ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 26 gennaio 2014

Sommi Sacerdoti a loro insaputa..

Caifa era sommo sacerdote?

Nel Vangelo secondo Giovanni (XI, 45-53) si legge che Gesù aveva risuscitato Lazzaro morto da quattro giorni ed allora «molti giudei credettero»  (v. 45). Tuttavia altri andarono a denunziarlo ai farisei e sommi sacerdoti (vv. 46-47). Allora «i sommi sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio» (v. 47) per decretare giuridicamente la condanna a morte di Gesù che già avevano stabilito in cuor loro.
San Tommaso d’Aquino nel suo In evangelium Joannis expositio (lezione VII, par. II, n. 1567) spiega: «a proposito di quella riunione del sinedrio emerge la malvagità dei sommi sacerdoti che volevano far perire Gesù […] specialmente dalla condizione delle loro persone, poiché non si trattava di semplici fedeli o popolani, bensì di sacerdoti e farisei. Ora i sommi sacerdoti erano a capo delle cose sacre», eppure le misconoscevano e le odiavano nella persona di Gesù.

Attenzione! la malvagità dei sacerdoti dell’Antica Alleanza non era dovuta alla loro vita privata, ma all’incredulità nei confronti del Messia promesso dalla Rivelazione divina e alla volontà perversa e addirittura deicida di farlo morire, eppure essi son chiamati da tutti e quattro i Vangeli sempre “sommi sacerdoti”.
Inoltre  la loro malizia è estrema proprio perché sacerdoti, che sono posti a capo delle cose sacre e costoro invece le vìolano, mentre la colpevolezza dei fedeli è molto meno grave di quella dei capi in quanto li seguono proprio perché sacerdoti.
I capi sapevano chiaramente, come insegna s. Tommaso d’Aquino, (S. Th., III, q. 47, a. 5, 6; S. Th.,  II-II, q. 2, a. 7, 8) che Gesù era il Messia e volevano ignorare o non ammettere che era Dio (ignoranza affettata, che aggrava la colpevolezza).
 Il popolo, che nella maggior parte ha seguìto i capi, mentre un “piccolo resto” ha seguìto Cristo, ha avuto un’ignoranza non affettata o voluta, ma vincibile, quindi una colpa meno grave dei capi, ma oggettivamente o in sé grave (soggettivamente non lo sappiamo poiché nel cuore d’ogni singolo uomo solo Dio vi entra). Il popolo, che aveva visto i miracoli di Cristo, ha l’attenuante di aver seguìto il sommo sacerdote, il sinedrio, i capi; il suo peccato è grave in sé, anche se è diminuito in parte, non cancellato totalmente, da ignoranza vincibile ma non affettata (S. Th., ut supra).
San Giovanni prosegue: «ma uno di loro di nome Caifa, che era sommo sacerdote in quell’anno» (v. 49).
L’Angelico (lez. VII, par. V, n. 1574) commenta: «la persona che pronunziò la sentenza [di morte contro Gesù] viene indicata mediante il suo nome: “Caifa” e la sua dignità: “erasommo sacerdote”. In proposito va notato che il Signore aveva istituito (Levitico, VIII)un unico sommo sacerdote, alla cui morte soltanto doveva subentrare un successore che avrebbe esercitato l’ufficio di pontefice a vita. Ma in seguito, col crescere dell’ambizione e dei litigi tra i giudei, fu permesso che vi fossero più sommi sacerdoti, che esercitassero a turno tale dignità, uno ogni anno. Essi talora acquistavano la carica, come narra Giuseppe Flavio (Antichità giudaiche, lib. XX, cap. 10)».
La simonia praticamente esisteva già nell’Antica Alleanza, prima di Simon mago (Atti, VIII, 18), e non era un impedimento alla legittima detenzione dell’autorità da parte di chi l’avesse sacrilegamente comprata col denaro. Nel Levitico si legge che Dio aveva stabilito un solo sommo sacerdote a vita, ma poi – come per il divorzio – data la durezza di cuore dei giudei, fu concesso dalle autorità umane il diritto di eleggere più sommi sacerdoti che esercitassero il potere per un solo anno, l’uno dopo l’altro. Il “simoniaco”, nonostante sia un infedele, incredulo o ateo, che non crede a nulla neppure a Dio giacché compra col denaro cose spirituali come fossero materiali (cfr. S. Th., II-II, q- 100, a. 1), ha egualmente l’autorità spirituale che ha comprato, pure nella Nuova ed Eterna Alleanza, anche se ha commesso un peccato mortale di sacrilegio (San Pio X, Costituzione dogmatica Vacante Sede Apostolica, 25 dicembre 1904; Pio XI, motu proprio Cum proxime, 1° marzo 1922; Pio XII, Costituzione dogmatica Vacantis Apostolicae Sedis, 8 dicembre 1945).
La simonia è un peccato contro la Fede, anzi è il rinnegamento totale di essa (incredulità, infedeltà o irreligiosità) e non di uno o più articoli di Fede (eresia). Tuttavia non fa perdere l’autorità a chi l’ha rubata comprandola sacrilegamente.
San Girolamo nel suo Commento su Matteo IV (XXVI, 57) scrive: «narra Giuseppe Flavio che Caifa aveva acquistato per denaro da Erode il sommo pontificato per un solo anno. Non c’è quindi da stupirsi se questo malvagio pontefice giudica ingiustamente».
Il Vangelo prosegue e narra che Caifa disse allora: «è meglio che uno solo muoia per tutto il popolo» (v. 50). Poi San Giovanni aggiunge: «questo non lo disse da sé, ma, essendo sommo sacerdote, profetizzò» (v. 51).
Il Dottore Comune della Chiesa commenta (lez. VII,  par. VII, n. 1576): «quando un uomo parla usando la propria ragione, parla da se stesso, ma quando parla mosso da una causa superiore e per ispirazione esterna, non parla da sé». Poi (n. 1577) l’Angelico specifica: «avendo Giovanni aggiunto: “essendo Caifa sommo sacerdote in quell’anno”, Giovanni fa riferimento alla dignità pontificale di Caifa per dedurne che parlò in quel momento sotto la mozione dello Spirito Santo. Ciò ci fa capire che il Paraclito muove anche i malvagi costituiti in autorità ad esprimere certe cose future per l’utilità dei loro sudditi». Infine (n. 1579) l’Aquinate spiega che «lo Spirito Santo non rese buona la sua mente e volontà, le  quali rimasero intenzionate al male, ma solo la sua lingua a pronunziarsi in maniera tale che si sarebbe compiuta la salvezza e redenzione del popolo».
S. Agostino nel suo Commento su Giovanni (XI, 49-51, Discorso XLIX) spiega: «San Giovanni evangelista attribuisce ad un disegno divino il fatto che Caifa fosse pontefice, cioè sommo sacerdote».
Dio ha voluto che Caifa fosse sommo sacerdote per decretare con la bocca la morte di Gesù mediante la sua cattiva volontà, ma Dio stesso mosse solo la sua lingua a profetizzare la Redenzione del genere umano mediante la morte di Cristo, tuttavia la volontà di Caifa rimase malvagia ed egli, nonostante tutto, restò sommo sacerdote.
Il Vangelo secondo Matteo (XXVI, 65) narra che quando Gesù confessò, interrogato da Caifa, la sua divinità «il sommo sacerdote si stracciò le vesti». L’Aquinate nelle suaCatena aurea riporta il commento di diversi Padri della Chiesa su questo passaggio. Quello di San Girolamo è molto forte e va letto nel contesto della sua ‘Omelia 85 sul Vangelo di Matteo’ per essere capito bene: «Caifa per il fatto che si strappa le vesti  mostra o vaticina che gli ebrei hanno perduto la gloria sacerdotale e che è vuoto il trono del pontefice» (Catena aurea, Expositio in Mattthaeum, cap. XXVI, lez. 16, Torino, Marietti, 1953). Ora nel contesto dell’Omelia 85 di Girolamo in Matthaeum, si legge che «lo zelo rabbioso con cui Caifa straccia la sua veste, fu un vaticinio o una profezia della fine del sacerdozio dell’Antico Testamento, il quale sarebbe stato rimpiazzato, dopo il deicidio e la scissione del velo del Tempio, da quello del Nuovo ed Eterno Testamento sino alla fine del mondo» (Homilia in Matth., 85). Per cui il gesto di Caifa, come lo scindersi del velo del Tempio, mostra, profetizza o vaticina la fine dell’Antica Alleanza, ma ciò non significa che, secondo San Girolamo, Caifa non era sommo pontefice; infatti nel corso dell’Omelia 85 e del Commento IV a Matteo Girolamo continua a chiamare Caifa sommo pontefice come tutti i Vangeli e gli altri Padri della Chiesa.
San Gregorio Magno nel suo Sermone XLIV, 2 scrive: «Caifa strappando tutta la sua veste si privò del suo decoro di pontefice; infatti il Levitico (XXI, 10) insegna: “non stracciate le vostre vesti”. Lo stesso strappo che fa a pezzi il tuo abito e decoro sacerdotale presto straccerà a metà il velo del Tempio».
Sempre San Tommaso nella Catena aurea In Marcum (XIV, 63) cita San Leone Magno che commenta: «stracciandosi la veste Caifa, il sommo sacerdote, ignorando il significato profetico di questo gesto, si spoglia dell’onore sacerdotale, contravvenendo al Leviticocapitolo VIII: “non rompere i tuoi vestiti”. […]. Come per dimostrare che la Vecchia Legge sarebbe finita, quello strappo del suo ornamento sacerdotale è lo stesso che tra poco avrebbe stracciato il velo del Tempio», poi l’Angelico cita San Beda che scrive: «Caifa si straccia la veste, la tunica di Gesù non fu rotta neppure dai soldati che se la giocarono a sorte. Ciò è figura del sacerdozio dell’Antico patto, che sarebbe finito per colpa del deicidio, invece la saldezza della Chiesa, simboleggiata  dalla veste inconsutile di Cristo, non finirà mai».
Inoltre tutti i versetti dei quattro Vangeli chiamano Caifa “sommo sacerdote” e nessuno dei Padri che li hanno commentati  afferma che Caifa non fosse il sommo sacerdote.
L’abate Giuseppe Ricciotti nella sua Vita di Gesù Cristo (Milano, Mondadori, 5ed., 1974, 2° vol., par. 562-568, “Il Processo di Gesù davanti al Sinedrio”, pp. 642-648) chiama Caifa per ben sei volte “sommo sacerdote”; inoltre  (pagina 647, par. 567) scrive in maniera specifica: “Chi interrogava [Gesù] era rivestito dell’autorità somma e ufficiale in Israele. […]. Pericoloso che fosse, era ben giunto [per Gesù] il momento di dichiarare apertamente la propria qualità davanti all’intero Israele, rappresentato dal sommo sacerdote e dal Sinedrio”.
Quindi si deve concludere con i Padri della Chiesa, il Dottore Comune e gli esegeti approvati che Caifa era sommo sacerdote.
Monsignor Antonino Romeo nel Dizionario biblico diretto da monsignor Francesco Spadafora (Roma, Studium, 3a  ed.,1963, voce “Caifas”,  pp. 94-95) scrive: «Caifa, sommo sacerdote ebraico […] per 18 anni consecutivi (dal 18 al 36 d. C.). […]. Il consiglio di Caifa di sacrificare Cristo per salvare il popolo contiene due significati, l’uno voluto dall’empio sommo sacerdote e l’altro dallo Spirito Santo ed espresso da San Giovanni nel Vangelo».
 L’empietà di cui parla mons. Romeo riguarda  la mancanza di pietas (S. Th., II-II, q. 80 e 101), che è una parte potenziale della virtù di giustizia (II-II, qq. 58-79), la quale ci fa dare ad ognuno ciò che gli è dovuto. Quindi la pietà riguardo Dio è la virtù di religione (ivi, q. 81) ed esige l’adorazione (ivi, q. 84). La simonia (II-II, q. 100) è un peccato di empietà o irreligiosità, che consiste nell’irriverenza verso Dio e le cose sacre volendole acquistare col denaro.  Come si vede Caifa e i Pontefici irreligiosi, empi, atei o simoniaci peccano gravemente contro la Fede intera, ma restano egualmente – giuridicamente o canonicamente – pontefici, anche se – moralmente – sono gravemente peccatori.
d. Curzio Nitoglia
24/01/2014

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