ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 14 giugno 2014

Dire e non dire..


Papa Francesco senza veli, a “La Vanguardia”


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Nell’intervista del 13 giugno al quotidiano di Barcellona “La Vanguardia” – integralmente riprodotta su “L’Osservatore Romano” in edicola domattina – papa Francesco ha sollevato il velo sui retroscena del suo viaggio in Terra Santa e del successivo incontro di preghiera in Vaticano con i presidenti israeliano e palestinese Shimon Peres e Abu Mazen.
Anzitutto su come è nata in lui l’idea del viaggio:
“Ho deciso di andare in Terra santa perché il presidente Peres mi ha invitato. Sapevo che il suo mandato sarebbe terminato questa primavera, perciò mi sono visto obbligato, in un certo senso, ad andare prima. Il suo invito ha fatto anticipare il viaggio. Io non avevo in mente di farlo”.

E poi sulla comune invocazione per la pace:
“Lei sa che non è stato facile perché ci stava in mezzo e dobbiamo proprio a lei gran parte del successo. Sentivo che era qualcosa che sfugge a tutti noi. Qui in Vaticano, un 99 per cento diceva che non si sarebbe fatto e dopo l’1 per cento restante ha cominciato a crescere. Sentivo che venivamo spinti a qualcosa che non era venuta in mente a noi, e che, poco a poco, stava prendendo corpo. Non è stato affatto un atto politico – questo l’ho sentito subito – ma un atto religioso: aprire una finestra al mondo”.
Dall’inizio di questa risposta del papa si ricava che l’intervistatore, il giornalista israeliano di origini portoghesi Henrique Cymerman (nella foto), è stato uno degli organizzatori dell’evento. Francesco l’aveva incontrato durante il volo di andata da Roma ad Amman, e fu lì che gli chiese di assicurargli il suo aiuto durante il viaggio e dopo.
Ma nell’intervista vi sono altri passaggi che suscitano interesse:
Sulla persecuzione dei cristiani nel mondo:
“So molte cose sulla persecuzione che non mi sembra prudente raccontare qui per non offendere nessuno. Ma ci sono dei luoghi dove è proibito avere una Bibbia o insegnare catechismo o portare una croce… C’è una cosa che voglio però mettere in chiaro: sono convinto che la persecuzione contro i cristiani oggi sia più forte che nei primi secoli della Chiesa. Oggi ci sono più cristiani martiri che a quell’epoca. E non è una fantasia, lo dicono i numeri”.
Sui moti indipendentisti in Europa, incluso un sorprendente cenno alla Padania:
“Le indipendenze di popoli per secessione sono uno smembramento a volte molto ovvio. Pensiamo all’ex Jugoslavia. Ovviamente ci sono popoli con culture tanto diverse che non si potrebbero attaccare neppure con la colla. Il caso iugoslavo è molto chiaro, ma mi domando se sia altrettanto chiaro per altri popoli che finora sono stati uniti. Bisogna studiare i casi uno per uno. La Scozia, la Padania, la Catalogna. Si troveranno casi che saranno giusti e altri che non lo saranno, ma la secessione di una nazione senza un antecedente di unità forzata va presa con le molle e bisogna analizzarne tutti gli aspetti”.
Su Pio XII e lo sterminio nazista degli ebrei, nel silenzio e nell’inerzia delle grandi potenze:
“Al povero Pio XII è stato buttato addosso di tutto. Ma bisogna ricordare che prima era visto come il grande difensore degli ebrei. Ne nascose molti nei conventi di Roma e di altre città italiane, e anche nella residenza estiva di Castel Gandolfo. Lì, nella stanza del Papa, sul suo stesso letto, nacquero 42 bambini, figli di ebrei e di altri perseguitati rifugiatisi lì. Non voglio dire che Pio XII non abbia commesso errori – anche io ne commetto molti – ma il suo ruolo va letto nel contesto dell’epoca. Era meglio, per esempio, che non parlasse perché non uccidessero più ebrei, o che lo facesse? Voglio anche dire che a volte mi viene un po’ di orticaria esistenziale quando vedo che tutti se la prendono con la Chiesa e con Pio XII e si dimenticano delle grandi potenze. Lo sa che conoscevano perfettamente la rete ferroviaria dei nazisti per portare gli ebrei ai campi di concentramento? Avevano le foto. Ma non bombardarono quei binari. Perché? Sarebbe bene che parlassimo un po’ di tutto”.
Sul rapporto tra innovazione e tradizione:
“Per me la grande rivoluzione è andare alle radici, riconoscerle e vedere quello che queste radici hanno da dire al giorno d’oggi. Non c’è contraddizione tra essere rivoluzionario e andare alle radici. Non solo, credo anche che il modo per compiere veri cambiamenti sia l’identità. Non si può mai fare un passo nella vita se non partendo da dietro, se non so da dove vengo, che nome ho, che nome culturale o religioso ho”.
Sulle dimissioni di Benedetto XVI e – forse in futuro – sue:
“Papa Benedetto ha compiuto un gesto molto grande. Ha aperto una porta, ha creato un’istituzione, quella degli eventuali papi emeriti. Fino a settant’anni fa non c’erano vescovi emeriti. Oggi quanti ce ne sono? Ebbene, dato che viviamo più a lungo, giungiamo a un’età in cui non possiamo continuare a occuparci delle cose. Io farò lo stesso, chiederò al Signore di illuminarmi quando giungerà il momento e che mi dica quello che devo fare, e me lo dirà sicuramente”.
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Papa Francesco svela la sua rivoluzione cattolica a La Vanguardia

13 - 06 - 2014Matteo Matzuzzi
Papa Francesco svela la sua rivoluzione cattolica a La Vanguardia
Lunga e assai interessante è l’intervista che Papa Francesco ha concesso lunedì scorso al quotidiano catalano La Vanguardia. Il Pontefice ha parlato di tutto, dall’economia ai progetti per il futuro, da Iva Zanicchi (erroneamente scambiata con Mina) a Pio XII, che il Papa difende, spiegando che la questione circa il suo comportamento nella Seconda guerra mondiale è ancora aperta.
Bergoglio, alla domanda su come gli piacerebbe essere ricordato, risponde di non averci mai pensato, anche se “mi piace quando uno ricorda qualcun altro e dice che era un buon uomo, ha fatto quello che ha potuto e che non era così male”.
“LA RIVOLUZIONE E’ ANDARE ALLE RADICI”
L’intervistatore gli chiede subito se l’identikit di rivoluzionario che gli è stato cucito addosso corrisponda al vero, o se non sia un’esagerazione: “Per me, la grande rivoluzione è andare alle radici, riconoscerle e vedere cosa hanno da dire al giorno d’oggi”, risponde Francesco, sicuro che “il modo per fare cambiamenti reali sia partire dall’identità. Non si può fare un passo nella vita se non partendo da quello precedente, senza sapere da dove si viene, qual è il proprio nome, qual è il proprio nome culturale o religioso”.
“POVERTA’ E UMILTA’ SONO AL CENTRO DEL VANGELO”
Riguardo uno dei temi portanti nell’agenda del Papa, il richiamo a guardare ai poveri e l’invito a rendere la Chiesa sempre più umile. Nulla di nuovo né di sconvolgente, chiarisce Francesco: “La povertà e l’umiltà sono al centro del Vangelo, e lo dico in un senso teologico, non sociologico. Non si può comprendere il Vangelo senza la povertà, che però deve essere distinta dal pauperismo. Io credo – dice Bergoglio – che Gesù voglia che i vescovi non siano principi, ma servitori”.
“LA MIA DIMENSIONE E’ QUELLA DEL PARROCO, MA MI SENTO ANCHE PAPA”
Il Papa ha poi spiegato di sentirsi come un parroco, “la cui dimensione è quella che più mostra la mia vocazione. Servire la gente mi viene da dentro. Spengo la luce per non spendere troppi soldi, ad esempio. uste sono cose da parroco. Ma – precisa – mi sento anche Papa. Mi aiuta a fare le cose con serietà. i miei collaboratori sono molto seri e professionali. Ho gli aiuti necessari per compiere il mio dovere. Non si deve giocare al Papa parroco, sarebbe da immaturi. Quando arriva un capo di Stato, devo riceverlo con la dignità e il protocollo che merita. E’ vero che con il protocollo ho i miei problemi, però devo rispettarlo”.
“NON HO PROGETTI, NON MI ASPETTAVO DI RIMANERE IN VATICANO”
Quanto al futuro, Francesco rivela di “non aver alcun progetto personale”, e questo perché “semplicemente non ho mai pensato che sarei rimasto qui, in Vaticano. Sono arrivato con una valigia piccola per tornare subito a Buenos Aires. Sto facendo quanto i cardinali hanno riflettuto nelle congregazioni generali pre-Conclave. Da lì arrivano riflessioni e raccomandazioni. Una molto concreta riguardava il fatto che il nuovo Papa doveva poter contare su un consiglio esterno, un gruppo di consiglieri che non abitasse in Vaticano”. Bergoglio spiega inoltre che tutto era già pronto per la pensione, avendo egli già superato da arcivescovo di Buenos Aires il limite dei 75 anni d’età: “Avevo una stanza riservata in una casa di riposo per sacerdoti anziani, a Buenos Aires. Avrei lasciato l’arcivescovado alla fine del 2013 e avevo già presentato la rinuncia a Papa Benedetto. Ho scelto una stanza e ho detto: voglio venire ad abitare qui. Lavorerò come prete, aiutando nelle parrocchie”.
LA POSSIBILITA’ DELLA RINUNCIA AL PONTIFICATO
Riguardo la possibilità di rinunciare, un giorno, al Pontificato, Francesco conferma la volontà di fare “lo stesso che ha fatto lui (Benedetto XVI, ndr): chiederò al Signore di illuminarmi quando arriva il momento e mi dica ciò che devo fare. Me lo dirà di sicuro”. Circa il gesto del predecessore, che Bergoglio definisce “molto grande”, il Papa osserva che è come aver “creato una istituzione, quella degli eventuali papi emeriti”. Poiché la vita s’è allungata, “arriviamo a un’età nella quale non possiamo andare avanti con le cose”, è dunque opportuno riflettere sul da farsi.
LA PREOCCUPAZIONE PER I CRISTIANI PERSEGUITATI
Tra le maggiori preoccupazioni che assillano il Papa c’è quella dei cristiani perseguitati, “una preoccupazione che mi tocca da vicino come pastore. So molte cose – afferma il vescovo di Roma – di queste persecuzioni, che non mi pare prudente raccontare qui. Però ci sono luoghi nei quali è proibito avere una Bibbia o insegnare il catechismo, o portare una croce. Sono convinto che la persecuzione contro i cristiani oggi è più forte che nei primi secoli della chiesa. Oggi ci sono più cristiani martiri che in quell’epoca”.

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