Tra i vescovi italiani recatisi da Francesco in visita “ad limina”,
quelli della Puglia sono stati i più loquaci nel riferire cose dette
loro dal papa.
Non c’è stata solo la “rivelazione” – poi in parte contraddetta da padre Federico Lombardi – del vescovo di Molfetta Luigi Martella su due encicliche in viaggio: la prima, sulla fede, firmata dall’attuale papa ma scritta dal predecessore, che la starebbe tutt’ora ultimando nel suo romitorio; e la seconda, sulla povertà, tutta ad opera del papa regnante.
Ci sono state anche delle indiscrezioni riguardanti la liturgia.
Ha cominciato l’arcivescovo di Bari, Francesco Cacucci, che alla Radio Vaticana ha dichiarato che papa Francesco avrebbe esortato i vescovi a “vivere il rapporto con la liturgia con semplicità e senza sovrastrutture”.
Poi è stata la volta del vescovo di Conversano e Monopoli, Domenico Padovano, il quale ha raccontato al proprio clero che i vescovi pugliesi si erano lamentati col papa per l’opera di divisione creata dentro la Chiesa dai paladini della messa in rito antico.
E che cosa avrebbe loro risposto il papa?
Stando a quanto riferito da monsignor Padovano, Francesco li avrebbe esortati a vigilare sugli estremismi di certi gruppi tradizionalisti, ma anche a fare tesoro della tradizione e a farla convivere nella Chiesa con l’innovazione.
Per spiegare meglio quest’ultimo punto, il papa avrebbe portato il proprio esempio:
“Vedete? Dicono che il mio maestro delle cerimonie papali [Guido Marini] sia di stampo tradizionalista; ed in molti, dopo la mia elezione, mi hanno invitato a sollevarlo dall’incarico e sostituirlo. Ho risposto di no, proprio perché io stesso possa fare tesoro della sua preparazione tradizionale e contemporaneamente egli possa avvantaggiarsi, allo stesso modo, della mia formazione più emancipata”.
Se autentiche, sono parole istruttive circa lo spirito liturgico e lo stile di celebrazione dell’attuale papa.
Ma non è sicuro in che senso i vescovi pugliesi le abbiano interpretate.
Un altro di loro, quello di Cerignola e Ascoli Satriano, Felice Di Molfetta, già presidente della commissione della CEI per la liturgia, in un messaggio alla sua diocesi ha scritto tra l’altro:
“Non ho mancato di rallegrarmi col papa per lo stile celebrativo che ha assunto; uno stile ispirato alla ‘nobile semplicità’ sancita dal Concilio, manifestando particolare attenzione all’argomento e sul quale non sono mancate da parte sua considerazioni di alto profilo teologico-pastorale, condivise da tutti i confratelli presenti.
“Ho goduto tanto per il dialogo intessuto, essendomi occupato da una vita nell’insegnamento della teologia liturgica e sacramentaria, nel cogliere l’interesse del Santo Padre su questo vitale aspetto del ministero petrino, da lui esercitato sia nelle celebrazioni feriali a Santa Marta sia in quelle solenni nella Basilica Vaticana come per la canonizzazione degli 800 martiri di Otranto: una celebrazione contenuta nel tempo e nell’insieme del suo svolgimento rituale.
“Papa Francesco, alla luce di certi fenomeni del recente passato in cui sono state registrate sul piano liturgico non poche derive, ha esortato noi vescovi, riferendoci anche alcuni esempi concreti, a vivere il rapporto con l’azione liturgica, in quanto opera di Dio, da veri credenti al di là di ogni tronfio cerimonialismo, pienamente consapevole che la ‘nobile semplicità’ di cui parla il Concilio, non è sciatteria ma Bellezza, bellezza con la ‘B’ maiuscola”.
Ma arruolare papa Francesco tra le file dei progressisti anche in campo liturgico è per lo meno azzardato. Non risulta affatto, in particolare, che egli sia ostile alla liberalizzazione della messa in rito antico, decisa da Benedetto XVI col motu proprio “Summorum pontificum” del 2007.
Mentre è certo che proprio monsignor Di Molfetta fu quell’anno uno dei più combattivi critici di quel motu proprio, prima e dopo la sua pubblicazione.
Giudicava la messa in rito antico “incompatibile” con quella postconciliare e si diede da fare, senza successo, perché la CEI producesse una nota interpretativa – in senso restrittivo – della “Summorum pontificum”.
*
Una postilla. Il presunto “esorcismo” che Francesco avrebbe praticato il giorno di Pentecoste, in piazza San Pietro, è in realtà un suo modo di fare ricorrente, in contesti tutt’altro che diabolici.
È ad esempio ciò che Francesco ha fatto alcuni giorni fa dopo una messa mattutina a Santa Marta, nella quale ha incontrato per la prima volta il direttore de “La Civiltà Cattolica”, padre Antonio Spadaro, presente alla celebrazione.
“Quando gli chiesi la benedizione – racconta il gesuita – papa Francesco impose solennemente le mani sul mio capo e tracciò un segno di croce. Il suo gesto non era diverso da quello che aveva fatto sull’indemoniato. Per me è stato un gesto naturale, semplice, di preghiera e di benedizione”.
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2013/05/25/tra-confidenze-ed-esorcismi-un-papa-tutto-da-decifrare/
Non c’è stata solo la “rivelazione” – poi in parte contraddetta da padre Federico Lombardi – del vescovo di Molfetta Luigi Martella su due encicliche in viaggio: la prima, sulla fede, firmata dall’attuale papa ma scritta dal predecessore, che la starebbe tutt’ora ultimando nel suo romitorio; e la seconda, sulla povertà, tutta ad opera del papa regnante.
Ci sono state anche delle indiscrezioni riguardanti la liturgia.
Ha cominciato l’arcivescovo di Bari, Francesco Cacucci, che alla Radio Vaticana ha dichiarato che papa Francesco avrebbe esortato i vescovi a “vivere il rapporto con la liturgia con semplicità e senza sovrastrutture”.
Poi è stata la volta del vescovo di Conversano e Monopoli, Domenico Padovano, il quale ha raccontato al proprio clero che i vescovi pugliesi si erano lamentati col papa per l’opera di divisione creata dentro la Chiesa dai paladini della messa in rito antico.
E che cosa avrebbe loro risposto il papa?
Stando a quanto riferito da monsignor Padovano, Francesco li avrebbe esortati a vigilare sugli estremismi di certi gruppi tradizionalisti, ma anche a fare tesoro della tradizione e a farla convivere nella Chiesa con l’innovazione.
Per spiegare meglio quest’ultimo punto, il papa avrebbe portato il proprio esempio:
“Vedete? Dicono che il mio maestro delle cerimonie papali [Guido Marini] sia di stampo tradizionalista; ed in molti, dopo la mia elezione, mi hanno invitato a sollevarlo dall’incarico e sostituirlo. Ho risposto di no, proprio perché io stesso possa fare tesoro della sua preparazione tradizionale e contemporaneamente egli possa avvantaggiarsi, allo stesso modo, della mia formazione più emancipata”.
Se autentiche, sono parole istruttive circa lo spirito liturgico e lo stile di celebrazione dell’attuale papa.
Ma non è sicuro in che senso i vescovi pugliesi le abbiano interpretate.
Un altro di loro, quello di Cerignola e Ascoli Satriano, Felice Di Molfetta, già presidente della commissione della CEI per la liturgia, in un messaggio alla sua diocesi ha scritto tra l’altro:
“Non ho mancato di rallegrarmi col papa per lo stile celebrativo che ha assunto; uno stile ispirato alla ‘nobile semplicità’ sancita dal Concilio, manifestando particolare attenzione all’argomento e sul quale non sono mancate da parte sua considerazioni di alto profilo teologico-pastorale, condivise da tutti i confratelli presenti.
“Ho goduto tanto per il dialogo intessuto, essendomi occupato da una vita nell’insegnamento della teologia liturgica e sacramentaria, nel cogliere l’interesse del Santo Padre su questo vitale aspetto del ministero petrino, da lui esercitato sia nelle celebrazioni feriali a Santa Marta sia in quelle solenni nella Basilica Vaticana come per la canonizzazione degli 800 martiri di Otranto: una celebrazione contenuta nel tempo e nell’insieme del suo svolgimento rituale.
“Papa Francesco, alla luce di certi fenomeni del recente passato in cui sono state registrate sul piano liturgico non poche derive, ha esortato noi vescovi, riferendoci anche alcuni esempi concreti, a vivere il rapporto con l’azione liturgica, in quanto opera di Dio, da veri credenti al di là di ogni tronfio cerimonialismo, pienamente consapevole che la ‘nobile semplicità’ di cui parla il Concilio, non è sciatteria ma Bellezza, bellezza con la ‘B’ maiuscola”.
Ma arruolare papa Francesco tra le file dei progressisti anche in campo liturgico è per lo meno azzardato. Non risulta affatto, in particolare, che egli sia ostile alla liberalizzazione della messa in rito antico, decisa da Benedetto XVI col motu proprio “Summorum pontificum” del 2007.
Mentre è certo che proprio monsignor Di Molfetta fu quell’anno uno dei più combattivi critici di quel motu proprio, prima e dopo la sua pubblicazione.
Giudicava la messa in rito antico “incompatibile” con quella postconciliare e si diede da fare, senza successo, perché la CEI producesse una nota interpretativa – in senso restrittivo – della “Summorum pontificum”.
*
Una postilla. Il presunto “esorcismo” che Francesco avrebbe praticato il giorno di Pentecoste, in piazza San Pietro, è in realtà un suo modo di fare ricorrente, in contesti tutt’altro che diabolici.
È ad esempio ciò che Francesco ha fatto alcuni giorni fa dopo una messa mattutina a Santa Marta, nella quale ha incontrato per la prima volta il direttore de “La Civiltà Cattolica”, padre Antonio Spadaro, presente alla celebrazione.
“Quando gli chiesi la benedizione – racconta il gesuita – papa Francesco impose solennemente le mani sul mio capo e tracciò un segno di croce. Il suo gesto non era diverso da quello che aveva fatto sull’indemoniato. Per me è stato un gesto naturale, semplice, di preghiera e di benedizione”.
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