Vigliacco chi lascia il Papa solo di fronte alla censura islamica
Erdogan gli intima di tacere sul genocidio armeno. Nessuno interviene in sua difesa (solo gli americani esprimono un generico sostegno). È la fotografia della cristianità oggi: perseguitata, marginalizzata, misconosciuta. Ma senza di essa non c'è Occidente
In pochi giorni Francesco ha ricevuto due legnate. La prima dalla Francia. La seconda dallaTurchia. C’è notevole irritazione – ma siamo solo alle schermaglie iniziali – per la ratifica dell’ambasciatore designato da Parigi a rappresentarla presso la Santa Sede.
Il diplomatico è gay. IlVaticano prende tempo. Non si pronuncia: è contrario ma non lo dice ufficialmente. Come finirà lo vedremo presto. La seconda scudisciata invece è arrivata sul pieno volto del Pontefice. Francesco ha definito la strage degli armeni il primo genocidio del XX secolo. Il primo ministro turco Erdoganha reagito con violenza inusitata. Il Papa deve stare zitto. Non deve parlare di questioni delle quali non capisce nulla. La sua è una provocazione che non si dovrà ripetere. La parola genocidio non dovrà più essere pronunciata. Dal Vaticano nessuna risposta ufficiale. Al massimo si sottolinea lo stupore per la violenta reazione. Ma nessun commento ufficiale. E scarso rilievo alla notizia lo dannoAvvenire, giornale dei vescovi italiani e L’Osservatore, foglio vaticano. Segno che la strada è impervia. Naturalmente se qualcuno si aspetta un aiuto dalle Nazioni Unite perde tempo. Gli americaniqualcosa dicono – ma qualcosa di veramente generico – e soprattutto non hanno nessuna voglia di inimicarsi la Turchia. Insomma è chiaro. Il Pontefice resta solo. Che quello degli armeni sia stato un genocidio non vi è alcun dubbio. Almeno dal punto di visto storico. Ed è anche comprensibile che i turchi possano avere delle diverse opinioni sulla materia.
Stiamo assistendo ad una seconda Ratisbona. Come ricorderete lì Benedetto XVI pronunciò un detto discorso. Però un lieve passaggio del discorso scatenò una furibonda reazione. Accade lo stesso adesso con Francesco e il genocidio armeno. È un segno inequivocabile dei tempi che viviamo. Lacristianità è sistematicamente perseguitata e minacciata perché è debole. In Europa gli esponenti politici di primo piano non avvertono la necessità di scendere in difesa di Francesco. E il popolo che lo osanna – dai mass media alle folle che lo acclamano e ballano il tango argentino in piazza San Pietro – francamente del genocidio armeno gliene importa un fico secco. La barca di Pietro vacilla. E neppure la cultura cattolica riesce ad avere un fremito di indignazione. Del resto se la cultura cattolica è rappresentata dal cardinale Ravasi, allora tutto appare logico. Bandiera bianca. Resa totale al mondo.
Le macerie del cristianesimo sono sotto i nostri occhi. Chiese in abbandono, spesso riconvertite per altri commerci. Seminari vuoti. Cristiani massacrati in varie parti del mondo. Fuga di cristiani da luoghi dove hanno vissuto da tempo immemore. Però c’è il Sinodo sulla famiglia, dove i vescovi nord-europei sperano il prossimo autunno di far diventare la Chiesa di Roma una pallida Chiesa riformata. Avremmo bisogno di un lottatore, come lo fu Giovanni Paolo II il Grande. Abbiamo il Papa che viene dalla fine del mondo, e proprio per questo, perché viene dall’Argentina, come ha ricordato un autorevole commentatore turco, non capisce niente. A quest’offesa profonda nessuno replicherà. E non è questione di porgere l’altra guancia. Il silenzio di questi giorni è il commento più chiaro. L’Occidente ormai ha abbandonato la cristianità al suo destino.
"Francesco sul genocidio ha squarciato il velo. Da oggi basta ipocrisie"
Intervista a Franca Giansoldati, vaticanista de Il Messaggero, autrice del libro "La marcia senza ritorno. Il genocidio armeno", 'benedetto' anche dal PapaCitta' del Vaticano, (Zenit.org) Salvatore Cernuzio
Cento anni non sono abbastanza per dimenticare. Specie se si tratta di una strage come il "Grande Male" che travolse il popolo armeno agli inizi del secolo, sterminando un milione e mezzo di uomini, donne, bambini, famiglie. Lo sa bene Franca Giansoldati, affermata vaticanista de Il Messaggero, autrice del libro "La marcia senza ritorno. Il genocidio armeno" (Salerno editrice) di recente pubblicazione. Un libro per cui la giornalista ha impiegato anni di studio e ricerche, versando anche qualche lacrima nell’approfondire i dettagli di una vicenda crudele che rimane tuttavia un buco nella storia. Intervistata da ZENIT, la Giansoldati illustra il suo lavoro, ‘benedetto’ anche dal Papa, e spiega il motivo delle reazioni esagitate della Turchia verso leparole del Pontefice di domenica scorsa riguardo a quello che fu, a tutti gli effetti, “il primo genocidio del XX secolo”.
***Il Papa ha detto “genocidio”. E questo segna una svolta nella storia del papato e del Vaticano, nonostante già Wojtyla avesse pronunciato questa parola nella “Dichiarazione congiunta” con Karekin II del 2001. Secondo lei, come va interpretato il gesto di Bergoglio? Azzardo o mossa coraggiosa?
Il Papa ha squarciato il velo e da oggi in poi impedisce a chiunque l’ipocrisia, all’interno della Chiesa e fuori, ai laici come ai religiosi, ai credenti come ai non credenti. Il peso morale che ha il Papa è enorme e il fatto che abbia utilizzato questa parola, dopo cent’anni, non era scontato ma un atto dovuto. Perché è giusto che la Chiesa di Roma riconoscesse finalmente una pagina di storia che è sempre stata messa da parte, trattata con molti “tatticismi diplomatici”, dimenticando però che lì sono morte un milione e mezzo di persone, anzi di cristiani. Quindi la celebrazione di domenica scorsa è stata un momento commovente, come se la Chiesa avesse accompagnato nell’ultimo viaggio questi morti, li avesse sepolti, li avesse riconosciuti. E la parola “genocidio” non poteva che essere l’ombrello per inquadrare ciò che è stato.
Perché dà così fastidio la parola “genocidio”?
“Genocidio” è un termine coniato nel 1948 dopo la Seconda Guerra mondiale, ma all’epoca dello sterminio degli Armeni era sconosciuta. Si trovano, tuttavia, parole che ne richiamano il senso nelle documentazioni dell’epoca, ovvero i documenti conservati negli archivi del Vaticano, ma anche negli archivi del Ministero degli Esteri tedesco, in quello americano e nel nostro italiano. Sono i documenti che scriveva Gorrini, console onorario a Trebisonda fino al giugno del 1915, che già allora come testimone oculare scriveva quello che vedeva passare da sotto le finestre del consolato. E cioè che non erano dei “pogrom”, delle violenze spot: lui vedeva un piano sistematico, studiato a tavolino, meticolosamente messo a punto per togliere dall’Impero ottomano una minoranza considerata un po’ come un cancro. Sia perché in quel periodo c’era il frutto avvelenato dei nazionalismi, sia perché gli Armeni costituivano una minoranza non omogenea. Erano cristiani. E questo è un elemento che poi è diventato non secondario per l’evolversi della vicenda.
In che senso?
Il genocidio degli armeni nasce su basi politiche ed economiche, perché l’Impero ottomano era assolutamente indebitato e voleva quindi incamerare i beni degli armeni che erano una minoranza particolarmente benestante. Ma l’elemento fondamentale per capire la connotazione religiosa di questo sterminio è il fatto che una minoranza minima degli armeni, pur di salvarsi decise di abbracciare l’Islam e rinnegare il Cristianesimo. Decise, cioè, di “omogeneizzarsi” alla Turchia musulmana. E si sono salvati. Tutti! Quindi, alla fine, il fatto religioso in questo progetto di cancellare tale popolo dalla faccia della terra - come scriveva nei rapporti l’ambasciatore americano Morgenthau - se all’inizio non fu determinante, in seguito diventò una benzina che alimentò l’odio, la caccia al diverso.
La Turchia, però, si ostina in un atteggiamento negazionista. Lo dimostrano le reazioni di questi giorni: dalla convocazione del nunzio alle ultime aggressive dichiarazioni di ieri del presidente Erdogan contro il Pontefice. Perché?
Anzitutto per la questione dei risarcimenti economici che non è affatto secondaria, perché potrebbe creare veri problemi economici alla Turchia…
Eppure Erdogan, nella lettera di “condoglianze” agli armeni del 23 aprile 2014, diceva che la Turchia sarebbe stata disposta a pagare nel caso fosse stata riconosciuta una responsabilità...
Quella lettera l’ho letta in filigrana ed era strutturata per essere negazionista. Il presidente parla di vicinanza al dolore ma tenendo presente che c’era anche il dolore dei turchi e via dicendo. Per quanto mi riguarda Erdogan sta perdendo una grandissima opportunità, che il Papa domenica a San Pietro gli ha offerto su un piatto d’argento: la possibilità di cominciare un percorso, sicuramente accidentato e lunghissimo, ma che potrebbe portare ad una memoria condivisa e ad un processo di pace. Per quella regione sarebbe un tesoro. C’è da dire comunque che le reazioni alle parole del Papa sono state sopra le righe perché in Turchia siamo in piena campagna elettorale, e Erdogan ha paura di perdere i consensi soprattutto della parte di destra. Quindi era quasi scontata l’agitazione di questi giorni.
C’è un rischio per i rapporti diplomatici tra Santa Sede e Turchia?
Assolutamente no. Ci sono buoni rapporti, l’abbiamo visto anche durante il viaggio del Papa a novembre. Certo in questo momento sono relazioni “stressate”. C’è da sperare che non arrechino danni alla comunità cattolica che sta lì: ventimila persone, una minoranza piccolina, che però vive in condizioni difficili, soprattutto nelle zone periferiche. In ogni caso c’è un altro aspetto da considerare…
Cioè?
Che ci sono ancora due morti che pesano sulla coscienza della politica turca, per cui ancora oggi non si hanno risposte: la morte del vescovo Padovese e di don Andrea Santoro, entrambi uccisi al grido di "Allah Akbar". Può anche essere che sia stato “il matto di turno” ad ammazzarli, però bisogna riflettere e dare risposte. Magari riflettendo sul clima di odio che evidentemente si cova sotto la cenere. La Turchia è rimasta finora in silenzio.
Lo è rimasta pure quando l’anno scorso, ad agosto, l’Isis ha distrutto la chiesa di Deir Ezzor, “l’Auschwitz degli armeni”…
Esattamente. Mi ha molto colpito pure il fatto che il 24 di aprile, mentre in tutti i paesi del mondo dove la diaspora armena ha messo radici si celebreranno Messe e ci saranno rintocchi delle campane a morto, in Turchia no. Perché c’è il divieto di ricordare questo momento, anche da un punto di vista religioso. Invece anche un solo rintocco di una campana potrebbe essere un simbolo.
Tornando a Giovanni Paolo II, anche lui usò la parola “genocidio” e anche lui provocò reazioni furenti.
Si, ma non così violente. Ricordo che Giovanni Paolo II voleva andare a Yerevan, ma fu costretto a spostare il viaggio diverse volte. Ci vollero 2-3 anni di preparazione perché la Turchia esercitava pressioni, metteva ostacoli, quindi la diplomazia della Santa Sede procedeva con cautela. Il cardinale Sodano suggerì al Papa di rimandare il viaggio, di non partire, di non utilizzare la parola “genocidio”. Ma Giovanni Paolo II, oltre alla malattia che avanzava, sentiva un peso morale perché nel 2001 cadevano i 1700 anni della conversione dell’Armenia al cristianesimo, e lui voleva celebrare questo evento. Alla fine si è imposto sulla stessa diplomazia.
Perché lo fece?
Perché era un atto dovuto! Perché quel milione e mezzo di persone non sono morte di raffreddore. A volte le statistiche diventano fredde, ma proviamo a mettere davanti agli occhi un milione e mezzo di volti, di bambini, di donne stuprate, di madri che dai convogli buttavano i propri figli nei fiumi perché non riuscivano più a vederli morire di fame… Proviamo a immaginare questa crudeltà infinita, come se fosse la sequela di un film, forse un sussulto alla coscienza ti viene. E Bergoglio quando parla di “ecumenismo del sangue” - un concetto teologico che, secondo me, è di una profondità totale e dirompente, che avrà riflessi politici – riprende quello che fece Wojtyla all’epoca: imporsi sulla diplomazia.
Nel suo libro “La marcia senza ritorno”, recentemente pubblicato, come emerge tutto questo?
Io non sono una storica ma una cronista, quindi ho cercato di divulgare l’entità di questo buco nella storia. Sono andata a pescare in vari archivi, anche ne Il Messaggero, dove è stata pubblicata la prima intervista in Italia con un diplomatico che testimonia quei fatti: il famoso Gorrini, ora considerato un “Giusto” dall’Armenia. Soprattutto mi sono basata sui documenti vaticani. Il lavoro grosso l’ha svolto padre Georges Ruyssen, uno storico gesuita belga che per anni ha letto, catalogato e pubblicato in sette tomi tutto quello che in quel periodo ha avuto a che fare con l’evento. C’è di tutto… Quando ho incontrato padre Georges gli ho detto: “Mentre leggevo le tue pagine e scrivevo sono scoppiata a piangere…”. E lui mi ha risposto: “Anche io”. Credo che questo materiale possa dare qualunque tipo di risposta agli storici. Anche agli storici turchi.
Come mai dopo tanti anni di Vaticano, si è interessata a questo tema?
È stato quasi un caso. A metà degli anni ’90 si cominciava a parlare del riconoscimento del genocidio al Parlamento italiano. Io all’epoca lavoravo all’Adnkronos e spesso mi capitavano dei comunicati sul tema. Ho iniziato a interessarmi. Un campanello mi era suonato già dall’Università: sono laureata in Scienze politiche con indirizzo storico e, mentre sostenevo numerosi esami sulla Seconda Guerra mondiale, sullo stermino nazista ecc, sul genocidio armeno non ho letto neanche tre righe. Ancora oggi è così: qualche tempo fa sono andata a parlare in un Liceo di Roma e i ragazzi non sapevano assolutamente nulla di questa vicenda. Sono rimasti sconvolti.
È vero che ha mandato una copia del libro anche al Papa?
Sì… A dir la verità lui ha letto anche le bozze prima della pubblicazione. Il Papa incoraggia molto tutte le ricerche che possono aiutare a divulgare con occhi di verità e obiettività quello che è stato.
A proposito di Bergoglio. Lei lo ha conosciuto da vicino, lo ha anche intervistato diventando la seconda donna nella storia ad intervistare un Pontefice. Alla luce di questo e della sua esperienza ventennale di vaticanista, come riassumerebbe in una frase questo pontificato?
Papa Francesco riuscirà a portare la periferia al centro. Degli eventi periferici, marginali, lontani, non solo dal punto di vista geografico ma anche storico, lui li ha portati al centro dell’attenzione mondiale. E quello che è accaduto domenica in Basilica lo dimostra.
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(15 Aprile 2015) © Innovative Media Inc.
La Repubblica
(Paolo Rodari) «Non mi sembra che si stia verificando una seconda Ratisbona. Personalmente ritengo improprio questo paragone. Allora, si era nel 2006, tutto l’Islam male interpretò una citazione papale. Oggi si tratta di una reazione, per altro prevista, per non dire scontata, di un Paese che fatica ad accettare la propria storia». Pochi come il cardinale Walter Kasper conoscono il mondo cristiano, con i suoi confronti interni fra chiese e comunità diverse, ma anche lo stesso cristianesimo in rapporto alle altre fedi. Per anni capo del dicastero vaticano per l’ecumenismo, il porporato tedesco ha accompagnato Giovanni Paolo II in Armenia nel 2001, nel viaggio in cui per la prima volta il Papa polacco parlò di genocidio.
«Non credo davvero. Qui siamo di fronte a un Paese che fa muro sulle sue posizioni. Anche nel 2001 reagirono così. E credo che il loro atteggiamento difficilmente cambierà».
Ieri il presidente turco Erdogan ha detto: «Condanno le parole del Papa e lo avverto di non ripetere questo errore».
«Non mi stupiscono queste parole. È la loro politica. Fanno così. Non accettano giudizi storici diversi dai propri. Ma bene fa il Papa a non reagire. Le sue parole restano e non c’è bisogno di altro. Parlando del genocidio ha auspicato che nell’amore per la verità e la giustizia si risanino le ferite e si facciano gesti concreti di riconciliazione tra le nazioni che ancora non riescono a giungere ad un ragionevole consenso sulla lettura di tali tristi vicende».
Ritiene che per i cristiani in Turchia, vi potranno essere ripercussioni?
«Mi auguro di no. Certo, il clima è teso. Ma la colpa è di pochi islamici radicali che ritengono di doversi imporre con la forza contro ogni diritto umano. Fortunatamente non tutti i musulmani sono così. Occorre far emergere la parte migliore dell’Islam, appoggiarla, aiutarla. Il cristianesimo deve cercare l’amicizia con tutti. Ma deve farlo nella verità, senza nascondere colpe ed errori del passato. E, insieme, deve accettare che dall’altra parte vi sia chi non vuole questa amicizia».
Francesco sta portando la Chiesa a vivere l’essenza del cristianesimo, il messaggio di misericordia verso tutti. Il mondo musulmano può recepire questo messaggio?
«Anche Allah è misericordia ma la misericordia di Allah non è esattamente la stessa cosa di quella cristiana. Per il cristianesimo il volto di Dio è volto di amore incondizionato, che si fa inerme e muore per tutti. È ciò che sta dicendo il Papa fin dall’inizio del suo pontificato. Lo sta dicendo a tutti, ma anzitutto alla sua Chiesa».
La Repubblica, 15 aprile 2015
http://www.repubblica.it/esteri/2015/04/15/news/kasper_clima_teso_per_i_cristiani_ma_non_regge_il_paragone_con_il_dopo_ratisbona_-112019128/Genocidio Armeno: Sandro Gozi, la vergogna, l’ignoranza e il doppiopesismo opportunista
Hitler aveva ragione quando, prima di invadere la Polonia, sosteneva, nella famosa frase che gli viene attribuita: «Chi si ricorda del massacro degli armeni?». Ragione, però, non tanto nel fatto, vero anche quello, che nessuno o ben pochi se ne ricorda(va)no, quanto nel chiamarlo “massacro”: perché nel 1939 la parola genocidio non esisteva, essa venne coniata nel 1944 da R. Lemkin, un giurista polacco di origine ebraica, proprio in riferimento al “massacro” degli armeni.
Da quel giorno in poi, però, quello e solo quello è il termine giuridicamente e moralmente corretto per indicare quanto perpetrato dei turchi a partire dal 24 aprile di cento anni fa: genocidio e basta, né massacro, né sterminio, né strage, né altro: genocidio senza se e senza ma.
Il Capo di Stato vaticano ha quindi usato il termine giusto, ma per una volta che l’intervento è legittimo e non ingerisce, come troppe volte avviene negli affari interni dello Stato italiano, il governo, nella persona di Sandro Gozi, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alle politiche Ue, non sostiene il Papa, anzi lo critica, cosa che mai e poi avviene quando lo si dovrebbe fare, cioè ogni volta che lui o la CEI intervengono a gamba tesa negli affari nostri.
Come premessa bisogna sottolineare proprio il fatto che Gozi ha la delega alle politiche UE, cioè di quella UE che corteggia disperatamente Erdogan, poco importa che sia un negazionista di genocidi e che la sua politica interna sia caratterizzata da una deriva autoritaria e islamista. Questo spiegherebbe l’opportunismo peloso del sottosegretario, un atteggiamento condiviso, peraltro, da molti altri leader UE che il 24 aprile prossimo, anziché andare a ricordare il centenario del genocidio, andranno a Gallipoli a celebrare al fianco di Erdogan il centenario della disfatta militare del corpo di spedizione australiano e neozelandese, mandato al massacro da Churchill ed immortalato nello splendido film “Gli anni spezzati” (Gallipoli) di Peter Weir.
Una vergogna mondiale di cui pochi si stanno rendendo conto, a dimostrazione che Hitler tutti i torti non li aveva, perché si sta oscurando il genocidio e pubblicizzando la battaglia: la capacità di ingerenza della lobby dei turchi è notevole, così come è divenuto insopprimibile il gusto occidentale, che sembra seguire una moda tutta italiana, di celebrare le disfatte anziché i successi. Un enorme vergogna perché sarebbe come se, nel 2045, il 27 gennaio, il famoso giorno della memoria che vale solo per la Shoà, i capi di stato occidentali, anziché recarsi ad Auschwitz, venissero a Roma per celebrare la nostra vittoriosa offensiva in Cirenaica del 27 gennaio del 1942, tanto per restare sulla stessa data.
Gli interessi, geopolitici, ma soprattutto economici, in gioco sono tanti: vogliamo la Turchia in UE e questa è un alleato NATO, che incidentalmente occupa parte del territorio dell’UE a Cipro, in dispregio delle risoluzioni ONU. Ankara, però, può, al pari di Israele ignorare l’ONU, con la discriminante che gli ebrei il genocidio l’hanno subìto e non commesso, almeno quello, per ora. L’atteggiamento acquiescente verso la manipolazione storica turca, quindi, non è solo italiano, ma le parole di Gozi ci permetto di restare saldamente in testa nella classifica dell’ipocrita viltà.
Andiamo, adesso, ad esaminare in dettaglio cos’è riuscito ad impapocchiare costui quando intervistato da La7. «Nessun governo si esprime in maniera ufficiale: questo è compito degli storici»: eh no, i governi si esprimono eccome, ma anche fosse solo compito degli storici, il Gozi si sarebbe mai permesso di esprimersi in tali termini sulla Shoà? Ogni volta, infatti, che uno si azzarda a dire che sulla Shoà si dovrebbero esprimere gli storici viene sottoposto a gogna e lapidazione mediatica, quindi perché questo non dovrebbe avvenire quando si tratta del Metz Yeghern, nome che gli armeni danno al loro genocidio? Se solo non imperasse il doppiopesismo opportunista e la disonestà intellettuale, tutti i genocidi non dovrebbero forse essere trattati allo stesso modo? O i governi si possono esprimere su tutti i genocidi oppure tutti, ma tutti tutti, sono riserva esclusiva di caccia degli storici.
I governi possono, comunque, esprimersi, e perciò l’intervento del Papa è pienamente legittimo, al contrario di quando si impiccia degli affari nostri, e spicca per coraggio nel silenzio acquiescente dei governi esportatori di democrazia. Una cosa però Gozi la riesce a dir giusta quando spara che: «Nessun governo europeo si lancia su questi temi», ma questa è una vergogna che abbiamo già trattato prima. Aggiunge poi, a giustificazione della sua malafede intellettuale, che «i parlamenti europei si sono espressi, i governi no», e allora dovrebbe sapere che il nostro si è espresso riconoscendo quello armeno come genocidio, e che quindi i governi, a cominciare da quelli privi di legittimazione popolare, devono comportarsi ed esprimersi di conseguenza; o meglio dovrebbero, ma questa è cosa che il governo Renzi ignora vista la considerazione che ha del parlamento nazionale e della sovranità popolare da cui non trae legittimazione alcuna.
Ma anche sul non esprimersi dei governi su “questi temi” ha ragione solo se si restringe il campo agli armeni, perché se con “questi temi” si intendono i genocidi tutti: ebbene sui genocidi i governi si lanciano eccome, anche se, di solito, solo quando il genocidio è la Shoà. Quindi ciò sarebbe giusto e legittimo, se solo non lo facessero esclusivamente per la Shoà, dimostrando così che per i sedicenti democratici esistono genocidi e, quindi, popoli, di serie A e serie B, o addirittura C, se estendessimo “questi temi” al Ruanda. Insomma un’altra bella prova di doppiopesismo e disonestà intellettuale del nostro Sottosegretario.
Gozi non è, tuttavia, soddisfatto e così rincara la dose. «Io credo che non sia mai opportuno per un governo prendere delle posizioni ufficiali su questo tema»: cioè i governi non dovrebbero mai prendere posizioni sulla Shoà? Perché “questo tema” si chiama genocidio – oppure c’è un’eccezione armena? – e il Metz Yeghern fu genocidio al pari della Shoà, anzi funse da apripista. Parole, insomma, di cui aver vergogna, profonda vergogna, invece egli insiste, «Per me, ma è la mia posizione personale, (il Metz Yeghern) lo è stato: ma un governo non deve utilizzare la parola genocidio». Cioè mutatis mutandis, «Per me, ma è la mia posizione personale, (la Shoà) lo è stato: ma un governo non deve utilizzare la parola genocidio»: per la serie Ponzio Pilato è un dilettante di fronte a me.
Ma vi immaginate Gozi se avesse mai osato profferire tali parole sull’Olocausto? Una simile dichiarazione gli sarebbe costata il rassegnare le dimissioni ad una velocità tale che sarebbero state presentate prima ancora della dichiarazione stessa, avendo infranto la barriera della velocità della luce. Vi immaginate le reazioni dei media e dell’opinione pubblica? Nonché dei governi di tutto il mondo, fatto salvo quello iraniano probabilmente. Invece solo un silenzio vile e colpevole, che estende la vergogna a noi tutti, o almeno a tutti coloro che tacciono o minimizzano.
Il contradditorio doppiopesismo di Gozi non si ferma qui, però: «Per noi che facciamo politica è meglio guardare ai problemi di oggi della politica. E con il governo di Ankara siamo impegnati a parlare di democrazia, diritti umani e di minoranze». Forse, invece, voleva dire dribblare anziché guardare, perché ricordare la negazione di un genocidio è un problema di oggi: provate a figurarvi una Germania negazionista. Inoltre rinfacciare alla Turchia la negazione del genocidio è esattamente “parlare di democrazia, diritti umani e di minoranze”: perché chi nega certi crimini, al punto di punire chi li denuncia, viola e si dimostra pronto a violare ogni principio di “democrazia, diritti umani e di minoranze”. Comunque sia, non abbiamo sentito tutto questo tuonare governativo contro le continue violazioni di questi principi messe in atto da Erdogan, l’ultima, delle tante, il recente blocco dei social network: immaginatevi se lo avesse fatto Putin. Tutto questo alla faccia della retorica della memoria che ci viene propinata dal 27 gennaio al 25 aprile; evidentemente il 24 aprile è il giorno della memoria corta, l’eccezione scurdámmoce 'o ppassato, simmo 'e Instanbul paisà.
La fantasia di Gozi si esprime in tutta la sua sfrenatezza quando sostiene che «ricordo quando i rapporti ed europei erano migliori abbiamo risolto il problema della minoranza curda». Una soluzione che vede solo lui, che non c’è mai stata: non si capisce se stiamo esplorando gli abissi del delirio o, più probabilmente, dell’ignoranza, perché ammette che nella democraticissima Turchia i problemi “risolti” riguardavano anche «le minoranze cristiane che vivono a Istanbul»: e noi che pensavamo che nelle democrazie, salvo quella inglese, non vi fossero mai problemi di minoranza religiosa
Il fondo comunque lo tocca in chiusura: «È la solita e importante questione della lettura della storia, non esiste una lettura storica assoluta e la lettura della storia crea forti divisioni». Stando a questa dichiarazione dobbiamo, quindi, pensare che Gozi sostenga le tesi dei negazionisti della Shoà, e ci potrebbe anche stare che fosse contro tutte le “leggi memoriali”: in fondo si può negare, fa parte della libertà di espressione, altro, invece, è ipotizzare una aggravante apposita se si fa apologia di genocidio. L’apologia di reato è, infatti, cosa diversa dalla libertà di espressione. Peccato solo che non sia così, un po’ come in Francia dove c’è la Legge Gayssot che punisce i negazionisti del genocidio, ma come ne è stata emanata una che punisce i negazionisti del Metz Yeghern e del genocidio ruandese è stata prontamente dichiarata incostituzionale: due pesi e due misure anche nel “pensiero” di Gozi, possiamo starne certi.
La non esistenza di “una lettura storica assoluta”, però, può sussistere quando si discute di numeri e non di fatti: furono un milione e mezzo le vittime del Metz Yeghern o “solo” 500mila? Però, perché se si mettono in dubbio i 6 milioni di ebrei si rischia l’incarcerazione e la verità “storica assoluta” deve esistere solo per la Shoà? Mettere in dubbio che i genocidi vi furono, in entrambi i casi, è un po’ come sostenere che la terra è piatta oppure cava, con buona pace di Gozi, che, siamo certi, in altre situazioni di lettura o rilettura storica, tipo quella della mitologia resistenziale, si ergerebbe a difesa della assoluta e indiscutibile verità assoluta della vulgata.
Insomma Gozi si è coperto e ci ha coperto di vergogna con il suo becero doppiopesismo opportunista, ma più ancora lo ha fatto la mancata indignazione diffusa che non ha portato alle dimissioni del Sottosegretario, cosa che, invece, sarebbe puntualmente avvenuta se le sue vili dichiarazioni avessero riguardato la Shoà, magari a fronte di azioni antivaticane della Merkel in reazione a dichiarazioni papali sul genocidio degli ebrei.
Il parallelismo con una ipotetica Merkel negazionista è il metro con cui liquidiamo il nostro giudizio su Erdogan: sostituite il suo nome con quello della Cancelliera, ed armeni con ebrei, poi giudicate. Ma giudicate anche la reazione dei governi occidentale, la costantemente mancata reazione alle aberrazioni del leader turco: la vergogna non è solo italiana e varca anche l’oceano, Obama promise che avrebbe riconosciuto il genocidio armeno e questa è la sua ultima occasione.
Ci pesa enormemente doverlo ammettere ma questa volta il Papa, come Capo di un Governo che coraggiosamente si esprime nel criminale silenzio, ha ragione, mille volte ragione, ed il suo intervento, come raramente gli accade, è pienamente legittimo e moralmente ineccepibile. Vergogna Gozi, vergogna, vergogna, vergogna.
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