Il cardinale Timothy Dolan, arcivescovo di Nuova York [nella foto], ha rilasciato, tempo fa, un’intervista alla NBC sul deprimente e scandaloso tema delle unioni omosessuali, annunciando che papa Bergoglio “studia le unioni gay, cercando di capirne le ragioni”.
L’intera intervista è l’esempio di quel nefasto linguaggio che Romano Amerio definiva, con dotto termine, “circiterista” poggiante sul “circiter” latino, equivalente all’italico “circa”: dire/ non dire, negare/ammettere, si/no, no/però, mai/tuttavia -
Noi, senza togliere valore semantico all’attribuzione ameriana, definiamo tale discorsività come vera, smaccata e propria ipocrisìa non priva di dissacrante e supponente superbia intellettuale. Il Papa, insomma, ancora non sa perché in taluni Stati del mondo si stia imponendo il tristo costume delle unioni omosessuali e vuol vederci chiaro. Vuole “studiare per capirne le ragioni”.
Ora, noi che da decenni fatichiamo su noi stessi, sulle carte e sulla storia, in continua ricerca dei perché, sappiamo per esperienza che ci son argomenti di cui è necessario tentare lo scavo per cavarne le ragioni interne che spesso non appaiono, ed argomenti che si qualificano da sé medesimi per quanto lineari, chiari e indeclinabili sono. Studiare per capire le ragioni per cui le anguille sciamano, in tempo di riproduzione, verso il Mar dei Sargassi o cercare le ragioni per le quali il clima determina i tipi della flora, è cosa di ovvia impresa dacché non tutti i meccanismi di natura sono evidenti, compresi i fenomeni e l’eziologìa delle patologie fisiche che affliggono l’uomo e di cui si occupa la medicina. Ma voler studiare i motivi costitutivi di un fenomeno immorale, quale è l’infame unione sodomitica, e la sua giustificazione “de jure”, tema che giàQualcuno ha definito dall’eternità bollandolo come sacrilegio, atto contro natura e degno della perdizione eterna, pare debba essere inteso come:
1) ignoranza dottrinario/teologica - 2) superbia intellettuale - 3)condiscendenza alle voglie del mondo.
Prima di ricordare all’ipocrito prelato, e allo smemorato pontefice, i luoghi della Scrittura in cui la voce stessa di Dio stabilisce il suo giudizio, riportiamo, quale esempio di contorsionismo logico il testo dell’intervista tratto da - Il Messaggero on line - 09 marzo 2014.
«Papa Francesco vuole studiare le unioni gay (!) per capire come mai alcuni Stati hanno scelto di legalizzare le unioni civili delle coppie omosessuali. Lo ha detto alla NBC il cardinale di New York Timothy Dolan precisando che il papa non ha espresso nessun tipo di approvazione nei confronti di tali unioni. Il papa “non è arrivato e ha detto che è a favore”- ha precisato il cardinale Dolan, aggiungendo che ciò che Francesco ha affermato è che la Chiesa deve cercare e vedere “le ragioni” che hanno indotto alcuni Stati a legalizzare le unioni civili delle coppie gay, “piuttosto che condannare prontamente… poniamo domande sul perché questo ha fatto presa su alcune persone”. Il cardinale ha quindi affermato di ritenere che il matrimonio tra un uomo e una donna “non è qualcosa che riguarda solo la religione, i sacramenti… è anche un elemento della costruzione e della cultura. Pertanto, appartiene alla cultura. E se in qualche modo annacquiamo il significato sacro del matrimonio, temo che non soffra solo la Chiesa, temo che ne soffrano anche la cultura e la società».
Capolavoro di dolo intellettuale e di manipolazione logica!
Il Papa studierà le unioni gay per scoprirne le ragioni, perché mai (!) taluni Stati le legalizzino. Bene: e quando le avrà trovate, che se ne farà?
Perché, è facilissimo trovarle: basta riflettere sul ruolo di Satana, sul suo disegno e sullo scopo delle sue azioni, perché le ragioni sue e quelle del mondo appaiano evidenti: sfasciare la famiglia naturale a vantaggio di una promiscuità che nemmeno le bestie praticano, nella creazione di una società corrotta e degradata, e tutto in nome del diritto individuale.
La disonesta strategìa, che si mette in moto con queste folli dichiarazioni, fa forza sul manipolato concetto di misericordia e su quell’infausto “Chi sono io per giudicare un gay?” da cui ne deriva la accattivante, untuosa e slombata e codarda ritrosìa a condannare. C’è, quindi, un nuovo stile: non condannarema porre domande, così come non convertire ma camminare insieme; uno stile che sarà l’emblema nel prossimo Sinodo.
Amici lettori, attenzione: il Papa “sta cercando di capire”: siffatta dichiarazione, con l’uso del verbo “cercare”, dice che, in questa fase di studio, il Papa trova difficoltà a scorgere, nel quadro, i motivi e i presupposti che lo giustificano.
Eh, sì! perché il verbo “cercare” sta a significare l’opera di chi non ha ancora trovato il bandolo della matassa, in questo caso, papa Bergoglio che non ha ancora ben compreso il sesto Comandamento, quello che proibisce l’atto impuro – e tale è la sodomia - perciò studia, e cerca, nell’intento di capire perché mai il Signore abbia voluto inserire tale ordine nel Decalogo e perché mai gli uomini tentino di scardinarlo.
Ci si dirà che non è questa la visione di Sua Santità. Certo, ma cercando di capire perché mai alcune nazioni vogliono inserire nelle proprie norme giuridiche la sodomia è come se egli dubitasse dei Comandamenti.
Il cardinale, poi, ritiene, bontà sua, il matrimonio tra uomo e donna qualcosa di positivo che, disturbato, incide sulla cultura e sulla società.
Bravo! Ritenere, è verbo che aggetta nell’area del soggettivismo, del relativismo con tutte le debolezze e le insidie che, nei confronti del dogma, si generano. Sul dogma – cioè, sulla blasfema unione omosessuale e sulla santità del matrimonio sacramentale – non si esercita il predicato verbale del “ritenere” ma prevale il predicato nominale, la copula “è”: il matrimonio tra uomo e donna è l’unica forma di unione, così come la sodomia è peccato gravissimo contro Dio e contro la natura. Punto e basta. C’è niente da studiare.
Poiché sembra evidente che tanto il prelato che il pontefice difettino di buone basi dottrinarie, e di poca fede in Colui che è VIA/VERITA’/VITA, ci assumiamo, con umiltà e modestia oltre che con rispetto ma con franchezza, l’incarico di rammentare loro alcuni passi della Scrittura in cui la voce che parla non è la nostra o quella di Scalfari o quella di De Bortoli o quella di Maradiaga, ma quella del Signore degli Eserciti, del Legislatore che ha, senza circiterismi o perifrasi buoniste, ipocrite e untuose, scolpito sulla roccia delle montagne e nel cuore dell’uomo i suoi Comandamenti.
Ecco alcuni esempi:
1 - “Disse dunque il Signore: - Il clamore delle colpe che giunge a Me da Sodoma e da Gomorra è grande, e il loro peccato è molto grave” (Gen. 18, 20);
2 - “Fa’ uscire da questo luogo generi, figli e figlie e chiunque de’ tuoi si trovi in questa città [Sodoma] perché noi siamo qui per distruggere questo luogo: grande è il clamore dei peccati che da loro si è innalzato al Signore, e il Signore ci ha mandato a distruggerlo” (Gen. 19, 12/13);
3 - “Io sono il Signore: non giacere con un maschio come si fa con una donna. È cosa abominevole” (Lev. 17, 22);
4 - “Chiunque commetterà una di tali azioni abominevoli [sodomia], tutti quelli che le commettono, saranno sterminati di mezzo al popolo” (Lev. 17, 29);
5 - “Se un uomo giace con un altro uomo come si fa con la donna, tutti e due hanno commesso una cosa abominevole: siano messi a morte. Il loro sangue ricada sopra di loro” (Lev. 20,13);
6 - “Per questo, Iddio li ha abbandonati a delle turpi passioni. Le loro donne infatti hanno cambiato l’uso naturale in quello che è contro natura; e gli uomini pure, abbandonato l’uso naturale della donna, si sono accesi di perversi desiderii gli uni per gli altri, commettendo turpitudini maschi con maschi, ricevendo in se stessi la mercede meritata dal loro pervertimento” (Rom. 1, 26/27);
7 - “Quello che ho inteso dirvi ora è di non aver relazione con chiunque, anche se ha nome di fratello, sia fornicatore, avaro, idolatra, maldicente, ubriacone, ladro: con gente simile non dovete neppure prendere cibo insieme.” (I Cor. 5, 11);
8 - “Non sapete voi che gli ingiusti non possederanno il regno di Dio? Attenti a non illudervi: né fornicatori, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapitori saranno eredi del regno di Dio” (I Cor. 6, 9/10);
9 - “Sappiatelo bene: nessun fornicatore, nessun impudico, nessun avaro… partecipa al regno di Cristo Dio” (Ef. 5, 7),
10 - “Bisogna tener presente che la Legge non è fatta per il giusto, bensì per i cattivi e i ribelli, gli empi e i peccatori, per i sacrileghi e i profanatori, i parricidi e i matricidi, gli omicidi, gli impudichi, i sodomiti, i commercianti di uomini…” (I Tim. 1, 9/10).
2 - “Fa’ uscire da questo luogo generi, figli e figlie e chiunque de’ tuoi si trovi in questa città [Sodoma] perché noi siamo qui per distruggere questo luogo: grande è il clamore dei peccati che da loro si è innalzato al Signore, e il Signore ci ha mandato a distruggerlo” (Gen. 19, 12/13);
3 - “Io sono il Signore: non giacere con un maschio come si fa con una donna. È cosa abominevole” (Lev. 17, 22);
4 - “Chiunque commetterà una di tali azioni abominevoli [sodomia], tutti quelli che le commettono, saranno sterminati di mezzo al popolo” (Lev. 17, 29);
5 - “Se un uomo giace con un altro uomo come si fa con la donna, tutti e due hanno commesso una cosa abominevole: siano messi a morte. Il loro sangue ricada sopra di loro” (Lev. 20,13);
6 - “Per questo, Iddio li ha abbandonati a delle turpi passioni. Le loro donne infatti hanno cambiato l’uso naturale in quello che è contro natura; e gli uomini pure, abbandonato l’uso naturale della donna, si sono accesi di perversi desiderii gli uni per gli altri, commettendo turpitudini maschi con maschi, ricevendo in se stessi la mercede meritata dal loro pervertimento” (Rom. 1, 26/27);
7 - “Quello che ho inteso dirvi ora è di non aver relazione con chiunque, anche se ha nome di fratello, sia fornicatore, avaro, idolatra, maldicente, ubriacone, ladro: con gente simile non dovete neppure prendere cibo insieme.” (I Cor. 5, 11);
8 - “Non sapete voi che gli ingiusti non possederanno il regno di Dio? Attenti a non illudervi: né fornicatori, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapitori saranno eredi del regno di Dio” (I Cor. 6, 9/10);
9 - “Sappiatelo bene: nessun fornicatore, nessun impudico, nessun avaro… partecipa al regno di Cristo Dio” (Ef. 5, 7),
10 - “Bisogna tener presente che la Legge non è fatta per il giusto, bensì per i cattivi e i ribelli, gli empi e i peccatori, per i sacrileghi e i profanatori, i parricidi e i matricidi, gli omicidi, gli impudichi, i sodomiti, i commercianti di uomini…” (I Tim. 1, 9/10).
Se tanta è la volontà di cercare le ragioni, ecco approntato il repertorio dal cui contenuto ne segue che, nei confronti della sodomia e del peccato impuro:
1 – Dio condanna e non compatisce né tanto meno, come intende papa Bergoglio, pone domande;
2 – La Parola di Dio è indiscutibile e priva di retro pensieri.
2 – La Parola di Dio è indiscutibile e priva di retro pensieri.
Ed allora, se papa Francesco, come dice il cardinal Dolan, non si dichiara a favore dell’empietà, non ha necessità di cercare le ragioni che inducono taluni Stati a legittimare la sconcezza della sodomia. Le ragioni delle nazioni corrotte sono le ragioni di Satana, le ragioni di Dio sono Dio stesso. E ciò basti al pontefice e al suo portavoce.
Pertanto, alla luce di ciò che abbiamo letto, sarebbe opportuno che entrambi rileggessero la Scrittura evitando di dispensare moine e vezzi al mondo col mostrarsi, per una forma di captatio benevolentiae, come ansiosi di capirne le oscene problematiche.
Dice il profeta: “Chi di noi può restare presso un fuoco divoratore? Chi di noi può restare presso un braciere continuo? Chi cammina santamente e parla di giustizia… chi si tura gli orecchi per non sentire propositi di sangue e chiude gli occhi per non vedere il male” (Is. 33, 14/16).
Ecco la vera strategìa: evitare di indagare il male per conoscerne le ragioni perché, presumendo di vincerlo attraverso un duello, il rischio di esserne catturati è notevole. E questo avviene quando l’uomo fa sicuro, pieno e totale affidamento sulla propria capacità persuasiva e sul proprio bagaglio culturale. Come ben dimostra il lacrimevole esempio di quel tale don Mario Mazzoleni il quale, recatosi nel 1992 in India col santo e ardente proposito di convertire, confidando esclusivamente sul bagaglio della propria scienza teologica, quel satanista di Sai Baba, ne venne rapito diventando un fervente discepolo (R. Grillo, Attenti al lupo – Ed. Ares 2006 pag. 61), parimenti a quanto successo all’ex vescovo Milingo. “Nisi Dominus aedificaverit domum, in vanun laboraverunt qui aedificant eam” (Ps. 126, 1).
Satana, Santità, è scaltro, lusinghevole e sottile e, tra l’altro, come testimonia Dante, è anche “loico” (Inf. XXVII, 123).
Un’ultima chiosa: se, per il cardinal Dolan, mescolare coppie gay e coppie naturali è “annacquare il matrimonio sacramentale”, ci sia permesso dubitare della sua capacità di scegliere i termini adatti e consentanei perché, in detta contingenza, più che annacquare tràttasi di “avvelenare”. A meno che, siffatta distrazione terminologica non nasconda, sotto le forme retoriche della litote, uno scopo che, per il momento non si vuole indicare ma i cui segni indiziarii ce lo fanno immaginare. Similmente al fil di fumo che ci testimonia l’esistenza di un fuoco.
AMENITA’, TENEREZZA E BANALITA’ – la nuova pastorale del perdono
Papa Bergoglio, riportano le cronache, parlando di Scalfari Eugenio - il papa laico con cui ha duettato salvo poi sbianchettarne, sul sito del Vaticano, la lunga intervista - ha fatto sapere che “lo perdona anche se non crede”.
Alla persona disattenta tale espressione si configura come manifestazione di misericordia e di simpatia ma, alla luce della dottrina cattolica e del Vangelo, altro non è che stravolgimento irenistico e patetico che annulla la missione della Chiesa: convertire ed ammonire.
Perdonare chi, per il fatto di non credere, tròvasi in stato di peccato è dire cosa contraria alla morale. Il perdono si lucra solo col pentimento e col ritorno allo status quo ante di grazia. Il Papa non inquini la perenne dottrina della Chiesa perché anche uno come Scalfari, per salvarsi, deve credere, diversamente Cristo avrebbe comandato al vento ordinando ai suoi discepoli, e ai loro successori, di andare per il mondo intero annunciando il Vangelo ad ogni creatura e battezzando nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, per il che, chi crederà sarà salvo, chi non crederà sarà condannato (Mc. 16, 15/16). Ciò nonostante, il pontefice ha tenuto a dire, di Scalfari, che non è sua intenzione convertirlo. Cosa dobbiamo pensare?
La sorpresa viene, però, da un altro fatto di cronaca recentissimo, vogliamo dire dell’incontro che papa Bergoglio ha tenuto ieri, 21 marzo, nella chiesa di san Gregorio VII a Roma, con oltre 700 familiari delle vittime di mafia (Il Giornale 22/3/2014 pag. 21 ), al termine del quale ha supplicato i mafiosi a convertirsi, a cambiare vita, a cambiare strada, (mica a pentirsi!) “Ve lo chiedo in ginocchio per il vostro bene”.
Eh sì, il pentimento, oggi, col nuovo corso teologico che predilige la misericordia e la tenerezza, è un obbligo e un adempimento che quasi quasi disonora ed avvilisce la dignità dell’uomo peccatore anche, perché, “pentirsi” sa tanto di umiliazione mentre il “convertirsi” esprime il sapore di un’operazione razionale più adeguata al valore della persona, pertanto lo si chiede, se lo si chiede, con garbo e tatto.
Ma non è tanto questa involontaria omissione papale che a noi dà da pensare, perché maggiormente autolesivo, pesante e inspiegabile è quel “chiedere in ginocchio” perché non sia mai che il mafioso, uomo d’onore, si offenda. Ora, se qualche lettore ci può citare passo alcuno del V.T. o del N.T. ove si parla di Dio o di Gesù che invitano, ginocchioni, i peccatori alla conversione, noi siamo disposti ad abbandonare le posizioni tradizioniste che ci vengono, tra il faceto e lo stizzito, periodicamente rimproverate e rientrare, così, nel fiume del conformismo postconciliare.
Con papa Bergoglio, il peccatore diventa soggetto di reverenza con l’automatico declassamento del pontefice a minus habens. Diciamolo: una cosa indegna.
Peraltro, considerato che i mafiosi mostrano tutti devozione a qualche santo e tengono in casa, o nei rifugi, cappelle ed altarini, vien da chiedersi se papa Bergoglio abbia fatto uno sforzo a chiederne la conversione piuttosto che domandarsi, mettendosi in ginocchio davanti a loro: “Chi sono io per giudicare un mafioso devoto che è in cerca di Dio?”
Ma a dimostrazione che l’azione della Chiesa non è quella di papa Francesco, senza voler escutere esempi evangelici – che non figurano – è sufficiente dare uno sguardo alla storia della Chiesa per conoscere, ad esempio, l’episodio del tremendo ed autoritario atteggiamento che sant’Ambrogio tenne nei confronti dell’imperatore Teodosio, reo responsabile della strage di Tessalonica (390), allorché lo costrinse ad espiare il delitto, in ginocchio fuori della chiesa, basandosi sul principio secondo cui “anche l’imperatore è nella Chiesa, ma non sopra la Chiesa”.
Altro che papa Beregoglio, che invoca, ginocchioni, la conversione dei picciotti!
E che dire di Gregorio VII che, a Canossa (gennaio 1077) costringe l’imperatore Enrico IV di Germania, ad attendere fuori del castello, per tre notti al gelido inverno, in sacco di penitente?
Altro che papa Bergoglio, che chiede in ginocchio la conversione degli uomini d’onore!
Santità, visto che c’era, e l’ambiente era attento ad ogni suo detto, poteva rivolgere ai mafiosi, per l’eventuale accoglimento del suo invito, le tre magiche parole: permesso, grazie, scusa. Sarebbe stato il trionfo della tenerezza e la completa definizione della sua nuova teologìa!
Potremmo tirar fuori dal repertorio storico esempi ed esempi in cui si evidenzia una verità contraria a quella ventilata da papa Bergoglio, secondo la quale verità è il peccatore che deve inginocchiarsi per la richiesta di perdono sottomettendosi alla Chiesa di Cristo. Ma quel commosso invito rivolto dal Papa al mafioso dice che costui è sopra la Chiesa per cui, ovviamente, è il sommo pastore che si umilia invocandone la conversione a titolo di piacere o di favore.
Instaurare una siffatta pastorale, opposta e capovolta alla Tradizione, vuol dire stravolgere e snaturare, rinnegandolo, il principio su cui la Chiesa ha fondato, durante i secoli, il sacramento della Penitenza.
Ecco i frutti del Concilio Vaticano II…
Alla persona disattenta tale espressione si configura come manifestazione di misericordia e di simpatia ma, alla luce della dottrina cattolica e del Vangelo, altro non è che stravolgimento irenistico e patetico che annulla la missione della Chiesa: convertire ed ammonire.
Perdonare chi, per il fatto di non credere, tròvasi in stato di peccato è dire cosa contraria alla morale. Il perdono si lucra solo col pentimento e col ritorno allo status quo ante di grazia. Il Papa non inquini la perenne dottrina della Chiesa perché anche uno come Scalfari, per salvarsi, deve credere, diversamente Cristo avrebbe comandato al vento ordinando ai suoi discepoli, e ai loro successori, di andare per il mondo intero annunciando il Vangelo ad ogni creatura e battezzando nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, per il che, chi crederà sarà salvo, chi non crederà sarà condannato (Mc. 16, 15/16). Ciò nonostante, il pontefice ha tenuto a dire, di Scalfari, che non è sua intenzione convertirlo. Cosa dobbiamo pensare?
La sorpresa viene, però, da un altro fatto di cronaca recentissimo, vogliamo dire dell’incontro che papa Bergoglio ha tenuto ieri, 21 marzo, nella chiesa di san Gregorio VII a Roma, con oltre 700 familiari delle vittime di mafia (Il Giornale 22/3/2014 pag. 21 ), al termine del quale ha supplicato i mafiosi a convertirsi, a cambiare vita, a cambiare strada, (mica a pentirsi!) “Ve lo chiedo in ginocchio per il vostro bene”.
Eh sì, il pentimento, oggi, col nuovo corso teologico che predilige la misericordia e la tenerezza, è un obbligo e un adempimento che quasi quasi disonora ed avvilisce la dignità dell’uomo peccatore anche, perché, “pentirsi” sa tanto di umiliazione mentre il “convertirsi” esprime il sapore di un’operazione razionale più adeguata al valore della persona, pertanto lo si chiede, se lo si chiede, con garbo e tatto.
Ma non è tanto questa involontaria omissione papale che a noi dà da pensare, perché maggiormente autolesivo, pesante e inspiegabile è quel “chiedere in ginocchio” perché non sia mai che il mafioso, uomo d’onore, si offenda. Ora, se qualche lettore ci può citare passo alcuno del V.T. o del N.T. ove si parla di Dio o di Gesù che invitano, ginocchioni, i peccatori alla conversione, noi siamo disposti ad abbandonare le posizioni tradizioniste che ci vengono, tra il faceto e lo stizzito, periodicamente rimproverate e rientrare, così, nel fiume del conformismo postconciliare.
Con papa Bergoglio, il peccatore diventa soggetto di reverenza con l’automatico declassamento del pontefice a minus habens. Diciamolo: una cosa indegna.
Peraltro, considerato che i mafiosi mostrano tutti devozione a qualche santo e tengono in casa, o nei rifugi, cappelle ed altarini, vien da chiedersi se papa Bergoglio abbia fatto uno sforzo a chiederne la conversione piuttosto che domandarsi, mettendosi in ginocchio davanti a loro: “Chi sono io per giudicare un mafioso devoto che è in cerca di Dio?”
Ma a dimostrazione che l’azione della Chiesa non è quella di papa Francesco, senza voler escutere esempi evangelici – che non figurano – è sufficiente dare uno sguardo alla storia della Chiesa per conoscere, ad esempio, l’episodio del tremendo ed autoritario atteggiamento che sant’Ambrogio tenne nei confronti dell’imperatore Teodosio, reo responsabile della strage di Tessalonica (390), allorché lo costrinse ad espiare il delitto, in ginocchio fuori della chiesa, basandosi sul principio secondo cui “anche l’imperatore è nella Chiesa, ma non sopra la Chiesa”.
Altro che papa Beregoglio, che invoca, ginocchioni, la conversione dei picciotti!
E che dire di Gregorio VII che, a Canossa (gennaio 1077) costringe l’imperatore Enrico IV di Germania, ad attendere fuori del castello, per tre notti al gelido inverno, in sacco di penitente?
Altro che papa Bergoglio, che chiede in ginocchio la conversione degli uomini d’onore!
Santità, visto che c’era, e l’ambiente era attento ad ogni suo detto, poteva rivolgere ai mafiosi, per l’eventuale accoglimento del suo invito, le tre magiche parole: permesso, grazie, scusa. Sarebbe stato il trionfo della tenerezza e la completa definizione della sua nuova teologìa!
Potremmo tirar fuori dal repertorio storico esempi ed esempi in cui si evidenzia una verità contraria a quella ventilata da papa Bergoglio, secondo la quale verità è il peccatore che deve inginocchiarsi per la richiesta di perdono sottomettendosi alla Chiesa di Cristo. Ma quel commosso invito rivolto dal Papa al mafioso dice che costui è sopra la Chiesa per cui, ovviamente, è il sommo pastore che si umilia invocandone la conversione a titolo di piacere o di favore.
Instaurare una siffatta pastorale, opposta e capovolta alla Tradizione, vuol dire stravolgere e snaturare, rinnegandolo, il principio su cui la Chiesa ha fondato, durante i secoli, il sacramento della Penitenza.
Ecco i frutti del Concilio Vaticano II…
IDIOZIA E INGENUITA’ MONACALE – orsolina yèyè
Impazza sulla “rete” e ne dànno notizia le cronache, l’esibizione chitarraiola e canterina di tale Suor Cristina, orsolina energica, genuina, grande voce del programma tv The voice of Italy – una della tante insipienti, vacue e bischere trasmissioni che presumono di sfornare genii della musica.
Suor Cristina canta, balla e si agita suscitando un tripudio di applausi e un delirio festivaliero. “Un vero talento sotto gli abiti consacrati. Perfino il cardinal Ravasi (e te pareva!!) ha lanciato un tweet su di lei – Ciascuno, secondo il dono ricevuto, lo metta a servizio degli altri – (I Pietro, 4, 10).
Cosa dice l’interessata?
Consacrare la vita a Dio e continuare a fare le cose solite non sembra essere lo spirito richiesto dalla consacrazione. La vocazione alla vita religiosa esige un cambio netto di usi e di costumi. Se la suorina intende fare le cose che fanno gli altri, può tornare nel mondo dove almeno non si avvertirà lo stridente contrasto tra il carisma della vocazione e la carriera di canterina.
In quanto al messaggio che essa afferma essere forte, noi diciamo che di messaggio si tratta ma non di quello che il Signore si aspetta, quello che è scritto nella professione dei voti. Il suo, ad onta di dichiarazioni entusiastiche di offerta e di apostolato, è un messaggio debole e vuoto e pericoloso.
Come si vede, il mondo è entrato nei conventi col cavallo di Troia del rock, del ballo e delle trasmissioni mondane televisive.
In quanto al cardinal Ravasi, che tutto vede nell’ottica della cultura, e mai nella austera prospettiva di fede, vorremmo consigliargli maggior discernimento nelle citazioni della Sacra Scrittura e rammentargli che il maggior dono che Suor Cristina ha avuto da Dio non è il canto o l’abilità ballerina, ma la sua vocazione.
Concludiamo ricordando ai lettori quel famoso frate cappuccino, Giuseppe Cionfoli che, molti anni fa – 1982/1983 - si impalcò sul festival musicale leggero di Sanremo, in tonaca e chitarra annunciando al mondo che metteva a disposizione il dono di Dio – il canto – per la gloria del Signore e per la diffusione del Vangelo. Cionfoli non ha, per quanto se ne sappia, convertito alcuno, ha vagato da una trasmissione all’altra sino alla becera e scostumata “Isola dei famosi”. Oggi, rientrato al mondo da cui era partito con in spalla la chitarra e tanto ardore apostolico, è sposato, padre di tre figli e, dicono le cronache, anche nonno.
E suor Cristina? Chissà: madre Cristina…
Impazza sulla “rete” e ne dànno notizia le cronache, l’esibizione chitarraiola e canterina di tale Suor Cristina, orsolina energica, genuina, grande voce del programma tv The voice of Italy – una della tante insipienti, vacue e bischere trasmissioni che presumono di sfornare genii della musica.
Suor Cristina canta, balla e si agita suscitando un tripudio di applausi e un delirio festivaliero. “Un vero talento sotto gli abiti consacrati. Perfino il cardinal Ravasi (e te pareva!!) ha lanciato un tweet su di lei – Ciascuno, secondo il dono ricevuto, lo metta a servizio degli altri – (I Pietro, 4, 10).
Cosa dice l’interessata?
“Solo perché siamo suore non possiamo esibirci? E’ un messaggio forte quello di una giovane che consacra la propria vita a Dio e continua a fare cose come qualsiasi persona della sua età”.
Consacrare la vita a Dio e continuare a fare le cose solite non sembra essere lo spirito richiesto dalla consacrazione. La vocazione alla vita religiosa esige un cambio netto di usi e di costumi. Se la suorina intende fare le cose che fanno gli altri, può tornare nel mondo dove almeno non si avvertirà lo stridente contrasto tra il carisma della vocazione e la carriera di canterina.
In quanto al messaggio che essa afferma essere forte, noi diciamo che di messaggio si tratta ma non di quello che il Signore si aspetta, quello che è scritto nella professione dei voti. Il suo, ad onta di dichiarazioni entusiastiche di offerta e di apostolato, è un messaggio debole e vuoto e pericoloso.
Come si vede, il mondo è entrato nei conventi col cavallo di Troia del rock, del ballo e delle trasmissioni mondane televisive.
In quanto al cardinal Ravasi, che tutto vede nell’ottica della cultura, e mai nella austera prospettiva di fede, vorremmo consigliargli maggior discernimento nelle citazioni della Sacra Scrittura e rammentargli che il maggior dono che Suor Cristina ha avuto da Dio non è il canto o l’abilità ballerina, ma la sua vocazione.
Concludiamo ricordando ai lettori quel famoso frate cappuccino, Giuseppe Cionfoli che, molti anni fa – 1982/1983 - si impalcò sul festival musicale leggero di Sanremo, in tonaca e chitarra annunciando al mondo che metteva a disposizione il dono di Dio – il canto – per la gloria del Signore e per la diffusione del Vangelo. Cionfoli non ha, per quanto se ne sappia, convertito alcuno, ha vagato da una trasmissione all’altra sino alla becera e scostumata “Isola dei famosi”. Oggi, rientrato al mondo da cui era partito con in spalla la chitarra e tanto ardore apostolico, è sposato, padre di tre figli e, dicono le cronache, anche nonno.
E suor Cristina? Chissà: madre Cristina…
di L. P.
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