ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 24 maggio 2019

Filius mater ignota


Mignotte & Paraculi, la corretta etimologia delle parole. Quand’è che invece le parole corrette diventano insulti? Esempio: il proselitismo non è una parolaccia, ma un presupposto dell’evangelizzazione.

[…] il lemma mignotta, nasce da una deturpazione popolare del termine latino filius mater ignota, ossia figlio di madre ignota. Così erano infatti chiamati i bimbi partoriti negli ospedali e lì lasciati dalle madri, o più frequentemente lasciati dentro le chiese o all’interno delle ruote dei conventi e dei monasteri delle monache di clausura. Nel linguaggio popolare, questo termine latino fu poi storpiato in matrignotta, che appresso, ulteriormente storpiato, divenne infine mignotta.


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I maestri del cinema e del teatro italiano: Alberto Sordi [Roma 1920 – Roma 2003]  video QUI.

Proviamo a immaginare un gruppo di tre preti che si ritrovano assieme per un momento di fraternità e che sono rispettivamente: un teologo dogmatico sacramentario, un teologo morale e un canonista. Terminata la cena, non essendo ancora tarda ora e volendo i tre concludere con un altro momento di lieta fraternità, hanno quest’idea: «Perché non andiamo a donne?», dice il prete specializzato in teologia dogmatica, domandando il parere agli altri due.
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Lo specialista in teologia morale, grande devoto al Santo vescovo e dottore della Chiesa San’Alfonso Maria de’ Liguori, ci pensa un attimo e risponde: «Sì, sarebbe un’idea, però sto pensando a come potremmo fare una cosa simile senza violare le nostre sacre promesse».

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A quel punto corre in soccorso il prete specializzato in diritto canonico, offrendo la soluzione: «Cari confratelli, a pensarci bene, credo che non andremmo a violare alcuna sacra promessa. Quando infatti abbiamo ricevuto la sacra ordinazione, cosa ci ha chiesto il vescovo? Ci ha domandato se promettevamo di mantenerci celibi, mica ci ha chiesto di promettere di mantenerci casti. Ebbene, non siamo forse tutti e tre celibi, quindi rispettosi della promessa fatta?».
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Esultano i due preti specialisti in teologia dogmatica sacramentaria e in teologia morale: «Hai ragione. Non siamo mica religiosi che hanno professato i voti di povertà, castità e obbedienza! Noi abbiamo solo promesso solennemente di mantenerci celibi, nessuno ci ha chiesto la solenne promessa di mantenerci casti». E così poco dopo i tre incontrano tre splendide escort e si dirigono verso un luogo dove concludere la serata in bellezza.
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I maestri del cinema e del teatro italiano:  Elena Fabrizi, in arte Sora Lella [Roma 1915 – Roma 1993]: video QUI

Non occorre certo spiegare — ma con le teste che circolano a piede libero di questi tempi è bene farlo —, che il prete, pur non professando come il religioso i voti di povertà, castità e obbedienza, esprime in ogni caso due solenni promesse: mantenersi celibe, cosa questa che implicitamente comporta la castità; obbedire al Vescovo ed a tutti i suoi successori.
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In ambito dottrinale e pastorale, il problema del linguaggio è fondamentale, perché se alle parole, in particolare alle parole-concetto, noi attribuiamo dei significati diversi, svuotandole del loro autentico significato e riempiendole di altro, come ovvia e inevitabile conseguenza daremo vita a situazioni di autentico caos.
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Per spiegare questo genere di problema, più volte ho usato due termini tipici del romanesco, che sono rispettivamente: mignotta e paraculoRicordo sempre in modo indelebile quando oramai quasi cinquant’anni fa, da bambino di sei sette anni, ero portato ogni tanto a passeggio da mio nonno e da sua sorella nel parco romano di Villa Borghese. L’apice di quella passeggiata era costituito dalla visita alle scimmie dello zoo, alle quali mi divertivo a dare le arachidi preventivamente acquistate alla bancarella di un rivenditore. Un giorno accadde un fatto divertente: una signora alquanto popolana e per questo particolarmente simpatica, prese a chiamare il figlioletto, che come suol dirsi se ne fregava dei richiami della madre che lo invitava a tornare a casa. Chiama che ti chiama, a un certo punto la madre si scoccia e urla verso il figlio: «’a gran fijo de ‘na mignotta, ma te vόi da sbrigà, che dovemo tornà a casa?».
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In un italiano impeccabile questa frase suonerà così: «Grandissimo figlio di una puttana, ti vuoi sbrigare, che dobbiamo ritornare a casa?». Delle due cose, l’una esclude l’altra: o questa splendida popolana ha dichiarato dinanzi a tutti nel parco di Villa Borghese che lei, madre di quel figlio, era una puttana, o più semplicemente, l’espressione fijo de mignotta ha perduto il proprio etimo ed è usata sia come espressione per intercalare nel discorso, sia alle volte per indicare ‘na persona gajiarda e simpatica.
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I maestri del cinema e del teatro italiano: Gigi Proietti [Roma 1940], video QUI

Passiamo a un altro esempio prima delle spiegazioni che seguiranno. Tempo fa, il genitore di un giovane appena diciottenne mi narrò che suo figlio aveva acquistato delle scarpe da ginnastica di marca, dopodiché, dicendo che il colore non gli andava bene coi vestiti, chiese al padre se le voleva acquistare lui, perché egli ne avrebbe acquistate altre del colore più adatto. Il padre gli dette 120 euro con i quali il figlio, presso un negozio di articoli sportivi di marca, andò a comprarsi un altro paio di scarpe. Il tutto con un piccolo particolare non propriamente indifferente: le scarpe vendute al padre erano false, le aveva acquistate per 15 euro al mercato di Porta Portese, mentre lui, con i soldi della vendita fatta al padre, era andato ad acquistarsi quelle originali. Il padre lo scoprì tempo dopo e in seguito, ridendo con me mi narrò il tutto concludendo: «… hai capito, mi’ fijo, che grannissimo paraculo che è?».
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In un italiano impeccabile questa frase suonerà esattamente così: «… hai capito, mio figlio, che grandissimo omosessuale che è?»
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Senza bisogno di particolari spiegazioni, avrete già capito alla perfezione che oggi, il termine mignotta e il termine paraculo, pur avendo entrambi una accezione negativa come significato etimologico, essendo termini nati per indicare in modo dispregiativo certe persone, fatti o situazioni, nell’attuale romanesco sono lemmi usati in toni di simpatia, a volte persino per indicare una persona che, con la sua fantasiosa scaltrezza, ti ha data una clamorosa sóla, ossia fregatura, facendoti per essa ridere e divertire.
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I maestri del cinema e del teatro italiano: Anna Magnani [Roma 1908 – Roma 1973], video QUI

In breve: mignottanasce da una deturpazione popolare del termine latino filius mater ignota, ossia figlio di madre ignota. Così erano chiamati i bimbi partoriti e lasciati negli ospedali dalle madri, o più frequentemente dentro le chiese o all’interno delle ruote dei conventi e dei monasteri delle monache di clausura. Nel linguaggio popolare, il termine latinofilius mater ignota è storpiato in matrignotta, poi lo fu ulteriormente divenendo mignotta, usato come sinonimo popolare di puttana, perdendo però di seguito questo significato attribuito, come abbiamo dimostrato con la madre che chiama il figlio nel parco di Villa Borghese.
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Nella Roma pontificia ottocentesca — dove a nessuno sarebbe mai passato per la mente che in futuro, l’orgia grottesca del Gay Pride, potesse sfilare tra le sue vie partendo dalla piazza della Cattedrale del Vescovo di Roma, San Giovanni in Laterano, per giungere in Piazza Esedra, oggi Piazza della Repubblica, davanti alla Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, luogo dove furono martirizzati dall’Imperatore Diocleziano molti cristiani —, dare del paraculo a un uomo, era un’offesa così grave e infamante, che si poteva rischiare la vita in due modi diversi. Se davi del paraculo a un popolano di Trastevere, quello probabilmente ti accoltellava, poi semmai, chiedendo aiuto a un paio di amici della vicina osteria, gettava il tuo cadavere nel Tevere; se invece davi del paraculo a un aristocratico, quello ti gettava un guanto in faccia e t’aspettava il mattino alle cinque fuori Porta San Giovanni per sfidarti a duello, nel corso del quale, o l’offeso o l’offensore sarebbe inevitabilmente morto.
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Paraculo, come significato etimologico ha in sé poco di simpatico, perché il suo etimo indica in modo dispregiativo un uomo che para, ossia che offre il proprio posteriore a un altro uomo per essere sodomizzato. Pertanto, i vocabolari della lingua italiana che oggi indicano questo termine come sinonimo di furbo o di soggetto che riesce a rivolgere le situazioni a suo proprio vantaggio, datando la sua nascita al periodo degli anni Sessanta del Novecento e collegandolo alla letteratura di Pier Paolo Pasolini e di Aldo Palazzeschi, sbagliano. A provarcelo è uno studio del Dott. Luca Lorenzetti, ricercatore dell’Università della Tuscia, che nella Biblioteca Casanatense di Roma individuò a fine anni Novanta il termine in un poemetto di 150 sonetti risalente al 1830, ed usato in quella prosa per indicare col paraculo il sodomita passivo [cf. QUI]. 
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Durante la celebrazione del Concilio Ecumenico Vaticano II, abbiamo avuto molti problemi che si sono sviluppati nel para … concilio mediatico e che poi si sono protratti con risultati spesso disastrosi nella stagione del post-concilio. Tutti questi problemi sono perlopiù nati da elementi di carattere puramente lessicale. Infatti, proprio là dove si parla in modo a tratti martellante e ossessivo di “unità della Chiesa”, se andiamo a vedere, coloro che hanno compromessa e che compromettono questa unità, sono stati e sono proprio coloro che seminano confusione e disunione attraverso l’uso errato e arbitrario delle parole.
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I maestri del cinema e del teatro italiano: Alberto Sordi:video QUI

Il problema dell’ultimo concilio sta quindi nel linguaggio. Come infatti ho più volte spiegato nel corso degli anni su queste colonne de L’Isola di Patmos, i Padri della Chiesa, per la prima volta hanno abbandonato il solido e preciso linguaggio metafisico nato dalle speculazioni della vera e grande scolastica — da non confondere con la neoscolastica decadente —, il tutto espresso attraverso precisi termini e frasi idiomatiche della lingua latina. Poco dopo il Concilio il latino, pur rimanendo la lingua ufficiale della Chiesa, fu abbandonato, anche perché già all’epoca, la maggior parte dei vescovi extra europei, non lo conosceva più. Essendo però stato il Concilio Vaticano II letteralmente egemonizzato dal filone tedesco e nord-europeo, lo stile del linguaggio espressivo usato risulta quello del romanticismo tedesco decadente, che cerca anzitutto di unire gli opposti ed i contrari, la tesi e l’antitesi, l’olio bollente con l’acqua fredda. E, si presti attenzione: in questa trappola ci sono caduti, involontari e in totale buona fede, anche tutti i teologi ortodossi, inclusi i Sommi Pontefici Giovanni Paolo II e, forse soprattutto e più di tutti, Benedetto XVI. È stato infatti con surreale spirito romantico che la Chiesa, anziché condannare l’errore, ha cominciato a dialogare con l’errore, il tutto con questa conseguenza: l’errore non è stato affatto corretto, anzi trovandosi a essere oggetto di dialogo si è rafforzato e radicato di più, ed a questo modo — convinti di poterlo correggere con amorevole dialogo — è stato fatto invece penetrare all’interno della Chiesa.
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Il primo documento approvato, la Sacrosanctum Concilium, quello sulla riforma liturgica, consente e forse approva gli abusi liturgici che oggi abbiamo sotto gli occhi nelle chiese? Con i neocatecumenali agguerriti che più scempiano la Santissima Eucaristia, più urlano come un mantra la filastrocca: «Siamo approvati, siamo approvati … i Pontefici ci hanno approvati … ci hanno approvati!»? [vedere mio recente studio, QUI].
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Come possiamo, a mezzo secolo da una riforma,ritrovarci oggi in uno stato di totale caos liturgico che rasenta non di rado il sacrilegio della Santissima Eucaristia? Semplice la risposta: la Sacrosanctum Conciliumha dettato delle “romantiche” linee generali e molto generiche, per improntare una necessaria riforma liturgica; necessaria soprattutto sul piano pastorale e su quello della nuova evangelizzazione dei popoli. Quando però, in certe materie molto delicate, a partire dalla liturgia e dalla relativa disciplina dei Sacramenti che la regge, non si danno delle indicazioni rigorose, tassative, precise e non passibile di alcuna diversa interpretazione, avverrà inevitabilmente ciò che oggi abbiamo sotto gli occhi: ciascuno si è creato la propria liturgia, la propria disciplina dei Sacramenti, la propria dottrina e, infine, le proprie leggi. Con i neocatecumenali che, sbandierando un riconoscimento di carattere puramente amministrativo a loro concesso dal Pontificio consiglio per i laici [cf. QUI,QUI], non certo dalla Congregazione per la dottrina della fede né dalla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, non esitano a mentire sapendo di mentire dichiarando ai propri adepti ed a chicchessia che le “loro” liturgie sono pienamente approvate dalla Santa Sede. Se poi andiamo a dire a queste persone che ciò non è affatto vero e che loro non hanno diritto di disporre e di abusare della sacra liturgia, che i Sacramenti non sono beni disponibili di loro proprietà e che della dottrina non sono liberi interpreti o peggio creatori, costoro replicheranno ribadendo che «nella Chiesa c’è stato un Concilio» e che tu, ragionando a questo modo, sei «un povero tridentino nostalgico». E con ciò, è presto detto che oggi, nella Chiesa della romantica e ambigua vaghezza, che con l’errore ha dialogato anziché condannarlo, dare ad una persona del «tridentino», suona più o meno come … daije de er fijo de mignotta in modo affatto simpatico, ma proprio per ciò che l’espressione significa etimologicamente, non nel modo amabile e scherzoso come la simpatica popolana di cui narravo prima.
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I maestri del cinema e del teatro italiano: Alvaro Vitali [Roma 1950], video QUI

Mentre il grande Concilio di Trento, che riformò radicalmente la Chiesa e che la spinse verso una straordinaria opera missionaria, è usato oggi come un vero e proprio insulto, per altro verso, non il Concilio Vaticano II, ma il para-concilio che raggiunge il proprio pervertimento massimo nel post-concilio, è però considerato e presentato come una sorta di dogma dei dogmi da coloro che, per paradosso, de-costruiscono da mezzo secolo l’intero impianto dogmatico della Chiesa (!?). E quando al moderno insulto di fijo de ‘na mignotta, ossia di «tridentino», vogliono aggiungere anche l’insulto diparaculo, in questo secondo caso ti dicono: «Sei un vecchio dogmatico legato a dogmatismi ottusi e obsoleti». Quindi, se tridentino equivale oggi a fijo de ‘na mignotta, il termine dogma e dogmatico, equivale più o meno a quello di paraculo.
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Senza ripetermi inutilmente, rimando i lettori ad un mio vecchio articolo del 2014: «Babele e la neolingua: una Chiesa senza vocabolario da mezzo secolo» [vedereQUI], al quale fece seguito nel 2016 Una mia lectio magistralis disponibile in video [vedere QUI].
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La lingua non è un elemento sostanziale, ma accidentale. Esempio: celebrare la Santa Messa nelle lingue nazionali, non intacca affatto in alcun modo la sostanza mistagogica del Sacrificio Eucaristico. Però, se facendo uso dell’elemento accidentale esterno, ossia la lingua, sono alterate attraverso traduzioni non corrette le parole che da due millenni racchiudono e blindano la sostanza, in quel caso possiamo dire che, attraverso l’elemento accidentale esterno della lingua, si rischia di colpire e di alterare gravemente la sostanza. Esattamente come avviene oggi: non si tocca la sostanza della dottrina, che rimane tale e quale, però si cerca di disattendere dei precetti sostanziali della dottrina attraverso una nuova prassi pastorale.
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In questi giorni qualcuno — non ricordo bene chi, né ricordo il nome, ma ciò poco importa — è tornato a parlare del proselitismo in modo severo e dispregiativo, dando a questo termine una connotazione negativa, proprio come alcuni danno oggi una connotazione negativa a “tridentino” e “dogmatico”.
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Vediamo cosa significa e com’è indicato dai vocabolari il termine proselitismo, partendo dall’etimo greco composto da πρός pros ed ερχομαι erchomai, che significa “venire” o “andare verso”. Il termine proselitismo significa alla lettera: svolgere una attività, nel caso del Cristianesimo di evangelizzazione, per convertire e per acquisire nuovi fedeli.
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I maestri del cinema e del teatro italiano: Tomas Milian [Avana 1933- Roma 2017] e Franco Lechner in arte Bombolo [Roma 1931-Roma 1987], video QUI

L’invito a far proseliti non nasce dai “cattivi” domenicani del XVI secolo, che secondo clamorosi falsi storici giunsero con spade e croci per sterminare gli aztechi di quel delicato uomo di Montezuma e convertirli a forza al Cristianesimo. I “cattivi” domenicani del XVI secolo, giunti nel Messico rimasero scioccati dal fatto che il gran popolo autoctono degli aztechi, peraltro in stato di totale decadenza, compiva sempre sacrifici umani, assieme a varie forme di cannibalismo rituale, che furono impediti dai “crudeli” colonizzatori. Ciò con buona pace di chi oggi accusa, gli uni e gli altri, di avere distrutto delle antiche e gloriose civiltà che nel XVI secolo, all’arrivo degli spagnoli, versavano invece nel loro stato di più profondo declino e degrado umano e morale.
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A fare proseliti, ci invita Nostro Signore Gesù Cristo, rivolgendo agli Apostoli un preciso comando, per di più nello spazio temporale che va’ dalla sua risurrezione alla sua ascensione al cielo. È l’ultimo comando che Cristo Dio rivolge agli Apostoli prima di tornare alla destra di Dio Padre:
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«Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno. Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che l’accompagnavano» [cf. Mc 16, 1-20].
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È Cristo Dio che ci invita a fare proseliti, perché questo è lo scopo dell’annuncio e della predicazione: la redenzione. Inutile dire che il mistero della redenzione è ben diverso dal concetto del «una religione vale l’altra», oppure «poco importa che sia Gesù Cristo, Budda o Maometto». Se infatti così fosse il Redentore, che è uno, non molteplici, non si sarebbe posto come elemento di unicità e assolutezza affermando: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto» [cf. Gv 14, 6-7].
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I maestri del cinema e del teatro italiano: Nino Manfredi [Castro dei Volsci 1922 – Roma 2004], video, QUI

Il proselitismo non è nulla di negativo e spaventoso. Certo, anche le cose più buone e sante, possono essere trasformate in cattive e dannose. Certe droghe o certi veleni mortali, se usati in giuste dosi possono essere ingredienti indispensabili per la preparazione di particolari medicinali — per esempio certi forti antidolorifici —, in assenza dei quali, gli affetti da certi mali in fase acuta, potrebbero essere straziati dal dolore fisico. Allo stesso modo possiamo dire per le armi da fuoco, che se date in uso a soldati che combattono una giusta guerra difensiva, sono indispensabili per difendere dall’aggressione di un gruppo di feroci integralisti islamisti un villaggio nel quale sono raccolti donne, bambini e anziani di religione cristiana e potenziale oggetto delle loro stragi. A chi poi dovesse replicare a quest’esempio affermando che non esistono guerre giuste e che non è mai lecito uccidere per alcuna ragione e motivo, provate semmai a chiedere: in quante zone di guerra ti sei ritrovato a vivere? Oppure: quanti cadaveri di bimbi uccisi, mutilati, fatti in pezzi o bruciati, hai avuto occasione di vedere, o pia anima bella della sinistra radical chic dell’Europa pacifondista, dove l’ultima disastrosa guerra si è conclusa settantaquattro anni fa, mentre gli abitanti di altre regioni e paesi del mondo sono nati, vissuti e giunti all’età di settantaquattro anni senza mai avere conosciuto nel corso della loro esistenza un solo giorno di pace, ma passando di conflitto in conflitto, di dittatore in dittatore, di guerra civile in guerra civile? [cf. QUI].
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La Santissima Eucaristia, se ricevuta in stato di grazia, è sostegno e conforto per la vita eterna. La stessa Santissima Eucaristia, se ricevuta però da una persona che non vive in stato di grazia, che non ci vuole vivere e che anzi rivendica pure il pieno riconoscimento del suo diritto a vivere al di fuori della grazia, non è nutrimento per la vita eterna, ma diviene invece veleno per l’anima, ce lo spiega il Beato Apostolo Paolo:
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«Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna» [cf. I Cor 23, 28-29].
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Anche il proselitismo, può essere mutato in qualche cosa di negativo, se a farlo sono certe aggressive e coercitive sétte evangeliche e pentecostali che sono abituate a giocare sulle paure e sulle fragilità umane, a riguardo delle quali, da quella persona di cui non ricordo il nome, non ho però mai udite parole di rimprovero e di condanna, meno che mai per le conversioni forzate fatte dall’Islam, sotto minaccia di morte o di privazione dei diritti civili, quantunque oggi addirittura presentato come religione di pace e di amore, che equivale a presentare Messalina come se fosse la martire della purezza Santa Maria Goretti.
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Dare alla parola proselitismo una connotazione negativa, è come dare una connotazione negativa alla parola Eucaristia. Semmai sostenendo che, il concetto di transustanziazione e di reale presenza di Cristo nelle sacre specie in anima, corpo e divinità, potrebbe recare grave offesa alla sensibilità di tutti gli appartenenti alle correnti ereticali distaccatesi del nucleo cristiano cattolico, le quali considerano l’Eucaristia solo un memoriale puramente simbolico in ricordo dell’ultima cena di Cristo Signore.
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Tanti sono dunque i concetti e le parole che potrebbero recare offesa ad altri, per esempio: incarnazione del Verbo di Dio, Gesù Cristo vero Dio e vero uomo, la Immacolata concezione della Beata Vergine Maria, la Risurrezione di Cristo, la sua assunzione al cielo e via dicendo. Per adesso, pur di piacere al mondo e di non offendere il mondo, abbiamo cominciato dal proselitismo e da varie altre cose per così dire minori, il tutto nell’attesa che il meglio del peggio giunga tutto quanto dopo …
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Una preghiera per i nostri grandi maestri italiani di cinema e di teatro, per i defunti e per i viventi: possa Dio rendergli merito per averci edificati e sostenuti con la loro profonda serietà.


Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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dall’Isola di Patmos, 22 maggio 2019


— attualità ecclesiale —
MIGNOTTE  & PARACULI, LA CORRETTA ETIMOLOGIA DELLE PAROLE. QUAND’È CHE INVECE LE PAROLE CORRETTE DIVENTANO INSULTI? ESEMPIO: PROSELITISMO NON È UNA PAROLACCIA, MA UN PRESUPPOSTO DELL’EVANGELIZZAZIONE
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