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domenica 5 aprile 2015

Da figlia primogenita a primapostata

Via il santo dal nome. La Francia sbattezza 5mila comuni
di Luigi Santambrogio
La rivista online Minute
La laicissima Francia, quella del Je suis Charlie, della tolleranza e del “vivre ensemble” multiculturale, vuole mettere mette al bando santi e beati, ameno dai paradisi della toponomastica. L’obiettivo è l'eliminazione di tutti i riferimenti alla cristianità dai Comuni francesi, sono quasi 5000, che nel loro nome hanno il termine “saint”, santo, o “sainte”. Dovranno essere sbattezzati perché con il loro toponimo insultano «tutta una categoria di popolazione». Non è chiaro se la ghigliottina della censura anticristiana si estenderà anche ai nomi della vie cittadine, dei quartieri, dei ponti, degli aeroporti e delle stazioni ferroviarie. A chiedere lo “sbattezzo” è il gruppo di riflessione “Laïcité et République moderne” e curato dal deputato socialista Yann Galut, leader del collettivo “La Gauche forte”, e dalla senatrice ecologista Esther Benbassa, alla guida del microscopico ma influente partito “Pari(s) du Vivre-Ensemble”. Insieme hanno firmato un rapporto e lo hanno inviato al premier socialista Valls. 

A dare l’incredibile notizia è il settimanale Minute (www.minute-hebdo.fr/) giornale di riferimento della destra religiosa, diretto per anni da Patrick Buisson, il consigliere ombra di Sarkozy nel 2012. Il rapporto si intitola in maniera deliberatamente ambigua «Rivedere la toponimia della Francia alla luce del vivre-ensemble», e nelle intenzioni dei curatori dovrebbe rappresentare il primo atto della «lotta contro l’apartheid territoriale, sociale, etnico», evocata dallo stesso Valls nel gennaio scorso. I curatori parlano inizialmente di una non precisata “categoria di popolazione” che potrebbe sentirsi a disagio e svillaneggiata dalla cristianità dei nomi di alcuni Comuni. Quale? L’enigma viene svelato poco più avanti: «Una frazione crescente della popolazione di origine musulmana è scossa dalle appellazioni toponimiche che rappresentano un'epoca arcaica dove l'identità della Francia, tutt'altro che plurale, si definiva esclusivamente sotto il segno di una cristianità trionfante e totalitaria». Da qui l’imperativo politico e civile: «rilaicizzare profondamente la République», tramite la soppressione di questi «appellativi discriminanti». Una fraseologia, commenta ironico il settimanale, che lascia pensare che i redattori del rapporto «abbiano studiato dagli anticlericali più che dai curati». 
Tutto chiaro, no? Per non urtare la comunità musulmana francese e in nome del sacro “vivre-ensemble”, i neogiacobini del governo mirano insomma a curare i paeselli della Francia profonda da quella che a quanto pare considerano come una malattia mortale: la cristianità e la sua cultura millenaria. “Rilaicizzare” fa rima con rieducare: le menti e le coscienze certo, ma anche i ricordi e i segni materiali di una storia millenaria, cambiando nomi alle città e ai luoghi, come fecero con Leningrado, Stalingrado, Hô-Chi-Minh-Ville  e altri esempi delle più feroci dittature. A quanto ammonta il costo dell’operazione “sbattezzo”?  È sempre il settimanale Minute a svelarlo: 3,4 miliardi di euro, tra spese dirette e indirette. La riforma è presentata come “audace” all’interno del rapporto, e come riporta Minute rinvia apertamente all’epoca della Rivoluzione francese, quando la Convenzione condusse una vera e propria caccia alle denominazioni che non erano considerate “rivoluzionariamente corrette”. Tremila comuni furono allora rinominati, detersi dal loro germe cristiano: Saint-Quentin divenne Egalité-sur-Somme, Saint-Caprais si trasformò in Thémistocle, Saint-Michel-de-Rivière mutò in Esprit-des-Lois. E oggi sono quasi 5.000 le città che perderebbero le loro radici cristiane.  3 927 cominciano per “Saint“ (10,7 % dei comuni francesi. Il santo più diffuso è Saint-Martin (222 comuni), poi Saint-Jean (170) e Saint-Pierre (155). Altri 471 comuni hanno il termine “Saint“ all’interno del loro nome, 334 cominciano per “Sainte“ (0,9 %), e Saintes. La santa più diffusa è Sainte-Marie (40), seguita da Sainte-Colombe (27) e Sainte-Croix (25).
Quando in Vandea vennero proibiti i presepi, i cattolici si mobilitarono al grido di “Touche pas à ma crèche” (non toccatemi il presepe), adesso forse lo faranno con un non meno nobile: “Giù le mani dai santissimi”. E non solo da quelli, verrebbe da aggiungere. Infatti, mentre i nuovi giacobini si preparano a tagliare di nuovo la testa ai santi cristiani, come ai tempi del Terrore, c’è da registrare anche il Rapporto 2014 dell'Observatoire de la cristianophobie, struttura che recensisce ogni anno attacchi  cristianofobi: atti di vandalismo contro i luoghi di culto cristiani, delle profanazioni, degli incendi e degli attacchi informatici. Testimonianze dirette ed episodi raccontati dalla stampa dicono che sull'intero territorio nazionale ne sono stati registrati 186 atti, numero che fa dei cristiani la comunità più perseguitata di Francia. Ma di questo, la laicissima République non si cura, tanto questi cristiani mica andranno per ritorsione ad assaltare moschee o giornali satirici. La ghigliottina cade sempre sulle solite teste. 

Contro una cristianità “totalitaria” il governo di Parigi pensa di togliere i santi dai nomi dei comuni



Una vignetta del XIX secolo che rappresenta la decristianizzazione della Francia, rappresentata da una donna brutta e grassa e dai politici che profanano la croce di Gesù
Pioggia di anatemi per Robert Ménard, sindaco frontista di Béziers, che di recente ha cambiato il nome di una stradina della sua città, “rue du 19 mars”, data della fine della guerra d’Algeria, ribattezzandola con il nome di un generale che partecipò al putsch del 1961. Nessuna riga nella stampa progressista, invece, sul rapporto che il gruppo di riflessione “Laïcité et République moderne” consegnerà al premier socialista Valls entro la metà di aprile. Battezzato, seguendo i dogmi della neolingua socialista, “Rivedere la toponomia della Francia alla luce del vivre-ensemble”, il rapporto prevede la soppressione di tutti i riferimenti cristiani dai nomi dei comuni francesi.


A rompere il silenzio mediatico è oggi il settimanale Minute, la tribuna di riferimento dei milieu identitari francesi – Patrick Buisson, il consigliere ombra di Sarkozy durante la campagna muscolare del 2012, ne fu per anni il direttore. Il rapporto, scrive la rivista che sulla scristianizzazione della Francia ha pubblicato negli ultimi anni le inchieste più toste, è stato curato dal deputato socialista Yann Galut, leader del collettivo la Gauche forte, e dalla senatrice ecologista Esther Benbassa, alla guida del microscopico ma influente partito Pari(s) du Vivre-Ensemble.

ARTICOLI CORRELATI In Francia l'ultima trovata della gauche pol. corr. sono i "neocon di sinistra" La parodia della laïcité L’intollerante campagna di Obama e dei liberal contro la libertà religiosaE’ il primo atto della “lotta contro l’apartheid territoriale, sociale, etnico” evocata da Valls nel gennaio scorso, che tra le altre cose aveva anche parlato di “frattura semantica” in riferimento a quelle persone, il cui numero secondo il premier sarebbe in perenne aumento, “che non capiscono a cosa rimandano i nomi dei comuni”. E così gli abitanti di Pont-l’Abbé, in Bretagna (Abbé significa abate), potrebbero sentirsi “insultati”, secondo i laicisti del governo. Il rapporto parla inizialmente di una non precisata “categoria di popolazione” che potrebbe sentirsi a disagio e svillaneggiata dalla cristianità dei nomi di alcuni comuni, la cui identità viene svelata soltanto a pagina 27 (in tutto sono 52): “Una frazione crescente della popolazione di origine musulmana è scossa dalle appellazioni toponomiche che rappresentano un’epoca arcaica dove l’identità della Francia, tutt’altro che plurale, si definiva esclusivamente sotto il segno di una cristianità trionfante e totalitaria”.

“Trionfante e totalitaria”, capito i laicisti? E così la Francia “figlia primogenita della Chiesa”, in nome del vivre-ensemble e di un inchino oggi sentito come obbligatorio nei confronti della comunità musulmana, punta tra le varie misure a scristianizzare i quasi 5.000 comuni francesi aventi il termine “saint”, santo, nel loro nome, al fine di “rilaicizzare profondamente la République”, si legge nel rapporto, tramite la soppressione di questi “appellativi discriminanti”. “Rilaicizzare”, che tradotto significa cancellare migliaia di anni di storia, provare vergogna per il proprio passato cristiano, per un dovere di “rattrapage”, di recupero, o meglio ancora di riscatto al cospetto delle popolazioni immigrate (Valls lo disse apertamente in un libro qualche anno fa, quando era ancora sindaco di Evry). Adieu la Francia dei campanili, adieu la Francia di Bernanos, adieu la Douce France souvenir de mon enfance che Charles Trenet conservava nostalgicamente nel suo cuore.

A quanto ammonta il costo dell’operazione di “relaicizzazione”? 3,4 miliardi di euro, tra spese dirette e indirette. La riforma è presentata come “audace” all’interno del rapporto, e come riporta Minute rinvia apertamente all’epoca della Rivoluzione francese, quando la Convenzione condusse una vera e propria caccia alle denominazioni che non erano considerate “rivoluzionariamente corrette”. Tremila comuni furono allora rinominati, detersi dal loro germe cristiano: Saint-Quentin divenne Egalité-sur-Somme, Saint-Caprais si trasformò in Thémistocle, Saint-Michel-de-Rivière mutò in Esprit-des-Lois. Oggi sono quasi 5.000 le città pronte a dire addio alle proprie radici cristiane, ghigliottinate dalla nuova République laicista di Francia.

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