ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 21 dicembre 2014

Ebbene sì.


Le verità storiche di Bergoglio
Ebbene sì. Questa proprio non ce l’aspettavamo.
Avevamo capito che questo papa aveva doti mediatiche fuori dal comune, che era capace di dire “buongiorno” e “buon appetito” in maniera accattivante come nessuno prima di lui, ma…che avesse anche la capacità di viaggiare nel tempo, no.
“Quella di Nazareth non era una famiglia finta, irreale. Maria, la mamma cucinava, faceva tutte le cose della casa, stirava le camicie, Giuseppe, il papà faceva il falegname”.
Queste le parole pronunciate dal pontefice durante l’udienza generale di mercoledì 17 dicembre, che testimoniano incontestabilmente come Bergoglio conosca i misteri divini come e più di san Pietro.
“Gesù” ha precisato “viene come un figlio di famiglia. Non nasce in una grande città come Roma, ma in una periferia piuttosto malfamata, Nazareth. È un Dio sottomesso. Ha perso 30 anni lì, in quella periferia malfamata”.
Da non credere. In una chiesa che perde pezzi, che viene scossa da ripetuti scandali sessuali e finanziari e che continua a prendersi sfacciatamente l’8 per 1000 e numerosi altri privilegi, questo papa riesce a mettere tutto questo in secondo piano e a stupirci con le sue conoscenze teo-socio-psico-storiche. È solo per grazia dello spirito santo, infatti, che Bergoglio può chiudere gli occhi, uscire dal suo corpo e tornare indietro di quasi duemila anni per rivelarci che, allora, già esistevano i ferri da stiro (chissà se a vapore o no e alimentati con quale forma di energia), che già si usavano le camicie, che Nazareth era un posto malfamato e che Gesù vi perse i suoi primi trent’anni. Che immagine stupenda, commovente, quella del figlio di Dio che si aggira per i vicoli del paesello sfidando rapinatori, stupratori e delinquenti abituali che, all’epoca, dovevano imperversare in quell’area della Galilea dimenticata da Dio.
E non è finita. Il papa, dopo il suo ritorno al futuro, rivela che Gesù “non ha fatto guarigioni o altri prodigi in quegli anni. Quello che era importante lì era la famiglia, ma non è stato tempo sprecato: erano grandi santi, Maria Immacolata e Giuseppe. E Gesù mai in quel tempo si è scoraggiato”.
Evidentemente, Bergoglio ha potuto avere accesso (naturalmente in forma spirituale) agli archivi comunali di Nazareth e appurare quindi, senza ombra di dubbio, l’assenza di certificati relativi a qualsivoglia genere di miracolo del divin pargolo. Soprattutto, egli è in grado di dirci che a Nazareth, in quegli anni, ciò che contava era la famiglia. Quella naturale, ovviamente, quella progettata da Dio, con un papà maschio e una mamma femmina, e nessun altro modello. E poco conta che Maria fosse Immacolata (al che, incredibile a dirsi, il papa stesso fa confusione tra due dogmi), Giuseppe un vecchio citrullo e Gesù il frutto di un’inseminazione eterologa.
Come un fiume in piena, il papa ha proseguito, rivelando altre verità destinate a cambiare il corso della storia: “I Vangeli, nella loro sobrietà, non riferiscono nulla circa l’adolescenza di Gesù e lasciano questo compito alla nostra affettuosa meditazione”.
Che birichini, gli evangelisti, che da bravi biografi quali li si ritiene, hanno ritenuto di tacere su oltre il 90 per cento della vita del loro Gesù. Come dite? Censura?! Manipolazione della realtà storica?! Ma non siate irriverenti, per Giuda, i vangeli dicono solo la verità!!!
“Di certo, non ci è difficile immaginare quanto le mamme potrebbero apprendere dalle premure di Maria per quel figlio! E quanto i papà potrebbero ricavare dall’esempio di Giuseppe, uomo giusto, che dedicò la sua vita a sostenere e a difendere il bambino e la sposa, la sua famiglia, nei passaggi difficili!”.
Beato il papa, che nei suoi viaggi nel tempo ha potuto assistere a questi commoventi spaccati di vita familiare galilea di duemila anni! Già che c’era, però, avrebbe potuto spiegarci anche perché due genitori tanto perfetti vengano liquidati dai vangeli in quattro righe e come mai, le poche volte che Gesù si rivolge alla madre, non la tratti in maniera propriamente garbata!
Poi, una conclusione criptica:
“Non era una famiglia finta, non era una famiglia irreale”.
Per carità, Bergoglio, e chi l’ha mai pensato?!
Famiglia assolutamente autentica e storica, come d’altra parte tantissime altre cose contenute nella “parola di Dio”, tra cui asine che parlano, acque che si aprono, angeli che rischiano la sodomizzazione, annunciazioni e visioni, diluvi, esodi, stelle comete che fanno da navigatori e chi più ne ha più ne metta.
Oggi era il suo compleanno, Bergoglio.
La gente ha ballato il tango in piazza in omaggio a lei e alcuni sacerdoti le hanno fatto spegnere le candeline della torta. E lei, impareggiabile come al solito, invece di ricevere doni, ha voluto fare a tutti noi il dono di queste inarrivabili verità storiche. Grazie per sempre.
di Giuseppe Verdi

Benigni, i dieci comandamenti e la creazione della donna

di Giuseppe Verdi

Dopo la discussa esibizione televisiva di Roberto Benigni dedicata ai Dieci Comandamenti, hanno cominciato a circolare post celebrativi contenenti stralci del suo monologo, tra i quali il seguente:

"La donna è nata dalla costola dell'uomo...Non dai piedi per essere calpestata, non dalla testa per essere al di sopra dell'uomo, ma dal costato, dal fianco per essere uguale all'uomo, sotto il braccio per essere protetta, e dal lato destro del cuore per essere amata"

A quanti condividono queste parole un tantino nazional-popolari di Benigni vorrei brevemente ricordare il passo biblico del libro 2 della Genesi (versetti da 18 in poi) nel quale Dio crea la donna:

"Poi il Signore Dio disse: "Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile". Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all'uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l'uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l'uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l'uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all'uomo, una donna e la condusse all'uomo. Allora l'uomo disse: "Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall'uomo è stata tolta". Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne. Ora tutti e due erano nudi, l'uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna"
 
E' evidente che l'intero brano è intriso di profondo maschilismo. Dio crea la donna come "aiuto" per l'uomo e, per giunta, dopo che costui non ha trovato "aiuti  simili" a lui in nessun animale. A quel punto, Dio genera la donna plasmandola dalla costola dell'uomo; la donna è pertanto una sorta di "derivato" dell'uomo, il quale si configura come "materia prima". Perché, infatti, Dio non crea anche la donna "dalla polvere del suolo", garantendo una completa parità dei sessi fin dal principio? Come mai deriva la femmina dal maschio, come se ella fosse una creatura di second'ordine?
E' davvero difficile vedere nell'episodio l'alto e nobile significato che vi ha colto Benigni. Da qualunque parte dell'uomo ella sia nata nel racconto biblico, E' DALL'UOMO CHE NASCE, dall'uomo che trae origine, ponendosi fin da subito in quella condizione di inferiorità che, non per niente, ebraismo e cristianesimo sosterranno in via definitiva.
La chiosa dell'aneddoto biblico, d'altra parte, è chiarissima: l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie; entrambi sono nudi, l'uomo e sua moglie. Mai che si dica "la donna e suo marito", omaggiando la prima, per una volta almeno, di una posizione di soggetto.
Più diseguaglianza di questa...
Qualcuno andrebbe a spiegarlo, per piacere, a chi ha applaudito la prestazione televisiva di mister 4 milioni?
http://cristianaggini.blogspot.it/

Il "caso Benigni" evidenzia l'assenza della Chiesa
di Riccardo Cascioli  21-12-2014
Caro direttore,
le scrivo in merito alla triste ed inquietante vicenda dello show di Benigni intitolato "I dieci comandamenti", durante il quale, tra le tante altre ipocrisie, il "comico" (le virgolette mi sembrano indispensabili...) ha sostenuto che la Chiesa avrebbe cambiato a suo piacimento il testo dei comandamenti, in particolare del sesto.
A quanto pare ben dieci milioni di italiani hanno visto questa trasmissione: tutta gente che ora rischia di perdere la fiducia nella Chiesa ed allontanarsi definitivamente dai Sacramenti.
Stefano Marrè Brunenghi – Verona
Caro Direttore,
scrivo per comunicarti la mia positiva sorpresa dopo avere visto la trasmissione di Benigni su Rai 1 con a tema i 10 Comandamenti. Credo che tutti, anche noi cattolici, ci si sia sorpresi per la scelta di un tema che abbiamo da tempo giudicato "superato" o perlomeno noioso": dieci frasi non molto all'altezza del nostro sofisticato modo di pensare.
Però, poi è venuta la trasmissione. Vedendolo parlare, appassionato, documentato, mi ha fatto venire molte riflessioni.
La prima è che mi ha fatto riscoprire la profondità e la ricchezza dei Comandamenti, tutti centrati sul volere dare all'uomo gli strumenti per essere libero, e ci ha fatto entrare nel rapporto drammatico di Dio con il suo popolo che ha reagito a queste prescrizioni, non volevano accettarle perché rivoluzionavano il modo di vivere che gli uomini avevano avuto fino ad allora.
La seconda riflessione è sul coraggio di Benigni. Questo è un uomo che sta facendo un cammino e che non ha paura di comunicarlo nonostante il clima culturale italiano (fatto quasi esclusivamente solo di opportunismo, sia a livello di intellettuali che di artisti) sia il più distante possibile da quello che sta a cuore a Benigni (faccio un esempio: nella  mostra su Chagall in corso al Palazzo Reale di Milano la guida ufficiale nel descrivere un quadro si "dimentica " di menzionare che Chagall ha inserito un crocifisso nel quadro stesso, e spaccia una Madonna con il bambino in braccio come "l'abbraccio tra due amanti"!).
Personalmente penso che Benigni abbia messo in evidenza quanto sia povera e "vecchia" la cultura che ci circonda, ha messo in evidenza che non è necessario "provocare", "distruggere", "insultare", "violentare la verità" per fare arte, per avere audience, se uno è un artista vero!
In ultimo un commento: se 10 Milioni di persone hanno assistito all'evento non vuole forse dire che c'è una larga fetta di popolazione che paga il canone e che vorrebbe soprattutto dal servizio pubblico qualche cosa di più serio dei deprimenti spettacoli basati sul nulla, sulla banalità che permeano il 99% di quanto mandato in onda? 
Stefano Socci - Monza
Caro Direttore,
ho ascoltato Benigni commentare i Dieci Comandamenti, in particolare i comandamenti dal quarto al decimo. Più volte ho chiesto al Signore di avere misericordia di lui. Anche una persona di provata fede, parlando per quasi quattro ore (in due puntate) di quelle dieci Parole di Vita scolpite sulla roccia, finirebbe per aggiungere "del suo" al pensiero di Dio; difficilmente, poi, parlando così a lungo, si potrebbe arginare  il rischio che  l'interpretazione e sensibilità personali addomestichino il pensiero di Dio, cosa che il demonio favorisce od istiga in ogni occasione privata o pubblica. (…)
Possiamo immaginare allora come "il piccolo diavolo", forte di un eloquio fluente, un alto credito di narratore conquistato con la lettura della commedia dantesca e un oscar cinematografico, possa aver infranto ogni barriera che la prudenza, ben prima della fede, avrebbe dovuto suggerire di non superare.
Il commento di Benigni ai comandamenti si è appiattito del tutto e completamente sul piano terreno. (…) Per tutta la serata  il comico ha fatto un gran parlare dell'amore, ma di quell'amore che rappresenta nei suoi film.
E al comandamento dell'amore ha tentato anche lui compendiare tutta la Legge di Dio, ma citando il brano del Levitico "amerai il tuo prossimo come te stesso" (Lv 19,18) e non il passo di Giovanni "Vi do un comandamento nuovo che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato": Quest'ultimo brano implica la Croce e l'amore crocifisso... e questo amore, non terreno, è inconcepibile per chi non ha fede.
Il comico ha terminato lo spettacolo con un artificiale e azzardato collegamento tra il primo comandamento e l'ultimo, giungendo a dire che "Dio è il prossimo tuo".  E così tutto precipita e collassa sul piano terreno, e Dio torna ad essere lontano e solitario nei cieli...
Sergio Vicàri

Lo confesso: sono uno dei pochi italiani che non ha visto lo show di Roberto Benigni in tv sui Dieci comandamenti. Non per snobismo, ma perché impegnato in altre cose. Sto seguendo tuttavia con molta attenzione reazioni e commenti a quella esibizione, di cui le lettere pubblicate (mi scuso per i tagli ma erano troppo lunghe) rappresentano un interessante campionario. Al proposito è curioso notare che a un parere a caldo quasi unanimemente molto positivo – al limite dell’entusiasmo – si vanno aggiungendo delle critiche che aumentano col passare dei giorni. In ogni caso si tratta di un programma che ha riscosso un grande interesse e acceso un forte dibattito.
Proprio questo dibattito, aldilà del merito dello spettacolo, mi sembra importante rilevare, perché fa emergere con chiarezza il terribile vuoto di proposta culturale in cui viviamo. 
Vuoto di proposta, anzitutto della tv. Così che un semplice programma di buona qualità, fondato non sugli effetti speciali ma su un discorso - per quanto brillantemente sostenuto da un comico - e su un argomento niente affatto scontato, diventa un evento del quale si va avanti a parlare per giorni e giorni. Vuol dire che per il resto c’è il deserto. E se dieci milioni di persone hanno seguito un lungo monologo sui dieci comandamenti, vuol dire che per i programmi-spazzatura che occupano quasi tutto il palinsesto non vale più il luogo comune per cui «è quello che la gente vuole». La gente evidentemente apprezza molto di più programmi che, pur leggeri, mettono in moto la testa.
Ma il vuoto di proposta ancor più preoccupante è quello religioso, anzi cattolico. Non può non stupire tanta animosità, da parte di alcuni che imperversano su blog e social network, per gli errori “teologici” di Benigni, come se da lui ci si dovesse aspettare una lezione di catechismo, magari su richiesta della Conferenza episcopale. A tutti è chiesto il rispetto e di non usare le capacità artistiche per irridere alla religione e offendere la fede di tanta gente, e di non strumentalizzare la religione per propri fini ideologici (vedi Dario Fo). Ma nessuno dei critici muove questa accusa a Benigni, gli si rimprovera invece di aver dato letture parziali o troppo “umane” ai comandamenti.

Ma Benigni non è un prete o un vescovo: è un uomo di spettacolo, neanche credente – a quanto ne sappiamo – che però si fa interrogare dal fatto religioso, ne è in qualche modo attratto, e davanti ai comandamenti o alla Divina Commedia cerca di andarci a fondo, di capire, di studiare. Sicuramente non tutte le sue fonti sono ortodosse, e altrettanto le sue considerazioni, ma è innegabile che ci sia anche un cammino (basti pensare ai Dieci comandamenti proposti trent’anni fa). Non è certo a lui che possiamo o dobbiamo chiedere una spiegazione del catechismo, piuttosto dovremmo riflettere sul fatto che solo grazie a lui in televisione vanno quei Dieci comandamenti che – e sono ottimista – almeno la metà di coloro che partecipano alla messa ogni domenica non sarebbero neanche in grado di elencare in ordine.
Il fatto è che dei Dieci comandamenti normalmente non si sente parlare neanche in chiesa, figurarsi se possiamo pensare a una loro riproposta culturalmente intelligente in tv o nei teatri. Al recente Sinodo sulla famiglia abbiamo sentito vescovi e cardinali fare affermazioni sulla sessualità che negano la Rivelazione, e ce la vogliamo prendere con Benigni perché del sesto comandamento dà una versione molto personale? La Conferenza episcopale manda a commentare il vangelo su Rai Uno (e senza neanche essere simpatici) a quelli che sono stati definiti “preti di strada”, che più volte hanno sostenuto pubblicamente posizioni tutto fuorché ortodosse, e vogliamo crocifiggere Benigni perché dà un’interpretazione poco trascendente all’amore per il prossimo?
C’è qualcosa che non quadra. Non si può chiedere a Benigni di fare opera di supplenza alla Chiesa. Né si deve guardare a lui come un faro che ci guida nella fede. Se ci fosse una proposta pubblica seria, sia ecclesiale sia culturale, della fede cattolica non spaventerebbero le affermazioni eterodosse di Benigni, ai suoi spettacoli sarebbe dato il giusto peso e, forse, lo stesso Benigni sarebbe in grado di confrontarsi e fare proprie delle letture dei comandamenti più aderenti alla Verità.

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