Il soave decisionismo di Papa Francesco
Bisogna aprire alla collegialità, ma questa deve comunque sempre essere in armonia con il primato di Pietro. E’ questo il cuore della brevissima omelia tenuta da Papa Francesco ieri in occasione della solenne celebrazione dei Santi Pietro e Paolo, nella basilica vaticana. “Dobbiamo sviluppare il Sinodo dei vescovi in armonia con il primato di Pietro”, ha aggiunto.
Si rivolgeva, prima di tutto, ai trentaquattro vescovi e arcivescovi metropoliti cui ha imposto il pallio (simbolo del particolare legame che unisce il pastore al vicario di Cristo). Tra di essi, c’era anche Mario Aurelio Poli, l’uomo che Bergoglio ha scelto come suo successore sulla cattedra di Buenos Aires. Ancora una volta, il Papa ha chiarito quali siano i compiti dei membri dell’episcopato. L’aveva già fatto qualche settimana fa, ricevendo i nunzi apostolici giunti appositamente a Roma. E l’ha ripetuto ieri, attingendo ai brani proposti come letture durante la messa: “Il vostro compito – ha detto il Pontefice – è di “confermare il popolo di Dio nella fede, nell’amore e nell’unità”. Il vescovo, ha chiarito Francesco ricordando San Paolo, “deve lasciarsi consumare per il Vangelo, farsi tutto a tutti, senza risparmiarsi. Deve esporsi in prima persona”.
Il richiamo al Concilio Vaticano II
Ma è sul tema dell’unità che Bergoglio ha voluto soffermarsi di più, citando anche il Concilio Vaticano II (non l’ha fatto molto spesso, nei suoi primi cento giorni) in riferimento “alla struttura gerarchica della chiesa”. Poche parole, ma eloquenti: “Il Signore costituì gli apostoli a modo di collegio o gruppo stabile, a capo del quale mise Pietro, scelto in mezzo a loro”. “Unità non significa uniformità. La strada cattolica è quella dell’unità nelle differenze. Non c’è altra strada cattolica per unirci. Questo è lo spirito cattolico, lo spirito cristiano”. E il luogo migliore dove far emergere le differenze è il Sinodo, che presumibilmente sarà rafforzato e dotato di funzioni maggiori. Già il 13 giugno scorso, nel discorso tenuto durante l’udienza ai membri del 13° Consiglio ordinario della segreteria generale del Sinodo, il Papa aveva chiarito come la pensa sul tema, ricordando come il Sinodo “sia posto al servizio della missione e della comunione della Chiesa, come espressione della collegialità”. E proprio quel giorno si era detto fiducioso che l’istituzione episcopale potrà conoscere “ulteriori sviluppi per favorire ancora di più il dialogo e la collaborazione tra i vescovi e tra essi e il vescovo di Roma”.
Ma è sul tema dell’unità che Bergoglio ha voluto soffermarsi di più, citando anche il Concilio Vaticano II (non l’ha fatto molto spesso, nei suoi primi cento giorni) in riferimento “alla struttura gerarchica della chiesa”. Poche parole, ma eloquenti: “Il Signore costituì gli apostoli a modo di collegio o gruppo stabile, a capo del quale mise Pietro, scelto in mezzo a loro”. “Unità non significa uniformità. La strada cattolica è quella dell’unità nelle differenze. Non c’è altra strada cattolica per unirci. Questo è lo spirito cattolico, lo spirito cristiano”. E il luogo migliore dove far emergere le differenze è il Sinodo, che presumibilmente sarà rafforzato e dotato di funzioni maggiori. Già il 13 giugno scorso, nel discorso tenuto durante l’udienza ai membri del 13° Consiglio ordinario della segreteria generale del Sinodo, il Papa aveva chiarito come la pensa sul tema, ricordando come il Sinodo “sia posto al servizio della missione e della comunione della Chiesa, come espressione della collegialità”. E proprio quel giorno si era detto fiducioso che l’istituzione episcopale potrà conoscere “ulteriori sviluppi per favorire ancora di più il dialogo e la collaborazione tra i vescovi e tra essi e il vescovo di Roma”.
Il “modo nuovo” di governare la chiesa
Auspici in linea con quanto sosteneva il 6 marzo scorso in un’intervista a Repubblica il cardinale tedesco Walter Kasper, fautore di una maggiore collegialità e di una più concreta indipendenza delle chiese locali da Roma: “Serve una nuova modalità nell’esercizio del governo della Chiesa”, diceva il porporato già presidente del Pontificio consiglio per la Promozione dell’unità dei cristiani. “La collegialità deve estendersi dai vescovi a forme di rappresentanza di tutte le componenti del popolo di Dio” per andare così “nella direzione del Concilio Vaticano II, dell’unità nella diversità”, spiegava Kasper.
Auspici in linea con quanto sosteneva il 6 marzo scorso in un’intervista a Repubblica il cardinale tedesco Walter Kasper, fautore di una maggiore collegialità e di una più concreta indipendenza delle chiese locali da Roma: “Serve una nuova modalità nell’esercizio del governo della Chiesa”, diceva il porporato già presidente del Pontificio consiglio per la Promozione dell’unità dei cristiani. “La collegialità deve estendersi dai vescovi a forme di rappresentanza di tutte le componenti del popolo di Dio” per andare così “nella direzione del Concilio Vaticano II, dell’unità nella diversità”, spiegava Kasper.
Bergoglio, però ricorda che la sinodali deve comunque “armonizzarsi con il primato di Pietro”. In sostanza, è giusto e proficuo per il bene della chiesa consultarsi e confrontarsi, ma alla fine le decisioni le prende uno solo: il Papa.
Chi decide è sempre il Papa
E Francesco ha già dimostrato che questa è la sua linea. Prima, quando ha scelto mons. Poli come proprio successore a Buenos Aires (il suo nome non era tra quelli presenti nel dossier della Congregazione per i vescovi), poi quando ha di fatto imposto alla commissione cardinalizia di vigilanza sullo Ior la nomina di mons. Battista Ricca a nuovo prelato. Anche nelle scelte più rilevanti di questi primi tre mesi e mezzo di pontificato, il Pontefice ha fatto di testa sua. Il gruppo di consiglieri che lo aiuterà a governare la chiesa universale e a studiare come riformare la curia romana è composto da ecclesiastici scelti personalmente dal Papa. Notava Sandro Magister, vaticanista dell’Espresso, che gli sarebbe bastato selezionare i cardinali (tre per continente) eletti al termine di ogni sinodo. Invece no: ha preferito fidarsi del fiuto cui tanta importanza dà Ignazio di Loyola nei suoi esercizi spirituali. Così ha messo il fidatissimo Oscar Maradiaga alla testa della commissione e il vescovo di Albano, mons. Semeraro, è stato nominato segretario. L’ultimo gesto in tal senso è di qualche giorno fa: il chirografo con cui istituiva una commissione incaricata di far luce sui segreti dello Ior.
E Francesco ha già dimostrato che questa è la sua linea. Prima, quando ha scelto mons. Poli come proprio successore a Buenos Aires (il suo nome non era tra quelli presenti nel dossier della Congregazione per i vescovi), poi quando ha di fatto imposto alla commissione cardinalizia di vigilanza sullo Ior la nomina di mons. Battista Ricca a nuovo prelato. Anche nelle scelte più rilevanti di questi primi tre mesi e mezzo di pontificato, il Pontefice ha fatto di testa sua. Il gruppo di consiglieri che lo aiuterà a governare la chiesa universale e a studiare come riformare la curia romana è composto da ecclesiastici scelti personalmente dal Papa. Notava Sandro Magister, vaticanista dell’Espresso, che gli sarebbe bastato selezionare i cardinali (tre per continente) eletti al termine di ogni sinodo. Invece no: ha preferito fidarsi del fiuto cui tanta importanza dà Ignazio di Loyola nei suoi esercizi spirituali. Così ha messo il fidatissimo Oscar Maradiaga alla testa della commissione e il vescovo di Albano, mons. Semeraro, è stato nominato segretario. L’ultimo gesto in tal senso è di qualche giorno fa: il chirografo con cui istituiva una commissione incaricata di far luce sui segreti dello Ior.
Il modello ignaziano
Secondo lo storico del Cristianesimo Giovanni Filoramo, lo stile di governo del successore di Benedetto XVI rispecchia l’esperienza della Società di Gesù: il modello della Compagnia, diceva al Foglio, “è un’esperienza di gestione del potere accentrato, sul modello del Papato. Ma l’elemento collegiale è comunque sempre stato presente. Basti pensare al ruolo dei Padri generali: potenti ma consapevoli di dare autonomia, perché non si può governare solo dal centro”.
Secondo lo storico del Cristianesimo Giovanni Filoramo, lo stile di governo del successore di Benedetto XVI rispecchia l’esperienza della Società di Gesù: il modello della Compagnia, diceva al Foglio, “è un’esperienza di gestione del potere accentrato, sul modello del Papato. Ma l’elemento collegiale è comunque sempre stato presente. Basti pensare al ruolo dei Padri generali: potenti ma consapevoli di dare autonomia, perché non si può governare solo dal centro”.
Nella terza e ultima parte dell’omelia pronunciata nella festa dei
santi Pietro e Paolo, alla presenza di rappresentanti del patriarcato
ecumenico di Costantinopoli, Francesco ha citato tre volte la “Lumen
gentium”, la costituzione del Concilio Vaticano II sulla Chiesa.
La prima citazione era tratta dal paragrafo 18, che “come oggetto certo di fede” ripropone “la dottrina della istituzione, della perpetuità, del valore e della natura del sacro primato del romano pontefice e del suo infallibile magistero”.
La seconda era tratta dal paragrafo 19, che ricorda come Gesù costituì gli apostoli “dando loro la forma di collegio, cioè di un gruppo stabile, del quale mise a capo Pietro, scelto di mezzo a loro”.
La terza era tratta dal paragrafo 22, che ribadisce che “il collegio o corpo episcopale non ha autorità, se non lo si concepisce unito al pontefice romano, successore di Pietro, quale suo capo, e senza pregiudizio per la sua potestà di primato su tutti, sia pastori che fedeli”.
Nell’intera costituzione “Lumen gentium” non si fa menzione dell’istituzione denominata sinodo dei vescovi. Anzi, la stessa parola “sinodo” quasi neppure c’è. Vi ricorre una sola volta, come sinonimo del concilio ecumenico stesso.
Del sinodo dei vescovi, in tutti i documenti del Vaticano II si parla brevemente: soltanto nel paragrafo 5 del decreto “Christus Dominus” sulla missione pastorale dei vescovi. Dove si legge:
“Una più efficace collaborazione al supremo pastore della Chiesa la possono prestare, nei modi dallo stesso romano pontefice stabiliti o da stabilirsi, i vescovi scelti da diverse regioni del mondo, riuniti nel consiglio propriamente chiamato sinodo dei vescovi. Tale sinodo, rappresentando tutto l’episcopato cattolico, è un segno che tutti i vescovi sono partecipi in gerarchica comunione della sollecitudine della Chiesa universale”.
È accaduto però che papa Francesco, nel pronunciare la terza parte della sua omelia, sia sia distaccato in tre punti dal testo scritto. E abbia preferito dire “sinodo dei vescovi” invece che “collegio dei vescovi”, e “sinodalità” invece che “collegialità”.
Ecco qui di seguito la trascrizione integrale di questa terza parte dell’omelia, con sottolineate le aggiunte orali al testo scritto:
“Confermare nell’unità. Qui mi soffermo sul gesto che abbiamo compiuto. Il Pallio è simbolo di comunione con il Successore di Pietro, ‘principio e fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede e della comunione’ (Conc. Ecum Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 18). E la vostra presenza oggi, cari Confratelli, è il segno che la comunione della Chiesa non significa uniformità. Il Vaticano II, riferendosi alla struttura gerarchica della Chiesa afferma che il Signore ‘costituì gli Apostoli a modo di collegio o gruppo stabile, a capo del quale mise Pietro, scelto di mezzo a loro’ (ibid., 19). Confermare nell’unità: il Sinodo dei Vescovi, in armonia con il primato. Dobbiamo andare per questa strada della sinodalità, crescere in armonia con il servizio del primato. E il Concilio continua: ‘questo Collegio, in quanto composto da molti, esprime la varietà e universalità del Popolo di Dio’ (ibid., 22). Nella Chiesa la varietà, che è una grande ricchezza, si fonde sempre nell’armonia dell’unità, come un grande mosaico in cui tutte le tessere concorrono a formare l’unico grande disegno di Dio. E questo deve spingere a superare sempre ogni conflitto che ferisce il corpo della Chiesa. Uniti nelle differenze: non c’è un’altra strada cattolica per unirci. Questo è lo spirito cattolico, lo spirito cristiano: unirsi nelle differenze. Questa è la strada di Gesù! Il Pallio, se è segno della comunione con il Vescovo di Roma, con la Chiesa universale, con il Sinodo dei Vescovi, è anche un impegno per ciascuno di voi ad essere strumenti di comunione”.
Non è la prima volta che papa Jorge Mario Bergoglio fa capire d’essere intenzionato a rafforzare il ruolo del sinodo dei vescovi.
Ma questa volta si è espresso oralmente in una forma che – se messa per iscritto in anticipo – avrebbe fatto alzare il sopracciglio a qualche revisore della congregazione per la dottrina della fede. Perché un sinodo dei vescovi, istituto parziale e transeunte, non è la stessa cosa del collegio episcopale universale, costitutivo da sempre e per sempre della struttura della Chiesa.
Così, quando il traduttore ufficiale in francese dell’omelia di papa Francesco, arrivato all’ultima riga della terza parte si è imbattuto in questa approssimazione, gli è scappato di… correggere il papa, mettendo tra parentesi la traduzione letterale accompagnata da un punto interrogativo:
“… avec le Collège (Synode?) des évêques…”.
Ai giornalisti accreditati presso la sala stampa vaticana, la prima versione in francese dell’omelia del papa è arrivata così come sopra, poco dopo la fine della celebrazione.
Solo più tardi, quando l’omelia è comparsa nel sito del Vaticano, la versione francese è apparsa pulita, senza più la glossa del traduttore.
“… avec le Synode des évêques…”.
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2013/06/30/sinodo-o-collegio-il-traduttore-corregge-il-papa/
La prima citazione era tratta dal paragrafo 18, che “come oggetto certo di fede” ripropone “la dottrina della istituzione, della perpetuità, del valore e della natura del sacro primato del romano pontefice e del suo infallibile magistero”.
La seconda era tratta dal paragrafo 19, che ricorda come Gesù costituì gli apostoli “dando loro la forma di collegio, cioè di un gruppo stabile, del quale mise a capo Pietro, scelto di mezzo a loro”.
La terza era tratta dal paragrafo 22, che ribadisce che “il collegio o corpo episcopale non ha autorità, se non lo si concepisce unito al pontefice romano, successore di Pietro, quale suo capo, e senza pregiudizio per la sua potestà di primato su tutti, sia pastori che fedeli”.
Nell’intera costituzione “Lumen gentium” non si fa menzione dell’istituzione denominata sinodo dei vescovi. Anzi, la stessa parola “sinodo” quasi neppure c’è. Vi ricorre una sola volta, come sinonimo del concilio ecumenico stesso.
Del sinodo dei vescovi, in tutti i documenti del Vaticano II si parla brevemente: soltanto nel paragrafo 5 del decreto “Christus Dominus” sulla missione pastorale dei vescovi. Dove si legge:
“Una più efficace collaborazione al supremo pastore della Chiesa la possono prestare, nei modi dallo stesso romano pontefice stabiliti o da stabilirsi, i vescovi scelti da diverse regioni del mondo, riuniti nel consiglio propriamente chiamato sinodo dei vescovi. Tale sinodo, rappresentando tutto l’episcopato cattolico, è un segno che tutti i vescovi sono partecipi in gerarchica comunione della sollecitudine della Chiesa universale”.
È accaduto però che papa Francesco, nel pronunciare la terza parte della sua omelia, sia sia distaccato in tre punti dal testo scritto. E abbia preferito dire “sinodo dei vescovi” invece che “collegio dei vescovi”, e “sinodalità” invece che “collegialità”.
Ecco qui di seguito la trascrizione integrale di questa terza parte dell’omelia, con sottolineate le aggiunte orali al testo scritto:
“Confermare nell’unità. Qui mi soffermo sul gesto che abbiamo compiuto. Il Pallio è simbolo di comunione con il Successore di Pietro, ‘principio e fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede e della comunione’ (Conc. Ecum Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 18). E la vostra presenza oggi, cari Confratelli, è il segno che la comunione della Chiesa non significa uniformità. Il Vaticano II, riferendosi alla struttura gerarchica della Chiesa afferma che il Signore ‘costituì gli Apostoli a modo di collegio o gruppo stabile, a capo del quale mise Pietro, scelto di mezzo a loro’ (ibid., 19). Confermare nell’unità: il Sinodo dei Vescovi, in armonia con il primato. Dobbiamo andare per questa strada della sinodalità, crescere in armonia con il servizio del primato. E il Concilio continua: ‘questo Collegio, in quanto composto da molti, esprime la varietà e universalità del Popolo di Dio’ (ibid., 22). Nella Chiesa la varietà, che è una grande ricchezza, si fonde sempre nell’armonia dell’unità, come un grande mosaico in cui tutte le tessere concorrono a formare l’unico grande disegno di Dio. E questo deve spingere a superare sempre ogni conflitto che ferisce il corpo della Chiesa. Uniti nelle differenze: non c’è un’altra strada cattolica per unirci. Questo è lo spirito cattolico, lo spirito cristiano: unirsi nelle differenze. Questa è la strada di Gesù! Il Pallio, se è segno della comunione con il Vescovo di Roma, con la Chiesa universale, con il Sinodo dei Vescovi, è anche un impegno per ciascuno di voi ad essere strumenti di comunione”.
Non è la prima volta che papa Jorge Mario Bergoglio fa capire d’essere intenzionato a rafforzare il ruolo del sinodo dei vescovi.
Ma questa volta si è espresso oralmente in una forma che – se messa per iscritto in anticipo – avrebbe fatto alzare il sopracciglio a qualche revisore della congregazione per la dottrina della fede. Perché un sinodo dei vescovi, istituto parziale e transeunte, non è la stessa cosa del collegio episcopale universale, costitutivo da sempre e per sempre della struttura della Chiesa.
Così, quando il traduttore ufficiale in francese dell’omelia di papa Francesco, arrivato all’ultima riga della terza parte si è imbattuto in questa approssimazione, gli è scappato di… correggere il papa, mettendo tra parentesi la traduzione letterale accompagnata da un punto interrogativo:
“… avec le Collège (Synode?) des évêques…”.
Ai giornalisti accreditati presso la sala stampa vaticana, la prima versione in francese dell’omelia del papa è arrivata così come sopra, poco dopo la fine della celebrazione.
Solo più tardi, quando l’omelia è comparsa nel sito del Vaticano, la versione francese è apparsa pulita, senza più la glossa del traduttore.
“… avec le Synode des évêques…”.
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2013/06/30/sinodo-o-collegio-il-traduttore-corregge-il-papa/
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.