Quando
il Concilio stava dando i suoi tristissimi frutti, molti dei miei
confratelli iniziarono a deporre la veste talare e ad usare il clergyman,
e in breve li si vide in abiti civili, com'era prevedibile. Io
continuavo ad usare la talare e la sacra Tonsura, che in quegli anni era
molto piccola ma pur sempre visibile ed obbligatoria.
A
quell'epoca mi trovavo spesso a celebrare la Messa in una Basilica
romana, dove non di rado mi capitava di incontrare il Cardinal Vicario,
qualche Eminentissimo, non pochi Eccellentissimi e parecchi Monsignori e
Sacerdoti, oltre ad un'infinità di chierici e seminaristi.
Mi accadeva spesso di esser fermato in sacristia e sentirmi chiedere: "Reverendo,
perché continua a portare la sottana? Non è importante la veste! Perché
tiene la tonsura? Non è importante! Si aggiorni: c'è stato il Concilio!"
Io mi limitavo spesso a rispondere che la veste talare era considerata
ancora, e a tutti gli effetti canonici, l'abito normale obbligatorio, e
che il clergyman era tollerato solo per il compimento di azioni
completamente profane come ad esempio l'andare il viaggio, il prendere
l'aereo, o il fare escursioni in montagna. Quindi non vi era motivo,
specialmente nell'Alma Urbe, di disobbedire alla legge della Chiesa per
travestirmi da pastore luterano, visto che ero un sacerdote cattolico.
Quanto alla Tonsura, essa era allora facoltativa, e quando Paolo VI l'ha
abolita la canizie ha provveduto ad impormela sino al sacello.
Talvolta erano addirittura Vescovi o Cardinali, vestiti in nigris come ai tempi di Pio IX, a rimproverarmi - talvolta anche in modo villano - per la mia ostentazione inutile, per il mio volermi arroccare su posizioni di intransigenza preconciliari, per tutto quel nero che poco di addiceva alle magnifiche sorti e progressive inaugurate dal Concilio appena chiuso.
E tutti, invariabilmente, mi dicevano: "Non è importante, quella veste!",
e mi stupiva quel ritornello, detto con un sorrisetto canzonatorio,
quasi meritassi pietà o mi rendessi ridicolo per il solo fatto di
vestire la sacra livrea dei Leviti.
Un giorno, dopo che un importante Monsignore di Curia mi fece la solita reprimenda, mi permisi di rispondere: "Eccellenza,
se la veste è così poco importante, perché ogni volta che mi incrocia
mi deve rimproverare di indossarla? Forse mi permetto io di
rimproverarLa perché non la indossa quasi mai, nonostante essa sia
obbligatoria, sempre e comunque, a Roma?"
Questi
remoti episodi, che mai mi hanno dissuaso dall'indossare la veste, mi
sono tornati alla mente in questi giorni, dopo aver letto numerosi
interventi in cui personaggi più o meno legittimati ad esprimersi hanno
elogiato con enfasi l'opinabilissima scelta di Bergoglio di non
indossare gli abiti propri del Papa, preferendo la semplice veste piana
bianca; essi sono addirittura giunti a lodare la ricomparsa di paramenti
e insegne semplici e squallide, sostituite ai ben più degni paramenti
usati dalla Santità di Nostro Signore Benedetto XVI.
L'argomento addotto è sempre lo stesso: fanoni, mitrie, scarpe rosse, mozzette con l'ermellino, croci pettorali preziose, ferule ecc. non sono importanti.
Dinanzi a questa idiozia sesquipedale, mi sono spazientito come allora,
perché è una falsità a cui per primi non credono coloro che la
formulano, altrimenti non si fisserebbero così tanto su questi dettagli.
Usiamo i termini come si conviene: le vesti e le insegne esteriori di una dignità non sono essenziali alla
dignità medesima, ma non per questo esse sono meno importanti, dal
momento che manifestano nei segni quello una realtà che ontologicamente
non è altrimenti visibile.
Si mette l'Ostia Santa nell'ostensorio non perché l'Augustissimo Sacramento dell'Altare abbia bisogno di
un piedistallo d'oro e pietre preziose, ma perché si testimonia con i
segni la fede nella Presenza Reale di Nostro Signore, al Quale va
tributato ogni onore e gloria. Onore e gloria: manifestazioni esterne,
visibili, tangibili, percepibili con i sensi.
Un
Carabiniere indossa quella particolare divisa non perché egli sia meno
Carabiniere quando è in abiti civili, ma per riconoscerlo come tale
quando esercita le sue funzioni. Il medico veste il camice bianco mentre
visita i malati non perché egli sia meno capace di diagnosticare le
malattie e prescrivere le cure quando è in borghese, ma per distinguerlo
e poterglisi rivolgere in caso di bisogno. Il Magistrato indossa la
toga e il tocco quando pronunzia una sentenza non per dare valore alle
proprie parole, ma per evidenziare che in quel momento egli parla in
nome della Legge, con l'autorità che lo Stato gli ha conferito. Gli
esempi si potrebbero moltiplicare, e pur tuttavia si potrebbe citare
anche un caso molto meno aulico ma non meno valido, specialmente per la
mentalità odierna: quando i ragazzi vanno a ballare in un locale, vi è o
no il cosiddetto dress code, in base al quale si è ammessi o
respinti, secondo precise norme di vestiario? A chi verrebbe in mente di
andare alla prima della Scala in tuta da operaio o in veste da camera?
E
ancora: se ad una parata militare venisse in mente ad un soldato o ad
un ufficiale di mettere le scarpe da tennis, o i jeans, o anche solo un
dettaglio della divisa diverso da quanto prescritto, credete che lo si
lascerebbe impunemente marciare con gli altri, in nome della libertà di
espressione? E perché allora si tollera che ogni sacerdote si vesta come
meglio gli talenta, senza alcun rispetto per le norme e le disposizioni
dell'Autorità Ecclesiastica?
Non
capisco perché una cosa tanto evidente nel mondo profano debba trovare
tante difficoltà ad esser recepita tra i chierici. Quello stupido
ritornello - Non è importante! - ha autorizzato il rilassamento
della disciplina del Clero, ed oggi è assurto a paradigma sin dal più
alto Soglio, dove il Vescovo di Roma si permette di comparire dinanzi ad
un Sovrano con le vesti che usa per far colazione a Santa Marta, ad
onta del cerimoniale e del protocollo. Ed anche se la mozzetta, il
rocchetto, la croce preziosa, il camauro ed i calzari rossi non sono
importanti, il messaggio che se ne ricava è chiarissimo: Io sono
Bergoglio, e faccio come voglio. Dei sovrani che ricevo in udienza non
me ne importa un fico secco, io sono umile, bacio i piedi ai carcerati e
faccio gli autografi sul gesso delle bambine. Detesto i trionfalismi e i
formalismi.
L'esempio che cala dall'alto - exempla trahunt -
ora legittima l'anarchia più assoluta, peraltro tollerata da decenni.
Ma se un Vescovo può vestirsi in borghese e nascondere la croce
pettorale nel taschino, per quale motivo io non posso allora passeggiare
per via della Conciliazione in cappamagna marezzata e galero? Se tutti
questi orpelli sono così poco importanti, come mai gli stessi che
li deridono e li disprezzano non li tollerano addosso ad altri? Se la
tiara è stata deposta dal Papa, posso indossarla io mentre celebro al
faldistorio, visto che ho l'uso dei pontificali?
La
mia è ovviamente una provocazione. Fu una provocazione molto più
meritevole di elogio - e degna di una persona di grande senso
dell'umorismo e della carità cristiana - anche quella di scegliere e far
approvare dall'Autorità Ecclesiastica l'abito proprio dei Canonici
Regolari dell'Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote: un abito nero con
fodere azzurre, con il fiocco azzurro sulla berretta, la mozzetta
filettata di azzurro, la croce canonicale con nastro azzurro ecc. Alcuni
invidiosi si erano tanto scandalizzati per l'abito protonotarile che
indossava a suo tempo Mons. Wach, da mandare lettere anonime a Roma per
protestare vibratamente contro l'intollerabile abuso: ora si godono
Monsignore e tutti i suoi Canonici vestiti, nella più rigida conformità
alla norma, come San Francesco di Sales.
Queste mie riflessioni, tra il serio e il faceto, vogliono nondimeno far presente l'importanza dei segni esteriori.
Se Bergoglio non ne vuol sapere di chiamarsi Papa e si ostina a
presentarsi come Vescovo di Roma, non stupisce che non voglia nemmeno le
insegne del Vicario di Cristo: in Segreteria di Stato ci sono Prelati
ambiziosi che non vedono l'ora di calcarsela in capo. Ma sarebbe il caso
di ricordargli che sono i missionari africani ad usare la veste bianca,
e che Roma non è capitale del Burkina Faso.
Io intanto, per la prossima Messa cantata, indosserò il fanone.
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