di Giovanni Paolo II. Qui, nota è il sociologo Pawel Boryszewski in un intervento su lematin.ch, i giovani stanno iniziando un progressivo allontanamento dalla pratica religiosa e dalla religione, mentre la Gerarchia locale continua a tifare per un Papa conservatore e continuatore dei pontificati di Karol Wojtyla e Ratzinger. Un bel problema: perché al contrario, con un Papa progressista la Chiesa polacca potrebbe tornare a occuparsi di varie problematiche sorte negli ultimi anni. Anche a Varsavia, infatti, si discute di omosessualità e matrimonio dei preti; esistono gruppi di omosessuali cattolici che hanno chiesto ai vescovi polacchi di non essere dimenticati. È anche questo uno dei pesi che il prossimo Pontificato dovrà sopportare.
Antonino D’Anna
“Prima le riforme, inutile bruciare i tempi. E a Ratzinger dirò di non farsi usare”. Ecco il manifesto di Walter Kasper a un passo dal conclave
«Questo è il tempo di una lunga riflessione. Le cose andranno diversamente rispetto a quando venne eletto Joseph Ratzinger nel 2005. Questo conclave va preparato con calma. Fra noi cardinali quasi non ci conosciamo. C’è bisogno di tempo. Non c’è fretta, l’“extra omnes” può attendere per ora».
Walter Kasper, tedesco come Ratzinger, è una delle figure più eminenti del prossimo conclave. Ieri ha compiuto 80 anni, ma essendo la sede apostolica già vacante dal primo marzo, potrà avere accesso alla Sistina. Vi entra come cardinale più anziano. E non solo, vi entra come l’unico cardinale che dentro la curia romana – per diciotto anni ha guidato il “ministero” che si occupa d’ecumenismo – è stato in grado di tener testa a Ratzinger sul suo terreno, quello dell’alta teologia. Da una parte c’era Ratzinger, capofila dei neoconservatori, dall’altra Kasper, leader dei progressisti.
Eminenza, cosa dirà a Benedetto XVI quando dopo la chiusura del conclave andrà a trovarlo?
«Tante cose. La prima è una raccomandazione. Gli suggerirei di non farsi usare da nessuno. È troppo grande il rischio che il governo della Chiesa subisca la sua influenza. Non deve essere così. Egli ha fatto una scelta precisa, che presuppone un passo indietro. Dovrà, quindi, essere discreto. Evitare d’entrare nei problemi attinenti il governo della Chiesa, nelle politiche ecclesiali. Poi parlerei con lui amichevolmente di ciò che più aggrada entrambi, la teologia».
«Tante cose. La prima è una raccomandazione. Gli suggerirei di non farsi usare da nessuno. È troppo grande il rischio che il governo della Chiesa subisca la sua influenza. Non deve essere così. Egli ha fatto una scelta precisa, che presuppone un passo indietro. Dovrà, quindi, essere discreto. Evitare d’entrare nei problemi attinenti il governo della Chiesa, nelle politiche ecclesiali. Poi parlerei con lui amichevolmente di ciò che più aggrada entrambi, la teologia».
Un tema molto sentito in Germania è quello dell’indipendenza delle Chiese locali da Roma. Il Papa viene visto come una figura autoritaria che impone dall’alto i suoi dettami. E il senso del distacco da Roma, il sentire che di Roma si può fare a meno, è radicato. Cosa pensa?
«Che serve una nuova modalità nell’esercizio del governo della Chiesa. Questa modalità si chiama collegialità, un governo più orizzontale. La collegialità deve estendersi dai vescovi a forme di rappresentanza di tutte le componenti del popolo di Dio. Una collegialità siffatta andrebbe nella direzione del Concilio Vaticano II, dell’unità nella diversità tra tutti i credenti nel Vangelo e di un maggiore dialogo con le altre religioni. Occorre uscire dalle secche del centralismo romano crescendo nella convinzione che centro non significa centralismo».
«Che serve una nuova modalità nell’esercizio del governo della Chiesa. Questa modalità si chiama collegialità, un governo più orizzontale. La collegialità deve estendersi dai vescovi a forme di rappresentanza di tutte le componenti del popolo di Dio. Una collegialità siffatta andrebbe nella direzione del Concilio Vaticano II, dell’unità nella diversità tra tutti i credenti nel Vangelo e di un maggiore dialogo con le altre religioni. Occorre uscire dalle secche del centralismo romano crescendo nella convinzione che centro non significa centralismo».
Proprio alla luce della necessità di una maggiore collegialità, ritiene che la curia romana così come è strutturata va ripensata?
«La riforma della curia è una priorità. Ma, insieme, è un grande problema. Perché oggi alla curia romana manca il dialogo interno. I dicasteri non si parlano, non c’è comunicazione. E questo stato di cose va cambiato».
«La riforma della curia è una priorità. Ma, insieme, è un grande problema. Perché oggi alla curia romana manca il dialogo interno. I dicasteri non si parlano, non c’è comunicazione. E questo stato di cose va cambiato».
È anche alla luce di una curia strutturata in modo verticistico che sono potute nascere fazioni contrapposte che hanno poi portato al deflagrare del cosiddetto Vatileaks?
«Nelle congregazioni generali non abbiamo ancora parlato di Vatileaks. Penso che la curia in generale, al di là di quanto emerge con Vatileaks, va rivoluzionata. E ritengo che oltre alla parola riforma occorra usarne una seconda: trasparenza. La curia deve iniziare ad aprirsi, a non temere la trasparenza».
«Nelle congregazioni generali non abbiamo ancora parlato di Vatileaks. Penso che la curia in generale, al di là di quanto emerge con Vatileaks, va rivoluzionata. E ritengo che oltre alla parola riforma occorra usarne una seconda: trasparenza. La curia deve iniziare ad aprirsi, a non temere la trasparenza».
Ratzinger nelle meditazioni della Via crucis del 2005 parlò della «sporcizia» presente nella Chiesa. Poche ore fa un cardinale scozzese ha annunciato di non partecipare al conclave per aver avuto «comportamenti inappropriati» verso dei seminaristi. Come si sente un principe della Chiesa di fronte a queste notizie?
«Non bene. Ratzinger però ha indicato una nuova strada, che è la linea della pulizia nella Chiesa. Gliene va reso atto: lui ha agito diversamente di altri».
«Non bene. Ratzinger però ha indicato una nuova strada, che è la linea della pulizia nella Chiesa. Gliene va reso atto: lui ha agito diversamente di altri».
Celibato, sacerdozio femminile, omosessualità. I temi che agitano la coscienza di molti fedeli ritornano con forza nel dibattito pubblico. Sui cattolici divorziati che una volta risposati non possono accedere alla comunione, Ratzinger disse che «il problema deve essere ancora approfondito». Fino a dove la Chiesa può spingersi?
«Il divieto di dare la comunione ai divorziati risposati è una ferita. Non voglio indicare io quale strada seguire, ma una cosa è certa: occorre un ripensamento serio sul tema. Serve l’umiltà di affrontare l’argomento caso per caso. La norma può essere modificata a seconda delle diverse situazioni».
«Il divieto di dare la comunione ai divorziati risposati è una ferita. Non voglio indicare io quale strada seguire, ma una cosa è certa: occorre un ripensamento serio sul tema. Serve l’umiltà di affrontare l’argomento caso per caso. La norma può essere modificata a seconda delle diverse situazioni».
Ha preferenze sul prossimo Papa?
«Vorrei non ci fosse preclusione per nessuno. Dobbiamo essere aperti a tutto, a qualsiasi nazionalità e geografia ecclesiale».
«Vorrei non ci fosse preclusione per nessuno. Dobbiamo essere aperti a tutto, a qualsiasi nazionalità e geografia ecclesiale».
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