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martedì 27 maggio 2014

Un concilio per l’unità della Chiesa?

 Domande sul Vaticano II 

Il teologo padre Serafino Lanzetta dei Francescani dell’Immacolata appartiene al ristretto numero delle lucide e robuste intelligenze, che nonostante tutto sono attive nella Chiesa cattolica.

zultmlnzDi padre Lanzetta, Cantagalli, editore in Siena, propone un esauriente/avvincente saggio, che commenta e aggiorna le domande (e i dubbi) sul Vaticano II a suo tempo formulati da teologi ora fedeli alla Tradizione ora associati alla scolastica  dei modernizzanti.
di Piero Vassallo
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Il dubbio che regge e alimenta i pensieri sulle debolezze nascoste fra le trionfali righe dei documenti elaborati dai padri del Vaticano II, ha origine dall’infondata e fuorviante convinzione circa l’attitudine degli eredi del pensiero moderno a correggere i loro errori, un’illusione condivisa perfino da Giovanni XXIII e da lui dichiarata nell’orazione inauguraleGaudet Mater Ecclesia.
Quale misura dell’elettrizzante intensità dell’originario abbaglio, padre Lanzetta cita la pungente riflessione del card. Leo Scheffeczyk (1920-2005) sulla cecità  della maggioranza conciliare davanti alla svolta nichilista, attuata dagli esponenti delle avanguardie attive oltre la modernità (francofortesi, esistenzialisti atei, surrealisti, esoteristi ecc.) .
Dall’erroneo giudizio sul pensiero alla ribalta nella seconda metà del xx secolo discese un’impostazione irrealistica del confronto tra la Chiesa e il mondo e una infondata fiducia nella presunta autocritica degli erranti.

Di qui l’irruzione nel pensiero cattolico di infondate speranze e di suggestioni irenistiche: “ignorando questa situazione [l'involuzione porno-nichilista della filosofia moderna] e considerando la fraternizzazione avventata e non critica del cristianesimo con lo spirito del tempo, è facile prevedere che anche all’interno della chiesa si introducano le tendenze dell’irrazionalismo postmoderno, quali una religiosità vaga e una presunzione gnostica, coinvolgendola così nell’intreccio della lieve cospirazione”.
In altre parole: i protagonisti del Vaticano II, rinnovarono l’errore del clero francese, che vedeva una lieve cospirazione nel cuore del giacobinismo. La maggioranza conciliare, non avendo valutato seriamente i segni dell’involuzione nichilista in atto nella scolastica rivoluzionaria, ha tentato di addolcire e mitigare le verità cattoliche per renderle accettabili agli eredi di esangui eresie e ai presunti moderatori di ideologie, delle quali padre Julio Meinvielle e il cardinale Giuseppe Siri avevano descritto tempestivamente la rovinosa inclinazione a sprofondare nelle sabbie mobili dello gnosticismo.
Si è in tal modo avviata quella rumorosa predicazione ai sordi, che ha catturato solamente l’attenzione degli autori di intrepidezze & lepidezze irenistiche e dei chitarristi insorgenti contro lo splendore della antica liturgia.
Numerosi indizi confermano il conflitto dell’illusione buonista contro la fedeltà ai princìpi sgraditi agli eretici e agli atei in presunto cammino verso la verità.
Per non disturbare il creduto avvicinamento dei luterani, ad esempio, nella costituzione Dei Verbum i redattori hanno mitigato e quasi annebbiato la dottrina sulle due fonti del dogma cattolico, Scrittura e Tradizione.
Per facilitare la comprensione del rischio che l’azzardata operazione implicava, padre Lanzetta cita il cardinale Umberto Betti (1922-2009), il quale rammentava che “tra le verità che si portavano [quale prova della reale esistenza di una Tradizione orale] figuravano: la verginità della Madonna dopo il parto, la sua assunzione in cielo, il numero settenario dei sacramenti, la necessità del battesimo per i bambini, la sacramentalità del matrimonio e della cresima“.
Casualmente si trattava delle verità di fede rigettate dall’eresia luterana. Per non turbare il dialogo ecumenico, ossia per non entrare in aperto conflitto con gli errore di Martin Lutero senza rinnegare apertamente la dottrina del Concilio di Trento e del Vaticano I sulle due fonti del dogma,  i redattori della Dei Verbum attuarono un compromesso e ridussero il significato e la funzione della Tradizione all’interpretazione delle Scritture.
Padre Lanzetta pone dunque una domanda imbarazzante: “L’aver riferito il ruolo della Tradizione essenzialmente all’interpretazione delle Scritture – come risulta poi in modo più abbondante nella teologia post-conciliare – e questo per chiari motivi pastorali, ha migliorato la posizione della Chiesa nel suo interno? Crediamo che una verifica pastorale all’approccio al Deposito sia necessaria per reintegrare meglio quanto invece era patrimonio comune del Magistero della Chiesa”.
La presenza nei documenti conciliari di formule ambigue e di espressioni contorte, che, in funzione della pastoralitàsocchiudono la porta all’errore, è peraltro innegabile.
Padre Lanzetta, tuttavia, afferma che “le eventuali discontinuità che si possono riscontrare non sono dogmatiche … ma teologiche e sono suscettibili di revisione e di rinnovamento dato il loro carattere magisteriale non definitivo“.
La difesa ad oltranza degli errori teologici seminati nei documenti conciliari non ha ragion d’essere di fronte alle sensate e moderate obiezioni di padre Lanzetta. Infatti la reazione del partito conciliare si traduce in un attacco alle persone degli obiettori e, in ultima analisi, nel tentativo di demolire un ordine religioso confortato dall’alto numero di vocazioni e dal carisma dell’ortodossia.
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Il Vaticano II, un Concilio pastorale. Ermeneutiche delle Dottrine Conciliari  -  di P. Serafino M. Lanzetta – ed. Cantagalli – pagg. 496 – euro 25,00
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