ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 3 luglio 2013

Il modernismo conciliare negli affari


Lo Ior e l'ombra degli 007 italiani

Dalla morte di papa Luciani al caso Scarano: gli intrecci tra i servizi segreti e la banca vaticana. Gotti verso l'archiviazione.

Tonache, barbe finte e grembiulini. La vicenda dell'Istituto opere religiose (Ior), la banca vaticana i cui vertici sono stati indotti alle dimissioni, si intreccia da 40 anni con gli affari e le manovre di monsignori, agenti segreti più o meno deviati, massoni e piduisti.

MONSIGNORI E MASSONI. Massone era monsignor Paul Markincus, presidente dello Ior tra il 1971 e il 1989, coinvolto negli scandali del Banco Ambrosiano e nelle misteriose morti di Michele Sindona e Roberto Calvi. Massone era anche monsignor Jean Villot, potente segretario di Stato all'epoca di Paolo VI e protagonista di un duro scontro sugli assetti della banca con Albino Luciani, il pontefice che intendeva rivoluzionare l'Istituto ma che morì prima di poter mettere mano alle riforme.
IL CASO SCARANO. E membri dei servizi segreti italiani erano – o forse sono ancora – il prefetto Francesco La Motta, incarcerato il 28 giugno scorso per il furto di fondi del Viminale passati sui conti Ior, e Giovanni Zito, il carabiniere fermato con l'accusa di aver fatto da spallone tra l'Italia e la Svizzera per muovere i quattrini di Nunzio Scarano, il vescovo arrestato proprio per i traffici di decine di milioni movimentati attraverso i canali riservati della banca vaticana.

Marcinkus, l'ordine di arresto e la fuga

Marcinkus guidò lo Ior, coltivandone i legami con Calvi, Sindona e il capo della P2 Licio Gelli, fino a quando nel 1987 la magistratura italiana ne ordinò l'arresto per gli intrighi dell'Ambrosiano. Il monsignore massone trovò rifugio per quasi 10 anni prima tra le mura della Santa Sede, che non lo consegnò mai alla giustizia, poi di una piccola parrocchia statunitense, dove morì nel 1997 senza che l'allora papa, Giovanni Paolo II, aprisse mai i segreti della Chiesa agli investigatori italiani.
Chi cercò di ripulire le istituzioni vaticane da imbrogli e malaffare fu Albino Luciani. Prima, nel 1972, da patriarca di Venezia, quando si recò in Vaticano per contrastare la decisione di Marcinkus di acquisire due banche venete legate al mondo cattolico. Poi, nel 1978, da papa.
LA MANO DI JEAN VILLOT. Non vi riuscì, poiché il capo dello Ior godeva della piena protezione del segretario di Stato dell'epoca, il cardinale Jean Villot. Il porporato francese era un uomo abile, scaltro, determinato e spregiudicato, messo a capo del governo della Santa Sede nel 1969 da Paolo VI.
Membro della massoneria, conservò la carica anche con Luciani, l'uomo che appena eletto pontefice  – come confessò egli stesso ai suoi collaboratori fatti giungere a Roma dal Veneto – si trovò subito attorno la terra bruciata creata dalla Curia vaticana.
LUCIANI E QUELLA MORTE SOSPETTA. Luciani era un uomo limpido e determinato: «Desidero che siano i vescovi e cardinali, con una loro rappresentanza, a decidere cosa fare dello Ior. Chiedo che le sue azioni siano siano tutte lecite e pulite e consone con lo spirito evangelico», disse. Prima di aggiungere, riferendosi a Marcinkus pur senza farne il nome, che «il presidente dello Ior deve essere sostituito, nel rispetto della persona: un vescovo non può presiedere e governare una banca». Ma accadde esattamente il contrario. A essere sostituito, dopo 33 giorni di pontificato, fu il papa. E a causa di morte. Taluni ipotizzarono che quel «rispetto della persona» non fu garantito a Luciani: il decesso venne classificato per cause naturali, ma nessuna autopsia fu mai eseguita.
Tra le mani, il papa morto teneva alcune carte – notizia che il Vaticano sulle prime nascose – con appunti su un duro colloquio avvenuto poche ore prima con Villot, al quale aveva comunicato di voler cambiare i vertici dello Ior e di alcuni ministeri della Santa Sede, ricevendo in cambio il parere fortemente negativo dell'allora segretario di Stato.

I servizi segreti italiani, tra Ior e criminalità

Nelle vicende dello Ior, dell'Ambrosiano e nelle misteriose morti a esse legate i servizi segreti italiani spuntano spesso e volentieri.
L'ombra degli 007 è calata sugli omicidi di Calvi e Sindona mentre, secondo alcune testimonianze, gli agenti italiani avrebbero svolto ruoli di mediazione tra i porporati e la banda della Magliana nel rapimento di Emanuela Orlandi.
Ed è accertato da diverse indagini che uffici dello spionaggio italiano hanno spesso utilizzato conti coperti dello Ior per spostare soldi in maniera riservata. Le ultime due inchieste romane hanno poi rivelato che uomini dei servizi sono pesantemente coinvolti nei traffici illeciti che avvengono tramite la banca vaticana.
GLI EX AISI LA MOTTA E ZITO. Il prefetto La Motta, arrestato pochi giorni fa, prima di essere trasferito al Viminale è stato vicedirettore dell'Aisi, il servizio segreto per la sicurezza interna (una dalle agenzie che hanno sostituito Sismi e Sisde, i cui nomi erano diventati impronunciabili). Anche l'uomo accusato di aver trasportato i soldi di monsignor Scarano, il sottufficiale dei carabinieri Giovanni Zito, aveva lavorato per l'Aisi per poi tornare in forza all'Arma.
Ma uno 007 è un po' come un prete: la sua scelta vocazionale lo accompagna per tutta la vita e le indagini di questi giorni dimostrano che i film di James Bond in fondo portano con sé una morale veritiera: quando indossi una barba finta, è difficile poi che qualche pelo, magari proprio dei più sporchi, non ti resti addosso per sempre. 
di Marco Mostallino

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