Riconoscere nel clericalismo la vera patologia della Chiesa di oggi è una prospettiva che sposta sull'autoreferenzialità la responsabilità della secolarizzazione
Affacciato alla finestra della redazione guardo la jeep bianca con a bordo Papa Francesco che procede tra due ali di folla su via della Conciliazione. È appena terminata la cerimonia di canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Accanto a me un padre gesuita spagnolo riflette ad alta voce guardando quella scena. "Eppure ancora non mi spiego il vero motivo della popolarità di questo Papa...". Rimango interdetto, incapace di rispondergli.
Qualche giorno dopo incontro un amico filosofo. Un accenno di barba sul mento, il passo dinoccolato e il casco della lambretta in mano, mi racconta che sta per pubblicare un libro sul Papa. "Tu quoque!?", vorrei urlargli in faccia con sdegno. Pensavo non arrivasse a tanto. Ma essendo un caro compagno di viaggio lo ascolto pazientemente espormi la sua tesi. Bergoglio è anticlericale, ma non antiecclesiale. E' questo il quid del suo magistero, da cui deriva direttamente e necessariamente il rilancio del laicato nella Chiesa. Mi affascina e comincio a rimuginarci su.
Terzo episodio. Un monaco benedettino di origini pugliesi che vive in Valle d'Aosta viene a Roma per presentare un suo libro. In una parrocchia romana, davanti a un coraggioso pubblico, lo incalzo con le mie ficcanti domande da moderatore vaticano. Ne partorisco una sensazionale: "Qual è il segreto del successo di Papa Francesco?". Mi guarda disgustato, mentre l'uditorio pende dalle sue labbra. Poi sbotta: "E' anticlericale". E io penso: "Bingo".
"Quando nel popolo di Dio non c'è profezia, il vuoto che lascia viene occupato dal clericalismo". "Il clericalismo è uno dei mali della Chiesa. Ai preti piace la tentazione di clericalizzare i laici, ma tanti laici, in ginocchio, chiedono di essere clericalizzati". "La malattia tipica della Chiesa ripiegata su se stessa èl'autoreferenzialità. È una specie di narcisismo, che ci conduce alla mondanità spirituale e al clericalismo". Tre citazioni bergogliane per provare a capirci.
Secondo me, la chiave di lettura dell'anticlericalismo non solo spiega il motivo per cui Francesco ha fatto breccia nel cuore e nella mente di tanti, credenti, praticanti e non. Ma è la chiave di volta per intendere ogni parola del suo magistero. Capito questo si capisce il suo pontificato. E si comprende perché a molti di noi risulti indigesto.
Francesco è convinto che la Chiesa si ammali ogni volta che perde il contatto diretto con Dio. Ogni volta che non riesce più ad ascoltare la sua Parola, a lasciarsi guidare dal soffio dello Spirito. Nell'Antico Testamento il popolo pecca d'idolatria perché si costruisce il Vitello d'oro come succedaneo della divinità. Nella visione di Francesco oggi i cattolici creano spesso istituzioni, organizzazioni e dottrine che rimpiazzano Dio e peccano, a loro volta, d'idolatria Siamo giunti così a dare alla religione lo statuto della fede. Utilizziamo pratiche, regole, comportamenti religiosi, necessari, ma che vengono dall'uomo e non da Dio. In fondo, il clericalismo è la religiosità senza fede, l'incapacità di essere docili allo Spirito, di abbandonarsi alla "libertà inafferrabile della Parola" che sfugge alle nostre previsioni e rompe i nostri schemi, come ricorda l'Evangelii gaudium al numero 22.
Un altro gesuita, di professione biblista, Francesco Rossi De Gasperis, sostiene, non a caso, che il più grande gesto anticlericale della storia della Chiesa lo abbia compiuto Benedetto XVI con la sua rinuncia. Una scelta maturata nella preghiera, con l'intenzione di fare la volontà di Dio e non quella dell'uomo. Un atto che ha rappresentato, infatti, l'overture di un pontificato profondamente anticlericale. Ma, tornando indietro nella storia, si potrebbe citare fra i grandi gesti anticlericali anche l'altrettanto sorprendente convocazione del Concilio da parte di S. Giovanni XXIII. Contro gli schemi umani, affidandosi allo Spirito.
Ora però, riconoscere nel clericalismo la vera patologia della Chiesa è una prospettiva che sposta le responsabilità della secolarizzazione. L'attuale debolezza dell'evangelizzazione, nell'impostazione di Papa Bergoglio, non dipende 'in primis' dalla sordità di una società sempre più atea, relativista, materialista, ma dalla debolezza di una Chiesa sempre più autoreferenziale, ripiegata su se stessa, refrattaria a farsi sorprendere e sconvolgere dal vento prepotente dello Spirito, così come dalla libertà della Parola. E questo spostamento non è indolore. L'autocritica che innesca nel mondo cattolico soddisfa i lontani che vedono finalmente stigmatizzati i difetti clericali. Ma, al contempo, irrita i credenti più convinti, abituati a sentirsi rinchiusi in una cittadella santa assediata dal mondo. Quale sorpresa e quale fastidio nel comprendere che i primi responsabili della mondanizzazione siamo proprio noi cattolici, diventati incapaci di ascoltare Dio; noi cattolici che, troppo spesso, "camminiamo, edifichiamo, confessiamo", "senza Croce". Quale seccatura assistere allo spettacolo di questi atei, laici, senza-Dio, che plaudono al nostro Papa. Eravamo convinti che comportandoci bene, rispettando i comandamenti, essendo cioè "in regola", avremmo guadagnato più diritti degli altri. E ora scopriamo che nella Chiesa (di Francesco) non è così. Ma non è forse questa nostra reazione a dimostrare indirettamente che abbiamo smarrito la strada?
Eppure basta poco per intuire che Francesco preferisce bacchettare amabilmente religiosi e laici che sono nel recinto del gregge, invece che condannare le pecorelle smarrite lontane, proprio perché sensibile alla logica evangelica. Cerca di accogliere e illuminare le sofferenze di tutti, perché convinto che non esistano 'irregolari' di fronte a un Dio Padre capace di amore incondizionato. Vuole una Chiesa 'in uscita', anche se magari incidentata, perché sicuro che la chiusura agli altri sia chiusura a Dio. Condanna il clericalismo proprio perché ama la Chiesa. La vuole povera e misericordiosa, come un 'ospedale da campo', non per piacere all'uomo, ma per avvicinarsi alla volontà del Padre.
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