"È meraviglioso incontrarla”: la sfera e il poliedro, a vederli finalmente uno accanto all’altro, dopo un anno di segnali a distanza, sembrano destinati a comporre un magnifico quadro astratto, più che una figura geometrica funzionale.
Il globalismo omologante di Obama, “dove non vi sono differenze tra un punto e l’altro”, e l’universalismo multiculturale di Bergoglio, come “confluenza di tutte le parzialità, che in esso mantengono la loro originalità”, prospettano modelli oggettivamente divergenti, nonostante l’impegno soggettivo alla convergenza mostrato oggi dai protagonisti.

Al di là della performance mediatica, scontata e comunque spettacolare tra due grandi comunicatori, è questa la percezione che emerge dal summit tra le leadership più fashion del pianeta, rimesse a lucido dagli attuali titolari. Un confronto dove l’intesa personale supplisce per un giorno alle intese strategiche. L’impatto visivo ai risultati operativi. Il feeling allo screening.
A metà esatta della Quaresima, il calendario ha fatto incontrare gli artefici di due risurrezioni, quale pezzo forte della preparazione alla Pasqua. Lo Spirito Santo ha confermato che all’ombra della cupola il suo stato di “grazia” non si è esaurito con il conclave, ma continua con ritmo impressionante a scrivere storia e riservare sorprese, non prive di humour, fedele alla propria matrice etimologica, che lo vuole non solo ispiratore, ma pure “spiritoso”.
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Obama incontra il Papa
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Bergoglio e Obama erano partiti entrambi come candidati impossibili. Figli della disperazione o quanto meno di una depressione morale e umorale dei propri “popoli”. Eletti quando le rispettive istituzioni parevano avviate a toccare il fondo.
Due “assi” usciti dalla manica della Chiesa e dell’America e calati questa mattina uno di fronte all’altro in un singolare rovesciamento anagrafico. Se per il giovane Presidente, a dispetto dei venticinque anni che li separano, è cominciata la parabola discendente, alla ricerca di sprazzi che ne rendano luminoso il tramonto, l’anziano Pontefice continua invece la propria formidabile ascesa, con lo slancio francescano e l’accortezza gesuitica di non compiere passi falsi.
Quello tra il Successore di Pietro e l’odierno capo dell’Occidente, non è soltanto un incontro tra due uomini, bensì tra due simboli. Un classico che va in scena da mille anni almeno e dopo la parentesi dell’idillio tra Bush e Ratzinger è tornato a esibire le sue polarità e i suoi contrasti. Soft power versus hard power, in una edizione postmoderna delle lotte tra papato e impero. Il neotemporalismo mediatico del Papa che ha riconquistato con travolgente avanzata i territori dell’etere e il neospiritualismo di un presidente che ha rinunciato a convertire il mondo con la forza, non alla tentazione di parlare ex cathedra.
“Noi siamo gli Stati Uniti d’America e non dobbiamo e non possiamo distogliere lo sguardo”, aveva dichiarato in estate durante la crisi siriana, ribadendo un “destino manifesto” e un mandato missionario a cui Bergoglio di converso ha negato l’investitura, ergendogli contro un’onda di dissenso planetario e sbarrando la via del Mar Rosso alle navi USA. Come Mosè con i carri del faraone.
Difficile immaginare che Obama non si sia chiesto, e forse non abbia chiesto a bruciapelo al Pontefice, nel corso dei cinquanta minuti face to face, una ragione del diverso, pragmatico trattamento usato a Putin, evitando persino di pronunciare il nome della Crimea, in ossequio alla Ostpolitik ecumenica e al realismo diplomatico.
A confronto del Cremlino e delle altre cancellerie, Washington sconta la colpa di avere inizialmente sottovalutato natura e portata, incidenza e conseguenze dell’effetto Francesco sulla politica mondiale.
La visita di Obama in Vaticano si colloca infatti al di là della boa del primo anniversario di pontificato, con quattro mesi di ritardo su Vladimir Putin e dieci su Angela Merkel, che ha già incontrato il Papa due volte. Per non dire dei leader latinoamericani accorsi solertemente ad limina, guidati dalle dame Dilma Rousseff e Cristina Kirchner, che ha sotterrato l’ascia di guerra degli aspri trascorsi argentini tra lei e il cardinale arcivescovo di Buenos Aires.
Per recuperare il gap, sotto l’abile regia del vescovo Vincenzo Paglia, l’incontro di oggi è stato dunque preceduto di quarantotto ore dalla presentazione della kermesse mondiale delle famiglie, che si svolgerà dal 22 al 27 settembre 2015 a Filadelfia, in coincidenza con il settantesimo delle Nazioni Unite, offrendo al tennista Obama l’opportunità di scodellare in volée al Pontefice un irrinunciabile invito negli States.
Ma proprio l’italoamericano Bergoglio, nella città della Liberty Bell, potrebbe piazzare lo smash decisivo, emulando l’ascesa trionfale di Rocky Balboa sulla cinematografica scalinata dell’Art Museum e sul ring dei temi eticamente sensibili, strappando al Presidente la corona di peso massimo dell’audience e vincendo il suo Super Bowl in contropiede, secondo lo stile da quarterback coriaceo e imprevedibile che lo distingue, tra fulminee fughe in avanti e astuti passaggi indietro.
Varcando la soglia dell’appartamento e avvicinandosi alla Sala del Tronetto, il Presidente ha provato il brivido e il dubbio della nemesi dell’apprendista stregone, che perseguita sistematicamente l’America in questo quarto di secolo tra la vecchia e la nuova guerra fredda, dalle vette afgane alle lande irachene.
Gli Stati Uniti, che con l’iniziativa e il blocco elettorale dei loro cardinali hanno contribuito in modo determinante a portare il papato oltreoceano, si ritrovano nel cortile di casa il più temibile dei competitor: l’unico a disporre di un disegno strategico alternativo al sogno americano.
Come abbiamo già scritto sei mesi fa, mai un Pontefice si era mostrato così vicino e lontano al tempo stesso. Francesco proviene infatti dal medesimo emisfero e contestualmente da quello opposto. Sudista prima che occidentale.
Il Dipartimento di Stato è consapevole di avere perso con Ratzinger il più filoamericano dei papi: un Tocqueville dei nostri giorni, teorico della “civil religion” evocata da Obama nel discorso inaugurale del secondo mandato. Una concezione che coglie nei valori cristiani l’humus e il biocarburante indispensabile al funzionamento della democrazia e di cui gli Stati Uniti, secondo Benedetto XVI, custodiscono la formula originaria e costituiscono la riserva strategica.
Francesco non ignora e riconosce l’importanza delle basi spirituali di un popolo. Ma non cede a fascinazioni aprioristiche, considerando piuttosto gli esiti sostanziali dell’American Way e valutando l’attitudine a promuovere, e approvare, politiche inclusive, non solo di contrasto alla povertà, ma di superamento della mentalità individualistica, dentro e fuori i confini.
“Una delle qualità che ammiro di più nel Santo Padre”, ha dichiarato a riguardo il Presidente al Corriere della Sera, “è il suo coraggio nel parlare senza peli sulla lingua delle sfide economiche e sociali più grandi che ci troviamo ad affrontare nel nostro tempo. Questo non significa che siamo d’accordo su tutte le questioni, ma sono convinto che la sua sia una voce che il mondo deve ascoltare”.
Tornando dunque alla metafora pittorica con cui abbiamo aperto la nostra riflessione, Obama non ha trovato sul Colle Vaticano un “cherry blossom”, ossia la rosea fioritura e la frizzante atmosfera che colora e incanta Washington in questo periodo dell’anno.
A differenza dell’era Clinton, in cui la geopolitica univa e la bioetica separava, o viceversa dell’era Bush, in cui accadeva simmetricamente l’opposto, per la prima volta Santa Sede e Stati Uniti appaiono divisi su ambedue i tavoli.
Leggendo fra le righe del comunicato finale, il Vaticano manda sebbene sottovoce un messaggio al Cremlino, auspicando “per le aree di conflitto il rispetto del diritto umanitario e del diritto internazionale e una soluzione negoziale tra le parti coinvolte”. Al tempo stesso amplifica però le rimostranze dei vescovi nei confronti del governo federale, assumendo a termometro della collaborazione tra Chiesa e Stato e delle stesse relazioni bilaterali l’effettivo esercizio dei diritti “alla libertà religiosa, alla vita e all’obiezione di coscienza”, come pure i progressi della riforma migratoria, con riferimento alla clandestinità di molti latinos, in stragrande maggioranza cattolici e in grado di modificare i rapporti demografici tra le confessioni cristiane.
Al di là dei temi specifici, tuttavia, il vertice doveva verificare anzitutto se tra le due potenze, spirituale e temporale, permanga il sentimento e l’intento di fare coppia. Se cioè in ultima analisi, anche in assenza di slanci passionali e ciliegi in fiore, i semi del giardino della Casa Bianca, che il Presidente ha donato a Francesco, siano comunque destinati a sbocciare in fiori d’arancio, in un futuro prossimo.
Uscendo dal Vaticano e dal vis à vis con il “poliedro” Bergoglio, nelle sue molteplici sfaccettature, la sfera a stelle e strisce del pianeta Obama, abituata a sentirsi al centro dell’universo, ha chiaramente avvertito attorno a sé la suggestione di un paesaggio in evoluzione, a geometrie variabili.
E si è avviata verso il Quirinale, antica reggia dei pontefici, con il presagio che il quadro astratto possa prendere vita. Che il disegno diventi magnetico. E che il Papa ispanico e peronista, ecumenico e orientalista, trasformi l’asse con Mosca in un triangolo con Pechino. Dando cornice, e orizzonte, spirituale ai nuovi equilibri temporali del mondo globalizzato.
Papi e presidenti Usa nella storia
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AP
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