ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 13 agosto 2014

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RISPOSTA A P. ALFONSO MARIA BRUNO

Gentile Padre Bruno,
dopo aver letto sul sito immacolata.com una sua “risposta” indirizzata al sottoscritto ho pensato subito di non averle mai posto alcuna domanda. Piuttosto lei tutto quel che aveva da dire lo ha già detto querelandomi, quindi perché offrirmi delle risposte?
Devo confessarle tuttavia che almeno tre aspetti della sua “risposta” mi hanno profondamente colpito. Anzitutto il trattamento di favore che avrei ricevuto da lei. Ammette infatti di non aver “mai in precedenza sporto querela, perché ritengo sia meglio tollerare le offese piuttosto che limitare la libertà d’espressione”.
E d’altro canto aggiunge: “Ho letto centinaia di articoli sui più disparati siti tradizionalisti in cui si contestava la nostra – non mia personale – concezione della Chiesa, anche redatti nei termini più offensivi e volgari.” Giacché c’era magari avrà letto anche articoli di chi la definiva traditore tout court (La Bussola Quotidiana) o di chi la definisce parricida ( Corrispondenza Romana) o persino falsario (Riscossa Cristiana) o calunniatore (Libertà e Persona) . Ecco, tanto per non farmi sentire solo in questa patetica vicenda, quereli anche loro. A me, si sa, non piacciono i favoritismi.
Il secondo aspetto che mi ha colpito è invece il suo riferimento al “tradimento” come ad una denuncia di infedeltà alla Chiesa e al suo ministero sacerdotale. Io non ho mai fatto questa indebita inferenza e spiace che lei voglia mescolare le carte identificando il tradimento della fiducia e della stima che p. Manelli riponeva in lei con il tradimento del suo ministero sacerdotale, una evidente assurdità che non ho mai affermato! Il tradimento di cui parlavo in uno dei miei articoli riguardava infatti padre Manelli. Ebbene, la prego, mi aiuti lei a definire un frate francescano che pur ricoprendo un incarico di rilievo in un Ordine Religioso e non dando mai pubblica dimostrazione di dissenso nei confronti dei Superiori, si ritrova dopo soli pochi mesi dal commissariamento a dirigere lo stesso Ordine, e a definire “autocratico” e “autoreferenziale”, addirittura “oppressivo” il governo di padre Stefano Manelli. Di più, in una sua recente intervista parla proprio dell’Ordine come di un “clan familistico” gestito dalla famiglia Manelli (Testimoni, n.3/2014, pp.39-41). Delle due l’una: o lei per 25 anni ha obbedito consapevolmente ad un autocrate, oppressivo e nepotista ricevendone in cambio stima e considerazione o per ben 25 anni ha vissuto nel paese di Alice e un bel giorno ha scoperto di colpo che padre Manelli era tutte le cose suddette messe insieme e ha preso subito le distanze dal fondatore, credendo di poter essere un degno reggitore dell’Ordine da riportare al suo carisma originario… (Per la verità c’è anche una terza ipotesi: che padre Manelli non sia il mostro autocratico, nepotista e traditore del carisma che lei descrive).
Veniamo quindi al terzo aspetto. Non pago di dare risposte a domande che non ho mai posto, lei si rivela un tale smanettone da linkare, nella sua risposta, al mio nome e cognome un mio articolo sulla figura di Papa Francesco. Un modo, a suo avviso, di screditarmi in partenza perché non simpatizzo – come lei – per tutto quello che il Papa fa e dice. E questo la dice lunga sulle sue intenzioni che a me paiono esclusivamente e pervicacemente punitive di chi ha “osato” mettere in discussione la sua linearità nella gestione del commissariamento. Anche perché lei non solo non mi ha mai chiesto di ritirare l’articolo a ridosso della sua pubblicazione (pur avendo tutti i miei recapiti), ma mi ha querelato a novembre del 2013, più di un mese dopo. Addirittura oggi, a distanza di un anno, vorrebbe in cambio del ritiro della querela che io contattassi tutti i blog e i siti che avevano ripreso i miei articoli per chiedere loro di ospitare una mia “ritrattazione”. Un po’ come facevano i maestri negli anni ’30, quando obbligavano gli allievi a calzare il cappellone con le orecchie d’asino. Ma per essere dei bravi maestri bisogna essere candidi come colombe, irreprensibili ed esemplari e, confessiamocelo, in questo mondo è difficile esserlo se non si è santi. E lei sicuramente non è un santo. E nella tenzone tribunalizia dismette pure i panni del religioso per vestire quelli del laico. Quando il carabiniere mi ha chiesto: “conosce Alfonso Bruno?” io gli ho risposto “conosco padre Alfonso MARIA Bruno…”, ma il solerte carabiniere mi ha risposto: “qui non si firma Maria, ma solo Alfonso”. Giustamente concordo con lei che non fosse il caso di portare la Madonna in un’aula di tribunale.
Perciò la sua risposta parte con la dolcezza del religioso e degrada in toni che oserei definire cambogiani, propri di una mentalità che è volta a tacitare chiunque esprima dissenso o sia percepito come una minaccia per il proprio ruolo, il proprio incarico, il modo in cui si è considerati dagli altri, senza pensare che spesso siamo a nostra volta minacce per noi stessi. La mentalità di un sacerdote che dopo aver preso il posto del fondatore del suo ordine e dopo aver messo sotto il suo controllo l’intero archivio dell’Ordine, pretende di umiliare un laico che ne ha messo in evidenza le possibili contraddizioni. Ma lei se li immagina San Pio o San Massimiliano Kolbe pretendere ritrattazioni a go go da tutti i loro detrattori? Lei se lo immagina padre Pio che querela padre Gemelli e che gli manda i Carabinieri a casa? Altro che Chiesa della misericordia e della tenerezza… altro che fans di Papa Francesco, questo ricorda proprio quella Chiesa autocratica ed autoreferenziale che lei depreca senza mezzi termini. Una Chiesa che tutti ci auguriamo possa appartenere alle cronache di tempi oscuri.
Perciò mi consenta di darle un consiglio dalla mia umile posizione di fedele e di laico, una posizione che nella Chiesa non è subalterna alla sua: dedichi più tempo alle anime e meno ad internet e alla “comunicazione”, armi a doppio taglio. Anche perché c’è il rischio che vedendo una vecchia foto di lei in Benin, quella che lei posta a conclusione della sua risposta al sottoscritto, si possa pensare che la “missio ad gentes” venga citata quale vago ricordo dei bei tempi andati. E francamente non so se in Benin i suoi tempi fossero proprio così belli. Lei oggi non è in Africa, lei oggi tiene le redini dell’Ordine assieme a un Commissario, al posto di padre Manelli. Rilascia da un anno interviste a destra e a manca, dipinge me e chi come me pensa che il commisariamento sia stato un provvedimento esagerato, come un cripto-lefebvriano, mi manda pure i carabinieri a casa, e poi ha anche il coraggio di mostrarmi la foto di lei missionario in uno sperduto villaggio dell’Africa? Insomma non si rende conto della palese dissociazione di chi usa il sito dei FFI come fosse la sua personale tribuna, spedisce al confino confratelli stimati ma troppo “manelliani”, si serve delle procure della Repubblica per far valere le sue ragioni e mettere la museruola a chi non gode della sua stima e poi pretende pure di essere una vittima indifesa, mite e devota, di chissà quale criminogena mente tradizionalista?
Forse però quella foto rivela un desiderio, quello di ritornare ad un ministero sacerdotale che rischia di impantanarsi un pò troppo nei pericoli della mondanità e nelle maglie di un potere acquisito che può crollare al minimo passo falso. Segua questo desiderio, non serve essere a capo di un Ordine religioso per essere frati santi, come non serve gettare e far gettare tempo e soldi in un tribunale civile per dimostrare al mondo di essere uomini fedeli e coerenti. Per questo basta la coscienza. Ce lo insegna anche il Papa. Prego per lei.
Francesco

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