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mercoledì 11 settembre 2013

Si scaldano i cattoamericani e i cattoferrara per guerreggiare

S’avanza il fronte cattolico per la guerra giusta. Altro che “go for peace”

Le critiche al pacifismo francescano di un gesuita americano. I dubbi di First Things sull’inconcludente Obama

Chi ha detto che quella cattolica è una “chiesa pacifista”? Padre Richard Ryscavage, gesuita, direttore del Centro per la fede dell’Università di Fairfield, nel Connecticut, si smarca dal grido di Francesco contro la guerra.
Certo, spiega il sacerdote  americano al Catholic News Service, prima sarebbe opportuno perlustrare ogni via che non implichi bombardamenti dal cielo o da terra. Ma dire che la guerra non ha mai risolto nulla, sarebbe negare la realtà. Un po’ come sostiene il filosofo cattolico Michael Novak, il quale ha detto recentemente che – se a guidare l’America non ci fosse il tentennante Obama – lui non si farebbe alcun problema morale a dire sì ai missili sulla testa del rais di Damasco. “A volte – aggiunge – l’approccio pacifista ‘go for peace’, ‘andare per la pace’, non è proprio possibile”. La chiesa cattolica “ha una ricca e forte teoria della giustizia che definisce ciò che è guerra giusta”. Basterebbe pensare a Giovanni Paolo II, che più di vent’anni fa inchiodava i potenti del mondo alle loro responsabilità davanti al massacro di Sarajevo, i cui tetti erano puntellati da migliaia di cecchini. Inconcepibile, disse un Wojtyla ancora nel pieno delle sue forze, che nell’Europa liberata dalla Cortina di ferro potesse tornare a farsi sentire il rombo del cannone. “Ma basterebbe andare con la memoria al 2008”, precisa il direttore del Centro per la fede della Fairfield University: era l’aprile di cinque anni fa, e dal palco delle Nazioni Unite, a New York, Benedetto XVI appoggiò il principio della “responsabilità di proteggere”. “Si tratta, rimanendo sul piano dell’insegnamento cattolico, della naturale estensione del principio di solidarietà, l’insegnamento che noi siamo tutti parte della stessa famiglia umana”, chiarisce padre Ryscavage, che aggiunge: “Sostanzialmente, Ratzinger sostenne che quando i governi falliti diventano incapaci di proteggere le proprie popolazioni, oppure quando il governo stesso lancia attacchi su larga scala contro il proprio popolo le nazioni del mondo hanno la responsabilità morale di intervenire a protezione degli innocenti”. E questo potrebbe essere lo scenario siriano, dove ai fucili si alternano ora i gas e il numero dei morti cresce sempre più. Il punto è che “non è chiara la strategia dell’Amministrazione americana. Sono stati fatti tutti gli sforzi diplomatici? L’obiettivo è quello di prevenire futuri attacchi chimici? O vogliamo solo mostrare simbolicamente che noi abbiamo fatto qualcosa?”.
Insomma, per fare una guerra giusta ci vuole chiarezza sugli scopi. Come nel 2003, quando Bush andò in Iraq, scrive Rusty Reno, direttore del mensile cattolico First Things. Una chiarezza che, secondo quanto scrive Reno, il predecessore di Obama ha pagato. Ora, invece, l’America ha un presidente “che ha adottato un approccio essenzialmente retorico in politica estera, abbastanza vago da circoscrivere i rischi politici derivanti dal prendersi la responsabilità”. Non è tanto un problema di democratici o repubblicani, spiega Reno, “anche Romney avrebbe fatto lo stesso se fosse stato eletto”. E il direttore di First Things precisa subito di essere “tutt’altro che pacifista”. Ci sono dei casi, spiega, in cui fare la guerra è giusto. Ma ci sono dei princìpi da rispettare: “Uso proporzionale della forza, probabilità di successo, guerra come ultima spiaggia”. In tutte queste circostanze, però, “è richiesta chiarezza circa l’obiettivo strategico da perseguire”. Invece, alla Casa Bianca oggi non c’è un uomo noto per le sue gaffe, per l’aver scambiato la Slovacchia con la Slovenia, ma che in realtà “stabilì un obiettivo ambizioso e che ci ha costretti a essere moralmente seri”. Nello studio ovale siede invece un presidente convinto che Francis Fukuyama avesse ragione: a certe condizioni, tutto il mondo tende ad abbracciare il modello capitalistico-democratico. Inutile, quindi, andare a immischiarsi nei fatti altrui. Basta limitarsi a controllare, stando un passo indietro.

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