ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 26 novembre 2014

Lo staremo a vedere ?



Le lenti del cardinale, del sociologo, dei giornalisti

Tutte puntate su Francesco. Per capire chi è e dove vuole andare. Nella Chiesa, a tutti i livelli, le critiche al papa non si tacciono più. Si dicono apertamente. Tra i porporati, il più esplicito è Francis George 
ROMA, 26 novembre 2014 – Il burrascoso sinodo di ottobre sulla famiglia, la nomina del nuovo arcivescovo di Chicago e la degradazione del cardinale Raymond L. Burke hanno segnato un tornante nel pontificato di papa Francesco.

I disagi, i dubbi, i giudizi critici emergono sempre più alla luce del sole e si fanno ogni giorno più espliciti e motivati.

A tutti i livelli del "popolo di Dio". Tra i cardinali, tra i sociologi della religione, tra i giornalisti specializzati in cose vaticane.

Quelle che seguono sono tre testimonianze del nuovo clima.

1. IL CARDINALE

Francis George non è un cardinale qualsiasi. Arcivescovo di Chicago fino a poche settimane fa e presidente della conferenza episcopale degli Stati Uniti dal 2007 al 2010, è colui che ha iniziato e guidato il nuovo corso della Chiesa cattolica americana durante il pontificato di Benedetto XVI, in perfetta sintonia con lui.

Insediando come suo successore a Chicago un vescovo di profilo opposto, Blase J. Cupich, papa Francesco ha espresso un inequivocabile segnale di disaccordo con la linea della conferenza episcopale.

La quale ha però a sua volta confermato di non voler recedere dal percorso intrapreso. 

Infatti, nell'eleggere i propri quattro rappresentanti alla seconda tornata del sinodo sulla famiglia, ha concentrato i voti, oltre che su Joseph Kurtz e Daniel DiNardo, presidente e vicepresidente della conferenza episcopale, su Charles Chaput, arcivescovo di Philadelphia, e José Gomez, arcivescovo di Los Angeles, cioè proprio su due esponenti di punta della corrente ratzingeriana.

Cupich è risultato il primo dei non eletti, seguito comunque a ruota da un altro ratzingeriano dei più risoluti, Salvatore Cordileone, arcivescovo di San Francisco.

È in questo contesto che il cardinale George ha dato a metà novembre un'intervista a tutto campo al vaticanista John Allen del "Bostin Globe", nella quale ha esplicitato come mai prima le sue riserve su papa Francesco.

Eccone i passaggi chiave.

*
"HA CREATO DELLE ASPETTATIVE CHE NON PUÒ SODDISFARE"

di Francis George


Posso capire l’ansia di certe persone. A un primo sguardo non ravvicinato, ti può sembrare che Francesco metta in discussione l'insegnamento dottrinale consolidato. Ma se guardi di nuovo, soprattutto quando ascolti le sue omelie, vedi che non è così. Molto spesso, quando lui dice certe cose, la sua intenzione è di entrare nel contesto pastorale di qualcuno che si trova preso, per così dire, in una trappola. Forse questa sua simpatia la esprime in un modo che induce la gente a chiedersi se egli sostenga ancora la dottrina. Non ho nessun motivo di credere che non lo faccia. […]

Si pone allora la domanda: perché Francesco non chiarisce queste cose lui stesso? Perché è necessario che gli apologeti sopportino il peso di dover fare ogni volta buon viso? Si rende conto delle conseguenze di alcune sue affermazioni, o anche di alcune sue azioni? Si rende conto delle ripercussioni? Forse no. Io non so se lui è consapevole di tutte le conseguenze di quelle parole e di quei gesti che sollevano tali dubbi nella mente delle persone.

Questa è una delle cose che mi piacerebbe avere la possibilità di domandargli, se mi capitasse di essere lì da lui: "Si rende conto di ciò che è successo solo con quella frase 'Chi sono io per giudicare?', di come è stata usata e abusata?". Essa è stata davvero abusata, perché lui stava parlando della situazione di qualcuno che aveva già chiesto pietà e ricevuto l'assoluzione, di qualcuno da lui ben conosciuto. È una cosa completamente diversa dal parlare di qualcuno che pretende di essere approvato senza chiedere perdono. È costantemente abusata, quella frase.

Ha creato delle aspettative attorno a lui che egli non può assolutamente soddisfare. Questo è ciò che mi preoccupa. A un certo punto, coloro che lo hanno dipinto come una pedina nei loro scenari sui cambiamenti nella Chiesa scopriranno che lui non è quello che credono. Che non va in quella direzione. E allora forse diventerà il bersaglio non solo di una delusione, ma anche di un'opposizione che potrebbe essere dannosa per l'efficacia del suo magistero. […]

Personalmente, trovo interessante che questo papa citi quel romanzo: "Il padrone del mondo". È una cosa che vorrei domandargli: "Come fa a mettere assieme quello che lei fa con quello che lei dice che sia l'interpretazione ermeneutica del suo ministero, cioè questa visione escatologica secondo cui l'Anticristo è in mezzo a noi? È questo che lei crede?". Mi piacerebbe fare questa domanda al Santo Padre. In un certo senso, ciò potrebbe forse spiegare perché egli sembra avere tanta fretta. […] Che cosa crede il papa circa la fine dei tempi? […]

Io non lo conoscevo bene prima della sua elezione. Ho saputo di lui tramite i vescovi brasiliani, che lo conoscevano di più, e a loro ho fatto molte domande. […] Non sono andato a trovarlo da quando è stato eletto. […] Papa Francesco non lo conosco abbastanza. Certamente lo rispetto come papa, ma mi manca ancora una comprensione di che cosa intenda fare.

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Il testo integrale dell'intervista del cardinale George:

> Chicago's exiting Cardinal: "The Church..."

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2. IL SOCIOLOGO


Luca Diotallevi insegna sociologia all'Università degli Studi "Roma Tre". Ma è anche da anni il sociologo di riferimento della conferenza episcopale italiana. È stato relatore al convegno ecclesiale nazionale di Verona del 2006, con papa Joseph Ratzinger e con il cardinale Camillo Ruini, ed è vicepresidente del comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali dei cattolici italiani.

Lo scorso 12 novembre ha tenuto una relazione all'assemblea generale della CEI, riunita ad Assisi, sul tema: "Le trasformazioni in corso nel clero cattolico. Un contributo sociologico in riferimento al caso italiano".

Ebbene, nella parte finale della sua relazione, il professor Diotallevi ha richiamato l'attenzione dei vescovi sul mutamento in corso nel cattolicesimo, non solo italiano, verso una forma di religione "a bassa intensità".

Una religione, cioè, che "guadagna in visibilità e perde in rilevanza".

Tra i vescovi presenti, c'è chi vi ha visto un riferimento implicito al "successo" di papa Francesco.

In questa stessa assemblea i vescovi italiani hanno sonoramente bocciato, nell'eleggere uno dei tre loro vicepresidenti, il candidato prediletto dal papa, l'arcivescovo e teologo Bruno Forte, segretario speciale di nomina pontificia dei due sinodi sulla famiglia. Forte ha rimediato 60 voti contro i 140 andati all'eletto, il vescovo di Fiesole Mario Meini.

Ecco qui di seguito un passaggio della relazione di Diotallevi.

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VERSO UN CATTOLICESIMO "A BASSA INTENSITÀ"

di Luca Diotallevi


Quello in corso non è un momento di declino della religione e di laicizzazione, è al contrario un momento di "religious booming". 

La fase presente di boom religioso si costruisce sulla crisi di quel cristianesimo confessionalizzato che si è affermato a partire dal XVII secolo come elemento di supporto al primato della politica sulla società, in forma di Stato.

Alcune correnti della variante cattolico romana del cristianesimo risultano sulla carta meno coinvolte da questa crisi e possono interpretarla come ricca di opportunità. Tuttavia, se tra i candidati alla guida di questo boom religioso vi è il cattolicesimo romano, tra questi vi è anche la "low intensity religion", la religione a bassa intensità.

Il grande vantaggio di questa opzione consiste nel fatto che concede al consumatore religioso una pressocché infinita capacità di scelta e di ricombinazione tra beni e servizi posti sul mercato dai più diversi attori della offerta religiosa.

La religione a bassa intensità offre poi grandi chance anche alle autorità religiose. Se queste sanno abbassare le proprie pretese normative, sono ad esse garantiti un grande futuro e una discreta ribalta come imprenditori religiosi.

In questa competizione i nuovi attori dell'offerta religiosa – dai pentecostali e carismatici alla New Age – hanno buone carte da giocare: una estrema flessibilità, una grande indulgenza nei confronti della espressività.

Ma anche gli attori religiosi tradizionali hanno notevoli risorse a disposizione: un "brand" consolidato, un’enorme riserva di simboli e riti, una grande conoscenza dei mercati locali. Certo, a patto di liberarsi dai “vecchi” scrupoli della ortodossia e della ortoprassi; a patto che accettino di avere meno rilevanza per avere maggiore visibilità. 

Anche all’interno del cattolicesimo molti attori religiosi hanno adottato e stanno adottando le forme di una religione a bassa intensità.

Non è un caso che in questa temperie per la Chiesa cattolica diventi un problema il sacramento del matrimonio. Esso è letteralmente inconcepibile in una prospettiva di religione a bassa intensità, la quale invece riserva un'attenzione grande ma generica al benessere della famiglia.

Considerare attentamente i tratti del boom religioso attualmente in atto è indispensabile per comprendere il significato di processi e di crisi come quelle che interessano il clero cattolico. In larga parte, questi processi e queste crisi sono espressione del tentativo di assimilare il cattolicesimo a una religione a bassa intensità.

E molta lucidità serve anche per astenersi dal ricorrere a soluzioni oggi sotto i riflettori, come quelle che vorrebbero l’ordinazione presbiterale non più limitata ai maschi celibi. Le tradizioni cristiane che ordinano uomini sposati e magari anche donne, e che dunque dispongono in proporzione di maggiori quantità di clero, si trovano di fronte esattamente agli stessi problemi e spesso in forme decisamente più acute.

*

Il testo integrale della relazione del professor Diotallevi uscirà sul prossimo numero della "Rivista del Clero".

E una sua analisi più elaborata del fenomeno della religione a bassa intensità è in questo volume di autori vari edito dalla facoltà teologica di Milano: 

"Una fede per tutti? Forma cristiana e forma secolare", Glossa, Milano, 2014.

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3. I GIORNALISTI

Aldo Maria Valli è il numero uno dei vaticanisti in servizio alla RAI, la televisione italiana di Stato. E Rodolfo Lorenzoni lavora anche lui in RAI, per un certo periodo in RAI-Vaticano.

Sono entrambi cattolici ferventi. Ma non la pensano allo stesso modo. Valli si sente molto in sintonia con papa Francesco. Lorenzoni è più critico.

E hanno deciso di mettere le loro posizioni a confronto in un libro dal titolo: "Viva il papa? La Chiesa, la fede, i cattolici. Un dialogo a viso aperto".

Nell'alluvione di libri e di opuscoli apologetici che accompagnano il pontificato di Francesco, questo di Valli e Lorenzoni si distingue per obiettività.

Qui di seguito ne è riportato un passaggio. Nel quale i due vaticanisti attribuiscono buona parte dell'incomprensione che pesa sul papa al ritratto che ne danno i media.

Ma poi entrambi convengono nel riconoscere anche nello stesso Francesco l'origine di questa incomprensione.

Lorenzoni lo dice chiaro: "Francamente io non ho ancora capito chi sia quest’uomo e dove intenda portare la Chiesa di Cristo".

Ma anche Valli è dubbioso: "Sinceramente non so se questa strategia di Francesco stia dando frutti".

A loro la parola.

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MA FRANCESCO CHI È?

di Aldo Martia Valli e Rodolfo Lorenzoni


VALLI

A dispetto di chi pro domo sua lo dipinge come "progressista", papa Francesco non perde occasione di parlare della morte, dell’aldilà, di inferno e paradiso. E lo fa a viso aperto. Ti risulta che queste espressioni di Francesco siano state molto pubblicizzate? A me no. E si può capire. Il fenomeno Francesco va bene finché è funzionale al soggettivismo dilagante. Quando invece va controcorrente, scatta la censura.

Forse ci voleva proprio un gesuita sudamericano perché i novissimi, le realtà ultime, fossero tirate fuori dalla soffitta in cui erano state relegate. In Europa, infatti, per troppo tempo la Chiesa se n’è quasi vergognata. Ma resta la domanda: quanto è conosciuto questo Francesco escatologico, questo papa che parla disinvoltamente dell’inferno come di esclusione dall’abbraccio di Dio e non teme per nulla di raccomandare la purificazione come condizione per accedere al paradiso?

La risposta è facile: è conosciuto poco o nulla, perché c’è chi ha interesse a farci conoscere un solo Francesco, quello apparentemente più "à la page", quello politicamente corretto.


LORENZONI

È curioso, infatti, che i mass media e Francesco siano convolati a nozze non appena Bergoglio è uscito sulla loggia di piazza San Pietro pronunciando il suo "buonasera". A parte il fatto che mi sarei aspettato di sentire da lui "Il Signore sia con voi", nel momento stesso in cui ho udito quel saluto ho subito intuito la mala parata. Ho cioè presagito i fraintendimenti, le omissioni, gli stravolgimenti, i conformismi, le superficialità cui ci avrebbero incessantemente sottoposto i mezzi di comunicazione pur di esaltare un certo tipo di papa a scapito di un altro. Pur di darci la "figurina" piuttosto che la sostanza.

E, infatti, sono puntualmente arrivati i titoli facili a tutta pagina, gli slogan lanciati e ripetuti su ogni sito web, le insistite richieste da parte di caporedattori e direttori di privilegiare la frase o il gesto a effetto, quelli che si fissano negli occhi e nella testa dello spettatore e gli impediscono di cambiare canale.

L’operazione è riuscita brillantemente, devo dire. Si tratterebbe, però, di andare più a fondo nell’analisi, anzitutto sotto il profilo scientifico della teoria della comunicazione di massa, della sociologia, della tecnica dell’informazione.

Ma poi, e direi soprattutto, mi piacerebbe conoscerlo veramente, Francesco. Perché da giornalista e da cattolico, da persona che cerca di seguire con attenzione la Chiesa e il papa, francamente io non ho ancora capito chi sia quest’uomo e dove intenda portare la Chiesa di Cristo.

VALLI 

Tu poni una domanda cruciale: chi è veramente Francesco? A dispetto delle migliaia di pagine scritte su di lui, forse non lo sappiamo ancora. Però Jorge Mario Bergoglio, specie attraverso alcune interviste, ha disseminato qua e là indizi che possono aiutarci a dare una risposta.

Durante il volo di ritorno dal Brasile, nel luglio 2013, quando una giornalista lo ha incalzato facendogli notare che certi temi, come l’aborto e le unioni omosessuali, suscitano molto interesse tra i giovani e quindi sarebbe stato il caso di affrontarli, Francesco ha detto: "Sì, ma non era necessario parlare di questo, bensì delle cose positive che aprono il cammino dei ragazzi. Inoltre i giovani sanno perfettamente qual è la posizione della Chiesa".

Ecco, quello di Francesco è non tanto un cambio di contenuti quanto di metodo. Invece di puntare sulle norme, preferisce proporre, in positivo, la bellezza dell’avventura cristiana. Invece di mettere al primo posto la "didaché", l’insegnamento dottrinale, ha scelto di privilegiare il "kèrygma", l’evangelo in senso letterale: la buona notizia.

L’aspetto dottrinale non è del tutto assente, ma si è spostato. Anziché essere centrato su quelli che Benedetto XVI definì i valori non negoziabili – vita, famiglia, educazione – punta sulla "corruzione", espressione con la quale Francesco intende non solo il mettersi al servizio dell’idolo denaro, ma anche, anzi, prima di tutto, il non riconoscere la signoria di Dio e la necessità di ricorrere alla sua misericordia.

Karl Rahner disse una volta che il cristiano di domani o sarà mistico o non sarà. Francesco si è inserito in questa linea. Ben consapevole del fatto che la nostra società non è più cristiana, ritiene che gli uomini e le donne del nostro tempo possano tornare alla fede solo in virtù di un incontro personale e intimo con Gesù. Un incontro che molto spesso avviene nel momento della malattia, della solitudine, della povertà e che non si gioca tanto sul piano delle idee, ma su quello dei sentimenti, non nel cervello, ma nel cuore.

Sotto questo aspetto il pontificato di Francesco ha più di un’affinità con i movimenti evangelici tanto diffusi in America Latina.

Ora io sinceramente non so se questa strategia di Francesco stia dando frutti. Le piazze piene e le folle acclamanti stanno a significare che il papa ha raggiunto il suo scopo oppure sono fenomeni indotti da una certa esaltazione collettiva? Forse l’una e l’altra cosa insieme.

Il Vangelo, per essere donato con efficacia, ha bisogno di strumenti, e nel caso di Francesco il primo strumento è lui stesso. Lo è anche con i suoi buongiorno, buonasera e buon pranzo, con i suoi discorsi brevi ma ricchi di immagini che restano impresse, con la sua saggezza popolare che sa un po’ d’altri tempi ma riesce a coinvolgere.

Dove porterà la Chiesa, lo staremo a vedere.

*
di Sandro Magister
Il libro:

A.M. Valli, R. Lorenzoni, "Viva il papa? La Chiesa, la fede, i cattolici. Un dialogo a viso aperto", Cantagalli, Siena, 2014.
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350929


CI VUOLE IL PARTITO DEL PAPA! - IL DISCORSO DI BERGOGLIO A STRASBURGO HA DIMOSTRATO QUANTA DISTANZA ESISTE TRA UN GRANDE LEADER E PICCOLI BUROCRATI - LA MANO TESA ALL’ISIS: “DIALOGARE CON LORO? IO NON CHIUDO MAI LA PORTA”

Bergoglio ha chiesto di “mantenere viva la democrazia” evitando che una “concezione omologante della globalità” e “la pressione di interessi multinazionali” arrivino a “rimuovere” le democrazie, trasformandole in “sistemi uniformanti di poteri finanziari al servizio di imperi sconosciuti”…

Gian Guido Vecchi per il “Corriere della Sera

papa bergoglio in visita al parlamento europeo 9PAPA BERGOGLIO IN VISITA AL PARLAMENTO EUROPEO 9
Il luogo è a suo modo simbolico, un cilindro di vetro e acciaio che appare avulso e chiuso in se stesso tra le brume, i cipressi e i villaggi di tetti spioventi della campagna alsaziana. «È giunto il momento di abbandonare l’idea di una Europa impaurita e piegata su se stessa», dice Francesco. L’ultimo pontefice a passare di qui era stato Wojtyla nel 1988, c’era ancora il Muro di Berlino e nel frattempo è cambiato il mondo, «sempre più interconnesso e globale, sempre meno eurocentrico».
Dai banchi piovono applausi, quando il Papa dice che «è necessario favorire le politiche di occupazione e ridare dignità al lavoro» o parla dei migranti ed esclama: «Non si può tollerare che il Mediterraneo diventi un grande cimitero!».
papa bergoglio in visita al parlamento europeo 8PAPA BERGOGLIO IN VISITA AL PARLAMENTO EUROPEO 8

Ma le parole di Francesco al Parlamento europeo suonano la sveglia alla «Europa nonna, non più fertile e vivace», danno voce «alla sfiducia dei cittadini nei confronti di istituzioni ritenute distanti, impegnate a stabilire regole percepite come lontane dalla sensibilità dei singoli popoli, se non addirittura dannose» e alla «impressione generale di stanchezza e di invecchiamento», tanto che «i grandi ideali che hanno ispirato l’Europa sembrano aver perso forza attrattiva, in favore di tecnicismi burocratici delle sue istituzioni».
A tutto questo si aggiungono «stili di vita egoisti», una «opulenza ormai insostenibile e spesso indifferente, soprattutto verso i più poveri», l’essere umano che rischia d’essere ridotto a «bene di consumo da utilizzare», finché «la vita ritenuta non funzionale viene scartata, come nel caso dei malati terminali, gli anziani abbandonati, i bambini uccisi prima di nascere». Di contro al «prevalere delle questioni tecniche ed economiche» si tratta di porre al centro «l’uomo in quanto persona dotata di dignità trascendente».

papa bergoglio in visita al parlamento europeo 7PAPA BERGOGLIO IN VISITA AL PARLAMENTO EUROPEO 7
Francesco sceglie come immagine della storia europea la «Scuola di Atene» di Raffaello, il dito di Platone a indicare il cielo, la mano di Aristotele rivolta a terra: «Un’Europa non più capace di aprirsi alla dimensione trascendente, lentamente rischia di perdere la propria anima».
Così dice che «il patrimonio del cristianesimo» è un «arricchimento» e non un «pericolo» per la laicità: proprio le «radici religiose» sono un antidoto «ai tanti estremismi» perché il fondamentalismo «è soprattutto nemico di Dio». E chiede di «mantenere viva la democrazia» evitando che una «concezione omologante della globalità» e «la pressione di interessi multinazionali» arrivino a «rimuovere» le democrazie, trasformandole in «sistemi uniformanti di poteri finanziari al servizio di imperi sconosciuti».
papa bergoglio in visita al parlamento europeo 6PAPA BERGOGLIO IN VISITA AL PARLAMENTO EUROPEO 6

E quando si rivolge al vicino Consiglio d’Europa, che comprende anche Russia e Turchia, Francesco parla della «pace troppo spesso ferita», della necessità di cercare «soluzioni politiche» e delle «sfide» di un Continente chiamato ad essere «multipolare» e accettare la «trasversalità». Il Papa elogia per questo i «politici giovani» e ne parla nel volo di ritorno: «Sono coraggiosi, non hanno paura di uscire dalla loro appartenenza, senza negarla, per dialogare: l’Europa ha bisogno di questo, oggi».
papa bergoglio in visita al parlamento europeo 5PAPA BERGOGLIO IN VISITA AL PARLAMENTO EUROPEO 5
A Strasburgo ha denunciato le «barbare violenze» contro i cristiani e le minoranze, nel «silenzio vergognoso e complice di tanti». Gli si chiede dell’Isis: si potrebbe dialogare anche con i terroristi? «Io mai chiudo una porta. È difficile, puoi dire quasi impossibile, ma la porta è sempre aperta, no?».

Del resto, aggiunge, esiste un’altra minaccia: «Il terrorismo di Stato: quando uno Stato, da sé, si sente in diritto di massacrare i terroristi, e con loro cadono tanti che sono innocenti. Questa è un’anarchia di livello molto alto e molto pericolosa. Contro il terrorismo si deve lottare, ma ripeto: l’aggressore ingiusto va fermato con il consenso internazionale. Nessun Paese ha diritto di agire per conto suo». 
papa bergoglio in visita al parlamento europeo 4PAPA BERGOGLIO IN VISITA AL PARLAMENTO EUROPEO 4


http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/ci-vuole-partito-papa-discorso-bergoglio-strasburgo-ha-89437.htm







Papa Francesco conquista il continente da Est a Ovest. Ma anche dalla destra alla sinistra


Parole forti e ritmo sostenuto più del solito. Ma timbro pacato, tipico di Bergoglio. A tratti sussurrando all’orecchio dei deputati. E il parlamento all’improvviso sembrò un immenso confessionale. Il Reno un Giordano, scenario di un lavacro laico, replicato di lì a poco al Consiglio d’Europa. Teatro anch’esso di un rito espiatorio, di rinascita. La Canossa e la catarsi di due giganti lontani dalla gente e quindi da Dio, che abita lo spirito dei popoli.
Non a caso il presidente dell’assemblea, introducendo l’illustre ospite, aveva usato accenti penitenziali. Con l’ammissione di un peccato grave, che un tempo si sarebbe catalogato “mortale”, anche politicamente: “L’Unione Europea sta attraversando una crisi senza precedenti, con una perdita di fiducia enorme. Ma senza fiducia nessuna idea e nessuna istituzione può sussistere”. Parole a cui Francesco ha fatto eco in altrettanta franchezza: “Si può constatare che, nel corso degli anni, accanto al processo di allargamento dell'Unione Europea, è andata crescendo la sfiducia da parte dei cittadini nei confronti di istituzioni ritenute distanti, impegnate a stabilire regole percepite come lontane dalla sensibilità dei singoli popoli, se non addirittura dannose”.
Mai un romano pontefice era risultato tanto popolare e trasversale in Europa. Non solo in senso geografico, da Est a Ovest. Bensì politico, da Destra a Sinistra. Al punto da potersi addentrare sui temi e terreni più scivolosi, dai bambini “uccisi prima di nascere” alla famiglia “fertile e indissolubile”, senza incorrere in reazioni polemiche. Cinto dall’aura del Libertador. A differenza di Giovanni Paolo II, il riunificatore, che apparve tuttavia divisivo ai protestanti nordirlandesi e subì la contestazione pubblica di Ian Paisley, l’11 ottobre 1988. Come si addice ai grandi guastatori. Mentre in Francesco prevale, e s’impone, il profilo del taumaturgo.
Proprio il confronto tra le visite dei due papi, a distanza di un quarto di secolo, dà il senso dell’enorme rovesciamento, di prospettiva e aspettative. Se a Wojtyla toccò il compito di fendere il muro e forare il diaframma che separava i “due polmoni”, 
Bergoglio invece deve chiudere le ferite riaperte nel corpo dell’Europa, prima che si trasformino in faglie geopolitiche, scoprendo nervi e fratture esposte.
Così a cento anni dalla grande guerra, con l’arrivo della barca di Pietro, “l’ospedale da campo” è riapparso sulla sponda del Reno: “Purtroppo la pace è ancora troppo spesso ferita”, ha ricordato Francesco al Consiglio d’Europa, che comprende 47 paesi dall’Atlantico agli Urali, Russia e Ucraina incluse, Crimea e regione del Don, grano e gasdotti: “Quanto dolore e quanti morti ancora in questo continente, che anela alla pace, eppure ricade facilmente nelle tentazioni d'un tempo!”
Se sul “Fronte Orientale” riemergono i conflitti del passato, a Ovest un nuovo “impero del male” minaccia il futuro delle democrazie: “Mantenere viva la realtà delle democrazie è una sfida di questo momento storico, evitando che la loro forza reale, forza politica espressiva dei popoli, sia rimossa davanti alla pressione di interessi multinazionali non universali, che le indeboliscano e le trasformino in sistemi uniformanti di potere finanziario al servizio di imperi sconosciuti”, ha scandito il Papa, mettendo in guardia i leader politici. Che ad ascoltarlo c’erano tutti. Nessun assenteista per l’occasione. Stelle cadenti e astri nascenti. Mammut estinti e specie mutanti. Padri fondatori e figli che rifiutano l’eredità. Vecchi antipapisti e nuovi antieuropei. Ortodossi ellenici e luterani scandinavi. Sinistre antagoniste e destre populiste, da Linke a Syriza, da Nigel Farage a Marine Lepen. Tutte le anime dell’Europa, venute ad accogliere il cavaliere bianco e ad esorcizzare il male oscuro. Presenti anche gli impresentabili, dai neonazisti a Jobbik e Alba Dorata. Convenuti ad ascoltare “la personalità che in questo momento storico è un punto di riferimento e di orientamento”, come l’ha definito Martin Schulz, un giamburrasca in doppiopetto affascinato da Bergoglio e geneticamente all’incrocio tra Rosa Luxemburg e Gerhard Schröder. Conosciuto in Italia per il vibrante battibecco con Silvio Berlusconi, che gli diede del kapò.
Dopo avere osservato l’Europa com’era e avrebbe dovuto rimanere, giovane e avvenente, riflessa negli occhi di un vecchio e ostinato spasimante, durante l’incontro di venerdì con Napolitano, Bergoglio l’ha ritrovata vecchia e priva di appeal, nella reggia occupata dai burocrati, dediti a estenuanti, quotidiane trattative sulla dote, come i principi ad Itaca quando Ulisse perse la rotta: “Da più parti si ricava un'impressione generale di stanchezza e d'invecchiamento, di un’Europa nonna e non più fertile e vivace. Per cui i grandi ideali che hanno ispirato l'Europa sembrano aver perso forza attrattiva, in favore dei tecnicismi burocratici delle sue istituzioni”.
Il consulto al capezzale del vecchio continente, nonché continente “vecchio”, si è svolto in diretta. E alla fine il responso è stato più ottimistico e incoraggiante di quanto si temesse alla vigilia. Meno infausto di quello formulato dieci anni fa da Joseph Ratzinger, quando diagnosticò una sindrome “autoimmune”: ossia la malattia degli organismi che aggrediscono e distruggono i propri organi. Riassunta in una celebre espressione: “l’Europa odia se stessa”.
Di fronte a questa donna che si odia, si sente brutta e di conseguenza non si accetta, Bergoglio ha chiesto aiuto alle arti, provando a persuaderla del contrario e a mostrarle la sua bellezza. Prescrivendo un composto di cielo e terra. “Come dunque ridare speranza al futuro? Per rispondere a questa domanda, permettetemi di ricorrere a un'immagine. Uno dei più celebri affreschi di Raffaello che si trovano in Vaticano raffigura la cosiddetta Scuola di Atene. Al suo centro vi sono Platone e Aristotele. Il primo con il dito che punta verso l'alto, verso il mondo delle idee, potremmo dire verso il cielo; il secondo tende la mano in avanti, verso chi guarda, verso la terra, la realtà concreta… Il futuro dell'Europa dipende dalla riscoperta del nesso vitale e inseparabile fra questi due elementi”, ha chiosato Francesco.
Poi, nel tragitto da un parlamento all’altro, è passato dall’ora di arte a quella di letteratura, dal Rinascimento al Novecento, ma restando comunque in Italia, con una lirica di Clemente Rebora, “che in una delle sue poesie descrive un pioppo, con i suoi rami protesi al cielo e mossi dal vento, il suo tronco solido e fermo e le profonde radici che s'inabissano nella terra… Qui sta forse uno dei paradossi più incomprensibili a una mentalità scientifica isolata: per camminare verso il futuro serve il passato, necessitano radici profonde, e serve anche il coraggio di non nascondersi davanti al presente e alle sue sfide. Servono memoria, coraggio, sana e umana utopia”.
Utopico e nostalgico. Poetico e pittorico. Scienziato e ascetico. Così Francesco ha conquistato Strasburgo, assurgendo per un giorno a Bolivar d’Europa.
Ed è facile pensare, a riguardo, che gli siano tornate in mente le parole del 2005, da cardinale di Beunos Aires, con l’auspicio della Patria Grande e di una Unione Sudamericana, sul modello di quella europea: “Da soli, separati, contiamo veramente poco e non andremo da nessuna parte. Sarebbe un vicolo cieco…”
Un auspicio che eletto Papa lo veste, e investe, di un compito storico. Ma che, dopo Strasburgo, carica Bergoglio di una responsabilità in più. In ordine agli errori da non ripetere. Consapevole che i modelli costituzionali, anche i più luminosi, possono trasformarsi in vicolo ciechi, quando vengono emulati ad occhi chiusi.

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