ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 11 febbraio 2015

Beati gli ultimi (secoli)

Ma quanto durerà ancora il cristianesimo stretto tra persecuzioni esterne ed erosioni interne? Il gran libro di Bardy profetizza che un nuovo inizio ci sarà. E avverrà così



Per Ceronetti “tutte le fedi monoteiste sono risucchiate dal Buco Nero”. E’ del 1947 “La conversione al cristianesimo nei primi secoli” di Gustave Bardy, grande studioso francese di patrologia
A mezzogiorno di mercoledì 4 febbraio le campane di tutte le chiese cattoliche sparse in Giordania hanno suonato a morto per il raccapricciante omicidio di Muath al-Kasasbeh, il pilota bruciato vivo dai jihadisti. Nel convento della Custodia del Terra Santa di Aleppo, ha raccontato padre Pierbattista Pizzaballa, non c’è il generatore ma il vicino musulmano ne ha uno e gli altri vicini, tutti musulmani, facevano la colletta per il gasolio: il vicino manteneva il generatore e i frati attingevano l’acqua per il quartiere. Come hanno potuto i cristiani mettere radici, e resistere finora, in quelle terre che sembrano vocate solo al martirio? Oggi come un tempo, nel tempo dell’ultima persecuzione. Le gole tagliate, le chiese bruciate. E come si è diffuso e radicato (due millenni) il vangelo lì, in quelle terre non proprio accoglienti? Forse a causa della stessa mansuetudine, della pietas che il loro Messia insegna, da allora fino alle campane a morto dell’altro giorno?


Clemente Alessandrino, nel libro XIV degli Hypotyposeis riporta un episodio, affidabile secondo gli storici, che generò molte conversioni in chi ne fu testimone: “Colui che aveva condotto Giacomo, fratello di Giovanni, davanti al tribunale, ascoltandolo rendere testimonianza, fu sconvolto e confessò che anche lui era cristiano. Vennero condotti tutti e due al supplizio, e durante il cammino, egli pregò Giacomo di perdonarlo. L’apostolo rifletté un istante e disse: la pace sia con te. E l’abbracciò. E così furono decapitati tutti e due contemporaneamente”.

Il romanzo di Michel Houellebecq sul paradosso postmoderno della “sottomissione” all’islam, cosa diversa dalla metànoia cristiana, è uscito in Francia nel giorno di Charlie Hebdo, il ground zero dell’Europa. Grado zero per la sua cultura malata, terminale, desiderante e furiosa. E insieme minaccia all’occidente e al non troppo che resta del cristianesimo europeo. Un funerale di terza classe, per due. Houellebecq narra di un professore della Sorbona che cerca di sottrarsi alla guerra civile fra le strade di Parigi, mentre il mondo lussureggiante di passioni cui è abituato, col suo libertinaggio vuoi cerebrale vuoi sessuale e triste come un limone già adoperato, sta raschiando il fondo di una civiltà che da secoli ha evacuato il cristianesimo. Così che non rimane che sottomettersi all’islam. Resa tragica, forse più che altro grottesca. Del resto Luis Buñuel, ateo per grazia di Dio, i pellegrini della sua Via Lattea diretti a Santiago di Compostela li faceva partire proprio da Parigi, da dove se no?, in un interminabile viaggio burlesco-teologico. Anche il personaggio di Houellebecq a un certo punto parte per il santuario della Madonna nera di Rocamadour in cerca di fede. Invano.

Ci sono i massacri, c’è la trionfante cultura gender, ormai ideologia unica del pianeta come nemmeno la globalizzazione lo fu, che travolge quel poco di lascito antropologico del giudaismo-cristianesimo. Ci sono i cristiani sempre più derisi, sempre più zittiti. Nel graffito cosiddetto di Alexamenos, scarabocchiato sulle pareti di una scuola vicina al palazzo imperiale sul Palatino da un writer del II o del III secolo, si vede un ragazzo che venera un crocifisso con la testa di asino. In caratteri greci sono graffiate parole di scherno: “Alexamenos sebete theon”, “Alexamenos adora Dio”, indirizzate probabilmente a un alunno cristiano. Le Femen di oggi hanno tette ma meno ironia. La libertà religiosa è però conculcata, forse davvero in misura superiore alle persecuzioni del passato secolo breve. Quanto durerà, ancora, il cristianesimo stretto tra persecuzioni esterne ed erosioni interne?

Guido Ceronetti la scorsa estate, su Repubblica, si lasciò fulminare da un aforisma di Emil Cioran: “Il cristianesimo è morto quando ha cessato di essere mostruoso”. Molti pensatori atei o agnostici, presentendo con acume la sperdutezza dei tempi, guardano alla fine del cristianesimo (occidentale) come a un presagio infausto. Per Ceronetti “tutte le fedi monoteiste sono risucchiate dal Buco Nero”. Per lui “la mostruosità cristiana”, in fondo ciò che ne giustificava l’esistenza, “è in declino da quando sono cessati gli autodafé e i processi delle streghe”. E “da quando il Papa è sceso dalla sedia gestatoria e si è messo a fare viaggi trionfali”. Anche il Concilio “andrà visto come una cessazione del carattere mostruoso della chiesa che avrà impresso un’accelerazione al processo mortale del cristianesimo in ambito cattolico”. Domande. In cui “senti il fragore delle ondate tra cui il Titanic-Cristianesimo, protestante o cattolico, sta colando a picco”. In Roma senza Papa, Guido Morselli aveva già scritto tutto. Si può ancora diventare cristiani, in un mondo così? E’ la domanda che anche tanti credenti, soprattutto quelli refrattari all’ottimismo della modernizzazione, si fanno. Con le risposte più diverse. Fatte anche di pubbliche preghiere, di difesa di certe forme liturgiche o ecclesiali. Di tentativi di battaglie nello spazio pubblico che si fanno carico sempre più spesso di una necessaria “disintermediazione”, per dirla come usa nell’èra di Matteo Renzi, dentro a una società sempre meno laica, più totalitaria. Ma la domanda dei dotti, di alcuni intellò, assieme a quella di molti cristiani, resta. Sarà mai possibile convertirsi (ancora) al cristianesimo, in quelli che Ceronetti chiamerebbe gli ultimi secoli?

Taziano il Siro, allievo di san Giustino prima di divenire eresiarca, nel II secolo ha lasciato una testimonianza affidabile della sua conversione: “Ho percorso molti paesi, ho insegnato le vostre dottrine, mi sono messo al corrente di molte arti e invenzioni. (…) Dopo aver inoltre partecipato ai misteri e fatto la prova di culti diversi, mi chiedevo come potevo scoprire la verità. Mentre meditavo cercando il bene, mi accadde di incontrare gli scritti dei barbari, più antichi delle dottrine dei greci, di ispirazione troppo manifestamente divina. Mi accadde di credere in essi a causa della semplicità dello stile, della naturalezza delle narrazioni, dell’intelligenza chiara che danno. (…) La mia anima si mise così alla scuola di Dio”. Agostino di Ippona, che forse non ne aveva fatte tante come Houellebecq, ma insomma, confessa: “Ripetevano: verità, verità, ne facevano un gran parlare ed essa non era mai in essi. Dicevano il falso non su di te soltanto, che sei davvero la verità, ma anche sugli elementi di questo mondo. Verità, verità, come già allora dal più profondo della mia anima sospiravo per te”.

C’è un bellissimo vecchio libro di Gustave Bardy, uno dei più grandi studiosi francesi di patrologia del secolo scorso, pubblicato nel 1947, quasi il compendio di una vita di studioso e credente (morirà nel 1955). In Italia è famoso soprattutto perché proposto e riproposto a intere generazioni da don Luigi Giussani (è ininterrottamente nel catalogo di Jaca Book dal 1975). Si intitola La conversione al cristianesimo nei primi secoli. Riletto oggi, come si rileggono i classici, è un percorso rigoroso e pieno di sorprese per comprendere quali furono i motivi che resero affascinante il cristianesimo fin dal suo primo apparire, in un mondo mica tanto più accogliente di quello di oggi. I motivi che causarono quel fenomeno pressoché unico nella storia umana di una religione che si è diffusa in gran parte del mondo di allora (i confini dell’impero e oltre) con una rapidità e una pluralità di forme unica e strabiliante. Eppure anche gli uomini di allora erano “bestiali come sempre, carnali, egoisti come sempre, interessati e ottusi come sempre lo furono prima”, per lasciarlo dire a Eliot. Eppure, scrive Bardy, “il mondo greco-romano non si è convertito a nessuna delle religioni orientali che, a turno o simultaneamente, hanno sollecitato la sua adesione; non si è convertito alla filosofia, malgrado la predicazione e gli esempi degli stoici e dei cinici; non si è convertito al giudaismo, nonostante la propaganda della legge mosaica; ma si è convertito al cristianesimo”. Anzi: “E’ stato senza dubbio scritto che, se il mondo non fosse diventato cristiano, sarebbe diventato mitriaco. A dire il vero noi non ne sappiamo niente e soprattutto resta il fatto che non è divenuto mitriaco, mentre è divenuto cristiano e lo è rimasto per secoli”. Com’è potuto accadere che nel giro di pochi secoli, decenni, un mondo refrattario come e più del nostro abbia cambiato di segno? Abbracciando una religione che non si imponeva né per sapienza (Paolo all’Areopago, col suo gran discorso da retore, fu rimbalzato con risate scettiche: “Su questo ti sentiremo un’altra volta”), né per foga di tagliare la testa ai nemici, ma anzi per il contrario?

Colpiscono, nel libro di Bardy, gli spunti che avvicinano il mondo pagano di duemila anni fa al nostro presente. Ad esempio il desiderio di verità che pervade tutta la cultura antica in quel grande meltin’ pot culturale che è l’impero. L’insoddisfazione, il peso avvertito di un destino immodificabile, delle colpe che nessun sacrificio può purificare. Gli dèi pagani, la filosofia, lo stesso giudaismo, non riuscirono a rispondere del tutto. “Infatti sarebbe impossibile far bene qualsiasi cosa interessa agli uomini se non la si rapporta alle cose divine e viceversa”, è un celebre Pensiero di Marco Aurelio. Abbiamo la testimonianza, per lo più di intellettuali e uomini di classi sociali elevate, che abbracciarono il cristianesimo facendo l’esperienza di una risposta alle esigenze del proprio essere.

E’ la conversione degli intellò, quelli che sapevano leggere e scrivere. Ma è soprattutto l’annuncio della libertà e della liberazione quello che provoca il grande cambiamento. Scrive Bardy: “Noi daremmo molto per sapere quello che hanno provato gli schiavi, la povera gente, i commercianti, i marinai, i coltivatori che ad Antiochia, a Salonicco o a Corinto hanno udito per la prima volta l’annuncio del Regno di Dio e gli appelli alla libertà conquistata dalla croce di Cristo. Nessuno di questi umili si è preoccupato di scrivere”. “Poche parole sono impiegate così di frequente nel Nuovo testamento che quella della libertà – annota Bardy – per cui il messaggio evangelico suona agli orecchi degli uomini, piegati sotto la schiavitù, come l’annuncio gioioso della liberazione”.

Ci sono altre notazioni con cui Bardy getta luce fino a noi. Ad esempio, il fatto che nel mondo antico era quasi completamente estraneo il concetto stesso di “conversione”. La religione greco-romana era una religione tradizionale, se ne faceva parte in quanto cittadini, era inconcepibile abbandonarla. Al massimo, si procedeva per accumulo: ci si dedicava anche ai culti di Iside, di Mitra. Oggi, oltre a un’identica pratica dell’accumulo – dimensione base del nostro modo di fare esperienze, anche interiori – vige il concetto della piena reversibilità delle scelte. Si può convertirsi ma anche no, tornare a non credere o fare altro. Dunque, come si diventa, come si potrebbe (ri)diventare cristiani?

E’ stata soprattutto l’attrattiva della bellezza, e lo spettacolo della santità, spiega Bardy. Ad esempio c’è il caso di un certo Arnobio, un retore avanti negli anni e che resta “in una ignoranza quasi assoluta dei dogmi cristiani”. Eppure dà testimonianza della sua conversione, “non insulto più il nome di Dio e rendo a ciascuno ciò che gli è dovuto”. Bardy nota che “Arnobio è stato condotto al cristianesimo anche per lo spettacolo dei costumi dei cristiani”. Ne dà conto in molte pagine, con splendida erudizione. Ma non sarebbe lo studioso che è, Bardy, se non riconoscesse che “soprattutto dopo la pace con la chiesa il cristianesimo è invaso da una folla di gente che si converte sotto i pretesti più inconfessabili”, e la chiesa si riempie di peccatori di ogni sorta. Così come, altrove nel volume, nota che “talmente numerose dovettero essere le conversioni operate dall’esempio dei martiri che finirono per diventare un luogo comune della letteratura agiografica”, e molte di “siffatte narrazioni non meritano alcun credito”. Eppure, scrive: “Ma se la leggenda si è potuta sviluppare in questa maniera, la storia ci assicura che fatti analoghi sono realmente accaduti e nelle circostanze più diverse”.

Soprattutto, c’è il martirio. “Tra tutte le virtù praticate dai cristiani, quella che colpisce, e a ragione, maggiormente i pagani e li guadagna più immediatamente alla religione del vangelo è la fermezza davanti alla morte e la costanza con la quale sopportano i supplizi più crudeli”. Cose che ovviamente scandalizzano intellettuali di buon senso e uomini di mondo come Epitteto o Marco Aurelio, ma non “la massa che si lascia semplicemente conquistare”. Tertulliano scrive nell’Apologetico: “Chi dunque, di fronte allo spettacolo dato da tanti martiri, non si sente scosso e non cerca ciò che è al fondo di questo mistero?”. E’ probabile che Tertulliano pensi “alla sua conversione e ai motivi che l’hanno ispirata”. Ignazio di Antiochia scrive: “Pregate continuamente per gli altri uomini, perché si può sperare di vederli arrivare a Dio mediante la penitenza. Date a loro almeno la lezione dei vostri esempi: alla loro collera opponete la dolcezza, alla loro iattanza l’amabilità, alle loro bestemmie la preghiera, ai loro errori la fermezza nella fede; al loro carattere selvaggio l’umanità, senza mai cercare di rendere il male che vi fanno”. E’ dunque questo spettacolo che maggiormente conquista, più ancora della vista dei miracoli compiuti dai cristiani.

Persino l’apostasia, durante i cicli delle persecuzioni, può miracolosamente trasformarsi in testimonianza. E’ il caso della grande persecuzione a Lione nel 177 d. C., di cui dà conto Eusebio: “Abbassavano gli occhi, erano abbattuti, costernati e ripieni di una totale confusione; i pagani li insultavano, li trattavano da vili”. Ma “il resto dei nostri, vedendo questo, si rafforzò. Per la misericordia di Dio molti rinnegati si convertirono e, fra di essi, una cristiana di nome Biblis. Il Cristo fu allora magnificamente glorificato da coloro che l’avevano rinnegato in un primo tempo: contro l’attesa dei pagani, essi gli resero testimonianza”. Così, scrive Bardy, fu possibile la rottura e il rinnegamento di ciò che si era in precedenza. Il battesimo per immersione, “quest’acqua distrugge una vita e ne suscita un’altra, annega l’uomo vecchio e fa risorgere il nuovo”, com’era di regola nell’antichità cristiana, rendeva evidente negli adulti, l’immagine di tale “annegamento” dell’uomo vecchio.

Oggi che il cristianesimo come ambiente culturale, almeno in Europa, è finito, nel cielo vuoto e nello spazio pubblico fattosi neutro o peggio ostile, è utile riscoprire come andarono le cose, come avvenne il non preventivabile miracolo della conversione di un intero mondo (senza la minaccia della scimitarra e la pratica della sottomissione). Il grande racconto di Bardy lascia intuire una semplice, e non presuntuosa risposta. La conversione al cristianesimo nei nostri (ultimi?) secoli, potrà avvenire solo come è avvenuta per i nuovi cristiani dei primi secoli.
di Maurizio Crippa | 07 Febbraio 2015 

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