ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 31 luglio 2014

Nuova esegesi per il nuovo Mosé..


Papa Francesco dalla Terra del Fuoco alla Terra dei Fuochi. L'enciclica "verde" avrà le stimmate di GomorraMail


L’enciclica “verde” del Papa sudamericano, che si intravede all’orizzonte, sarà italiana, non solo amazzonica. Un’enciclica “pro”, in difesa dell’ambiente. Ma anche “contro” coloro che lo avvelenano. A cominciare dalla malavita.
Rientrato in Vaticano dal doppio viaggio a Caserta e rimettendo mano ai compiti delle vacanze, Francesco ha infatti negli occhi gli “sfregi” della Campania un tempo felix. Ferita e sventrata. Sorvolata e contemplata due volte in quarantottore dall’elicottero. Come una piaga nel corpo di Cristo. Un’apparizione sull’asse terra - cielo, che gli ha impresso nell’anima le stimmate di Gomorra.
Il Papa è pur sempre un monarca. Le suggestioni della reggia di Vanvitelli, la Versailles d’Italia, lo hanno riportato al “discorso della corona” e all’impegno di “custodire il creato”, assunto solennemente il 19 marzo 2013, nella cerimonia inaugurale del suo regno. Ribadendo il nesso fra tutela della natura e contrasto a “ogni forma di corruzione e illegalità”.

“…Tutti sappiamo il nome di queste forme di corruzione e illegalità”, ha contestualizzato. Con un riferimento chiaro alle organizzazioni mafiose, nella variante locale della camorra. Ma senza nominarla. Quanti pertanto attendevano che, nella location scelta da Hollywood per girare Star Wars, trovasse compimento la trilogia iniziata con Wojtyla nella Valle dei Templi e proseguita da Bergoglio nella Piana di Sibari, dovranno rimandare a Napoli l’appuntamento con la storia. L’ingresso ufficiale della camorra nel lessico di un pontefice, attraverso la porta principale della liturgia, “onore” fin qui riservato alla mafia, nell’invettiva di Giovanni Paolo II ad Agrigento, e alla ‘ndrangheta, nella “scomunica” proferita da Francesco a Cassano allo Ionio, è rinviato all’imminente trasferta partenopea.
Nel frattempo la guerra lampo diventa guerra di posizione. Casa per casa e senza quartiere, da Oppido a Ballarò, dove la posta in gioco è il controllo del territorio. E in cui la mafia lancia guanti di sfida che, a guardar bene, ricalcano le mosse dei signori feudali, a fronte delle antiche scomuniche.
Se lo sciopero delle messe trasmette infatti un segnale scismatico, di apparente sottomissione ma evidente provocazione all’autorità del Pontefice, l’omaggio delle processioni manifesta un profilo perfino eretico, deviante in dottrina oltreché sullo stradario. Inducendo l’episcopato ad attuare un’ampia opera di bonifica preventiva e un giro di vite, voluti dal Papa e coordinati da Nunzio Galantino, energico segretario generale assurto al ruolo, in questa fase, di “procuratore nazionale antimafia” della CEI.
Come Garibaldi, Bergoglio ha risalito lo stivale dallo Ionio al Volturno, posando il piede sul suolo che scotta della Terra dei Fuochi e portandosi dietro, per tutto luglio, il sasso di Oppido Mamertina. Fino al giorno di Sant’Anna, patrona di Caserta. “Desidero incoraggiarvi tutti a vivere la festa patronale libera da ogni condizionamento”, ha scandito sullo sfondo del palazzo reale, sconfessando gli usurpatori e confortando le attese legittimiste: “Dare il primato a Dio significa avere il coraggio di dire no al male, alla violenza, alle sopraffazioni…”
La sera del 21 giugno, mentre concludeva il suo viaggio in Calabria nella luce abbagliante del solstizio d’estate, ci era sembrato che Bergoglio scendesse dal massiccio del Pollino come Mosè dal Sinai, per imprimere la legge nella coscienza del popolo. Ma non immaginavamo, e non immaginava, che il copione veterotestamentario si sarebbe inverato alla lettera nel suo epilogo blasfemo, inchinando la Madonna di fronte alla dimora del boss: “Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicata! Si son fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi”.
Lettura dei giornali e letture liturgiche, reminiscenza biblica e recrudescenze di cronaca si alternano e accavallano tra scrivania e altare, nell’estate romana del Papa. Così la Chiesa si ritrova in guerra, perché di questo si tratta. E ricorre alle tecniche militari che geneticamente, sotto la pelle dei mutamenti d’epoca, le sono rimaste in fondo più congeniali: la crociata e la scomunica. Unitamente alla strategia di presidio e presenza in loco, che già prima di Natale porterà il Pontefice a Napoli.
Un viaggio che, conoscendolo, non avrà il suo clou nel salotto buono, ma in periferia, forse proprio a Scampia. Non Piazza del Plebiscito, dove l’arcivescovo Sepe accolse Ratzinger, ma il plebiscito interiore che Bergoglio intende suscitare con le sue visite, tracciando un solco nell’opinione pubblica: “Mosè si pose alla porta dell’accampamento e disse: “Chi sta con il Signore venga da me!”.
Piemontese d’estrazione ma meridionalista d’elezione, con un istinto da libertador, Francesco monta a cavallo dell’elicottero e va a riprendersi i luoghi santi del 21° secolo: quella terra promessa delle periferie che il cristiano deve calcare “togliendosi i sandali”, come scrive nella Evangelii Gaudium, e le mafie invece calpestano, impedendo alla giustizia di germogliare ed evolvere in civiltà dell’amore.
Anche se per adesso abbassa i toni, ma non la guardia, Bergoglio sta scrivendo una pagina epica. Tentando l’impresa che non riuscì a eserciti monarchici ed eroi repubblicani, da Garibaldi a Falcone. Inserendo come coordinate, sul navigatore, il sensus ecclesiae e il senso dello stato, che in Italia non hanno mai, o quasi, proceduto insieme. Ma che nella sua visione risultano strettamente connessi, poiché la trasparenza dei rapporti sociali definisce la premessa della loro trascendenza. Né ci potrebbe essere comunione ecclesiale senza comunità civile.
Emblematico risulta pure il calendario di una guerra che è cominciata il 21 giugno, nel giorno più lungo dell’estate, sbarcando in Calabria come un D-Day, ed è stata proclamata il 21 marzo, come un annuncio di primavera, incontrando i familiari delle vittime di mafia e intonando le litanie dei loro morti. Quali santi protettori alla vigila della battaglia.
Prendendo per mano Don Ciotti e assumendo il comando del suo esercito di fantasmi, scrivemmo a caldo, Francesco era consapevole di andare incontro all’avversario più letale. Più temibile del materialismo e del relativismo. Se il nemico di Ratzinger scuoteva infatti la nave nei “venti di dottrina”, quello di Bergoglio emerge dagli abissi e allunga i tentacoli su di essa, in un duello decisivo tra la piovra e la barca di Pietro. Uno scontro che fra i narcos e il cardinale, in vero, aveva preso avvio molto tempo prima, sulla sponda del Rio de La Plata, ma che sulle rive del Tevere, con l’elezione al soglio, si è trasformato in una resa dei conti tra Chiesa e mafia.
Lo aveva intuito lucidamente Andrea Riccardi, cogliendo la vastità e la profondità teologica del fenomeno. “Le mafie e la criminalità organizzata, che spesso dominano i non luoghi della globalizzazione”, spiegava in febbraio a Limes, costituiscono “la sfida principale per la Chiesa delle periferie... È in queste giungle urbane che vive il popolo di Dio, come lo concepisce Bergoglio”.
Planetario e transoceanico, il conflitto ha però una ribalta italiana e mediterranea, tra il faro di Lampedusa e i falò della Campania infelix. È qui che la piovra, feroce e pia, contende al Papa i giacimenti d’anime.
A cinque secoli da Magellano, Bergoglio è dunque protagonista di una circumnavigazione a rovescio del globo. L’enciclica verde, in fase di stesura, costituisce il diario di bordo di una traversata insidiosa: dalla Terra del Fuoco, estremo confine del mondo, alla Terra dei Fuochi, frontiera vicina però altrettanto estrema. E assurta universalmente a simbolo di degrado ambientale e istituzionale dell’umanità.
Papa Francesco e le vittime di mafia
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Agf

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