~ COME I FEDELISSIMI DELLA TRADIZIONE CADONO VITTIME DELLA MODERNITÀ ~
Osservando di questi tempi il partito tradizionalista del cattolicesimo,
che si esplica soprattutto nei commenti e note ai blog oltreché
naturalmente negli articoli stessi chiosati (grande penetrazione
nell’apparato mediatico, scarsissima invece nell’editoria e nelle
università), viene da pensare a una somiglianza impressionante con il
Partito radicale. Vi si agitano infatti diritti del fedele che neppure
il Vaticano II ha mai tanto invocato, linguaggio dell’Assemblea
Costituente che seppelliva l’Ancien Régime, con promozione di atti
simbolici di ribellione, manifestazioni di piazza, raccolte e conta di
firme, occupazioni di chiese, preghiere protestatarie, critiche
irriverenti all’autorità. Senti chi parla, diranno di questo «Almanacco»
che negli ultimi mesi ha lasciato da parte le questioni dell’arte per
concentrarsi sull’argentino divenuto vescovo di Roma, lamentandosi senza
mezzi termini dei modi rozzi esibiti sulla cattedra di Pietro,
dell’abbraccio mortale con il mondo mediatico (e non sono affatto
questioni estetiche). Una piccola quanto sostanziale differenza però ci
pare sussista: è vero, andiamo ripetendo che il bianco pastore che ci è
capitato rappresenta una vera iattura, ma diamo anche per scontato che
Dio ce l’ha dato e noi ce lo dobbiamo tenere. Questo papa non ci piace: è
lecito affermarlo nell’inusuale modo schietto, ce lo consente
l’informalità imposta dal diretto interessato che predilige il pop, come
andiamo dicendo dall’inizio di questa storia (ben prima del vescovo di
Lincoln nel Nebraska, che quella subcultura americana mostra di
conoscere). Non è la prima volta nelle bimillenarie vicende della Chiesa
che dal Conclave viene fuori una infausta scelta, l’eletto magari è un
brav’uomo ma inadeguato al ruolo, con fedeli e clero borbottanti a mezza
bocca, mentre i più santi hanno il coraggio di Caterina (v.
l’«Almanacco» del 21 luglio 2013, «Invettive amorose per il papa»), che
esortava direttamente il papa a non cedere allo spirito del mondo. La
Catholica non confonde l’obbedienza con il culto rivolto alla divinità,
nonostante i flabelli che accompagnavano la sedia gestatoria del «Cristo
in terra». La santa senese ce lo ha insegnato: che il pontefice sia
riverito con i titoli di «signor nostro» e «dolce padre», ma al contempo
gli sia rammentata la sua natura umana.
Altro invece il giudizio teologico che ciascun fedele vuole pronunciare
quasi fosse un perfetto luterano, precipitando il papa che non
corrisponde al suo sentire nell’inferno dell’eresia. Sennonché è il
papa che decide dalla cattedra petrina chi è eretico, non il fedele a
casa, davanti a un computer, che con un clic ambirebbe scomunicare il
vicario di Cristo. Tragicomico il modo con cui viene aggirata la
dipendenza dei cattolici dal loro pontefice: se questi non dice quello
che noi vogliamo sentirci dire, se riteniamo che sbagli
l’interpretazione del Vangelo, ci spostiamo rapidamente dal côté
dei lefebvriani o se proprio ci fa arrabbiare dai cosiddetti
sedevacanzisti. Gli irruenti individui non si piegheranno
all’obbedienza, roba d’altri tempi. Che ne sanno loro dei patimenti
terribili che vissero i cattolici, preti e laici, che non capivano – o
capivano troppo bene – il loro pastore, che vedevano il papa schierarsi
contro la propria patria o città o casato, che si trovavano i loro
pensieri messi all’indice, e le sudate carte riempite con le migliori
intenzioni del mondo silenziate perché prive dell’imprimatur, condannate
a restare nei cassetti; che ne sanno di questo piegarsi di fronte alla
autorità di Roma, anche se la ragione e la scienza spingevano nella
direzione opposta; che importa del dramma di Galileo Galilei quando, in
qualità di cattolico, accetta di non affermare quel che la gerarchia
ecclesiastica gli proibisce di affermare. Oggi, basta ascoltare la voce
della coscienza, secondo l’insegnamento di Kant, che non è un padre
della Chiesa, e se non si è d’accordo con il papa, si passa a un’altra
‘Chiesa cattolica’, più piccola. C’è un ‘fai da te’ della tradizione, il
liberalismo selvaggio ha colpito anche in questo schieramento.
L’importante è che l’individuo abbia sempre i pieni poteri, i più
svariati diritti, la soddisfazione d’ogni desiderio. Più radicali di
così. Meno cattolici di così.
Se non viene concessa una santa messa nel rito latino – fatto
senz’altro deplorevole, sia ben chiaro, anzi suicida – viene subito
ingaggiata una piccola guerra civile nel cattolicesimo. Mai offrendo la
sofferenza provata nel vedere certe messe celebrate in modo sguaiato
come espiazione delle nostre colpe, alla vecchia maniera cristiana per
cui ogni dolore che ci viene incontro va benedetto e accolto, bensì
organizzando alla maniera dei politici campagne di dissenso e battaglie
giuridiche. Vi immaginate i santi fondatori della nostra storia se ogni
volta che non ricevevano da papi miopi l’approvazione della regola di
un nuovo ordine avessero aperto una contesa contro quel papa,
considerandolo un diavolaccio o l’Anticristo che preannuncia
l’Apocalisse? Qualcuno si comportò così, è vero, ma lo annoveriamo
ancora adesso tra gli scellerati eresiarchi, non tra i modelli
cattolici. A Padre Pio da Pietrelcina neppure quando gli strapparono i
penitenti – né quando, peggio ancora, Giovanni XXIII permise che si
collocasse il registratore nel confessionale per sacrileghe
intercettazioni – uscì mai una sola parola di dissenso, un accenno alla
persecuzione della gerarchia ecclesiastica. Soffrì in silenzio.
Rimproverò anzi, e in modo severo, quei laici che zitti non volevano
restare e, a cominciare dal focoso Emanuele Brunatto, partivano come
Don Chisciotte in sua difesa, all’attacco di vescovi depravati.
Né i laici o i circoli cattolici pensarono mai nel passato, per fedeltà
alla tradizione che a loro fosse parsa violata, di abbandonare la Chiesa
di Roma quando vi ravvisarono somma corruzione, papi simoniaci,
teologie traballanti, ingiustizie palesi, tradimento della missione
cristiana. Neppure i peggiori annunci della degenerazione del clero che i
pastorelli di La Salette raccontarono di aver udito dalla Madonna
apparsa loro prevedevano una fuoriuscita dalla Chiesa cattolica. Roma
sarebbe stata sempre più devastata dai demòni, vescovi e preti avrebbero
dimenticato Dio e la Chiesa avrebbe vissuto «una crisi molto profonda»,
non si parlava però di scissioni, di abbandoni. «Il Santo Padre
soffrirà molto», casomai, «Dio non sarà più onorato», «il maligno
entrerà in ogni casa», «molte grandi città saranno bruciate e quasi
distrutte, altre inghiottite dai terremoti. Tutti crederanno che sia
giunta la fine», ma i giusti resteranno nella Chiesa perseguitata anche
dall’alto della gerarchia. Né le parole del cardinal Ratzinger
pronunciate al Palatino con sinistro rimbombo durante la Via Crucis
della Pasqua 2005, sulla «navicella di Pietro [che] sembra stia
affondando», prevedeva l’abbandono della santa nave dei peccatori per
più agili barchette. E men che mai negli anni dell’infanzia e della
giovinezza di noi più vecchi, sotto il regno di Pio XII, i critici del progressismo
pacelliano – e ce ne furono – di fronte alla riforma liturgica della
Settimana Santa, per esempio, affidata al giovane e promettente Bugnini,
lo stesso che ideerà poco tempo dopo il Novus Ordo, si permisero di
affrontare il sommo pontefice quasi fosse un nemico. Si obbediva e si
mugugnava, come si è fatto per i secoli dei secoli, in attesa che i
misteriosi tornanti della Provvidenza rivelassero sempre grandi
consolazioni.
Si obietterà: i progressisti non disobbediscono forse ai papi che non
gli sono simpatici? Sicuramente, ma non c’è da meravigliarsi, vista la
ammirazione che nutrono per l’ideologia protestante. Coerenti con il
loro pensiero, mettono in discussione il primato di Roma, la potestà
assoluta del pontefice: tutto perciò si tiene. Per il luteran-cattolico
(mostro bicefalo contemporaneo), conta quel che è scritto nel Vangelo e
quel che dètta l’interpretazione della propria coscienza. Il resto
complicherebbe la vita del cristiano. Ma che un fedele alla tradizione
cattolica si richiami in prima persona al testo evangelico e ne rigetti
l’interpretazione del papa quando questa non coincide con la sua: ecco
un vero paradosso moderno. Il modo di concepire l’io rispetto
all’autorità, ai più che – secondo l’insegnamento della tradizione –
possiedono di per sé maggiore autorevolezza del singolo, l’abbandono
dello spirito di osservanza, del rapporto discepolo/maestro, questo è lo
stile moderno che si affaccia anche nel campo dei suoi avversari.
Progressisti e tradizionalisti mostrano altrettanta intolleranza
reciproca perché è in ballo l’affermazione di idee soggettive, prive
cioè della saggezza antica che tempera, comprende, conosce la fragilità
della natura umana, e dunque perdona spesso. Invece ormai è come se il
sapere diffuso bastasse a sottrarre il fedele al magistero gerarchico,
producendo un incrocio tra ribellismo protestante e gnosi. E a sua volta
il magistero ha perduto l’aura di rispetto, non la esigono più i
vescovi, su su fino a quello supremo, né rispettosi si mostrano i
fedeli, fenomeno affine a quello che si riscontra nelle università
dell’Occidente, svuotate della deferenza, dell’ordine di importanza,
costrette a mimare il discorso democratico in cui tutti mettono bocca
senza che alcuno possa chiedere in nome di quale competenza si
intervenga.
Così l’elemento tragico viene ignorato dai due opposti interpreti del
cattolicesimo: da chi opina cioè che basti andare incontro al mondo
moderno perché prima o poi appaia l’armonia nascosta tra il messaggio
evangelico e la società umana, che insomma gli ostacoli derivino solo
dalle arretratezze, ragion per cui si tratterebbe di superare in una
interminabile e affannosissima corsa i famosi «ritardi»; dall’altro polo
intanto si è convinti che l’armonica civiltà cristiana (medioevale o
tridentina, ottocentesca o semplicemente pacelliana) si ricostituisca
ignorando il Moderno, mettendolo tra parentesi, mai misurandosi con un
simile negatore dei dogmi cattolici, neppure per un vero esorcismo.
Questa ultima posizione, ai nostri occhi almeno, risulta sicuramente più
praticabile purché si scelga il minoritarismo come destino, riducendosi
ad anacoreti, a eletti, a invisibile setta, decidendo di abbandonare i
popoli d’Occidente e d’Oriente alla loro idolatria del consumo. Il
proselitismo davvero non è più all’ordine del giorno per Roma? Finito,
almeno per il prossimo secolo, il rapporto con la scena pubblica, con il
potere politico che fece da contrappunto alla Catholica per tutta la
sua storia? Una religione della interiorità, dunque? E tutto ciò, di
grazia, cosa avrebbe a che vedere con la tradizione cattolica?
Se il Concilio è corso incontro al mondo ed è rimasto stritolato nelle
braccia del Moderno chi, anche sul piano genericamente culturale, ha
offerto invece una risposta all’altezza dello scontro? Là dove anche il
marxismo, che pure ne era figlio legittimo, è stato devastato dalle
forme subdole dell’avversario, atte a rendere innocua l’immane violenza
con cui voleva rivoluzionare quel mondo, potrebbero forse uscirne
incolumi i preti d’altri tempi , che chiudono gli occhi di fronte a
quelle sottili lusinghe e che a occhi chiusi lanciano loro anatemi?
Qualche suggestione viene dalla Chiesa ortodossa che mantiene la
‘liturgia di sempre’ anche per fedeli post-sovietici ormai asserviti
alle merci. Ma l’Occidente è ancora il più moderno, pratica da tempo il
culto nichilista del tramonto, mentre laggiù sembra sia ancora in corso
l’accumulazione selvaggia dell’ottimistica fede borghese.
Il sentimentalismo di derivazione romantica, l’emotività costante come
una febbre maligna che ci accompagna nello schierarci sulla scena
mediatica fa sì che venga lasciato in ombra il gesto inspiegabile, e
imperdonabile, del papa che suscitò speranze e dispensò consolazioni
straordinarie. Proprio colui che parve tornare a combattere i pericoli
più minacciosi del mondo moderno ne cadde poi vittima con quelle
dimissioni che pareggiarono il pontificato romano agli altri uffici
secolari. Non fu forse questa la causa scatenante di tutte le rivalse
dei conciliarismi più accesi? Il cedimento tragico all’onnipotenza del
Moderno? E come è stato spiegato negli ambienti della tradizione? Alla
maniera più corrente ai nostri tempi, con la forma del ‘giallo’, del
mistero poliziesco, non divino. Non bastarono le liturgie tornate alla
dignità delle cose celesti né il motu proprio che permetteva di
sottrarre la messa alle fantasie dei moderni, né le teologie sottili, né
la distanza dalla vulgata conciliare: tutto fu reso vano da quel papa
pensionato, dal titolo di ‘emerito’ rubato agli ambienti
dell’università, dalla convivenza con un altro papa. La compresenza di
due papi fece più male della collegialità spinta. L’11 febbraio 2013 è
una data tremenda. La venerazione per il mite pontefice tedesco resta,
ma il turbamento prodotto dalla sua rinuncia rappresenta un colpo
terrificante alla Chiesa di Roma già nel caos. Il tripudio dei laici
progressisti come dei ‘cattolici adulti’ per l’abbandono di Benedetto,
per la sua attuale clandestinità, fa il paio con il successivo tripudio
per il nuovo vescovo di Roma venuto dagli antipodi.
Che un gruppo di laici con qualche sparuto prete del giro pretenda di
stabilire se un papa è ortodosso o meno è faccenda decisamente moderna,
un frutto velenoso del Novecento. L’altra faccia del Modernismo. Lo
spirito conciliare spinse tanto in questa direzione che anche i suoi più
decisi avversari ne hanno accettato le conseguenze. È umano infatti che
si voglia influenzare la gerarchia con il proprio sapere, il proprio
gusto, la voce della propria coscienza, ma la tradizione insegna che
sarà necessario poi inchinarsi di fronte al consenso dei superiori
(parola ormai dimenticata). Perché anche la libertà di movimento dei
laici ha un limite, quel limite sempre irriso dal mondo protestante: le
regole ante Concilio prevedevano addirittura che lo scritto di un
cattolico a causa di una sfumata interpretazione, per qualche pagina
appena poco accetta al papa o ai suoi cardinali, potesse destare
l’attenzione del Sant’Uffizio ed essere quindi sottratta d’imperio
all’occhio cattolico di tutto l’orbe. Quante pie anime furono ferite
dall’esser messe con i loro libri in quell’elenco. Quanta indignazione
provocava un simile esercizio di umiltà tra i superbi e saccenti
protestanti. Se l’Argentino restaurasse l’Index librorum prohibitorum,
con le norme di sempre, quanti scritti nostri, compresi quelli
dell’«Almanacco», vi finirebbero seduta stante. Signori, questo è il
cattolicesimo come si è tramandato nei secoli. Liberi di costruirne un
altro, di credere che il Vaticano sia diventato la Nuova Babilonia –
secondo le indicazioni del frate sassone –, ma insopportabile il
dentro-fuori l’Ecclesia, avendo come riserva un cattolicesimo
lillipuziano, a misura dei desideri di ciascuno, una setta per la
Rifondazione del cattolicesimo, quello dell’anno zero, dell’azzeramento
della storia, tralasciando il particolare che l’incarnazione è avvenuta
nella storia e la questione cruciale del cattolicesimo costantiniano sta
in quel rapporto con la storia del mondo. I primi successori di Pietro
non ebbero paura di venire a patti con l’Impero dei persecutori, con la
Roma dei pagani. Altrimenti sarebbero rimasti degli eremiti che
attendono il ritorno di Cristo nascosti tra le piccole schiere dei
prescelti, in opposizione furiosa al costantinianesimo, ai papi con il
triregno in capo, all’organizzazione giuridica della Chiesa romana.
Tuttavia sappiamo benissimo che la ideologia contemporanea è più subdola
di quella dei crocifissori. E conosciamo la debolezza della cultura
cattolica di fronte alla modernità incantatrice, è il nostro rovello.
Proviamo allora a sentire una parola meno pessimista da uno scrittore
che si trovò a vivere all’alba di questa modernità, all’inizio del lungo
duello tra cultura laica (scienza, politica, economia, arte) e
cattolicesimo. Nella parte seconda delle Osservazioni sulla morale cattolica,
rimasta inedita fino alla superba edizione di quell’opera curata da
Romano Amerio, Alessandro Manzoni affronta l’argomento dello «Spirito
del secolo» pur precisando subito: «Un’accusa che si fa comunemente ai
nostri giorni alla Religione cattolica è ch’ella sia in opposizione
collo spirito del secolo. Questa accusa può in un senso essere dalla
Religione ricevuta come un elogio: se per spirito del secolo s’intende
la tendenza violenta ad alcune cose transitorie come beni da ricercarsi
per sè, l’amore e l’odio insomma delle creature non diretto ai fini
voluti da Dio, la Religione si protesta, come sempre si è protestata,
nemica di questo spirito; e quando venisse a far tregua con esso, allora
si potrebbe trovarla in contraddizione e diffidare di essa. Guai alla
Chiesa se ella facesse un giorno pace col mondo! se desistesse dalla
guerra che il Vangelo ha intimata, e che ha lasciata alla Chiesa come la
sua occupazione e il suo dovere; ma questo timore non può mai esser
fondato, perché l’espressa parola di Gesù Cristo assicura il contrario».
Erano trascorsi pochi anni da quando un papa imprigionato e deportato a
Parigi aveva chinato il capo di fronte al re dei rivoluzionari,
incoronandolo imperatore: più pace col mondo di questo simbolico atto!
Però la fede di Manzoni lo teneva lontano dai circoli dell’umor nero,
dagli apocalittici per gusto del negativo. La fede e la ragione sapevano
fargli intuire che la Catholica non è arrivata alla meta per simili
gesti atroci. Né – si potrebbe dire oggi – l’Onu che sembrò divenire
sotto Paolo VI la succursale della Santa Sede ha assicurato quella
tregua con i papi che tutti temevamo: quando uno meno se lo aspetta,
ecco arrivare una nuova dichiarazione di guerra alla Chiesa cattolica,
nonostante il clima mieloso che i laici hanno recentemente inaugurato,
ben ricambiati, con il vescovo di Roma.
Il nostro equilibratissimo romanziere, il cattolico che non peccava mai
di estremismo malgrado il romanticismo di fondo, riteneva che il mondo
non fosse comunque tutto da dannare, ché la storia mostrava come il
cristianesimo avesse a tal punto modificato e migliorato gli umani
costumi che il regno di quaggiù non era più un semplice sinonimo
dell’inferno. Delle distinzioni andavano fatte. «Uno dei caratteri dello
spirito predominante di tutti i secoli è una forte persuasione di
alcune idee che degenera in tirannia di opinione, che condanna chi lo
contraddice a passare per ignorante o per male intenzionato». E più
avanti, riecheggiando simile «tirannia»: «Queste idee predominanti in
un’epoca si chiamano di moda vocabolo che dovrebbe per sè
renderle sospette perché significa: essere determinato a seguire un
sentimento o un uso dell’autorità, escluso l’esame». Adesso siamo
ricolmi di tale moda, totalitarismo dell’opinione che impedisce
l’«esame». Ma l’esame della ragione, il dialogo con i moderni, non era
affatto escluso dal devoto amico di Rosmini. Inutile lasciarsi chiudere
in una riserva. La cultura cattolica vuole conquistare la storia.
Al capitolo VII di quella Seconda parte delle Osservazioni,
Manzoni affronta le «controversie tra cattolici», un altro tema caldo ai
nostri giorni. «V’ha delle controversie inevitabili: condannarle tutte
sarebbe lo stesso che dire che allorquando un errore si manifesti,
bisogna permettergli di diffondersi senza combatterlo. Se non si
disputasse che contro l’errore, quale cristiano potrebbe condannare una
guerra sì necessaria, desiderare che si deponessero le armi della fede,
che si venisse nella Chiesa ad una pace che non sarebbe l’opera della
giustizia e della verità?». Non era un irenista. Ci sono punti
indiscutibili, «valori non negoziabili» li chiamano i giornali. «Certo
non bisogna sacrificare la verità a nessuna cosa, nemmeno alla
concordia», però si lasci disputare chi è addentro alle questioni
teoriche, quelli che son meno esperti si limitino «a pregare per gli uni
e per gli altri, e chi dubiterà che le dispute non diminuiranno di
quantità, di intensità e di durata?». Non ci si lasci andare alla mimesi
delle discussioni parlamentari e degli show televisivi. Non si prenda
l’andazzo mondano, il tono moderno – aggiungerebbe forse oggi. Nei
confronti delle persone che «errano nella fede», i cristiani si
comportano in modo diverso: «la carità obbliga ad amarli, a compatirli, a
pregare per loro e a dissentire da loro». «Invece di denunziargli al
giudizio altrui, avvicinatevi a loro, interrogategli, e vedrete forse
che invece di gridare contro di essi, non vi resta che a piangere sopra
di voi». Alle prese con le trappole moderne, dove la bella tradizione
viene facilmente inghiottita, c’è da piangere tutti.
Il saggio Don Lisander si raccomanda, e pare rivolgersi alla nostra
rete di disperati della forma antica: non si tratta di una polemica
letteraria che può prendere le espressioni più feroci, qui si parla di
Dio. «Voi credete di poter fare quello che compete alla Chiesa, di
condannare gli erranti, e più ancora, voi credete di poterlo fare senza
quelle formalità indispensabili, che la Chiesa stima essenziali
all’esercizio della sua autorità sui suoi figli […] Voi fate il
giudizio, e lo applicate, voi portate la sentenza senza autorità, e
senza processo, voi pretendete secondare le intenzioni della Chiesa, ma
chi ve le ha rivelate, chi vi ha costituito giudice?». (A. Manzoni, Osservazioni sulla morale cattolica, Ricciardi editore, Milano-Napoli, MCMLXI, vol. II, pp. 413 e passim).
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