ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 9 maggio 2013

Dal politicamente corretto al religiosamente corretto

Il caso inesistente di Don Alessandro Loi
e della ministra nera


È di questi giorni la solita polemica stavolta sorta intorno alle dichiarazioni del parroco di Lotzorai, nell’Ogliastra, Sardegna.


Don Alessandro Loi, 65 anni portati benissimo, ha avuto modo di affermare pubblicamente quanto la gente semplice continua a ripetere dal 28 aprile scorso: da quando l’Italia annovera per la prima volta un ministro nero… anzi nera, poiché si tratta della Dott.ssa Cecile Kyenge, di origine congolese, nominata Ministro per l’Integrazione.


Basta dare una veloce occhiata ai giornali, per rendersi conto che l’italiano medio si è subito chiesto quale fosse il senso e l’inderogabile opportunità della nomina di una ministra nera.

È la stessa cosa che ha affermato Don Alessandro Loi:

C'era proprio bisogno di un ministro di colore? Con tutto il rispetto per la signora… Non sono razzista, ma mischiare le razze è pericoloso… non ho nulla in contrario, ma ritengo la scelta inopportuna

Apriti cielo: come si permette? Un prete, poi!
Già perché i preti dovrebbero sempre e solo recitare la vulgata ufficiale e non parlare mai il linguaggio dei semplici fedeli.

Intendiamoci, la bolla di sapone in breve scoppierà e tutto passerà nel dimenticatoio, e mentre i soloni dall’indignazione sempre pronta andranno alla ricerca di qualche altra frase da stigmatizzare, Don Alessandro continuerà ad aver cura delle anime affidategli dal suo Vescovo e dal Signore. Cura d’anime che svolge con scrupolo cattolico e che incontra il sempre crescente riconoscimento dei suoi parrocchiani… checché ne dica la corrente disinformazione di massa asservita alla vulgata del politicamente corretto.

Lo stesso parroco, nei giorni successivi, ha riconosciuto che forse era stato un po’ imprudente, a riprova del fatto che la vulgata imperante esercita una sorta di dittatura del politicamente corretto, a cui in questo caso si aggiunge il religiosamente corretto.

Qualcuno, non credente, si è indignato perché secondo lui questo parroco manifesterebbe “una stridente contraddizione col messaggio evangelico”.
Così che ormai, per conoscere il messaggio evangelico, non bisogna più chiedere al parroco, ma al solito non credente indignato di turno.

È la logica del religiosamente corretto, da osservare scrupolosamente sulla base dei dettami di questo mondo moderno che misconosce Dio e le sue leggi. Chi si discosta dal religiosamente corretto dettato dal mondo irreligoso e antireligioso, non può essere né cattolico, né prete.
Infidelis dixit.

Perché ci interessiamo a questo caso che in fondo è di poco interesse? Tranne per i problemi che sta affrontando il povero Don Alessandro, a cui va tutta la nostra solidarietà?

Perché questa vicenda ci ha indotto a riflettere su alcuni aspetti che sono degni di considerazione. Aspetti che attengono al destino stesso della nostra gente, chiaramente italiana e cattolica nella sua quasi totalità.

Dalle statistiche risulta che nel nostro paese vivono circa 5 milioni di stranieri, nel 2009 erano circa 4 milioni.
Di questi, più di 1 milione provengono dall’Africa, tra i quali si contano circa 700.000 nordafricani e 300.000 centro e sudafricani, tra cui 4000 congolesi.
Ad occuparsi dell’“integrazione” è stata scelta una persona che rappresenta la parte più infima di questa massa di immigrati.
Perché?
Per demagogia: perché è nera, perché è una donna e perché è di sinistra.
Il politicamente corretto non poteva richiedere di meno.

Quale integrazione?
Quella degli stranieri che vengono di loro sponte da noi e che devono, per logica e per educazione, integrarsi nella nostra cultura e nei nostri costumi?
O quella degli italiani che devono integrarsi nella cultura e nei costumi altrui?
La domanda è legittima, poiché permette di capire veramente per quale motivo si sia scelta una ministra nera appartenente ad un’infima minoranza.

E sfatiamo subito una leggenda del politicamente corretto e dell’ipocrisia imperante.
Nera?!
Non si dice nera! Si dice di colore! Esattamente come non si dice spazzino, ma operatore ecologico, o non si dice sordo, ma audioleso. Come se bastasse essere ipocriti per cambiare il colore dei neri e la sordità dei sordi.

Ecco cosa afferma la neo-ministra, da oggi oracolo dell’“Integrazione”.
«Non sono di colore, sono nera… Io lo ribadisco con fierezza».

Ed è tanto fiera di essere diversa da noi italiani che afferma:
«Sono italo-congolese e, tengo a sottolinearlo, sono italo-congolese perché appartengo a due culture, a due Paesi che sono dentro di me e non potrei essere interamente italiana, non potrei essere interamente congolese, ciò giustifica anche la mia doppia identità, ciò giustifica ciò che io mi porto dietro. Questa è la prima cosa con cui io vorrei essere definita».

Ma quando un italiano, seppure un prete, si permette di mettere in dubbio l’opportunità di una tale scelta demagogica, ecco che tutto l’ipocrita mondo perbenista alza gli scudi… forse per nascondere la propria vergogna!

E quale sarebbe la cultura che questa neo-ministra porta con sé fino alle più alte cariche dello Stato… italiano?
«Mio padre è cattolico e poligamo, come nel rispetto della tradizione del Congo. Ha 38 figli da mogli diverse e a me avere tutti questi fratelli ha dato l’idea di vivere in una comunità».

Dichiarazione che, c’è da scommetterci…, avrà subito inorgoglito le nostre mamme e le nostre nonne… tanto in essa si sentono finalmente risuonare duemila anni di cattolicesimo monogamico!

Chissà se in Vaticano sono d’accordo con la nuova inculturazione della fede che, rispettando la “tradizione del Congo”, permette alla nuova ministra di menare vanto della poligamia cattolica… e chissà cos’altro…  modernamente praticata in Congo!

Peccato che da oggi, tutti dovremo fare i conti con questo complicato e scomposto orgoglio etnico da cui sgorgherà la luce per una corretta “integrazione”… la nostra! 

Ringraziamo Don Alessandro Loi per averci dato, forse anche senza volerlo, l’opportunità di suonare un piccolo campanello d’allarme nei confronti del sempre più incombente pericolo che corre la nostra identità di italiani e di cattolici.

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