QUANDO «CIVILTÀ CATTOLICA» ERA CATTOLICA!
Nel volume
«Apologia del Papato», EffediEffe 2014, che sarà - a Dio piacendo -
disponibile nelle librerie a partire da giugno di quest’anno, dedico
vari capitoli ai santi, alle canonizzazioni e dimostro l’implicata
infallibilità promessa alla «Prima Sedes» anche all’atto della solenne
ed universale dichiarazione di santità del candidato (es. clicca qui).
Cerco, altresì, partendo dal Magistero, dalla teologia comune fino ad
arrivare agli scritti del domenicano sant’Antonio di Firenze, opere dal
carattere giuridico-morale, di far capire com’è possibile che la Chiesa
collochi sugli altari, senza inficiare la promessa infallibilità, alcuni
sostenitori di antipapi, come ad esempio: 1) Vincenzo Ferrer, che nel
«De moderno schismate» sostiene la legittimità del “papa” d’Avignone; 2)
Pietro di Lussemburgo, che con le sue virtù e la purezza dei costumi
illustrò la corte avignonese e le conferì un prestigio singolare; 3)
Coletta di Corbie, suddita fedele della “sede avignonese”, che
desiderava l’unità della Chiesa e ne trattò con san Vincenzo Ferrer nel
1417 e con san Giovanni da Capestrano nel 1442; ecc…
Fornisco, o
quantomeno ci provo, una sintesi tra teologia e diritto; enuncio ciò che
è utile alla corretta predicazione ed alla direzione delle anime,
soprattutto per offrire una soluzione cristiana ai molti problemi
contemporanei.
Il 27
aprile del 2014, J.M. Bergoglio (Francesco) - così si apprende dai media
- canonizzerà K. Wojtyla (Giovanni Paolo II) e AG. Roncalli (Giovanni
XXIII) per le loro virtù eroiche, quindi per la perfetta ortodossia
della loro fede e dottrina, per l’esempio di vita, ecc… Un grave ed
universale problema si pone, pertanto, all’orizzonte. Se è vero che i
due candidati hanno perfettamente incarnato lo spirito e le nuove
dottrine del Concilio Vaticano II (es. clicca qui),
è anche vero che questo spirito e queste dottrine, essendo «nuovi» e
contrari al «vecchio», hanno subito numerose ed esplicite condanne,
anzitutto dal Magistero dei Pontefici precedenti (ant. 1958),
successivamente da numerosi chierici, teologi e canonisti. Allora, se
esistono nuove dottrine ed un nuovo spirito, contrastanti con tutto il
Tradizionale e con lo Spirito Santo, c’è un problema; mentre se non
esistono, il problema non si pone.
Per chi
sostiene che queste dottrine e questo spirito sono in perfetta
continuità con tutto il precedente nella Chiesa, pertanto non c’è nulla
di nuovo e contrastante, certamente le canonizzazioni di K. Wojtyla
(Giovanni Paolo II) e A.G. Roncalli (Giovanni XXIII) sono un’ottima
vittoria. Diversamente, tutti i chierici e studiosi che denunciano e
documentano una frattura fra il vecchio (e Tradizionale) ed il nuovo,
sollevano delle forti obiezioni. In questo clima abbiamo 4 principali
correnti di pensiero note: 1) Gli esultanti per le canonizzazioni dei
suddetti candidati. Genericamente alcuni definiscono gli esultanti:
Modernisti; 2) I totalmente contrari, poiché i presunti santi, se
imitati, sarebbero propagatori di false dottrine e pestilenziali esempi
di vita. Un vero Pontefice non può, ovviamente, permettere ciò, dunque
non è un vero Pontefice ed i suoi atti sono nulli. Genericamente alcuni
definiscono questa posizione: Sedevacantista; 3) I contrari con
eccezione, poiché, essi dicono, i candidati sarebbero sì ortodossi ma
solo secondo i criteri del Concilio Vaticano II, non secondo quelli
della Chiesa precedente e Tradizionale (???). Pertanto codesti santi non
vanno imitati e la canonizzazione, benché autorevole, va rigettata.
Bisogna dunque disobbedire ordinariamente al vero Pontefice. Chi
proclama questa teoria è solitamente chiamato: Lefebvriano (in alcuni
casi anche Ratzingeriano anti-Bergogliano); 4) Gli indifferenti.
G.B.E.A.M.
Montini (Paolo VI) dichiarò che il Concilio Vaticano II non ha
approvato nessuna nuova dottrina e che lo spirito che l’animò è lo
Spirito Santo. Questi disse: «[…] dato il carattere pastorale del
Concilio, esso ha evitato di pronunciare in modo straordinario dogmi
dotati della nota di infallibilità; ma esso ha tuttavia munito i suoi
insegnamenti dell’autorità del supremo Magistero ordinario il quale
Magistero ordinario e così palesemente autentico deve essere accolto
docilmente e sinceramente da tutti i fedeli» (Cf. Udienza generale,
12.01.1966). Come spiega papa Pio IX commentando la «Dichiarazione
collettiva dei vescovi tedeschi» (1875) e come dimostro in «Apologia del
Papato», già questa dichiarazione manifesta una nuova dottrina,
pertanto non è da prendere in considerazione come punto di partenza,
questo perché: «[…] l’infallibilità è una proprietà che si riferisce […]
al Supremo Magistero del Papa […] questo coincide precisamente con
l’ambito del Magistero infallibile della Chiesa […]» (Ivi.). Inoltre un
Concilio generale, o ecumenico, o universale, promulga documenti di
Magistero solenne oppure ordinario ed universale, a cui è sempre
garantita la promessa infallibilità, qualora si insegnino nuove dottrine
(Cf. «Sapientiæ Christianæ» e «Satis cognitum», Leone XIII). Oltre a
ciò, è vero sì che un concilio può non pronunciare una nuova dottrina
«in modo straordinario», tuttavia noi sappiamo che l’infallibilità è
stata promessa anche ai pronunciamenti «ordinari ed universali» (Cf.
«Dei Filius» e «Pastor Aeternus», Pio IX). Ecco perché già la
dichiarazione di G.B.E.A.M. Montini (Paolo VI) del 12.01.1966 è una
nuova dottrina e, dal fronte della Tradizione cattolica, non può essere
presa in considerazione. In «Apologia del Papato», citando numerosi
insegnamenti di Magistero, dimostro in 8 esposizioni approfondite perché
la dichiarazione qui citata è la consueta «involuta e fallace maniera
di dissertare […] viziosa in qualsiasi manifestazione oratoria […]
sfrenata licenza di affermare e di negare a piacimento, che fu sempre
una fraudolenta astuzia degl’innovatori a copertura dell’errore […]»
(Cf. «Auctorem Fidei», Pio VI).
Veniamo ad
un esempio concreto. 260 Pontefici dicono: «l’erba è verde». Poi un
concilio universale, voluto dal 261° sedente e concluso dal 262° sedente
dicono: «l’erba è rossa» oppure «l’erba non è proprio verde ma si
avvicina al rosso». Da questo momento in avanti, tutti i sedenti, anche
successivi, impongono universalmente la dottrina: «l’erba è rossa».
Anche un emerito idiota capirebbe che c’è una nuova dottrina che
contrasta con quella vecchia. Posto che il sedente n° 261 e quello
numero 264° sostengono ed impongono la dottrina dell’«erba rossa»,
contro quella dell’«erba verde», c’è un evidente problema se il sedente
266° li canonizza. Ciò significa che «l’erba è rossa» lo insegna la
Chiesa con Dio, pertanto tutti i Pontefici, fra i quali numerosi santi,
che prima insegnavano che «l’erba è verde», sarebbero dei falsari. Se,
invece, non c’è nessuna nuova dottrina, il problema non si pone,
pertanto le canonizzazioni non possono essere messe in discussione.
L’«ermeneutica», sia ratzingeriana che gherardiniana, comunque di
derivazione congariana, la condanna Sisto IV nella «Romani Pontificis
provida», Pio VI nell’«Auctorem Fidei», ecc… fino a Pio XII nella
«Humani generis» ed in parte nella «Mystici Corporis», pertanto va
esclusa in partenza.
Se a
questo, aggiungiamo che si reclama per la Sede di san Pietro l’intatta
tutela della fede (Cf. «Denzinger», EDB, 2009, n° 363, 775, 1064, 1807
ss., 2329, 2923 e 3006), si capisce facilmente che la posizione n° 3
(quella dei «contrari con eccezione»), tipica della FSSPX e dei
Ratzingeriani anti-Bergogliani, è «eretica follia» (Cf. Sant Tommaso
d’Aquino, Quodlibeto IX, q. 7, art. 16 - in seguito si spiega
l’espressione usata). Lo dimostra la Chiesa (Cf. «Denzinger», EDB, 2009,
n° 675, 2726 e 2727).
La verità è
che quando dalla Cattedra di san Pietro qualcuno insegna ed impone
(straordinariamente oppure ordinariamente, ma universalmente) false
dottrine su questioni di fede e costume, canonizza soggetti agnostici o
eretici, promulga culti luterani, impone all’obbedienza leggi immorali,
ecc…, è segno evidente che la Sede è vacante (Cf. sant'Alfonso Maria de
Liguori, Verità della Fede, vol. I, Giacinto Marietti, Torino, 1826, p.
142), poiché non si manifesta la promessa infallibilità (nei due oggetti
di Magistero). Questo insegna la Chiesa cattolica! In «Apologia del
Papato» ho sinceramente faticato a riportare tutte le citazioni che lo
dimostrano tratte dal «Denzinger», poiché sono troppe. Non esiste alcun
(neanche uno) insegnamento di Magistero che sostenga la posizione n°3,
del “santo non santo” poiché i criteri di canonizzazione sarebbero nuovi
ed eretici, pertanto bisognerebbe abitualmente disobbedire al culto del
“santo non santo”, pur riconoscendo autorevole il soggetto che ha
canonizzato il “santo non santo”. Difatti, semmai dovessero esserlo,
proprio per questo si saprebbe che la Sede è vacante, poiché la Chiesa
cattolica non ammette criteri di canonizzazione nuovi ed eretici.
Studiando, per esempio, i recenti atti della canonizzazione di san
Giovanni Bosco, le motivazioni della stessa, e la formula solenne
pronunciata da Pio XI, anche uno stolto capirebbe che la vera Chiesa,
dopo aver definito precisamente cos’è la canonizzazione, non può
canonizzare un “non santo” (Cf. «Bollettino diocesano», Opere e missioni
di don Bosco, anno LVIII, n° 6-7, giugno luglio 1934 XII, La
Canonizzazione di Don Bosco e Cronaca delle feste di Roma e di Torino).
LA
CANONIZZAZIONE DEI SANTI NEL 1862 - «La Civiltà Cattolica», anno
DecimoTerzo, serie V, vol. II, 23 maggio 1862, da Harvard College
Library, from the bequest of John Harvey Treat of Lawrence, Mass. (Class
of 1862), July 29, 1913.
Due parti
conterrà quest’articolo. Prima diremo alcuna cosa della canonizzazione
in generale, per quei tra i nostri lettori che fossero al tutto digiuni
di scienza teologica; poscia faremo un cenno di questa canonizzazione in
particolare, e degli eroi che in essa vengono esaltati. La
canonizzazione è l’atto pubblico e solenne, col quale la Chiesa ascrive
una persona già defunta nell’albo de’ Santi, ossia di quegli avventurati
spiriti, che vincitori quaggiù del mondo, del demonio e della carne,
eternalmente trionfano con Dio nel cielo. Qui vicerit, dabo ei sedere
mecum in throno meo [1].
Benedetto
XIV la definisce: La sentenza definitiva, colla quale il Sommo Pontefice
decide che uno, annoverato già tra Beati, debba ascriversi al catalogo
de’ Santi e venerarsi in tutto l’orbe cattolico col culto che si presta
agli altri canonizzati. Canonizationem esse Summi Pontificis sententiam
definitivam, qua decernit aliquem, antea inter Beatos recensitum, in
Sanctorum catalogum esse referendum, et coli debere in toto orbe
catholico atque in universa Ecclesia cultu illo, qui ceteris canonizatis
praestatur [2]. Poco dissomigliante è la definizione del Bellarmino.
«La canonizzazione, egli dice, è il pubblico testimonio, che dà la
Chiesa, della vera santità e gloria di un uomo già trapassato, ed
insieme il giudizio e la sentenza, con cui gli si decretano quegli onori
che son dovuti a coloro che felicemente regnano con Dio». Canonizatio
nihil est aliud, quam publicum Ecclesiae testimonium de vera sanctitate
el gloria alicuius hominis iam defuncti, et simul est iudicium ac
sententia qua decernuntur ei honores illi, qui debentur iis qui cum Deo
feliciter regnant [3]. Questi onori che al canonizzato vengono
decretati, si riducono a sette. I. Egli viene inserito nel catalogo de’
Santi, col comando a tutti i fedeli di tenerlo pubblicamente e chiamarlo
Santo. II. Il suo nome s’invoca nelle pubbliche preci e solennità della
Chiesa. III. In memoria di lui si rizzano e consacrano templi ed altari
a Dio. IV. In suo onore si offrono a Dio pubblici sacrifizii e
preghiere. V. A commemorazione di lui s’istituiscono giorni festivi. VI.
Se ne dipingono immagini con raggi luminosi e corona, in segno della
gloria che gode in cielo. VII. Se ne chiudono le reliquie in preziose
teche e si espongono alla pubblica venerazione de’ fedeli [4].
L’uso di
canonizzare i Santi fu antichissimo nella Chiesa. Basti ricordare
l’epistola, colla quale S. Cipriano Vescovo di Cartagine ordinava che
morendo un martire, se gliene desse contezza subito, acciocché egli
potesse onorarne la memoria nel divin sacrifizio, e celebrarne ogni anno
la festa [5]. E quantunque ciò non si praticasse da prima che coi soli
martiri; tuttavia, dopo la pace di Costantino, venne esteso ben presto
anche ai santi Confessori; i quali se non col supplizio tollerato per
Cristo, certamente coll’eroismo delle virtù cristiane rifulsero quaggiù
quasi stelle. Il che non solamente è giusto in sè stesso; ma è ancora
utilissimo a noi. È giusto in sé stesso; perché nulla è tanto
ragionevole, quanto il tributare alla virtù straordinaria straordinarii
onori: Sapientiam ipsorum narrent populi, et laudem eorum nunciet
Ecclesia [6]. È utilissimo a noi, sì pel nuovo patrocinio che, per la
intercessione di nuovi Santi, otteniamo presso Dio; e sì per lo stimolo
alla imitazione, che s’ingenera nell’animo nostro dal ricordare e
celebrare le loro geste. Oltre a che in tal guisa si fa luminosa mostra
dell’ammirabile congiunzione, che passa tra la Chiesa militante quaggiù e
la trionfante ne’ cieli, sotto un solo Capo Cristo Gesù, di cui il
Pontefice romano tiene le veci sulla terra.
Quindi è
che l’autorità di canonizzare i Santi, in ordine alla Chiesa universale,
appartiene al solo Sommo Pontefice; essendo manifesto che il diritto di
prescrivere ciò che dee tenersi e fare in tutta la Chiesa non può
appartenere se non a colui, che ha universale autorità e giurisdizione
sopra tutta la Chiesa. Dicemmo, in ordine alla Chiesa universale;
perché, se la canonizzazione s’intenda in modo più ristretto, cioè a
rispetto di una sola provincia o diocesi; essa in antico fu solita farsi
eziandio dai semplici Vescovi, che a quella diocesi o provincia
presedevano; come è noto a chiunque sia alquanto versato nella storia
ecclesiastica. Sennonché, attesi gli abusi che a poco a poco andarono
introducendosi, un tal costume fu vietato dai Pontefici Alessandro III
ed Innocenzo III; i quali con apposita costituzione ordinarono che
quindi innanzi niuno in nessun luogo potesse cominciarsi ad onorare
pubblicamente e tenere qual Santo, senza l’espressa approvazione del
Sommo Pontefice.
Avocata
così a sè soli, in virtù della loro giurisdizione sopra la Chiesa
universale, la facoltà di canonizzare i Santi, i Papi rivolsero le
vigilanti loro cure a sempre più communire ed assicurare con
provvidentissimi ordinamenti la legittimità di un atto sì solenne e di
tanta rilevanza, nella Chiesa di Dio. Chi si vuol fare un’idea esatta
delle sollecitudini e cautele, che si adoperano dalla Sede apostolica
per porre in chiaro le virtù in grado eroico ed i miracoli operati da
Dio in testimonio della santità del canonizzando, legga se non altro la
magnifica opera di Benedetto XIV, da noi citata sul bel principio. Tanti
sono gli esami di testimonii, superiori ad ogni eccezione, tanti
processi accuratissimi che si compilano, tante le discussioni di
teologi, di giuristi, di Vescovi, di Cardinali, d’intere Congregazioni,
che si tengono non una ma reiterate volte, sopra i singoli punti e alla
presenza dello stesso sommo Pontefice; che secondo le regole d’ogni
umana prudenza e della critica più severa, l’errore è reso del tutto
impossibile. È noto il fatto di quel gentiluomo inglese, protestante di
religione, al quale venne mostrato in Roma da un Prelato suo amico il
processo istituito sopra i miracoli di un candidato alla beatificazione.
Il gentiluomo dopo avere diligentemente esaminato quel documento, disse
nel restituirlo: - Se tutti i miracoli, approvati dalla Chiesa romana,
avessero prove così evidenti, come queste; noi non avremmo nulla da
opporvi. - Or bene, ripigliò il Prelato, di tutti questi miracoli, che
vi sembrano sì avverati, non uno fu ammesso dalla sacra Congregazione
de’ Riti, per averne giudicate non abbastanza sode le prove. - Di che
altamente meravigliato il protestante ebbe a confessare che solo una
cieca preoccupazione di mente potea muovere a parlare contro la
Canonizzazione de’ Santi, qual è praticata dalla Chiesa romana.
Ma la
guarentigia maggiore in tale bisogna si ha da parte della Provvidenza di
Dio, che assistendo in modo del tutto speciale la Chiesa sua, non può
permettere che essa cada in errore in materia sì strettamente legata col
culto e colla morale. E così S. Tommaso nel Quodlibeto nono IX, q.7,
art. 16 (e con lui tutti i Dottori) stabilisce che la Chiesa non è
fallibile nella canonizzazione dei Santi, appoggiandosi specialmente a
questa ragione che nella Chiesa di Dio non può averci error
condannevole, qual senza dubbio sarebbe il credersi e onorarsi come
Santo chi tale non fosse. In Ecclesia non potest esse error damnabilis;
sed hic esset error damnabilis, si veneraretur tamquam Sanctus, qui fuit
peccator... Ergo Ecclesia in talibus errare non potest [7]. E, venendo
poi ai fondamenti, sopra cui si appoggia questa inerranza della Chiesa,
li trova non solo nella diligente indagine della verità intorno alla
vita del candidato e dei miracoli che Dio opera in testimonio della
santità del medesimo; ma ancora e molto più nell’istinto dello Spirito
Santo, da cui è avvivata la Chiesa, e che penetra e conosce tutto, non
esclusi i più profondi arcani di Dio. Pontifex, cuius est canonizare
Sanctos, potest certificari de statu alicuius per inquisitionem vitae et
attestationem miraculorum, et praecipue per instinctum Spiritus Sancti,
qui omnia scrutatur, etiam profunda Dei [8].
Laonde,
che il tale o tale canonizzato dalla Chiesa è realmente Santo, benché
non sia articolo di fede, per non essere verità racchiusa nella divina
rivelazione; dee nondimeno credersi senza esitanza da ogni fedele; e il
dubitarne sarebbe segno o inizio di eretica follia. Imperocchè un tal
dubbio importerebbe la credenza che la Chiesa possa errare in ciò che
concerne la religione ed il culto; e possa solennemente comandare ai
fedeli una cosa, in cui i fedeli non sieno tenuti ad obbedirla. Il che
non può cadere in mente, se non di chi non creda nè alla divinità, nè
all’autorità e santità della Chiesa. Finalmente se alcuno chiedesse in
che dimora la differenza tra la canonizzazione e la semplice
beatificazione; risponderemmo, una tal differenza consistere
sostanzialmente in due cose. La prima, che la beatificazione è come una
disposizione alla solenne canonizzazione; in quanto importa solamente un
indulto o permesso a venerare con pubblico culto una persona, il cui
eroismo nelle virtù esercitate in vita sia stato dal romano Pontefice
coll’esame de’ fatti e de’ miracoli autorevolmente accertato. Per
contrario la canonizzazione importa la solenne e perentoria sentenza del
medesimo Pontefice intorno alla gloria celeste del canonizzato; e il
comando a tutti i fedeli di averlo ed onorarlo qual Santo. La seconda
cosa è, che il culto permesso colla semplice beatificazione si restringe
ad una sola provincia, o città, o diocesi, o comunità particolare. E
benché possa talora, per concessione del Papa, siffatto indulto
allargarsi ad altri luoghi o sodalizii ed anche, se vuolsi, a tutta la
Chiesa; tuttavia quel culto va inteso come semplicemente concesso, non
come prescritto. Per opposito il culto, che si attribuisce al servo di
Dio colla solenne canonizzazione, si estende a tutta la Chiesa, senza
restrizione di luoghi o di persone, nè si decreta come semplice
permissione, ma come comando, imposto a tutti i credenti e membri della
Chiesa cattolica. Ecco infatti la formola, colla quale il Sommo
Pontefice nella solenne funzione, dopo aver coi Cardinali e coi Vescovi
invocata più volle l’assistenza, divina, da ultimo assisosi sul proprio
trono pronunzia dalla sua cattedra apostolica, qual Padre e Dottore
della Chiesa universale la gran sentenza di canonizzazione. «Ad onore
della Santa ed individua Trinità, ad esaltazione della fede cattolica ed
incremento della cristiana rcligìonc, coll’autorità del Signor nostro
Gesù Cristo, dei BB. Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, previa matura
deliberazione ed implorato più volte l’aiuto divino, col consiglio de’
nostri venerabili fratelli, i Cardinali della Santa Chiesa romana, e
quello dei Patriarchi, Arcivescovi e Vescovi presenti in questa città,
decretiamo e definiamo che il beato N. è Santo, e al catalogo de’ Santi
l’ascriviamo, stabilendo che la sua memoria si debba ogni anno, nel suo
giorno natalizio celebrare da tutta la Chiesa e con pia devozione
onorare: in nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo. Amen»
[9].
E tanto basti della canonizzazione in generale, tocchiamo ora un poco della presente in particolare. […]
Lo scritto
prosegue spiegando una serie di canonizzazioni e raccontando brevemente
la storia documentata sulle origini dei processi di canonizzazione.
Altri approfondimenti qui.
Conclusione.
Non sto qui a giudicare il «foro interno» di alcuni soggetti
contemporanei, questo perché la teologia morale mi insegna che non è
lecito farlo, tuttavia dimostro, con chiarezza e citando le opportune
fonti di Magistero, con san Tommaso d’Aquino (e con lui tutti i
Dottori), con «Civiltà Cattolica», ecc… che la posizione del “santo non
santo” non è cattolica! Ora, se dopo il 27 aprile 2014, alcuni soggetti,
i quali condannano per eresia notoria K. Wojtyla (Giovanni Paolo II)
e/o A.G. Roncalli (Giovanni XXIII), si ostineranno a non prendere
coscienza della vacanza della Sede apostolica, per loro sorge un
problema di ordine morale, poiché essi insegnano pubblicamente che un
vero Pontefice può solennemente ed universalmente canonizzare esempi di
eterodossia da emulare. Poco importa se si cerca di giustificare tale
posizione con sofismi teologici ed esempi anacronistici (comunque già
adeguatamente confutati dai Dottori), sempre ben guardandosi dal citare
le definizioni di Magistero, la verità è che tale posizione è
insostenibile, almeno se si vuol conservare la fede cattolica. Cosa
resta a questo punto da dire? Nulla di più, se non prendere atto della
cosa, perché eventuali ostinazioni nell'errore non fanno altro che
apportare ulteriore frattura nella già tremenda situazione attuale.
Metto in conto anche i consueti insulti e le minacce di ripicca su
Facebook contro il sottoscritto, tuttavia io potrei essere anche uno
sporco e lurido individuo, però la dottrina comune e soprattutto il
Magistero non cambiano.
«Resistere
all’errore», significa anche e soprattutto resistere alla
perniciosissima tentazione di insegnare l’errore palese del “santo non
santo”.
Pubblicazione a cura di Carlo Di Pietro (clicca qui per leggere altri studi pubblicati)
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