QUANDO «CIVILTÀ CATTOLICA» ERA CATTOLICA!

LA CANONIZZAZIONE DEI SANTI, QUANDO «CIVILTÀ CATTOLICA» ERA CATTOLICA!
Nel volume «Apologia del Papato», EffediEffe 2014, che sarà - a Dio piacendo - disponibile nelle librerie a partire da giugno di quest’anno, dedico vari capitoli ai santi, alle canonizzazioni e dimostro l’implicata infallibilità promessa alla «Prima Sedes» anche all’atto della solenne ed universale dichiarazione di santità del candidato (es. clicca qui). Cerco, altresì, partendo dal Magistero, dalla teologia comune fino ad arrivare agli scritti del domenicano sant’Antonio di Firenze, opere dal carattere giuridico-morale, di far capire com’è possibile che la Chiesa collochi sugli altari, senza inficiare la promessa infallibilità, alcuni sostenitori di antipapi, come ad esempio: 1) Vincenzo Ferrer, che nel «De moderno schismate» sostiene la legittimità del “papa” d’Avignone; 2) Pietro di Lussemburgo, che con le sue virtù e la purezza dei costumi illustrò la corte avignonese e le conferì un prestigio singolare; 3) Coletta di Corbie, suddita fedele della “sede avignonese”, che desiderava l’unità della Chiesa e ne trattò con san Vincenzo Ferrer nel 1417 e con san Giovanni da Capestrano nel 1442; ecc…
Fornisco, o quantomeno ci provo, una sintesi tra teologia e diritto; enuncio ciò che è utile alla corretta predicazione ed alla direzione delle anime, soprattutto per offrire una soluzione cristiana ai molti problemi contemporanei.
Il 27 aprile del 2014, J.M. Bergoglio (Francesco) - così si apprende dai media - canonizzerà K. Wojtyla (Giovanni Paolo II) e AG. Roncalli (Giovanni XXIII) per le loro virtù eroiche, quindi per la perfetta ortodossia della loro fede e dottrina, per l’esempio di vita, ecc… Un grave ed universale problema si pone, pertanto, all’orizzonte. Se è vero che i due candidati hanno perfettamente incarnato lo spirito e le nuove dottrine del Concilio Vaticano II (es. clicca qui), è anche vero che questo spirito e queste dottrine, essendo «nuovi» e contrari al «vecchio», hanno subito numerose ed esplicite condanne, anzitutto dal Magistero dei Pontefici precedenti (ant. 1958), successivamente da numerosi chierici, teologi e canonisti. Allora, se esistono nuove dottrine ed un nuovo spirito, contrastanti con tutto il Tradizionale e con lo Spirito Santo, c’è un problema; mentre se non esistono, il problema non si pone.
Per chi sostiene che queste dottrine e questo spirito sono in perfetta continuità con tutto il precedente nella Chiesa, pertanto non c’è nulla di nuovo e contrastante, certamente le canonizzazioni di K. Wojtyla (Giovanni Paolo II) e A.G. Roncalli (Giovanni XXIII) sono un’ottima vittoria. Diversamente, tutti i chierici e studiosi che denunciano e documentano una frattura fra il vecchio (e Tradizionale) ed il nuovo, sollevano delle forti obiezioni. In questo clima abbiamo 4 principali correnti di pensiero note: 1) Gli esultanti per le canonizzazioni dei suddetti candidati. Genericamente alcuni definiscono gli esultanti: Modernisti; 2) I totalmente contrari, poiché i presunti santi, se imitati, sarebbero propagatori di false dottrine e pestilenziali esempi di vita. Un vero Pontefice non può, ovviamente, permettere ciò, dunque non è un vero Pontefice ed i suoi atti sono nulli. Genericamente alcuni definiscono questa posizione: Sedevacantista; 3) I contrari con eccezione, poiché, essi dicono, i candidati sarebbero sì ortodossi ma solo secondo i criteri del Concilio Vaticano II, non secondo quelli della Chiesa precedente e Tradizionale (???). Pertanto codesti santi non vanno imitati e la canonizzazione, benché autorevole, va rigettata. Bisogna dunque disobbedire ordinariamente al vero Pontefice. Chi proclama questa teoria è solitamente chiamato: Lefebvriano (in alcuni casi anche Ratzingeriano anti-Bergogliano); 4) Gli indifferenti.
G.B.E.A.M. Montini (Paolo VI) dichiarò che il Concilio Vaticano II non ha approvato nessuna nuova dottrina e che lo spirito che l’animò è lo Spirito Santo. Questi disse: «[…] dato il carattere pastorale del Concilio, esso ha evitato di pronunciare in modo straordinario dogmi dotati della nota di infallibilità; ma esso ha tuttavia munito i suoi insegnamenti dell’autorità del supremo Magistero ordinario il quale Magistero ordinario e così palesemente autentico deve essere accolto docilmente e sinceramente da tutti i fedeli» (Cf. Udienza generale, 12.01.1966). Come spiega papa Pio IX commentando la «Dichiarazione collettiva dei vescovi tedeschi» (1875) e come dimostro in «Apologia del Papato», già questa dichiarazione manifesta una nuova dottrina, pertanto non è da prendere in considerazione come punto di partenza, questo perché: «[…] l’infallibilità è una proprietà che si riferisce […] al Supremo Magistero del Papa […] questo coincide precisamente con l’ambito del Magistero infallibile della Chiesa […]» (Ivi.). Inoltre un Concilio generale, o ecumenico, o universale, promulga documenti di Magistero solenne oppure ordinario ed universale, a cui è sempre garantita la promessa infallibilità, qualora si insegnino nuove dottrine (Cf. «Sapientiæ Christianæ» e «Satis cognitum», Leone XIII). Oltre a ciò, è vero sì che un concilio può non pronunciare una nuova dottrina «in modo straordinario», tuttavia noi sappiamo che l’infallibilità è stata promessa anche ai pronunciamenti «ordinari ed universali» (Cf. «Dei Filius» e «Pastor Aeternus», Pio IX). Ecco perché già la dichiarazione di G.B.E.A.M. Montini (Paolo VI) del 12.01.1966 è una nuova dottrina e, dal fronte della Tradizione cattolica, non può essere presa in considerazione. In «Apologia del Papato», citando numerosi insegnamenti di Magistero, dimostro in 8 esposizioni approfondite perché la dichiarazione qui citata è la consueta «involuta e fallace maniera di dissertare […] viziosa in qualsiasi manifestazione oratoria […] sfrenata licenza di affermare e di negare a piacimento, che fu sempre una fraudolenta astuzia degl’innovatori a copertura dell’errore […]» (Cf. «Auctorem Fidei», Pio VI).
Veniamo ad un esempio concreto. 260 Pontefici dicono: «l’erba è verde». Poi un concilio universale, voluto dal 261° sedente e concluso dal 262° sedente dicono: «l’erba è rossa» oppure «l’erba non è proprio verde ma si avvicina al rosso». Da questo momento in avanti, tutti i sedenti, anche successivi, impongono universalmente la dottrina: «l’erba è rossa». Anche un emerito idiota capirebbe che c’è una nuova dottrina che contrasta con quella vecchia. Posto che il sedente n° 261 e quello numero 264° sostengono ed impongono la dottrina dell’«erba rossa», contro quella dell’«erba verde», c’è un evidente problema se il sedente 266° li canonizza. Ciò significa che «l’erba è rossa» lo insegna la Chiesa con Dio, pertanto tutti i Pontefici, fra i quali numerosi santi, che prima insegnavano che «l’erba è verde», sarebbero dei falsari. Se, invece, non c’è nessuna nuova dottrina, il problema non si pone, pertanto le canonizzazioni non possono essere messe in discussione. L’«ermeneutica», sia ratzingeriana che gherardiniana, comunque  di derivazione congariana, la condanna Sisto IV nella «Romani Pontificis provida», Pio VI nell’«Auctorem Fidei», ecc… fino a Pio XII nella «Humani generis» ed in parte nella «Mystici Corporis», pertanto va esclusa in partenza.
Se a questo, aggiungiamo che si reclama per la Sede di san Pietro l’intatta tutela della fede (Cf. «Denzinger», EDB, 2009, n° 363, 775, 1064, 1807 ss., 2329, 2923 e 3006), si capisce facilmente che la posizione n° 3 (quella dei «contrari con eccezione»), tipica della FSSPX e dei Ratzingeriani anti-Bergogliani, è «eretica follia» (Cf. Sant Tommaso d’Aquino, Quodlibeto IX, q. 7, art. 16 - in seguito si spiega l’espressione usata). Lo dimostra la Chiesa (Cf. «Denzinger», EDB, 2009, n° 675, 2726 e 2727).
La verità è che quando dalla Cattedra di san Pietro qualcuno insegna ed impone (straordinariamente oppure ordinariamente, ma universalmente) false dottrine su questioni di fede e costume, canonizza soggetti agnostici o eretici, promulga culti luterani, impone all’obbedienza leggi immorali, ecc…, è segno evidente che la Sede è vacante (Cf. sant'Alfonso Maria de Liguori, Verità della Fede, vol. I, Giacinto Marietti, Torino, 1826, p. 142), poiché non si manifesta la promessa infallibilità (nei due oggetti di Magistero). Questo insegna la Chiesa cattolica! In «Apologia del Papato» ho sinceramente faticato a riportare tutte le citazioni che lo dimostrano tratte dal «Denzinger», poiché sono troppe. Non esiste alcun (neanche uno) insegnamento di Magistero che sostenga la posizione n°3, del “santo non santo” poiché i criteri di canonizzazione sarebbero nuovi ed eretici, pertanto bisognerebbe abitualmente disobbedire al culto del “santo non santo”, pur riconoscendo autorevole il soggetto che ha canonizzato il “santo non santo”. Difatti, semmai dovessero esserlo, proprio per questo si saprebbe che la Sede è vacante, poiché la Chiesa cattolica non ammette criteri di canonizzazione nuovi ed eretici. Studiando, per esempio, i recenti atti della canonizzazione di san Giovanni Bosco, le motivazioni della stessa, e la formula solenne pronunciata da Pio XI, anche uno stolto capirebbe che la vera Chiesa, dopo aver definito precisamente cos’è la canonizzazione, non può canonizzare un “non santo” (Cf. «Bollettino diocesano», Opere e missioni di don Bosco, anno LVIII, n° 6-7, giugno luglio 1934 XII, La Canonizzazione di Don Bosco e Cronaca delle feste di Roma e di Torino).
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LA CANONIZZAZIONE DEI SANTI NEL 1862 - «La Civiltà Cattolica», anno DecimoTerzo, serie V, vol. II, 23 maggio 1862, da Harvard College Library, from the bequest of John Harvey Treat of Lawrence, Mass. (Class of 1862), July 29, 1913.
Due parti conterrà quest’articolo. Prima diremo alcuna cosa della canonizzazione in generale, per quei tra i nostri lettori che fossero al tutto digiuni di scienza teologica; poscia faremo un cenno di questa canonizzazione in particolare, e degli eroi che in essa vengono esaltati. La canonizzazione è l’atto pubblico e solenne, col quale la Chiesa ascrive una persona già defunta nell’albo de’ Santi, ossia di quegli avventurati spiriti, che vincitori quaggiù del mondo, del demonio e della carne, eternalmente trionfano con Dio nel cielo. Qui vicerit, dabo ei sedere mecum in throno meo [1].
Benedetto XIV la definisce: La sentenza definitiva, colla quale il Sommo Pontefice decide che uno, annoverato già tra Beati, debba ascriversi al catalogo de’ Santi e venerarsi in tutto l’orbe cattolico col culto che si presta agli altri canonizzati. Canonizationem esse Summi Pontificis sententiam definitivam, qua decernit aliquem, antea inter Beatos recensitum, in Sanctorum catalogum esse referendum, et coli debere in toto orbe catholico atque in universa Ecclesia cultu illo, qui ceteris canonizatis praestatur [2]. Poco dissomigliante è la definizione del Bellarmino. «La canonizzazione, egli dice, è il pubblico testimonio, che dà la Chiesa, della vera santità e gloria di un uomo già trapassato, ed insieme il giudizio e la sentenza, con cui gli si decretano quegli onori che son dovuti a coloro che felicemente regnano con Dio». Canonizatio nihil est aliud, quam publicum Ecclesiae testimonium de vera sanctitate el gloria alicuius hominis iam defuncti, et simul est iudicium ac sententia qua decernuntur ei honores illi, qui debentur iis qui cum Deo feliciter regnant [3]. Questi onori che al canonizzato vengono decretati, si riducono a sette. I. Egli viene inserito nel catalogo de’ Santi, col comando a tutti i fedeli di tenerlo pubblicamente e chiamarlo Santo. II. Il suo nome s’invoca nelle pubbliche preci e solennità della Chiesa. III. In memoria di lui si rizzano e consacrano templi ed altari a Dio. IV. In suo onore si offrono a Dio pubblici sacrifizii e preghiere. V. A commemorazione di lui s’istituiscono giorni festivi. VI. Se ne dipingono immagini con raggi luminosi e corona, in segno della gloria che gode in cielo. VII. Se ne chiudono le reliquie in preziose teche e si espongono alla pubblica venerazione de’ fedeli [4].
L’uso di canonizzare i Santi fu antichissimo nella Chiesa. Basti ricordare l’epistola, colla quale S. Cipriano Vescovo di Cartagine ordinava che morendo un martire, se gliene desse contezza subito, acciocché egli potesse onorarne la memoria nel divin sacrifizio, e celebrarne ogni anno la festa [5]. E quantunque ciò non si praticasse da prima che coi soli martiri; tuttavia, dopo la pace di Costantino, venne esteso ben presto anche ai santi Confessori; i quali se non col supplizio tollerato per Cristo, certamente coll’eroismo delle virtù cristiane rifulsero quaggiù quasi stelle. Il che non solamente è giusto in sè stesso; ma è ancora utilissimo a noi. È giusto in sé stesso; perché nulla è tanto ragionevole, quanto il tributare alla virtù straordinaria straordinarii onori: Sapientiam ipsorum narrent populi, et laudem eorum nunciet Ecclesia [6]. È utilissimo a noi, sì pel nuovo patrocinio che, per la intercessione di nuovi Santi, otteniamo presso Dio; e sì per lo stimolo alla imitazione, che s’ingenera nell’animo nostro dal ricordare e celebrare le loro geste. Oltre a che in tal guisa si fa luminosa mostra dell’ammirabile congiunzione, che passa tra la Chiesa militante quaggiù e la trionfante ne’ cieli, sotto un solo Capo Cristo Gesù, di cui il Pontefice romano tiene le veci sulla terra.
Quindi è che l’autorità di canonizzare i Santi, in ordine alla Chiesa universale, appartiene al solo Sommo Pontefice; essendo manifesto che il diritto di prescrivere ciò che dee tenersi e fare in tutta la Chiesa non può appartenere se non a colui, che ha universale autorità e giurisdizione sopra tutta la Chiesa. Dicemmo, in ordine alla Chiesa universale; perché, se la canonizzazione s’intenda in modo più ristretto, cioè a rispetto di una sola provincia o diocesi; essa in antico fu solita farsi eziandio dai semplici Vescovi, che a quella diocesi o provincia presedevano; come è noto a chiunque sia alquanto versato nella storia ecclesiastica. Sennonché, attesi gli abusi che a poco a poco andarono introducendosi, un tal costume fu vietato dai Pontefici Alessandro III ed Innocenzo III; i quali con apposita costituzione ordinarono che quindi innanzi niuno in nessun luogo potesse cominciarsi ad onorare pubblicamente e tenere qual Santo, senza l’espressa approvazione del Sommo Pontefice.
Avocata così a sè soli, in virtù della loro giurisdizione sopra la Chiesa universale, la facoltà di canonizzare i Santi, i Papi rivolsero le vigilanti loro cure a sempre più communire ed assicurare con provvidentissimi ordinamenti la legittimità di un atto sì solenne e di tanta rilevanza, nella Chiesa di Dio. Chi si vuol fare un’idea esatta delle sollecitudini e cautele, che si adoperano dalla Sede apostolica per porre in chiaro le virtù in grado eroico ed i miracoli operati da Dio in testimonio della santità del canonizzando, legga se non altro la magnifica opera di Benedetto XIV, da noi citata sul bel principio. Tanti sono gli esami di testimonii, superiori ad ogni eccezione, tanti processi accuratissimi che si compilano, tante le discussioni di teologi, di giuristi, di Vescovi, di Cardinali, d’intere Congregazioni, che si tengono non una ma reiterate volte, sopra i singoli punti e alla presenza dello stesso sommo Pontefice; che secondo le regole d’ogni umana prudenza e della critica più severa, l’errore è reso del tutto impossibile. È noto il fatto di quel gentiluomo inglese, protestante di religione, al quale venne mostrato in Roma da un Prelato suo amico il processo istituito sopra i miracoli di un candidato alla beatificazione. Il gentiluomo dopo avere diligentemente esaminato quel documento, disse nel restituirlo: - Se tutti i miracoli, approvati dalla Chiesa romana, avessero prove così evidenti, come queste; noi non avremmo nulla da opporvi. - Or bene, ripigliò il Prelato, di tutti questi miracoli, che vi sembrano sì avverati, non uno fu ammesso dalla sacra Congregazione de’ Riti, per averne giudicate non abbastanza sode le prove. - Di che altamente meravigliato il protestante ebbe a confessare che solo una cieca preoccupazione di mente potea muovere a parlare contro la Canonizzazione de’ Santi, qual è praticata dalla Chiesa romana.
Ma la guarentigia maggiore in tale bisogna si ha da parte della Provvidenza di Dio, che assistendo in modo del tutto speciale la Chiesa sua, non può permettere che essa cada in errore in materia sì strettamente legata col culto e colla morale. E così S. Tommaso nel Quodlibeto nono IX, q.7, art. 16 (e con lui tutti i Dottori) stabilisce che la Chiesa non è fallibile nella canonizzazione dei Santi, appoggiandosi specialmente a questa ragione che nella Chiesa di Dio non può averci error condannevole, qual senza dubbio sarebbe il credersi e onorarsi come Santo chi tale non fosse. In Ecclesia non potest esse error damnabilis; sed hic esset error damnabilis, si veneraretur tamquam Sanctus, qui fuit peccator... Ergo Ecclesia in talibus errare non potest [7]. E, venendo poi ai fondamenti, sopra cui si appoggia questa inerranza della Chiesa, li trova non solo nella diligente indagine della verità intorno alla vita del candidato e dei miracoli che Dio opera in testimonio della santità del medesimo; ma ancora e molto più nell’istinto dello Spirito Santo, da cui è avvivata la Chiesa, e che penetra e conosce tutto, non esclusi i più profondi arcani di Dio. Pontifex, cuius est canonizare Sanctos, potest certificari de statu alicuius per inquisitionem vitae et attestationem miraculorum, et praecipue per instinctum Spiritus Sancti, qui omnia scrutatur, etiam profunda Dei [8].
Laonde, che il tale o tale canonizzato dalla Chiesa è realmente Santo, benché non sia articolo di fede, per non essere verità racchiusa nella divina rivelazione; dee nondimeno credersi senza esitanza da ogni fedele; e il dubitarne sarebbe segno o inizio di eretica follia. Imperocchè un tal dubbio importerebbe la credenza che la Chiesa possa errare in ciò che concerne la religione ed il culto; e possa solennemente comandare ai fedeli una cosa, in cui i fedeli non sieno tenuti ad obbedirla. Il che non può cadere in mente, se non di chi non creda nè alla divinità, nè all’autorità e santità della Chiesa. Finalmente se alcuno chiedesse in che dimora la differenza tra la canonizzazione e la semplice beatificazione; risponderemmo, una tal differenza consistere sostanzialmente in due cose. La prima, che la beatificazione è come una disposizione alla solenne canonizzazione; in quanto importa solamente un indulto o permesso a venerare con pubblico culto una persona, il cui eroismo nelle virtù esercitate in vita sia stato dal romano Pontefice coll’esame de’ fatti e de’ miracoli autorevolmente accertato. Per contrario la canonizzazione importa la solenne e perentoria sentenza del medesimo Pontefice intorno alla gloria celeste del canonizzato; e il comando a tutti i fedeli di averlo ed onorarlo qual Santo. La seconda cosa è, che il culto permesso colla semplice beatificazione si restringe ad una sola provincia, o città, o diocesi, o comunità particolare. E benché possa talora, per concessione del Papa, siffatto indulto allargarsi ad altri luoghi o sodalizii ed anche, se vuolsi, a tutta la Chiesa; tuttavia quel culto va inteso come semplicemente concesso, non come prescritto. Per opposito il culto, che si attribuisce al servo di Dio colla solenne canonizzazione, si estende a tutta la Chiesa, senza restrizione di luoghi o di persone, nè si decreta come semplice permissione, ma come comando, imposto a tutti i credenti e membri della Chiesa cattolica. Ecco infatti la formola, colla quale il Sommo Pontefice nella solenne funzione, dopo aver coi Cardinali e coi Vescovi invocata più volle l’assistenza, divina, da ultimo assisosi sul proprio trono pronunzia dalla sua cattedra apostolica, qual Padre e Dottore della Chiesa universale la gran sentenza di canonizzazione. «Ad onore della Santa ed individua Trinità, ad esaltazione della fede cattolica ed incremento della cristiana rcligìonc, coll’autorità del Signor nostro Gesù Cristo, dei BB. Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, previa matura deliberazione ed implorato più volte l’aiuto divino, col consiglio de’ nostri venerabili fratelli, i Cardinali della Santa Chiesa romana, e quello dei Patriarchi, Arcivescovi e Vescovi presenti in questa città, decretiamo e definiamo che il beato N. è Santo, e al catalogo de’ Santi l’ascriviamo, stabilendo che la sua memoria si debba ogni anno, nel suo giorno natalizio celebrare da tutta la Chiesa e con pia devozione onorare: in nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo. Amen» [9].
E tanto basti della canonizzazione in generale, tocchiamo ora un poco della presente in particolare. […]
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Lo scritto prosegue spiegando una serie di canonizzazioni e raccontando brevemente la storia documentata sulle origini dei processi di canonizzazione. Altri approfondimenti qui.
Conclusione. Non sto qui a giudicare il «foro interno» di alcuni soggetti contemporanei, questo perché la teologia morale mi insegna che non è lecito farlo, tuttavia dimostro, con chiarezza e citando le opportune fonti di Magistero, con san Tommaso d’Aquino (e con lui tutti i Dottori), con «Civiltà Cattolica», ecc… che la posizione del “santo non santo” non è cattolica! Ora, se dopo il 27 aprile 2014, alcuni soggetti, i quali condannano per eresia notoria K. Wojtyla (Giovanni Paolo II) e/o A.G. Roncalli (Giovanni XXIII), si ostineranno a non prendere coscienza della vacanza della Sede apostolica, per loro sorge un problema di ordine morale, poiché essi insegnano pubblicamente che un vero Pontefice può solennemente ed universalmente canonizzare esempi di eterodossia da emulare. Poco importa se si cerca di giustificare tale posizione con sofismi teologici ed esempi anacronistici (comunque già adeguatamente confutati dai Dottori), sempre ben guardandosi dal citare le definizioni di Magistero, la verità è che tale posizione è insostenibile, almeno se si vuol conservare la fede cattolica. Cosa resta a questo punto da dire? Nulla di più, se non prendere atto della cosa, perché eventuali ostinazioni nell'errore non fanno altro che apportare ulteriore frattura nella già tremenda situazione attuale. Metto in conto anche i consueti insulti e le minacce di ripicca su Facebook contro il sottoscritto, tuttavia io potrei essere anche uno sporco e lurido individuo, però la dottrina comune e soprattutto il Magistero non cambiano.
«Resistere all’errore», significa anche e soprattutto resistere alla perniciosissima tentazione di insegnare l’errore palese del “santo non santo”.
Pubblicazione a cura di Carlo Di Pietro (clicca qui per leggere altri studi pubblicati)
Note:
[1] Apocal. c. 3.
[2] De Beatif. et Canoniz. SS. lib. 1, c. 37.
[3] Controversiarum t. 2. De beatitudine et cultu Sanctorum I. 1, c. VII.
[4] Vedi Bellarmino luogo citato.
[5] Epist. lib. 3, ep. 6. È la XXXVII nell’edizione del Migne.
[6] Eccl. 44.
[7] Quodlibeto IX, q. 7, art. 16.
[8] Ivi ad 1.
[9] Ad honorem sanctae et individuae Trinitatis, ad exaltationem Fidei catholicae et christianae religionis augmentum, auctoritate Domini nostri Iesu Christi; beatorum Apostolorum Petri et Pauli ac Nostra, matura deliberatione praehabita et divina ope saepius implorata, ac de Venerabilium Fratrum nostrorum S. R. E. Cardinalium, Patriarcharum, Archiepiscoporum, Episcoporum in Urbe existentium consilio, beatum N. Sanctum esse decernimus et definimus, ac Sanctorum catalogo adscribimus, statuentes ab Ecclesia universali eius memoriam quolibet anno die eius natali, nempe die etc. pia devotione recoli debere; in nomine Pa+tris, et Fi+lii, ci Spiritus+Sancti. Amen.