Il Papa disorienta molti vescovi
È la conclusione di Sandro
Magister che da 40 anni segue da vicino le vicende del Vaticano. Perché
gioca su più piani e spesso si contraddice anche.
di Goffredo Pistelli
Quest’anno ha festeggiato 40 anni di cronache vaticane, Sandro Magister. I suoi primi articoli su L’Espresso
risalgono infatti al 1974. E ancora oggi, da quelle colonne ma anche
dal sito del settimanale, continua a raccontare l’Oltretevere e la
Chiesa tutta in maniera documentatissima ma senza riverenze di sorta. E
lui, nativo di Busto Arsizio, classe 1943, laureato in filosofia e
teologia alla Cattolica, di romani pontefici ne ha seguiti tanti.
Sull’ultimo, papa Francesco, le sue cronache si distinguono dal
mainstream dei vaticanisti, e non esitano a sottolinearne le
contraddizioni.
Magister, papa Bergoglio, in questi
mesi, ha goduto un successo planetario ma sono emerse anche alcune
decisioni che hanno dato da pensare. Per esempio, lui che si è
presentato come Vescovo di Roma, al Sinodo sulla famiglia ha richiamato
persino i codici del canone che affermano il potere petrino.
È vero, nel suo discorso conclusivo.
Ha delineato una visione condivisa e
aperta del governo della Chiesa, ha commissariato i Francescani
dell’Immacolata con metodo piuttosto duri e ha di fatto messo la
mordacchia alle conferenze episcopali…
Alcune, fra cui quella italiana, sono, di fatto, annichilite.
E parlando ai movimenti popolari è
parso riecheggiare certe analisi di Toni Negri sul lavoro, come lei ha
scritto nel blog Settimo cielo, quando poi accetta il “licenziamento” di
500 fra calligrafi, pittori e stampatori dei quali l’Elemosineria
vaticana ha deciso di non avvalersi più.
In effetti quella vicenda stride un po’…
…come stridono le dure prese di
posizione ultragarantiste, sulla giustizia e sul carcere, con la sua
scelta di far carcerare preventivamente l’ex-nunzio di Santo Domingo, in
attesa del giudizio per pedofilia.
È andata così.
Ecco, lei che è un vaticanista di lungo corso, che idea si è fatto?
Che le contraddizioni ci sono e
rappresentano un giudizio fondato, basato sull’osservazione di parecchi
mesi, inerenti la personalità di Jorge Bergoglio.
E che conclusioni trae?
R. È una persona che, nell’arco della sua
vita e ora anche da pontefice, agisce su diversi registri
contemporaneamente, lasciando varchi aperti e, a una prima lettura,
molte contraddizioni. Ma quelle che lei hai ricordato non sono peraltro
le uniche.
Segnaliamone di altre…
R. Quella di un Papa loquacissimo, che
telefona, che accosta le persone più diverse e più lontane, ma tace sul
caso di Asia Bibi.
La pachistana condannata a morte per apostasia da tempo in carcere…
Esatto, sulla cui vicenda papa Francesco
non ha speso una parola. Così come è stato per le ragazze nigeriane
rapite, per l’incredibile atto compiuto pochi giorni fa in Pakistan su
quella coppia di sposi cristiani, bruciati in una fornace.
Sono storie che riguardano il
rapporto con l’Islam, su cui torneremo. Ma queste contraddizioni
qualcuno comincia a definirle “gesuitismo”, nel senso di un pensiero
cangiante.
In questi termini è una qualifica
dispregiativa e non accettabile, anche se è vero che la spiritualità dei
gesuiti ha mostrato storicamente di sapersi adattare alle situazioni
più diverse e, a volte, in contrasto fra loro.
E contrastante è apparsa la gestione del recente Sinodo.
Una gestione accuratamente calcolata dal
Papa e non lasciata al caso come si è voluto far credere, e che registra
altri elementi contrastanti.
Per esempio?
Bergoglio che ha detto, e ripetutamente,
di non voler transigere sulla dottrina, di stare con la tradizione delle
Chiesa. Ma poi ha aperto discussioni, come quelle sulla comunione ai
risposati, che effettivamente toccano i capisaldi del magistero.
Perché?
Perché è inesorabile che la comunione ai
risposati arrivi all’accettazione delle seconde nozze e quindi allo
scioglimento del vincolo sacramentale del matrimonio.
Non sono un vaticanista, ma la
sensazione, dall’esterno è che stia diffondendosi un po’ di sconcerto e
non solo nelle gerarchie. Peraltro anche in settori non certamente
definibili come tradizionalisti…
Questo è indubbio. Ci sono esponenti di
notevole rilievo e non certo lefebvriani che lo fanno capire, anche se
non lo esprimono in termini drastici e oppositivi. Neppure il cardinal
Raymond Leo Burke, l’ex prefetto della segnatura apostolica recentemente
rimosso, l’ha fatto, perché non c’è una corrente pregiudizialmente
ostile al pontefice. Certo, ci sono manifestazioni evidenti di disagio.
Facciamo qualche esempio?
Prendiamo l’episcopato degli Stati Uniti,
ossia i vescovi di uno dei più numerosi popoli cattolici del globo.
Quella conferenza episcopale, negli ultimi anni, ha espresso una linea
coerente e battagliera sul terreno pubblico, anche nei confronti di
certe decisioni di Barack Obama sui temi etici. Una linea condivisa da
numerosi prelati di rilievo. Un collettivo, più che una somma di
singoli, un nucleo dirigente, diciamo.
E dunque gli americani?
Sono piuttosto a disagio. Lo sono
cardinali e arcivescovi come Timothy Dolan a New York, Patrick O’Malley a
Boston, José Gomez a Los Angeles o Charles Chaput a Philadelpia. Un
episcopato da cui proviene lo stesso Burke, che non è certo confinabile a
marginali circuiti tradizionalisti, ma continua ad essere parte di una
delle Chiese nazionali più solide.
E anche la Cei, si diceva prima, appare un po’ in difficoltà.
Ce n’è di difficoltà, a mettersi al passo
di questo papa. Con un presidente, Angelo Bagnasco, che sembra più in
difficoltà di tutti.
Anche perché si era apertamente
indicato il suo successore nell’arcivescovo di Perugia, Gualtiero
Bassetti, creato cardinale da Bergoglio.
E invece, mi risulta che anche Bassetti sia fra i vescovi italiani a disagio.
Fra gli italiani, i più espliciti sono stati forse il milanese Angelo Scola e il bolognese Carlo Caffarra.
Lo sono stati intervenendo prima e
durante il Sinodo. Ma era inevitabile considerando la decisione del papa
di affidare al cardinal Walter Kasper l’apertura della discussione, e
quindi in pratica l’apertura delle ostilità.
Perché?
Perché Kasper ripropone oggi, tali e
quali, le tesi sconfitte nel 1993 dal binomio Giovanni Paolo II e Joseph
Ratzinger, quest’ultimo nelle vesti di prefetto del Sant’Uffizio.
Sì, il Papa ha lanciato Kasper, ha
fatto segretario speciale del sinodo monsignor Bruno Forte che, durante i
lavori ha pesato, tanto da suscitare anche le reazioni di qualche padre
sinodale, ma poi, alla fine, Francesco è intervenuto bacchettando gli
uni e gli altri. Quasi un vecchio dc contro gli opposti estremismi.
È un altro dei moduli espressivi
ricorrenti di questo pontefice: la reprimenda di una parte e all’altra.
Però, a voler fare un inventario, le sue bacchettate ai tradizionalisti,
ai legalisti, ai rigidi difensori dell’arida dottrina, appaiono molto
più numerose e mirate. Quando invece se la prende con i buonisti, non si
capisce mai a chi si riferisca.
Il Sinodo ha lanciato sempre più il direttore della “Civiltà cattolica”, padre Antonio Spadaro.
Si atteggia ormai a portavoce del Papa e
la rivista dei gesuiti, che era avviata a un progressivo declino (già
con lui direttore, che si occupava molto di web e di socialnetwork),
oggi è espressiva del vertice supremo vaticano. Specie dopo la prima
grande intervista col papa gesuita. Mentre il ghost-writer di Francesco è
Manuel Fernandez, il rettore dell’Università Cattolica di Buenos Aires,
che il papa ha fatto arcivescovo. È con Fernandez che Francesco ha
scritto la Evangeli Gaudium, così come in precedenza aveva
scritto con lui il documento di Aparecida in Brasile, nel 2007, quando
l’allora arcivescovo di Buenos Aires condusse in porto la conferenza dei
vescovi latino-americani, documento che per molti è l’anticipazione di
questo papato.
A fronte di un grande consenso, c’è
anche chi, come lo scrittore Antonio Socci, contesta persino la validità
dell’elezione del papa. Ha letto il suo libro “Non è Francesco”
(Mondadori)?
L’ho letto in una sera, d’un fiato, per
quanto siano oltre 300 pagine. E non per la tesi dell’invalidità
dell’elezione, a causa dell’annullamento di uno scrutinio in conclave, a
motivo di una scheda bianca in più. Una tesi a mio parere
inconsistente.
E allora perché la lettura è risultata interessante?
Per quello che sta determinando il
successo del libro, tanto da spingerlo ai vertici delle classifiche,
sopravanzando gli stessi libri di e su Bergoglio. E cioè perché
ricostruisce, con fatti e parole incontestabili, le contraddizioni che
abbiamo citato.
Un libro di cui nessuna parla, quasi
rischiasse di incrinare la popolarità di Francesco, che è enorme. A
dispetto di questo consenso, però, non aumenta la pratica religiosa e,
anzi, cresce l’avversione, anche pubblica, al cattolicesimo. Bergoglio
sì, il resto no.
Anche la popolarità dei predecessori, non
dimentichiamolo, è stata fortissima. Giovanni Paolo II ha conosciuto un
successo mondiale e non solo negli anni dell’affronto della malattia. E
anche Benedetto XVI, tra il 2007 e il 2008, raggiunse i vertici nei
sondaggi, anche se lo si dimentica. Il suo viaggio negli USA fu il
culmine, con una grande e positiva accoglienza anche da parte
dell’opinione pubblica laica.
E dunque qual è la differenza?
Che i predecessori erano popolari
soprattutto dentro la Chiesa, anche se contestati aspramente da punte
robuste della pubblica opinione non cristiana. Mentre la popolarità più
appariscente di Francesco è fuori, anche se non provoca ondate di
convertiti. Anzi, con lui c’è un certo compiacimento nella cultura
estranea o ostile al cristianesimo.
In che senso?
Nel vedere che il capo della Chiesa si
sposta verso le loro posizioni, che sembra di comprendere e persino
accettare. La vicenda dei ripetuti colloqui con Eugenio Scalfari è
esemplificativa: il papa accetta che il fondatore di Repubblica, una volte il più duro contestatore del pontefice, pubblichi di questi colloqui tutto quello che vuole.
Anzi, Scalfari stesso ha dichiarato di aver pubblicato anche quello che Bergoglio non aveva detto.
Esatto. Ma, in tutto ciò, non c’è alcun
avvicinamento al cristianesimo. Il cristianesimo messo sulla bocca di
Bergoglio non è più provocante, non fa problema come prima, lo si può
trattare con cortesia, superiorità, distacco. Il cristianesimo conta
meno. Basti pensare che al presidente del consiglio, Matteo Renzi,
cattolico, di cosa faccia la CEI non importa nulla. Insomma, da una
situazione di confronto o di conflitto, siamo passati al disinteresse.
Col mondo musulmano, papa Francesco è
silente. E anche il segretario di Stato, Pietro Parolin, intervenendo
recentemente all’ONU, è stato molto prudente. Alcuni parlano di una
grande cautela e, quando lo fanno, citano il discorso di Benedetto XVI a
Ratisbona, che provocò reazioni e anche morti.
È una cautela spinta all’estremo che
però, in concreto, non vedo quali vantaggi produca, non mi pare che si
risolva in un aiuto, anche minimo o parziale, ai cristiani di quelle
regioni. La cautela si può capire, se si misura sulla proporzialità
dell’effetto, vale se produce minore danno. La situazione mi ricorda il
silenzi di Pio XII sugli ebrei.
Una polemica storica, anche recente…
Papa Pacelli fece di tutto per salvare
gli israeliti, anche personalmente in Vaticano, ora lo sappiamo. Ma
esitò a denunciare apertamente la cosa temendo che accadesse come in
Olanda, dove alla denuncia di alcuni vescovi seguirono persecuzioni
anche peggiori.
Però questo silenzio permane.
Salvo il cardinale Jean-Louis Tauran, prefetto del dialogo inter-religioso, che non risparmia giudizi anche severi.
D. Il punto qual è?
È che ci sono potentati come l’Isis, con
cui ci si affretta troppo a dire che l’islam non c’entra, ma che sono
invece nutriti di un islamismo radicale, che non ha risolto la questione
della razionalità e quindi del rapporto tra fede e violenza. Cioè
proprio ciò che aveva denunciato papa Ratzinger a Ratisbona. E infatti
l’unico vero dialogo tra cristianesimo e islam è nato da quel discorso,
con la successiva lettera dei 138 saggi musulmani.
Anche se la visita alla Moschea Blu di Istambul, l’anno dopo, fu considerata una riparazione di Benedetto XVI.
Ratzinger poté fare quel gesto, proprio
per aver detto quelle cose Ratisbona. Il suo giudizio non era
enigmatico, si capiva benissimo, l’aveva espresso con chiarezza
cristallina.
Talvolta no. Quando a Betlemme si ferma
davanti al muro che divide i territori da Israele e resta in silenzio
assoluto: non si sa cosa intenda dire. E quando a Lampedusa grida
«vergogna», non è chiaro chi e perché debba vergognarsi. L’Italia che ha
salvato migliaia e migliaia di vite? Perché non lo dice? Spesso ci sono
parole e gesti che sono volutamente lasciati nell’indeterminatezza.
Non c’è il tempo per parlare delle
vicende vaticane, come quella di Ettore Gotti Tedeschi, che fu rimosso
dallo Ior sotto la segreteria del cardinal Tarcisio Bertone, ma di cui è
emersa, a più riprese, la correttezza. Anche con l’archiviazione da
parte della magistratura italiana.
Gli si nega una riabilitazione. Ha chiesto un colloquio al papa ma gli è stato rifiutato.
La Chiesa «ospedale da campo» a volte tiene le porte serrate.
R. È così.
© Riproduzione riservata. ITALIAOGGI.IT (13/11/2014)
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