ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 17 gennaio 2014

Per chi suona la campana..?

Un destino parallelo

Corriere della Sera - Il segnale venuto dalle nomine cardinalizie annunciate domenica scorsa dal Papa non poteva essere più chiaro: all’interno della Chiesa cattolica l’Italia da oggi conta meno e conterà sempre meno. Non c’è bisogno di sottolineare che si tratta di una cesura storica profonda e di grandissimo significato.
La Chiesa di Roma, infatti, non solo rappresenta la più antica istituzione dell’Occidente, ma fino ad oggi era anche l’unica nella quale la presenza italiana è stata sempre centralissima se non egemone, a cominciare dalla lingua che in essa veniva usata come lingua di comunicazione abituale. Sarà sempre meno così. Come nell’Unione Europea, come in tanti altri ambiti, anche in questo la dimensione italiana, ciò che comunque porta il nome italiano, appare destinato a un declino. E naturalmente è difficile non pensare che alla fine tutto si tenga.
Ma perché è accaduto un tale fenomeno nel caso della Chiesa? Innanzitutto per una forma di sclerotizzazione. Alimentata da una tradizione culturale sempre alquanto scarsa; estranea ormai o lontana dalla vivificante atmosfera di conflitti sociali veri e veramente vissuti; illusa dalla finta sicurezza di un consenso pubblico apparentemente e tradizionalmente ultramaggioritario; oggetto continuo dell’ossequio ufficiale e al tempo stesso dotata grazie all’8 per mille di mezzi finanziari più che cospicui, la Chiesa italiana è venuta sempre più irrigidendosi in un organismo inteso all’amministrazione puramente burocratica del sacro. Si pensi alla sorte delle «Settimane sociali», un tempo occasione per la vivace messa a fuoco di aspetti cruciali della realtà del Paese e del ruolo dei cattolici, ma divenute con il tempo sede di dibattiti sempre più vuoti e stanchi. Forse superate in vuotaggine e stanchezza solo dalle relazioni mensili della presidenza della Conferenza episcopale.
Prime conseguenze di tutto ciò, da un lato lo scadimento qualitativo di una parte non indifferente del personale ecclesiastico medio-alto, dall’altro, per logica connessione, la crescita di casi di carrierismo, di camarillismo, di corruzione.
Si sono aggiunti i fenomeni tipici che fioriscono all’ombra della sclerotizzazione burocratica delle istituzioni: la crescita della protesta silenziosa dal basso con i «movimenti» e la loro autonomizzazione (anche perversa: si pensi al triste precipizio nel sottogoverno di Comunione e Liberazione), un marcato sentimento di non identificazione rispetto alle gerarchie di una parte del clero, specie di rango inferiore, la crescita delle divisioni e della spinta alla divisività tra i fedeli.
Qui si tocca un punto cruciale: la questione della politica, dal 1861 banco di prova scomodissimo ma ineluttabile dell’istituzione ecclesiastica nazionale. Nel marasma del nostro bipolarismo la Chiesa italiana si è trovata da una parte strattonata da settori politicizzati di laicato di sinistra, e dall’altra corteggiata spregiudicatamente dai vertici politici di destra. Anche se silenziosamente si è di fatto divisa, senza riuscire a costruirsi un ruolo spirituale e politico-culturale proprio. Un ruolo di peso, che si imponesse come tale ai contendenti, che riuscisse a offrirsi a tutto il corpo sociale come uno spazio di riflessione alta e vera, di interlocuzione non formale o «convegnistica». Le è mancata in questi anni una leadership realmente all’altezza della situazione. Ed è per questo che tutto lascia credere che per la Chiesa italiana proprio da qui stia per aprirsi un capitolo nuovo.

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