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di FRANCESCO ARZILLO
Viviamo una fase ricca di novità per la Chiesa e per il papato. Già il semplice succedersi dello straordinario evento delle dimissioni di un pontefice, seguite dall’elezione di un successore i cui gesti e le cui dichiarazioni presentano tratti significativamente innovativi, basta a provocare la riflessione sia dei credenti sia degli osservatori esterni, comunque interessati alle vicende ecclesiali.
Paradossalmente, tuttavia, la prima riflessione da fare dovrebbe smorzare i toni e le ansie – di vario segno – sforzandosi di distinguere sempre più accuratamente l’essenziale dall’accidentale.
L’essenziale è che non è in corso nessuno stravolgimento dogmatico o canonico. La centralità della figura papale nella figura della “Catholica”, con le annesse caratteristiche ad essa necessariamente inerenti, non viene meno in alcun modo.
Si intravvede – è vero – il possibile e anche auspicabile cambiamento di alcune modalità di esercizio del “munus” petrino, già prefigurato nell’enciclica “Ut unum sint”. Ciò renderà possibile, tra l’altro, uno sviluppo sempre più intenso nella direzione dell’unità con i fratelli orientali ancora separati.
Cosa ci impedisce, poi, di immaginare un futuro in cui Roma manterrà la sua posizione centrale nella Chiesa, ma con una declinazione sempre più pluralistica sotto il profilo culturale e linguistico (con le conseguenti ricadute nei vari settori dell’agire ecclesiale)?
Non si avrebbe in questo modo un annacquamento della romanità, ma solamente l’ulteriore manifestazione dell’universalismo cattolico-romano, con modalità diverse allargate all’ecumene globale. Senza dimenticare che il cristianesimo è partito proprio da quel primo straordinario ambiente plurale e – per così dire – protoecumenico che è stato il Mediterraneo, con Roma al centro.
L’attuale situazione di crisi del cristianesimo in Europa è innegabile. E tuttavia non sbagliano coloro che vedono nella nostra un’epoca feconda per la Chiesa se si allarga lo sguardo al mondo. Il solo dato del numero dei martiri nella contemporaneità offre un’inequivocabile testimonianza al riguardo. Ed è proprio il mondo che ora restituisce a Roma ciò che ha ricevuto nei secoli, nella figura del primo papa venuto dall’emisfero Sud.
Quanto all’accidentale, si intuisce che alcune (e forse anche molte) cose sono destinate a cambiare. Non che si tratti di aspetti poco importanti, beninteso. È proprio perché lo sono che essi cambiano, per manifestare sempre meglio il cuore del cristianesimo nel mondo in ciascuna epoca.
Questo processo non può però essere ingabbiato in schemi ideologici, sulla base di slogan come “superare l’età costantiniana”, “superare l’età post-tridentina”, e simili. Simili schemi contribuiscono solo a creare una dialettica artificiale e abbastanza intellettualistica, che impedisce di vedere la permanenza dell’essenziale sotto l’accidentale; di accogliere il nuovo con prudente discernimento ma anche con gioia, sapendone per questo cogliere il nesso – mai meramente oppositivo – con l’antico e con l’eterno, a diversi livelli e sotto diversi aspetti.
Un’altra riflessione attiene al rapporto dei cattolici con la figura papale.
Che questa figura goda nell’epoca contemporanea di una grande visibilità mediatica è un dato inevitabile, che tra l’altro contraddice – nell’epoca di internet – gli ingenui desideri di ritorno al primo millennio, fatti propri da una parte dell’opinione ecclesiale “impegnata”.
Tuttavia, pur vivendo noi nell’epoca della massima espansione del culto della soggettività, non dobbiamo cadere nell’errore di vivere la fede e la stessa appartenenza ecclesiale come una sorta di risultato di un confronto superficiale ed emotivo tra la propria individualità e quella papale come veicolata dai media; come se si potesse essere confermati nella fede solamente da un papa del quale si condividano la psicologia, o la cultura, o il tipo di sensibilità. Sarebbe questa, l’ennesima manifestazione di quella “cultura del narcisismo” che tanti danni sta facendo soprattutto nell’Occidente contemporaneo.
Del papa va accolto anzitutto l’insegnamento, unitamente agli atti di governo. Conta certo anche l’esempio, ma proprio e soprattutto nella misura in cui esso contiene un insegnamento, che può essere colto andando oltre le diversità di sensibilità e di gusti, fermandosi sull’essenziale.
Infine, sullo sfondo di tutti questi discorsi non bisognerebbe mai dimenticare l’insondabile e misteriosa polarità che vanifica ogni facile tentativo di teologia della storia, secondo qualsivoglia variante. Quella polarità che emerge dal Vangelo in cui è dato leggere tanto la domanda: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc, 18, 8), quanto l’affermazione: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20). E che orienta la vita del cristiano a una seria, ferma, tranquilla fiducia.
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Francesco Arzillo, romano, è magistrato amministrativo. È cultore di filosofia e di teologia. Ha pubblicato saggi sul fondamento del diritto e sulla filosofia del senso comune.
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