di Enrico Maria Romano
La questione liturgica sta diventando sempre più, in quest’epoca di confusione ed arbitrio, una questione eminentemente pratica. Mi spiego attraverso la citazione di fatti materiali recenti.
Nel 2004 fu pubblicata sotto l’autorità del beato Giovanni Paolo II l’istruzione Redemptionis Sacramentumin cui erano censurate, con forti parole, tutta una serie di gravi abusi liturgici, largamente diffusi nel Nord Europa, nelle Americhe e in Oceania. Nel 2003 è stata pubblicata nella stessa vena l’enciclicaEcclesia de Eucharistia la quale ribadiva, con parole chiare, la dottrina tradizionale in fatto di sacrificio, presenza reale e transustanziazione. Nel 2005 Benedetto XVI, parlando delle due ermeneutiche con cui è stato recepito il Vaticano II, faceva notare che larga parte della teologia, non esclusa affatto la teologia liturgica, aveva finito per far prevalere la rottura e la discontinuità dottrinale, morale e giuridica. Nel 2006 l’esortazione apostolicaSacramentumCaritatis ribadì i medesimi concetti, sottolineando il valore del latino e del canto gregoriano e in generale della dignità eminente della s. Messa. Nel 2008 l’insigne prelato mons. Athanasius Schneider, ora Vescovo di Astana, pubblicava con la “Libreria Editrice Vaticana” un libriccino di esimio valore teologico, Dominus est, nella cui prefazione l’allora Segretario della Congregazione per il Culto Divino, mons. Malcolm Ranjith criticava apertamente la “comunione sulla mano”, scrivendo che quel modo di comunicarsi “contribuisce ad un graduale e crescente indebolimento dell’atteggiamento di riverenza verso le sacre specie Eucaristiche” (p. 6). Ma già nel 2007 Benedetto XVI, sorprendendo il mondo intero e, bisogna ammetterlo, la stessa Chiesa, emanava il motu proprio Summorum Pontificum in cui assicurava della legittimità, liceità e libertà della celebrazione eucaristica secondo il Messale della Tradizione Romana, nell’ultima edizione del 1962. Tale liceità è stata ribadita contro ipotesi minimizzanti, nel 2011, con l’Istruzione Universae Ecclesiae. Eppure… Eppure sembra non essere cambiato nulla, o molto poco, specie per i fedeli delle parrocchie ordinarie, i cui pastori troppo spesso ignorano perfino i nomi dei citati documenti.
Nel 2004 fu pubblicata sotto l’autorità del beato Giovanni Paolo II l’istruzione Redemptionis Sacramentumin cui erano censurate, con forti parole, tutta una serie di gravi abusi liturgici, largamente diffusi nel Nord Europa, nelle Americhe e in Oceania. Nel 2003 è stata pubblicata nella stessa vena l’enciclicaEcclesia de Eucharistia la quale ribadiva, con parole chiare, la dottrina tradizionale in fatto di sacrificio, presenza reale e transustanziazione. Nel 2005 Benedetto XVI, parlando delle due ermeneutiche con cui è stato recepito il Vaticano II, faceva notare che larga parte della teologia, non esclusa affatto la teologia liturgica, aveva finito per far prevalere la rottura e la discontinuità dottrinale, morale e giuridica. Nel 2006 l’esortazione apostolicaSacramentumCaritatis ribadì i medesimi concetti, sottolineando il valore del latino e del canto gregoriano e in generale della dignità eminente della s. Messa. Nel 2008 l’insigne prelato mons. Athanasius Schneider, ora Vescovo di Astana, pubblicava con la “Libreria Editrice Vaticana” un libriccino di esimio valore teologico, Dominus est, nella cui prefazione l’allora Segretario della Congregazione per il Culto Divino, mons. Malcolm Ranjith criticava apertamente la “comunione sulla mano”, scrivendo che quel modo di comunicarsi “contribuisce ad un graduale e crescente indebolimento dell’atteggiamento di riverenza verso le sacre specie Eucaristiche” (p. 6). Ma già nel 2007 Benedetto XVI, sorprendendo il mondo intero e, bisogna ammetterlo, la stessa Chiesa, emanava il motu proprio Summorum Pontificum in cui assicurava della legittimità, liceità e libertà della celebrazione eucaristica secondo il Messale della Tradizione Romana, nell’ultima edizione del 1962. Tale liceità è stata ribadita contro ipotesi minimizzanti, nel 2011, con l’Istruzione Universae Ecclesiae. Eppure… Eppure sembra non essere cambiato nulla, o molto poco, specie per i fedeli delle parrocchie ordinarie, i cui pastori troppo spesso ignorano perfino i nomi dei citati documenti.
Mi trovavo tempo fa, solo per fare un esempio paradigmatico di una situazione generale, in un grande santuario in cui la domenica vengono celebrate 5 sante Messe, e tutte secondo il Novus Ordo Missae. Chiesi al rev. parroco – persona amabile, gentile e ben disposta verso la Messa tradizionale – se non fosse il caso di trasformarne almeno una nell’Usus Antiquior che è, nei termini del motu proprio, una forma del medesimo Rito Romano (il pluralismo che ha permesso la frammentazione liturgica con l’introduzione del Nuovo Messale stavolta milita in favore della reintroduzione dell’antico). Lui, di per sé, non vi vedrebbe nulla di male, però… il Vescovo si oppone e minaccia in tal caso fulmini e saette! Io ho ricordato al buon padre che la recente Istruzione sopra richiamata ribadisce a chiare lettere che per la celebrazione del rito antico non c’è bisogno né del permesso dell’Ordinario, né della Sede Apostolica. E il gruppo stabile può essere formato anche da alcuni pochi fedeli del santuario. Il padre rettore lo sa bene, ma… il Vescovo non è d’accordo con il Papa e non si perita affatto di nasconderlo. Dopo un paio di giorni, vista la serietà e il decoro liturgico con cui viene celebrata, seppur nella forma ordinaria, la santa Messa in quel Santuario, chiedo al medesimo sacerdote se non fosse il caso di seguire almeno lo stile Benedetto XVI: crocifisso al centro dell’altare, banco di comunione per chi vuole – liberalmente – inginocchiarsi, orientamento sacerdotale, almeno una tantum, etc. etc. Risposta: “guai! Il Vescovo ci caccerebbe all’istante, impedendo tutto il bene che facciamo al Santuario!”. Addirittura, mi fa notare il padre-rettore, avendo saputo il Vescovo che nelle messe domenicali veniva detto Kyrie eleison, invece che Signore pietà, è intervenuto bruscamente, ingiungendo ai padri del Santuario di usare la voce latina… ad una sola delle 5 messe domenicali e non di più! Il rettore non è affatto d’accordo con questa mentalità al ribasso ma dice che, per prudenza, conviene accettarla.
Mi chiedo: è giusto seguire il Pastore quando costui evidentemente ignora o stravolge le regole, le disposizioni e l’esplicita volontà pontificia? Fino a che punto deve giungere l’obbedienza: fino ad andare contro la legge? E i diritti dei fedeli ad una liturgia sacra ed edificante?
Gli ottimisti, quale in un certo senso dovremmo essere tutti, già dal 2005 esclamano a gran voce: “Vedete come celebra Benedetto XVI, che dignità!, che sacralità! Dice il Canone Romano solitamente in latino, dà la comunione solo in bocca, senza alcuna libertà di scelta, usa paramenti antichi, mentre il suo coro canta il gregoriano o la polifonia tradizionale. Ha pure ridato libertà alla messa di sempre: insomma che volete di più, voi tradizionalisti?”. Già, ma è proprio qui il problema! Nella mia parrocchia a Roma, e se non vado errato nella generalità delle 12.000 parrocchie italiche, i celebranti, dopo 40 anni di decadenza liturgica, di creatività per principio e di infezione protestante, hanno ciascuno la loro propria sensibilità: il clero neo-catecumenale, sempre più diffuso e formato in propri seminari, ha un certo modus celebrandi (con il pane azzimo, spesso a forma di pizza rotonda, al posto dell’ostia, per esempio: una mia conoscente preparava lei stessa, per l’eucaristia del sabato sera, tale pizza bianca); i carismatici e le loro guide sacerdotali fanno canti e balli assai chiassosi e festaioli, anche quando c’è ben poco da ridere; il francescano progressista indossa la veste sacra ma sotto lascia i jeansin modo visibile e miserabile; il prete “incarnato” e attento ai bisogni del Popolo di Dio dà il segno della pace a tutti gli assistenti, nessuno escluso…; un altro, prete scout, ha come inservienti e ministranti cortesi donzelle di 13 o 14 anni, che indossano nel servizio all’altare perfino la tonaca e la cotta (le diaconesse di domani, o già di oggi?); le chitarre ancora spopolano, i battimani si sprecano (specie a matrimoni… e funerali!); qui le prediche dei laici (frequenti in Austria e Svizzera, dove certi vescovi autorizzano la Karneval-Messe con chierichetti vestiti da Arlecchino: visti coi propri occhi dallo scrivente!); la stessa arte e architettura sacra-profana delle nuove chiese (a volte senza croce) resiste alla ventata benedettiana.
E allora che si fa? Che ne pensa Papa Francesco, che più volte ha espresso forte stima per il suo predecessore? Ci rispondano gli ottimisti che, per dirla tutta, invidiamo assai, poiché l’ottimismo è davvero la quintessenza della spiritualità e della teologia cattolica: Dio vince, regna e governa sempre e comunque!L’ottimismo però non può farci ignorare le imperfezioni della realtà umana, a volte lontanissima dal modello divino a cui dovrebbe ispirarsi.
Si legga a questo punto, come purissimo contravveleno, il saggio di Scott Hann, convertito dal protestantesimo anche grazie alla bellezza della liturgia cattolica e si capirà meglio perché la s. Messa è, in sé e per sé, il “paradiso sulla terra”. Nessuno dunque, neppure un Angelo venuto dal cielo, può abbassarla, degradarla, appiattirla, adattarla, rimpiazzarla, semplificarla, manometterla. Nessuno!
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