ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 23 settembre 2013

BERGOGLIO FA BALLARE IL TANGO ALLA CURIA

PAPA JORGE BERGOGLIO 
PAPA BERGOGLIO A RIO DE JANEIRO
L'intervista-terremoto di Francesco è destinata a lasciare tracce profonde. Muri di pregiudizi abbattuti. Crepe in vecchie strutture. Macerie tra i fautori dell'"ingerenza spirituale" nella vita delle persone, che Francesco esclude. Lucidamente, seppure a malincuore, il Foglio - organo ufficiale degli atei devoti - registra il tramonto dei "principi non negoziabili" di Benedetto XVI. "Lettera morta", commenta sconsolato: l'intervento di Bergoglio "ribalta il paradigma cattolico ratzingeriano".
Sono avvisaglie di malumori, già esplosi sui siti cattolici tradizionalisti, e che arriveranno a manifestarsi anche tra quei prelati che sempre hanno giudicato il Concilio una falla pericolosa nella cattolicità costantiniana e controriformista. Imbarazzato sul da farsi, il Giornale relega l'evento nelle ultime pagine. Puzza troppo di rivoluzione.
PAPA BERGOGLIO A RIO DE JANEIRO
Al fondo hanno ragione i falchi della retroguardia. Il manifesto programmatico di Francesco segna una rottura con il pontificato precedente e l'intransigenza dottrinale di Giovanni Paolo II. La Chiesa, che pontifica ex cathedra, non è quella del papa argentino. La sua Chiesa va incontro agli uomini e alle donne contemporanei senza l'impaccio di una visione angusta dei precetti.
In questo senso risulta persino riduttivo riassumere il nerbo dell'intervista nelle frasi su gay, divorziati e aborto. La riforma cui tende Bergoglio è molto più ampia. Stamane salta il cardinale Piacenza, potente prefetto della Congregazione per il Clero, ratzingeriano di ferro. Il primo effetto della vicenda è di risvegliare chi, nella Chiesa, su certe questioni, si era imposto il silenzio o era troppo timido. Il clima mutato si riflette nelle parole di Lucetta Scaraffia, editorialista dell'Osservatore Romano, che attacca le "parole sbagliate, vecchie, rigide, sterili" usate spesso dalla Chiesa in tema di matrimonio.
PAPA BERGOGLIO A LAMPEDUSA
Ora tocca agli episcopati far fruttare i semi gettati dal papa. La Cei, nel suo linguaggio e nella sua ‘politica', appare completamente disorientata. Di colpo le barricate del passato sono obsolete. Rigenerarsi è l'imperativo. Ma è molto faticoso.
2. LE CONFESSIONI IO, FRANCESCO IL PECCATORE 
La Chiesa secondo Jorge Bergoglio in un'intervista a "Civiltà Cattolica": l'infanzia, gli errori, i divorziati, gli omosessuali, la musica e il cinema

TRE INCONTRI ad agosto per sei ore totali e poi, nell'ultimo numero di "Civiltà Cattolica", una rivista dei gesuiti, padre Antonio Spadaro ha riportato il lungo colloquio con il gesuita eletto Papa. Jorge Bergoglio non si è sottratto alle domande più insidiose sulla fede, sui precetti e neppure sul dialogo con gli omosessuali e i divorziati o le donne che hanno abortito. In un percorso fatto di citazioni colte e commossi ricordi, Francesco ha raccontato il suo arrivo a Roma, da uomo che non si dice ottimista, ma buon coltivatore di speranze. Di seguito vi proponiamo gran parte del testo integrale pubblicato dalla rivista cattolica.

È lunedì19 agosto.Papa Francesco mi ha dato appuntamento alle 10:00 in Santa Marta. Io però eredito da mio padre la necessità di arrivare sempre in anticipo. Le persone che mi accolgono mi fanno accomodare in una saletta. L'attesa dura poco, e dopo un paio di minuti vengo accompagnato a prendere l'ascensore. Nei due minuti ho avuto il tempo di ricordare quando a Lisbona, in una riunione di direttori di alcune riviste della Compagnia di Gesù, era emersa la proposta di pubblicare tutti insieme un'intervista al Papa.
PAPA BERGOGLIO COME FONZIE
Avevo discusso con gli altri direttori, ipotizzando alcune domande che esprimessero gli interessi di tutti. Esco dall'ascensore e vedo il Papa già sulla porta ad attendermi. Anzi, in realtà, ho avuto la piacevole impressione di non aver varcato porte. Entro nella sua stanza e il Papa mi fa accomodare su una poltrona. Lui si siede su una sedia più alta e rigida a causa dei suoi problemi alla schiena. L'ambiente è semplice, austero. Lo spazio di lavoro della scrivania è piccolo.
Sono colpito dalla essenzialità non solamente degli arredi, ma anche delle cose. Ci sono pochi libri, poche carte, pochi oggetti. Tra questi un'icona di San Francesco, una statua di Nostra Signora di Luján, Patrona dell'Argentina, un crocifisso e una statua di san Giuseppe dormiente, molto simile a quella che avevo visto nella sua camera di rettore e superiore provinciale presso il Colegio Máximo di San Miguel. La spiritualità di Bergoglio non è fatta di "energie armonizzate" , come le chiamerebbe lui, ma di volti umani: Cristo, san Francesco, san Giuseppe, Maria.
Il Papa mi accoglie col sorriso che ormai ha fatto più volte il giro del mondo e che apre i cuori. Cominciamo a parlare di tante cose, ma soprattutto del suo viaggio in Brasile. Il Papa lo considera una vera grazia. Gli chiedo se si è riposato. Lui mi dice di sì, che sta bene, ma soprattutto che la Giornata Mondiale della Gioventù è stata per lui un "mistero". Mi dice che non è mai stato abituato a parlare a tanta gente: "Io riesco a guardare le singole persone, una alla volta, a entrare in contatto in maniera personale con chi ho davanti. Non sono abituato alle masse".
Gli dico che è vero, e che si vede, e che questo colpisce tutti. Si vede che, quando lui è in mezzo alla gente, i suoi occhi in realtà si posano sui singoli. Poi le telecamere proiettano le immagini e tutti possono vederle, ma così lui può sentirsi libero di restare in contatto diretto, almeno oculare, con chi ha davanti a sé. Mi sembra contento di questo, cioè di poter essere quel che è, di non dover alterare il suo modo ordinario di comunicare con gli altri, anche quando ha davanti a sé milioni di persone, come è accaduto sulla spiaggia di Copacabana. Prima che io accenda il registratore parliamo anche d'altro.
Commentando una mia pubblicazione, mi ha detto che i due pensatori francesi contemporanei che predilige sono Henri de Lubac e Michel de Certeau. Gli dico anche qualcosa di più personale. Anche lui mi parla di sé e in particolare della sua elezione al Pontificato.
PAPA FRANCESCO JORGE BERGOGLIO
Mi dice che quando ha cominciato a rendersi conto che rischiava di essere eletto, il mercoledì 13 marzo a pranzo, ha sentito scendere su di lui una profonda e inspiegabile pace e consolazione interiore insieme a un buio totale, a una oscurità profonda su tutto il resto. E questi sentimenti lo hanno accompagnato fino all'elezione. (...) Poco prima dell'udienza che ha concesso ai gesuiti della Civiltà Cattolica il 14 giugno scorso, il Papa mi aveva parlato della sua grande difficoltà a rilasciare interviste.
Mi aveva detto che preferisce pensare più che dare risposte di getto in interviste sul momento. Sente che le risposte giuste gli vengono dopo aver dato la prima risposta: "Non ho riconosciuto me stesso quando sul volo di ritorno da Rio de Janeiro ho risposto ai giornalisti che mi facevano le domande", mi dice. Ma è vero: in questa intervista più volte il Papa si è sentito libero di interrompere quel che stava dicendo rispondendo a una domanda, per aggiungere qualcosa sulla precedente. (...) È chiaro che Papa Francesco è abituato più alla conversazione che alla lezione.
PERCHÉ I CARDINALI HANNO SCELTO BERGOGLIO 
Ho la domanda pronta, ma decido di non seguire lo schema che mi ero prefisso, e gli chiedo un po' a bruciapelo: "Chi è Jorge Mario Bergoglio?". Il Papa mi fissa in silenzio. Gli chiedo se è una domanda che è lecito porgli... Lui fa cenno di accettare la domanda e mi dice: "Non so quale possa essere la definizione più giusta... Io sono un peccatore. Questa è la definizione più giusta. E non è un modo di dire, un genere letterario. Sono un peccatore". Il Papa continua a riflettere, compreso, come se non si aspettasse quella domanda, come se fosse costretto a una riflessione ulteriore.
ANTONIO SPADARO CON PAPA FRANCESCO BERGOGLIO
"Sì, posso forse dire che sono un po' furbo, so muovermi, ma è vero che sono anche un po' ingenuo. Sì, ma la sintesi migliore, quella che mi viene più da dentro e che sento più vera, è proprio questa: ‘Sono un peccatore al quale il Signore ha guardato'". E ripete: "Io sono uno che è guardato dal Signore. Il mio motto Miserandoatqueeligendo (guardò con misericordia e lo scelse, ndr) l'ho sentito sempre come molto vero per me".
Il motto di Papa Francesco è tratto dalle Omelie di san Beda il Venerabile, il quale, commentando l'episodio evangelico della vocazione di san Matteo, scrive: "Vide Gesù un pubblicano e, siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: Seguimi". E aggiunge: "Il gerundio latino miserando mi sembra intraducibile sia in italiano sia in spagnolo. A me piace tradurlo con un altro gerundio che non esiste: misericordiando".
Papa Francesco continua nella sua riflessione e mi dice, facendo un salto di cui sul momento non comprendo il senso: "Io non conosco Roma. Conosco poche cose. Tra queste Santa Maria Maggiore: ci andavo sempre". Rido e gli dico: "Lo abbiamo capito tutti molto bene, Santo Padre!".
"Ecco, sì - prosegue il Papa -, conosco Santa Maria Maggiore, San Pietro... ma venendo a Roma ho sempre abitato in via della Scrofa. Da lì visitavo spesso la chiesa di San Luigi dei Francesi, e lì andavo a contemplare il quadro della vocazione di san Matteo di Caravaggio". Comincio a intuire cosa il Papa vuole dirmi. "Quel dito di Gesù così... verso Matteo. Così sono io. Così mi sento. Come Matteo".
E qui il Papa si fa deciso, come se avesse colto l'immagine di sé che andava cercando: "È il gesto di Matteo che mi colpisce: afferra i suoi soldi, come a dire: ‘No, non me! No, questi soldi sono miei!'. Ecco, questo sono io: ‘Un peccatore al quale il Signore ha rivolto i suoi occhi'. E questo è quel che ho detto quando mi hanno chiesto se accettavo la mia elezione a Pontefice". Quindi sussurra: "Peccator sum, sed super misericordia et infinita patientia Domini nostri Jesu Christi confisus et in spiritu penitentiae accepto".

LE ORIGINI DI UN GESUITA 
Comprendo che questa formula di accettazione è per Papa Francesco anche una carta di identità. Non c'era più altro da aggiungere. Proseguo con quella che avevo scelto come prima domanda: "Santo Padre, che cosa l'ha spinta a scegliere di entrare nella Compagnia di Gesù? Che cosa l'ha colpita dell'Ordine dei gesuiti?". "Io volevo qualcosa di più. Ma non sapevo che cosa. Ero entrato in seminario. I domenicani mi piacevano e avevo amici domenicani.
PAPA FRANCESCO BERGOGLIO
Ma poi ho scelto la Compagnia, che ho conosciuto bene perché il seminario era affidato ai gesuiti. Della Compagnia mi hanno colpito tre cose: la missionarietà, la comunità e la disciplina. Curioso questo, perché io sono un indisciplinato nato, nato, nato. Ma la loro disciplina, il modo di ordinare il tempo, mi ha colpito tanto".
"E poi una cosa per me davvero fondamentale è la comunità. Cercavo sempre una comunità. Io non mi vedevo prete solo: ho bisogno di comunità. E lo si capisce dal fatto che sono qui a Santa Marta: quando sono stato eletto, abitavo per sorteggio nella stanza 207. Questa dove siamo adesso era una camera per gli ospiti. Ho scelto di abitare qui, nella camera 201, perché quando ho preso possesso dell'appartamento pontificio, dentro di me ho sentito distintamente un "no".
L'appartamento pontificio nel Palazzo Apostolico non è lussuoso. È antico, fatto con buon gusto e grande, non lussuoso. Ma alla fine è come un imbuto al rovescio. È grande e spazioso, ma l'ingresso è davvero stretto. Si entra col contagocce, e io no, senza gente non posso vivere. Ho bisogno di vivere la mia vita insieme agli altri".
Mentre il Papa parla di missione e di comunità, mi vengono in mente tutti quei documenti della Compagnia di Gesù in cui si parla di "comunità per la missione" e li ritrovo nelle sue parole. Che cosa significa per un gesuita essere Papa? Voglio proseguire su questa linea e pongo al Papa una domanda a partire dal fatto che lui è il primo gesuita a essere eletto Vescovo di Roma: "Come legge il servizio alla Chiesa universale che lei è stato chiamato a svolgere alla luce della spiritualità ignaziana? Che cosa significa per un gesuita essere eletto Papa? Quale punto della spiritualità ignaziana la aiuta meglio a vivere il suo ministero?".
PAPA FRANCESCO JORGE BERGOGLIO
"Il discernimento", risponde Papa Francesco. "Il discernimento è una delle cose che più ha lavorato interiormente sant'Ignazio. Per lui è uno strumento di lotta per conoscere meglio il Signore e seguirlo più da vicino. Mi ha sempre colpito una massima con la quale viene descritta la visione di Ignazio: Non coerceri a maximo, sed contineri a minimo divinum est. Ho molto riflettuto su questa frase in ordine al governo, ad essere superiore: non essere ristretti dallo spazio più grande, ma essere in grado di stare nello spazio più ristretto.
Questa virtù del grande e del piccolo è la magnanimità, che dalla posizione in cui siamo ci fa guardare sempre l'orizzonte. È fare le cose piccole di ogni giorno con un cuore grande e aperto a Dio e agli altri. È valorizzare le cose piccole al-l'interno di grandi orizzonti, quelli del Regno di Dio". "Questa massima offre i parametri per assumere una posizione corretta per il discernimento, per sentire le cose di Dio a partire dal suo "punto di vista". Per sant'Ignazio i grandi princìpi devono essere incarnati nelle circostanze di luogo, di tempo e di persone.
PAPA FRANCESCO BERGOGLIO
A suo modo Giovanni XXIII si mise in questa posizione di governo quando ripeté la massima Omnia videre, multa dissimulare, pauca corrigere, perché, pur vedendo omnia, la dimensione massima, riteneva di agire su pauca, su una dimensione minima. Si possono avere grandi progetti e realizzarli agendo su poche minime cose. O si possono usare mezzi deboli che risultano più efficaci di quelli forti, come dice anche san Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi".
GLI INSEGNAMENTI E LA CRESCITA 
"Questo discernimento richiede tempo. Molti, ad esempio, pensano che i cambiamenti e le riforme possano avvenire in breve tempo. Io credo che ci sia sempre bisogno di tempo per porre le basi di un cambiamento vero, efficace. E questo è il tempo del discernimento.
E a volte il discernimento invece sprona a fare subito quel che invece inizialmente si pensa di fare dopo. È ciò che è accaduto anche a me in questi mesi. Il discernimento si realizza sempre alla presenza del Signore, guardando i segni, ascoltando le cose che accadono, il sentire della gente, specialmente i poveri.
Le mie scelte, anche quelle legate alla normalità della vita, come l'usare una macchina modesta, sono legate a un discernimento spirituale che risponde a una esigenza che nasce dalle cose, dalla gente, dalla lettura dei segni dei tempi. Il discernimento nel Signore mi guida nel mio modo di governare".
PAPA BERGOGLIO
"Ecco, invece diffido delle decisioni prese in maniera improvvisa. Diffido sempre della prima decisione, cioè della prima cosa che mi viene in mente di fare se devo prendere una decisione. In genere è la cosa sbagliata. Devo attendere, valutare interiormente, prendendo il tempo necessario. La sapienza del discernimento riscatta la necessaria ambiguità della vita e fa trovare i mezzi più opportuni, che non sempre si identificano con ciò che sembra grande o forte".
Il discernimento è dunque un pilastro della spiritualità del Papa. In questo si esprime in maniera peculiare la sua identità gesuitica. Gli chiedo quindi come pensa che la Compagnia di Gesù possa servire la Chiesa oggi, quale sia la sua peculiarità, ma anche gli eventuali rischi che corre. "La Compagnia è un'istituzione in tensione, sempre radicalmente in tensione. Il gesuita è un decentrato. La Compagnia è in se stessa decentrata: il suo centro è Cristo e la sua Chiesa.
Dunque: se la Compagnia tiene Cristo e la Chiesa al centro, ha due punti fondamentali di riferimento del suo equilibrio per vivere in periferia. Se invece guarda troppo a se stessa, mette sé al centro come struttura ben solida, molto ben ‘armata', allora corre il pericolo di sentirsi sicura e sufficiente. La Compagnia deve avere sempre davanti a sé il Deus semper maior, la ricerca della gloria di Dio sempre maggiore, la Chiesa Vera Sposa di Cristo nostro Signore, Cristo Re che ci conquista e al quale offriamo tutta la nostra persona e tutta la nostra fatica, anche se siamo vasi di argilla, inadeguati. Questa tensione ci porta continuamente fuori da noi stessi. Lo strumento che rende veramente forte la Compagnia decentrata è poi quello, insieme paterno e fraterno, del ‘rendiconto di coscienza', proprio perché la aiuta a uscire meglio in missione".
Qui il Papa si riferisce a un punto specifico delle Costituzioni della Compagnia di Gesù nel quale si legge che il gesuita deve "manifestare la sua coscienza", cioè la situazione interiore che vive, in modo che il superiore possa essere più consapevole e accorto nell'inviare una persona alla sua missione. "Ma è difficile parlare della Compagnia - prosegue Papa Francesco -. Quando si esplicita troppo, si corre il rischio di equivocare.
La Compagnia si può dire solamente in forma narrativa. Solamente nella narrazione si può fare discernimento, non nella esplicazione filosofica o teologica, nelle quali invece si può discutere. Lo stile della Compagnia non è quello della discussione, ma quello del discernimento, che ovviamente suppone la discussione nel processo. L'aura mistica non definisce mai i suoi bordi, non completa il pensiero. Il gesuita deve essere una persona dal pensiero incompleto, dal pensiero aperto.
GIANLUCA BARILE E PAPA BERGOGLIO
Ci sono state epoche nella Compagnia nelle quali si è vissuto un pensiero chiuso, rigido, più istruttivo-ascetico che mistico: questa deformazione ha generato l'Epitome Instituti". (...) Per il Papa, durante questo periodo nella Compagnia le regole hanno rischiato di sopraffare lo spirito, e ha vinto la tentazione di esplicitare e dichiarare troppo il carisma.
Prosegue: "No, il gesuita pensa sempre, in continuazione, guardando l'orizzonte verso il quale deve andare, avendo Cristo al centro. Questa è la sua vera forza. E questo spinge la Compagnia ad essere in ricerca, creativa, generosa. Dunque, oggi più che mai, deve essere contemplativa nell'azione; deve vivere una vicinanza profonda a tutta la Chiesa, intesa come ‘popolo di Dio' e ‘santa madre Chiesa gerarchica'.
Questo richiede molta umiltà, sacrificio, coraggio, specialmente quando si vivono incomprensioni o si è oggetto di equivoci e calunnie, ma è l'atteggiamento più fecondo. Pensiamo alle tensioni del passato sui riti cinesi, sui riti malabarici, nelle riduzioni in Paraguay". "Io stesso sono testimone di incomprensioni e problemi che la Compagnia ha vissuto anche di recente.
Tra queste vi furono i tempi difficili di quando si trattò della questione di estendere il ‘quarto voto' di obbedienza al Papa a tutti i gesuiti. Quello che a me dava sicurezza al tempo di padre Arrupe era il fatto che lui fosse un uomo di preghiera, un uomo che passava molto tempo in preghiera. Lo ricordo quando pregava seduto per terra, come fanno i giapponesi.
Per questo lui aveva l'atteggiamento giusto e prese le decisioni corrette". Il modello: Pietro Favre, "prete riformato". A questo punto mi chiedo se tra i gesuiti ci siano figure, dalle origini della Compagnia ad oggi, che lo abbiano colpito in maniera particolare. E così chiedo al Pontefice se ci sono, quali sono e perché. Il Papa comincia a citarmi Ignazio e Francesco Saverio, ma poi si sofferma su una figura che i gesuiti conoscono, ma che certo non è molto nota in generale: il beato Pietro Favre (1506- 1546), savoiardo.
PAPA FRANCESCO JORGE BERGOGLIO
È uno dei primi compagni di sant'I g n a-zio, anzi il primo, con il quale egli condivideva la stanza quando i due erano studenti alla Sorbona. Il terzo nella stessa stanza era Francesco Saverio. Pio IX lo dichiarò beato il 5 settembre 1872, ed è in corso il processo di canonizzazione. Mi cita una edizione del suo Memoriale che lui fece curare da due gesuiti specialisti, Miguel A. Fiorito e Jaime H. Amadeo, quando era superiore provinciale.
Una edizione che al Papa piace particolarmente è quella a cura di Michel de Certeau. Gli chiedo quindi perché è colpito proprio dal Favre, quali tratti della sua figura lo impressionano. "Il dialogo con tutti, anche i più lontani e gli avversari; la pietà semplice, una certa ingenuità forse, la disponibilità immediata, il suo attento discernimento interiore, il fatto di essere uomo di grandi e forti decisioni e insieme capace di essere così dolce, dolce...". (...)
QUANDO SI È GIOVANI SI SBAGLIA PER IRRUENZA 
Quale tipo di esperienza di governo può far maturare la formazione avuta da padre Bergoglio, che è stato prima superiore e poi superiore provinciale nella Compagnia di Gesù? Lo stile di governo della Compagnia implica la decisione da parte del superiore, ma anche il confronto con i suoi "consultori". E così chiedo al Papa: "Pensa che la sua esperienza di governo del passato possa servire alla sua attuale azione di governo della Chiesa universale?".
Papa Francesco dopo una breve pausa di riflessione si fa serio, ma molto sereno. "Nella mia esperienza di superiore in Compagnia, a dire il vero, io non mi sono sempre comportato così, cioè facendo le necessarie consultazioni. E questa non è stata una cosa buona. Il mio governo come gesuita all'inizio aveva molti difetti. Quello era un tempo difficile per la Compagnia: era scomparsa una intera generazione di gesuiti. Per questo mi son trovato Provinciale ancora molto giovane.
PAPA FRANCESCO - JORGE BERGOGLIO
Avevo 36 anni: una pazzia. Bisognava affrontare situazioni difficili, e io prendevo le mie decisioni in maniera brusca e personalista. Sì, devo aggiungere però una cosa: quando affido una cosa a una persona, mi fido totalmente di quella persona. Deve fare un errore davvero grande perché io la riprenda. Ma, nonostante questo, alla fine la gente si stanca del-l'autoritarismo. Il mio modo autoritario e rapido di prendere decisioni mi ha portato ad avere seri problemi e a essere accusato di essere ultraconservatore. Ho vissuto un tempo di grande crisi interiore quando ero a Cordova.
Ecco, no, non sono stato certo come la Beata Imelda, ma non sono mai stato di destra. È stato il mio modo autoritario di prendere le decisioni a creare problemi". "Dico queste cose come una esperienza di vita e per far capire quali sono i pericoli. Col tempo ho imparato molte cose. Il Signore ha permesso questa pedagogia di governo anche attraverso i miei difetti e i miei peccati.
Così da arcivescovo di Buenos Aires ogni quindici giorni facevo una riunione con i sei vescovi ausiliari, varie volte l'anno col Consiglio presbiterale. Si ponevano domande e si apriva lo spazio alla discussione. Questo mi ha molto aiutato a prendere le decisioni migliori. E adesso sento alcune persone che mi dicono: ‘non si consulti troppo, e decida'. Credo invece che la consultazione sia molto importante. I Concistori, i Sinodi sono, ad esempio, luoghi importanti per rendere vera e attiva questa consultazione.
papa francesco bergoglio guardia svizzera
Bisogna renderli però meno rigidi nella forma. Voglio consultazioni reali, non formali. La Consulta degli otto cardinali, questo gruppo consultivo outsider, non è una decisione solamente mia, ma è frutto della volontà dei cardinali, così come è stata espressa nelle Congregazioni Generali prima del Conclave. E voglio che sia una Consulta reale, non formale". Rimango sul tema della Chiesa e provo a capire che cosa significhi esattamente per Papa Francesco il "sentire con la Chiesa" di cui scrive san-t'Ignazio nei suoi Esercizi Spirituali.
Il Papa risponde senza esitazione partendo da un'i m m agine. "L'immagine della Chiesa che mi piace è quella del santo popolo fedele di Dio. È la definizione che uso spesso, ed è poi quella della Lumen gentium al numero 12. L'appartenenza a un popolo ha un forte valore teologico: Dio nella storia della salvezza ha salvato un popolo. Non c'è identità piena senza appartenenza a un popolo. Nessuno si salva da solo, come individuo isolato, ma Dio ci attrae considerando la complessa trama di relazioni interpersonali che si realizzano nella comunità umana. Dio entra in questa dinamica popolare". "Il popolo è soggetto.
ANTONIO SPADARO
E la Chiesa è il popolo di Dio in cammino nella storia, con gioie e dolori. Sentire cum Ecclesia dunque per me è essere in questo popolo. E l'insieme dei fedeli è infallibile nel credere, e manifesta questa sua infallibilitas in credendo mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo che cammina. Ecco, questo io intendo oggi come il "sentire con la Chiesa" di cui parla sant'I g n a-zio. Quando il dialogo tra la gente e i Vescovi e il Papa va su questa strada ed è leale, allora è assistito dallo Spirito Santo. Non è dunque un sentire riferito ai teologi".
"È come con Maria: se si vuol sapere chi è, si chiede ai teologi; se si vuol sapere come la si ama, bisogna chiederlo al popolo. A sua volta, Maria amò Gesù con cuore di popolo, come leggiamo nel Magnificat. Non bisogna dunque neanche pensare che la comprensione del ‘sentire con la Chiesa' sia legata solamente al sentire con la sua parte gerarchica".
LA CLASSE MEDIA DEL SIGNORE 
Il Papa, dopo un momento di pausa, precisa in maniera secca, per evitare fraintendimenti: "E, ovviamente, bisogna star bene attenti a non pensare che questa infallibilitas di tutti i fedeli di cui sto parlando alla luce del Concilio sia una forma di populismo. No: è l'esperienza della "santa madre Chiesa gerarchica", come la chiamava san-t'Ignazio, della Chiesa come popolo di Dio, pastori e popolo insieme. La Chiesa è la totalità del popolo di Dio". "Io vedo la santità nel popolo di Dio, la sua santità quotidiana. C'è una classe media della santità di cui tutti possiamo far parte, quella che di cui parla Malègue".
RATZINGER PAPA BENEDETTO XVI
Il Papa si sta riferendo a Joseph Malègue, uno scrittore francese a lui caro. In particolare alla sua trilogia incompiuta. Alcuni critici francesi lo definirono "il Proust cattolico". "Io vedo la santità - p r o-segue il Papa - nel popolo di Dio paziente: una donna che fa crescere i figli, un uomo che lavora per portare a casa il pane, gli ammalati, i preti anziani che hanno tante ferite ma che hanno il sorriso perché hanno servito il Signore, le suore che lavorano tanto e che vivono una santità nascosta.
Questa per me è la santità comune. La santità io la associo spesso alla pazienza: non solo la pazienza come hypomoné, il farsi carico degli avvenimenti e delle circostanze della vita, ma anche come costanza nell'andare avanti, giorno per giorno. Questa è la santità della Iglesia militante di cui parla anche sant'Ignazio. Questa è stata la santità dei miei genitori: di mio papà, di mia mamma, di mia nonna Rosa che mi ha fatto tanto bene. Nel breviario io ho il testamento di mia nonna Rosa, e lo leggo spesso: per me è come una preghiera. Lei è una santa che ha tanto sofferto, anche moralmente, ed è sempre andata avanti con coraggio".
papa ratzinger benedetto
"Questa Chiesa con la quale dobbiamo "sentire" è la casa di tutti, non una piccola cappella che può contenere solo un gruppetto dipersoneselezionate.Nondobbiamoridurreilseno della Chiesa universale a un nido protettore della nostra mediocrità. E la Chiesa è Madre - prosegue -. La Chiesa è feconda, deve esserlo. Vedi, quando io mi accorgo di comportamenti negativi di ministri della Chiesa o di consacrati o consacrate, la prima cosa che mi viene in mente è: "ecco uno scapolone", o "ecco una zitella".
Non sono né padri, né madri. Non sono stati capaci di dare vita. Invece, per esempio, quando leggo la vita dei missionari salesiani che sono andati in Patagonia, leggo una storia di vita, di fecondità". Papa Benedetto XVI, annunciando la sua rinuncia al Pontificato, ha ritratto il mondo di oggi come soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede che richiedono vigore sia del corpo, sia dell'anima.
Chiedo al Papa, anche alla luce di ciò che mi ha appena detto: "Di che cosa la Chiesa ha più bisogno in questo momento storico? Sono necessarie riforme? Quali sono i suoi desideri sulla Chiesa dei prossimi anni? Quale Chiesa ‘sogna'?". Papa Francesco, cogliendo l'incipit della mia domanda, comincia col dire: "Papa Benedetto ha fatto un atto di santità, di grandezza, di umiltà. È un uomo di Dio", dimostrando un grande affetto e una enorme stima per il suo predecessore.
Mozart
"Io vedo con chiarezza - prosegue - che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi po
http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/articolo-63181.htm

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