ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 8 settembre 2021

Grazie Santo Padre ?

Lettera delle Comunità Ecclesia Dei ai vescovi di Francia sul Motu Proprio Traditionis custodes


(clicca per ingrandire)


Riuniti martedì 31 agosto a Courtlain (Eure-et-Loir), Francia, nella Casa generalizia dell’Istituto Buon Pastore, i Superiori delle Comunità Ecclesia Dei hanno indirizzato una lettera ai vescovi di Francia.

Nella foto: da sinistra a destra:
Don Mateusz Markiewicz (Istituto del Buon Pastore - IBP), Rev Padre Michel (Canonici Regolari della Madre di Dio), Rev.mo Padre Marc Guyot (La Garde), Don Andrzej Komorowski (Fraternità San Pietro - FSSP), Rev.mo Padre Louis-Marie de Blignières (Fraternità San Vincenzo Ferrer - FSVF), Don Yannick Vella (IBP), Don Benoît Paul-Joseph (FSSP), Rev.mo Padre Louis-Marie de Geyer (Le Barroux), Mons. Gilles Wach (Istituto Cristo Re Sommo Sacerdote - ICRSS), Canonico Louis Valadier (ICRSS), Don Mathieu Raffray (IBP), Rev. Padre Réginal-Marie Rivoire (FSVF).


«La misericordia del Signore su ogni essere vivente» (Sir. 18, 12)

Gli istituti firmatari vogliono innanzi tutto ribadire il loro amore per la Chiesa e la loro fedeltà al Santo Padre. Questo amore filiale è accompagnato oggi da una grande sofferenza. Noi ci sentiamo sospettati, messi da parte, banditi. Tuttavia, noi non ci riconosciamo nella descrizione presente nella lettera che accompagna il Motu proprio Traditionis custodes del 16 luglio 2021.

«Se diciamo che siamo senza peccato, …» (1 Gv. 1, 8).

Noi non ci consideriamo per niente come la «vera Chiesa». Al contrario, noi vediamo nella Chiesa cattolica la nostra Madre nella quale troviamo la salvezza e la fede.
Noi siamo lealmente sottomessi alla giurisdizione del Sommo Pontefice e a quella dei vescovi diocesani, come dimostrano le buone relazioni nelle diocesi (e le funzioni di consigliere presbiteriale, archivista, cancelliere o ufficiale che sono state affidate ai nostri membri) e i risultati delle visite canoniche o apostoliche degli ultimi anni.
Noi riaffermiamo la nostra adesione al magistero (compreso quello del Vaticano II e quello che ne è seguito), secondo la dottrina cattolica dell’assenso che gli è dovuto (cfr. (in particolare Lumen Gentium, n° 25, e Catechismo della Chiesa Cattolica, n° 891 e 892) come provano i numerosi studi e tesi di dottorato realizzati da molti di noi negli ultimi 33 anni.
Sono stati fatti degli errori? Siamo pronti, come ogni cristiano, a chiedere perdono se qualche eccesso di linguaggio o di sfida all’autorità si è insinuato in tale o tal’altro dei nostri membri. Noi siamo pronti a convertirci se lo spirito di parte o l’orgoglio hanno inquinato il nostro cuore.

«Sciogli all’Altissimo i tuoi voti» (Salmo 50, 14).

Noi supplichiamo che si attui un dialogo umano, personale, pieno di fiducia, lontano dalle ideologie o dalla freddezza dei decreti amministrativi. Noi vorremmo poter incontrare una persona che sarà per noi il volto della Maternità della Chiesa. Noi vorremmo potergli raccontare le sofferenze, i drammi, la tristezza di tanti fedeli laici di tutto il mondo, ma anche di sacerdoti, religiosi e religiose che hanno dato la loro vita sulla parola dei Papi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

Fu loro promesso che «sarebbero prese tutte le misure per garantire l’identità dei loro Istituti nella piena comunione della Chiesa cattolica [1]». I primi Istituti accettarono con gratitudine il riconoscimento canonico offerto dalla Santa Sede nel pieno attaccamento alle pedagogie tradizionali della fede, specialmente nel campo liturgico (sulla base del protocollo di accordo del 5 maggio 1988 tra il cardinale Ratzinger e Mons. Lefebvre).
Questo impegno solenne è stato espresso nel Motu Proprio Ecclesia Dei del 2 luglio 1988; poi in vari modi per ogni Istituto, nei loro decreti di erezione e nelle loro costituzioni definitivamente approvate. I religiosi, le religiose e i sacerdoti coinvolti nei nostri Istituti hanno preso i voti o si sono impegnati secondo la detta promessa.

E’ in questo modo che, fidando nella parola del Sommo Pontefice, essi hanno dato la loro vita a Cristo per servire la Chiesa. Questi sacerdoti, religiosi e religiose hanno servito la Chiesa con devozione e abnegazione. Si può oggi privarli di quello su cui si sono impegnati? Li si può privare di ciò che la Chiesa aveva loro promesso per bocca dei Papi?

«Abbi pazienza con me …» (Mt 18, 29)

Papa Francesco invita « i pastori ad ascoltare con affetto e serenità, con il desiderio sincero di entrare nel cuore del dramma delle persone e di comprendere il loro punto di vista, per aiutarle a vivere meglio e a riconoscere il loro posto nella Chiesa.» (Amoris Laetitia, n. 312). Noi siamo desiderosi di confidare ad un cuore di padre i drammi che noi viviamo. Noi abbiamo bisogno di ascolto e di benevolenza e non di condanne senza previo dialogo.
Il giudizio severo crea un senso di ingiustizia e produce rancore. La pazienza addolcisce i cuori. Noi abbiamo bisogno di tempo.

Oggi si sente parlare di visite apostoliche disciplinari per i nostri Istituti. Noi chiediamo degli incontri fraterni in cui possiamo spiegare chi siamo e le ragioni del nostro attaccamento a certe forme liturgiche. Noi desideriamo innanzi tutto un dialogo  veramente umano e misericordioso: «Abbi pazienza con me!».

«Circumdata varietate» (Salmo 44, 10)

Il 13 agosto scorso, il Santo Padre ha affermato che in materia liturgica «l’unità non è l’uniformità ma l’armonia multiforme che crea lo Spirito Santo [2]. Noi siamo desiderosi di apportare il nostro modesto contributo a questa unità armoniosa e diversa, coscienti che, come insegna Sacrosanctum Concilium «la liturgia è il culmine al quale tende l’azione della Chiesa e al tempo stesso la fonte da cui sgorga tutta la sua virtù» (SC n. 10)

Con fiducia, noi ci volgiamo innanzi tutto ai vescovi di Francia, affinché un vero dialogo venga aperto e venga designato un mediatore che sia per noi il viso umano di questo dialogo. «Sono da evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione …  Si tratta di integrare tutti, si deve aiutare ciascuno a trovare il proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale, perché si senta oggetto di una misericordia immeritata, incondizionata e gratuita» (Amoris Laetitia, nn. 296-297).

Courtalain (France), 31 agosto 2021


Don Andrzej Komorowski, Superiore Generale della Fraternità Sacerdotale San Pietro

Mons. Gilles Wach, Priore Generale dell’Istituto Cristo Re Sommo Sacerdote

Don Luis Gabriel Barrero Zabaleta, Superiore Generale dell’Istituto del Buon Pastore

Padre Louis-Marie de Blignières, Superiore Generale della Fraternità San Vincenzo Ferreri

Don Gerald Goesche, Prevosto Generale dell’Istituto San Filippo Neri

Padre Antonius Maria Mamsery, Superiore Generale dei Missionari della Santa Croce

Dom Louis-Marie de Geyer d’Orth, Abate dell’abbazia Sainte-Madeleine di Le Barroux

Padre Emmanuel-Marie Le Fébure du Bus, Abate dei Canonici di Lagrasse

Dom Marc Guillot, Abate dell’abbazia Sainte-Marie de la Garde

Madre Placide Devillers, Badessa de l’abbazia Notre-Dame de l’Annonciation di Le Barroux

Madre Faustine Bouchard, Priora delle Canoniche d’Azille

Madre Madeleine-Marie, Superiora delle Adoratrici del Cuore Reale di Gesù Cristo Sommo Sacerdote


NOTE

1 - Nota d’informazione del giugno 1988, in Documentation Catholique, n° 1966, p. 739.
2 - Videomessaggio del Santo Padre Francesco ai partecipanti al congresso virtuale continentale della vita religiosa, convocato dalla CLAR, 13-15 agosto 2021.

Confusione e quadratura del cerchio

Don Jean-Michel Gleize, FSSPX

(
professore di apologetica, di ecclesiologia e di dogma al seminario San Pio X di Ecône; Principale redattore del Courrier de Rome; ha partecipato alle discussioni dottrinali fra Roma e la FSSPX dal 2009 al 2011)



Pubblicato nel sito della Fraternità in Francia
La Porte Latine


Riuniti il 31 agosto scorso a Courtalain, dodici Superiori delle Comunità Ecclesia Dei hanno firmato una lettera nella quale espongono la loro reazione al recente Motu proprio Traditionis custodes di Papa Francesco.
Grazie Santo Padre ?
* * *

Inquieti all’idea che i loro Istituti vengano sottoposti a delle visite apostoliche disciplinari, che potrebbero arrivare a privarli della possibilità di celebrare la Messa secondo il rito di San Pio V, questi firmatari protestano la loro adesione al Magistero del Vaticano II e a quello successivo, e si rivolgono ai vescovi di Francia implorando la loro pazienza e il loro ascolto, la loro comprensione e la loro misericordia – in un dialogo veramente umano.
Non una parola sulla fondamentale nocività della nuova Messa di Paolo VI. Non una parola sui frutti amari del Concilio. Non una parola sulla sconcertante accelerazione della crisi nella Chiesa sotto Papa Francesco. E la comunione ai divorziati risposati? E lo scandalo della Pachamama?
Qui la diplomazia, se c’è veramente, sconfina nell’ingenuità o nell’incoscienza, quando non è ipocrisia.
Che diranno i poveri e bravi fedeli che frequentano questi Istituti?…

Cosa chiedono in definitiva tutti questi Superiori maggiori? Chiedono la libertà di continuare a celebrare il rito della Messa antica in mezzo a tutti coloro che celebrano il rito della nuova Messa. Ora, questa libertà è impossibile. E ciò che colpisce, leggendo questa lettera, è l’assenza di qualsiasi riferimento alla verità che libera: la verità dell’opposizione fondamentale che impedisce al nuovo rito della Messa di Paolo VI di coesistere pacificamente con il rito della Messa di sempre.

Perché una tale opposizione? Ripetiamo questa evidenza: la legge della preghiera è l’espressione della legge del credo. Ora, il nuovo rito della Messa di Paolo VI è l’espressione di un nuovo credo, in opposizione all’antico. Mons. Lefebvre l’ha ripetuto a più riprese, in particolare nella sua omelia per le ordinazioni sacerdotali del 29 giugno 1976: «Noi abbiamo la convinzione che proprio questo nuovo rito della Messa esprima una nuova fede, una fede che non è la nostra, una fede che non è la fede cattolica. Questa nuova Messa è un simbolo, un’espressione, un’immagine di una nuova fede, una fede modernista. Questo nuovo rito sottende - se posso dirlo – un’altra concezione della religione cattolica, un’altra religione».

E il reciproco è ugualmente vero: il rito della Messa antica esprime una fede che non è quella del Vaticano II, che non è quella di Papa Francesco e dei vescovi di Francia pienamente sottomessi a lui. E d’altronde, è proprio per questa precisa ragione che il Papa, come spiega nella sua lettera che accompagna il Motu Proprio, ha deciso «di abrogare tutte le norme, le istruzioni, le concessioni e le consuetudini precedenti al presente Motu Proprio», e «di sospendere la facoltà concessa dai miei Predecessori».
Il motivo fondamentale di questa decisione, ci dice il Papa, è «la stretta relazione tra la scelta delle celebrazioni secondo i libri liturgici precedenti al Concilio Vaticano II e il rifiuto della Chiesa e delle sue istituzioni in nome di quella che essi giudicano la “vera Chiesa”».

I dodici superiori degli Istituti Ecclesia Dei possono difendersi, con una patetica verbosità vittimista e lagnosa, da un tale rifiuto, ma esso rimane necessariamente inscritto nell’essenza stessa del rito antico della Messa. La celebrazione della Messa antica è, in quanto tale, il rigetto, non solo del nuovo rito di Paolo VI, ma di tutto il nuovo magistero del Vaticano II. Al di là di un rifiuto fattuale, che sarebbe opera di questa o quella persona, non rappresentativa del movimento Ecclesia Dei - e di cui vorremmo credere che i dodici firmatari, capi degli Istituti di questo movimento, siano innocenti - ci sarà sempre un rifiuto di principio, che deriva necessariamente, prima o poi, dal rito della Messa di San Pio V. La Messa di sempre è incompatibile con la Chiesa conciliare; ed è per questo che Papa Francesco, nella misura in cui rivendica di appartenere a questa Chiesa del Concilio, non può tollerare la Messa di sempre.
Già Mons. Lefebvre lo aveva constatato: «Se, in tutta oggettività, noi cerchiamo qual è il motivo vero che anima coloro che ci chiedono di non fare queste ordinazioni, se cerchiamo il loro motivo profondo, troviamo che è perché noi ordiniamo questi sacerdoti perché celebrino la Messa di sempre. E’ perché si sa che questi sacerdoti saranno fedeli alla Messa della Chiesa, alla Messa della Tradizione, alla Messa di sempre, che ci pressano per non ordinarli» (Omelia per le ordinazioni del 29 giugno 1976).

I Superiori degli Istituti Ecclesia Dei non possono associare la loro adesione al Concilio e la loro rivendicazione a favore della Messa di sempre. E’ l’esigenza della comunione ecclesiale, fondata sulla doppia legge del nuovo credo (Vaticano II) e della nuova preghiera che l’esprime (la nuova Messa di Paolo VI), che glielo vieta.
Ma non è la stessa constatazione fatta da Papa Giovanni Paolo II al n. 5 del suo Motu Proprio Ecclesia Dei afflicta? «A tutti questi fedeli cattolici, che si sentono vincolati ad alcune precedenti forme liturgiche e disciplinari della tradizione latina – scriveva il Papa -, desidero manifestare anche la mia volontà - alla quale chiedo che si associno quelle dei Vescovi e di tutti coloro che svolgono nella Chiesa il ministero pastorale - di facilitare la loro comunione ecclesiale, mediante le misure necessarie per garantire il rispetto delle loro giuste aspirazioni».

Nello spirito di Giovanni Paolo II, padre e fondatore della Commissione Ecclesia Dei e del movimento dallo stesso nome, tutte le misure prese a favore di «alcune precedenti forme liturgiche e disciplinari della tradizione latina» si spiegano in ragione di un solo ed unico scopo: facilitare la comunione ecclesiale ai fedeli provenienti dallo scisma lefebvriano.

Trentatre anni dopo, il Motu Proprio Traditionis custodes non fa altro che prendere le misure necessarie per assicurare questo stesso scopo. E il solo mezzo per salvaguardare la Messa di sempre è di dissipare e di confutare il miraggio di questa falsa «comunione ecclesiale», basata su una nuova fede, che non è la fede cattolica.
I dodici firmatari saranno in grado di arrivare a tanto?
Questa è la grazia che dobbiamo sperare per loro, la grazia che può ottenere loro il Papa San Pio X, il quale, per conservare la vera fede, è stato colmato da Dio di una sapienza tutta celeste e di un coraggio veramente apostolico.

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