Non sarà un grande Giubileo
C'è grande attesa per l'intervento di papa Francesco all'Onu
D. Ingrao, il pontefice ha indetto un Giubileo straordinario. Come sarà questo grande evento?
R. A quanto mi risulta, non sarà proprio un grande evento, nel senso che si celebrerà più nelle chiese locali che a Roma. E questo forse a Ignazio Marino dispiacerà. Certo la forza di convocazione di Bergoglio è tale che l'Urbe sarà comunque importante, a cominciare dalla messa di apertura, il prossimo 8 dicembre.
D. E come dobbiamo immaginarcelo questo Anno santo?
R. Fortemente centrato sulla carità, in cui la possibilità di lucrare l'indulgenza si otterrà sì, facendo pellegrinaggio a Roma e nelle chiese locali, ma anche aiutando un povero, visitando un carcerato o anziano. Tanti gesti che formano un grande gesto.
D. L'occasione per Francesco di lanciare altri messaggi?
R. Dobbiamo aspettare la bolla di indizione del Giubileo, che sarà letta l'11 aprile. Possiamo immaginare che Francesco metterà in evidenza alcuni punti, anzitutto la lotta alla povertà. Non dimentichiamo che in settembre andrà anche alle Nazioni Unite. Inoltre, come fece Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo del 2000, potrebbe chiedere la riduzione del debito e un provvedimento di clemenza sul carcere, altro tema che gli sta a cuore.
D. E poi, indubbiamente il dialogo ecumenico e interreligioso, immagino...
R. Non è un caso che questo Giubileo inizi nello stesso giorno del Concilio vaticano II.
D. Un Anno santo che verrà all'indomani della chiusura del Sinodo della famiglia, che vedrà in ottobre tre settimane di lavori, e che aveva affrontato temi delicati, come la riammissione ai sacramenti dei divorziati risposati.
R. Infatti, al termine della riflessione sinodale potrebbe esserci una decisione del Papa per riaccogliere tante coppie che ora sono tenute un po' ai margini della Chiesa, senza poter avere accesso ai sacramenti.
D. Un gesto di misericordia in sintonia col Giubileo. Però quel sinodo ha provocato molte tensioni all'interno della Chiesa.
R. Il problema dell'ammissione ai sacramenti dei divorziati risposati era stato sollevato anche da Benedetto XVI, che aveva rappresentato l'esigenza di intervenire. Su questa lettura sono stati concordi anche i padri sinodali. Però sono emerse proposte e soluzioni diverse per affrontare questo problema.
D. Ricordiamole
R. Una più dottrinale, che ha ribadito il valore, anche pedagogico, dell'indissolubilità del matrimonio, e secondo la quale, bisogna reagire alla difficoltà della Chiesa, insistendo sul valore dell'unione e sulla sessualità come dono.
D. E l'altra?
R. L'altra che si muove in una direzione più pastorale e che insiste anche sulla necessità di aggiornare il linguaggio per proporre i valori della Chiesa. Una Chiesa che vuol farsi soprattutto compagna di strada di ciascuno, con la propria storia e le proprie difficoltà. Ma l'una e l'altra posizione sono risultate minoritarie.
D. In mezzo, cioè, c'è la maggioranza dei padri sinodali?
R. Sì, che sente l'esigenza del cambiamento ma non vuole radicalizzare lo scontro.
D. E anche il Papa, pur avendo all'inizio lanciato il cardinal Walter Kasper, in passato bacchettato proprio da Giovanni Paolo II, è parso, alla fine, prenderne le distanze.
R. Bergoglio non ha fatto un passo indietro ma si è reso conto una linea di frattura fra le due posizioni. E non ha voluto ridurre la discussione sui problemi della famiglia solo alla questione dei divorziati risposati. Nei cinque continenti, infatti, sono numerosi altri i problemi che sfidano la famiglia: la povertà, la violenza sulle donne, il mancato rispetto dei diritti dei bambini, la poligamia, il fondamentalismo.
D. Che cosa potrebbe uscire dal prossimo Sinodo?
R. Una rinnovata affermazione del valore della famiglia fondata sul matrimonio. Ma, forse, anche uno snellimento delle procedure per annullare i matrimoni, che è stato sollecitato da più parti. Però attenzione: semplificare i processi di annullamento è solo una parte del problema. Il grande tema riguarda la riammissione ai sacramenti dei divorziati risposati.
D. Già, che fare, senza sminuire il sacramento del matrimonio?
R. Potrebbe esserci un percorso penitenziale, al termine del quale consentire secondo matrimonio. Qui le posizioni si diversificano e molto.
D. Per esempio?
R. In luoghi dove meno ce lo aspetteremmo si chiede maggiore aderenza alla dottrina. Accade in Africa, dove esiste il rischio poligamia ma vescovi e cardinali al Sinodo si sono mostrati più severi nel difendere l'indissolubilità del matrimonio. Per altri versi, la stessa aderenza si chiede negli Stati Uniti.
D. E c'è qualcosa che il Sinodo non affronterà?
R. Non sembra che intenda affrontare il tema della contraccezione, sul quale si assiste a uno scisma silenzioso fra dottrina e prassi per tante famiglie cattoliche. E, ancora, il tema della donna, questione cui Francesco è molto attento, ma di donne, al sinodo, c'erano poche.
D. L'Anno santo del 2000 fu quello dei grandi mea culpa del pontefice. Lo sarà anche questo?
R. Potrebbe esserci quello sulla pedofilia tema che, all'epoca, era meno avvertito.
D. Veniamo al governo della Chiesa, Ingrao. A giudicare dalle proteste che sta sollevando il cardinal George Pell, consulente papale per gli affari economici, la luna di miele fra Bergoglio e la Curia è finita.
R. Dopo due anni il rapporto con del Papa con la Curia è ancora complesso. Lo si è capito nel discorso di Natale quando il Papa, facendo gli auguri, ha ricordato ben 15 malattie che affliggono la Curia vaticana.
D. Un discorso duro...
R. Sotto alcuni punti di vista, Bergoglio si sente ancora un estraneo in Curia. La riforma della finanze, affidata a nove cardinali, è più complessa di quello che probabilmente il pontefice pensava, ci vuole più tempo. Ma la mia sensazione è che questo pontefice abbia scelto per sé il ruolo del rompighiaccio, di apripista, sapendo bene che tante cose non sarà lui a completarle ma il suo successore.
D. Sembrava che il Papa avrebbe azzerato subito lo Ior, che invece sta ancora là.
R. Questo forse era il suo intendimento, poi ha capito che la situazione era complessa. Così ha preferito procedere per gradi prima con una commissione di studio per analizzare i conti in profondità e poi con il cambiamento dei vertici e una serie di riforme.
D. Ci si aspettava una rivoluzione bergogliana della Conferenza episcopale italiana. Che non c'è stata.
R. Il pontefice avrebbe gradito che, come per le altre conferenze episcopali, anche i vescovi italiani eleggessero direttamente il loro presidente.
D. E invece?
R. Preferiscono procedere con le terne da sottoporre al pontefice.
D. Per adesso c'è Angelo Bagnasco, fino alla scadenza del 2017. Rimasto allineato e coperto all'inizio. Sembrava poco bergogliano...
R. E invece ha un rapporto molto intenso col Papa nell'ultimo periodo.
D. Chi sono gli altri bergogliani?
R. L'arcivescovo di Perugia, Gualtiero Bassetti, quello di Agrigento, Francesco Montenegro, quello di Campobasso, Giancarlo Bregantini. E ovviamente il segretario della Cei, Nunzio Galantino.
D. La Cei arriverà ad essere in sintonia con questo papa?
R. C'è il rischio che i vescovi italiani non riescano a raccoglierne la novità vera, il senso della sfida che questo papato porta. Un po' come accadde con Giovanni Paolo II all'inizio.
D. Ci sono sensibilità diverse?
R. Oltre ai bergogliani convinti, altri sono molto vicini a quella del cardinal Camillo Ruini, che li aveva scelti e sostenuti. Altri forse si aspettavano un papa diverso, italiano. Il problema è un altro.
D. Vale a dire?
R. Che la chiesa italiana è molto clericale, dopo il Concilio vaticano II lo è stata anche nei suoi laici, talvolta più curiali dei preti. Mentre Francesco è forse il più anticlericale di tutti.
D. È ancora il prete del barrio, il sacerdote sudamericano...
R. Profondamente. Per questo una certa irruenza, una certa istintività che, talvolta gli ha provocato imbarazzi, come nel discorso sul fare figli come conigli o sul pugno dopo Charlie Hebdo...
D. Qualcuno ha scritto che Francesco piace troppo, che con certi personalismi oscura la “persona del Papa”.
R. C'è un rischio “papolatria”, che comporta la contrapposizione “Papa buono-chiesa cattiva”, un cortocircuito che però Bergoglio non alimenta. E che, anzi, potrebbe creargli qualche problema.
D. In che senso?
R. Nel senso che l'attesa è enorme su certi temi, come per esempio sui divorziati. Ed è possibile che poi il Papa prenda strade inattese, deludendo qualcuno.
D. Eppure c'è chi sottolinea una preoccupazione comunicativa eccessiva anche quando, come è accaduto di recente, mostra la Sistina ai clochard, seppur lontano dalle telecamere.
R. No, fa tutto molto spontaneamente. Non ha lo spin-doctor, per intendersi. C'ero anche io a quell'incontro: i senza casa i mezzo alle guardie svizzere e maggiordomi, pareva un film di Fellini. I poveri sono l'esercito di Francesco e con loro il papa afferma lo stile e il linguaggio nuovo di cui la chiesa ha bisogno. Semmai è vera un'altra cosa.
D. E quale?
R. Che c'è una tendenza a raccontare, di Bergoglio, quello che ci piace, di selezionarne il messaggio. Per cui va bene il dialogo, il progressismo, i poveri ma non la sua posizione, tradizionale, sulla sessualità, sull'aborto, la sua contrarietà alla teoria del gender, che finiscono in un angolo buio.
D. Sono i dieci anni dalla scomparsa di un papa santo, Giovanni Paolo II, qual è la differenza?
R. Quella di Wojtyla era la chiesa dell'identità e aveva un perimetro chiuso, dove si difendevano i valori della Chiesa. Quella di Bergoglio invece ha un perimetro aperto. Una Chiesa che accoglie prima che preoccuparsi di dove arrivino i confini.
D. La chiesa inclusiva di Francesco, l'ospedale da campo spesso richiamato, genera consenso ma non sembra riempire le parrocchie, almeno per ora.
R. Però in piazza san Pietro vengono in tanti e spesso i più lontani. Ascoltano e hanno un contraccolpo fortissimo. Ricordo, tempo fa, un discorso sulla carità, in cui Francesco invitava non solo ad aiutare i poveri, ma a farlo in modo cordiale, stringendo loro la mano, regalando un sorriso.
D. Ricordo: chiedeva di “toccare i poveri”.
R. Beh, quel giorno ho visto gente che, uscendo da piazza san Pietro, abbracciava chi chiedeva l'elemosina. Forse l'indomani quelle persone si saranno di nuovo irrigidite, ma in quel momento erano cambiate.
Non sarà un grande Giubileo C'è grande attesa per l'intervento di papa Francesco all'Onu di Goffredo Pistelli Jorge Bergoglio lo conosce bene. Oltre che vaticanista di Panorama, Ignazio Ingrao, romano, 45 anni, è infatti una delle firme del settimanale Il mio Papa. Il periodico Mondadori, che racconta ogni settimana pontificia, si sta rivelando un caso editoriale, essendo già arrivato alla 13 edizione tradotta. Non solo, Ingrao ha dato alle stampe, di recente e per l'editore Piemme, il libro Amore e sesso ai tempi di Papa Francesco. D. Ingrao, il pontefice ha indetto un Giubileo straordinario. Come sarà questo grande evento? R. A quanto mi risulta, non sarà proprio un grande evento, nel senso che si celebrerà più nelle chiese locali che a Roma. E questo forse a Ignazio Marino dispiacerà. Certo la forza di convocazione di Bergoglio è tale che l'Urbe sarà comunque importante, a cominciare dalla messa di apertura, il prossimo 8 dicembre. D. E come dobbiamo immaginarcelo questo Anno santo? R. Fortemente centrato sulla carità, in cui la possibilità di lucrare l'indulgenza si otterrà sì, facendo pellegrinaggio a Roma e nelle chiese locali, ma anche aiutando un povero, visitando un carcerato o anziano. Tanti gesti che formano un grande gesto. D. L'occasione per Francesco di lanciare altri messaggi? R. Dobbiamo aspettare la bolla di indizione del Giubileo, che sarà letta l'11 aprile. Possiamo immaginare che Francesco metterà in evidenza alcuni punti, anzitutto la lotta alla povertà. Non dimentichiamo che in settembre andrà anche alle Nazioni Unite. Inoltre, come fece Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo del 2000, potrebbe chiedere la riduzione del debito e un provvedimento di clemenza sul carcere, altro tema che gli sta a cuore. D. E poi, indubbiamente il dialogo ecumenico e interreligioso, immagino... R. Non è un caso che questo Giubileo inizi nello stesso giorno del Concilio vaticano II. D. Un Anno santo che verrà all'indomani della chiusura del Sinodo della famiglia, che vedrà in ottobre tre settimane di lavori, e che aveva affrontato temi delicati, come la riammissione ai sacramenti dei divorziati risposati. R. Infatti, al termine della riflessione sinodale potrebbe esserci una decisione del Papa per riaccogliere tante coppie che ora sono tenute un po' ai margini della Chiesa, senza poter avere accesso ai sacramenti. D. Un gesto di misericordia in sintonia col Giubileo. Però quel sinodo ha provocato molte tensioni all'interno della Chiesa. R. Il problema dell'ammissione ai sacramenti dei divorziati risposati era stato sollevato anche da Benedetto XVI, che aveva rappresentato l'esigenza di intervenire. Su questa lettura sono stati concordi anche i padri sinodali. Però sono emerse proposte e soluzioni diverse per affrontare questo problema. D. Ricordiamole R. Una più dottrinale, che ha ribadito il valore, anche pedagogico, dell'indissolubilità del matrimonio, e secondo la quale, bisogna reagire alla difficoltà della Chiesa, insistendo sul valore dell'unione e sulla sessualità come dono. D. E l'altra? R. L'altra che si muove in una direzione più pastorale e che insiste anche sulla necessità di aggiornare il linguaggio per proporre i valori della Chiesa. Una Chiesa che vuol farsi soprattutto compagna di strada di ciascuno, con la propria storia e le proprie difficoltà. Ma l'una e l'altra posizione sono risultate minoritarie. D. In mezzo, cioè, c'è la maggioranza dei padri sinodali? R. Sì, che sente l'esigenza del cambiamento ma non vuole radicalizzare lo scontro. D. E anche il Papa, pur avendo all'inizio lanciato il cardinal Walter Kasper, in passato bacchettato proprio da Giovanni Paolo II, è parso, alla fine, prenderne le distanze. R. Bergoglio non ha fatto un passo indietro ma si è reso conto una linea di frattura fra le due posizioni. E non ha voluto ridurre la discussione sui problemi della famiglia solo alla questione dei divorziati risposati. Nei cinque continenti, infatti, sono numerosi altri i problemi che sfidano la famiglia: la povertà, la violenza sulle donne, il mancato rispetto dei diritti dei bambini, la poligamia, il fondamentalismo. D. Che cosa potrebbe uscire dal prossimo Sinodo? R. Una rinnovata affermazione del valore della famiglia fondata sul matrimonio. Ma, forse, anche uno snellimento delle procedure per annullare i matrimoni, che è stato sollecitato da più parti. Però attenzione: semplificare i processi di annullamento è solo una parte del problema. Il grande tema riguarda la riammissione ai sacramenti dei divorziati risposati. D. Già, che fare, senza sminuire il sacramento del matrimonio? R. Potrebbe esserci un percorso penitenziale, al termine del quale consentire secondo matrimonio. Qui le posizioni si diversificano e molto. D. Per esempio? R. In luoghi dove meno ce lo aspetteremmo si chiede maggiore aderenza alla dottrina. Accade in Africa, dove esiste il rischio poligamia ma vescovi e cardinali al Sinodo si sono mostrati più severi nel difendere l'indissolubilità del matrimonio. Per altri versi, la stessa aderenza si chiede negli Stati Uniti. D. E c'è qualcosa che il Sinodo non affronterà? R. Non sembra che intenda affrontare il tema della contraccezione, sul quale si assiste a uno scisma silenzioso fra dottrina e prassi per tante famiglie cattoliche. E, ancora, il tema della donna, questione cui Francesco è molto attento, ma di donne, al sinodo, c'erano poche. D. L'Anno santo del 2000 fu quello dei grandi mea culpa del pontefice. Lo sarà anche questo? R. Potrebbe esserci quello sulla pedofilia tema che, all'epoca, era meno avvertito. D. Veniamo al governo della Chiesa, Ingrao. A giudicare dalle proteste che sta sollevando il cardinal George Pell, consulente papale per gli affari economici, la luna di miele fra Bergoglio e la Curia è finita. R. Dopo due anni il rapporto con del Papa con la Curia è ancora complesso. Lo si è capito nel discorso di Natale quando il Papa, facendo gli auguri, ha ricordato ben 15 malattie che affliggono la Curia vaticana. D. Un discorso duro... R. Sotto alcuni punti di vista, Bergoglio si sente ancora un estraneo in Curia. La riforma della finanze, affidata a nove cardinali, è più complessa di quello che probabilmente il pontefice pensava, ci vuole più tempo. Ma la mia sensazione è che questo pontefice abbia scelto per sé il ruolo del rompighiaccio, di apripista, sapendo bene che tante cose non sarà lui a completarle ma il suo successore. D. Sembrava che il Papa avrebbe azzerato subito lo Ior, che invece sta ancora là. R. Questo forse era il suo intendimento, poi ha capito che la situazione era complessa. Così ha preferito procedere per gradi prima con una commissione di studio per analizzare i conti in profondità e poi con il cambiamento dei vertici e una serie di riforme. D. Ci si aspettava una rivoluzione bergogliana della Conferenza episcopale italiana. Che non c'è stata. R. Il pontefice avrebbe gradito che, come per le altre conferenze episcopali, anche i vescovi italiani eleggessero direttamente il loro presidente. D. E invece? R. Preferiscono procedere con le terne da sottoporre al pontefice. D. Per adesso c'è Angelo Bagnasco, fino alla scadenza del 2017. Rimasto allineato e coperto all'inizio. Sembrava poco bergogliano... R. E invece ha un rapporto molto intenso col Papa nell'ultimo periodo. D. Chi sono gli altri bergogliani? R. L'arcivescovo di Perugia, Gualtiero Bassetti, quello di Agrigento, Francesco Montenegro, quello di Campobasso, Giancarlo Bregantini. E ovviamente il segretario della Cei, Nunzio Galantino. D. La Cei arriverà ad essere in sintonia con questo papa? R. C'è il rischio che i vescovi italiani non riescano a raccoglierne la novità vera, il senso della sfida che questo papato porta. Un po' come accadde con Giovanni Paolo II all'inizio. D. Ci sono sensibilità diverse? R. Oltre ai bergogliani convinti, altri sono molto vicini a quella del cardinal Camillo Ruini, che li aveva scelti e sostenuti. Altri forse si aspettavano un papa diverso, italiano. Il problema è un altro. D. Vale a dire? R. Che la chiesa italiana è molto clericale, dopo il Concilio vaticano II lo è stata anche nei suoi laici, talvolta più curiali dei preti. Mentre Francesco è forse il più anticlericale di tutti. D. È ancora il prete del barrio, il sacerdote sudamericano... R. Profondamente. Per questo una certa irruenza, una certa istintività che, talvolta gli ha provocato imbarazzi, come nel discorso sul fare figli come conigli o sul pugno dopo Charlie Hebdo... D. Qualcuno ha scritto che Francesco piace troppo, che con certi personalismi oscura la “persona del Papa”. R. C'è un rischio “papolatria”, che comporta la contrapposizione “Papa buono-chiesa cattiva”, un cortocircuito che però Bergoglio non alimenta. E che, anzi, potrebbe creargli qualche problema. D. In che senso? R. Nel senso che l'attesa è enorme su certi temi, come per esempio sui divorziati. Ed è possibile che poi il Papa prenda strade inattese, deludendo qualcuno. D. Eppure c'è chi sottolinea una preoccupazione comunicativa eccessiva anche quando, come è accaduto di recente, mostra la Sistina ai clochard, seppur lontano dalle telecamere. R. No, fa tutto molto spontaneamente. Non ha lo spin-doctor, per intendersi. C'ero anche io a quell'incontro: i senza casa i mezzo alle guardie svizzere e maggiordomi, pareva un film di Fellini. I poveri sono l'esercito di Francesco e con loro il papa afferma lo stile e il linguaggio nuovo di cui la chiesa ha bisogno. Semmai è vera un'altra cosa. D. E quale? R. Che c'è una tendenza a raccontare, di Bergoglio, quello che ci piace, di selezionarne il messaggio. Per cui va bene il dialogo, il progressismo, i poveri ma non la sua posizione, tradizionale, sulla sessualità, sull'aborto, la sua contrarietà alla teoria del gender, che finiscono in un angolo buio. D. Sono i dieci anni dalla scomparsa di un papa santo, Giovanni Paolo II, qual è la differenza? R. Quella di Wojtyla era la chiesa dell'identità e aveva un perimetro chiuso, dove si difendevano i valori della Chiesa. Quella di Bergoglio invece ha un perimetro aperto. Una Chiesa che accoglie prima che preoccuparsi di dove arrivino i confini. D. La chiesa inclusiva di Francesco, l'ospedale da campo spesso richiamato, genera consenso ma non sembra riempire le parrocchie, almeno per ora. R. Però in piazza san Pietro vengono in tanti e spesso i più lontani. Ascoltano e hanno un contraccolpo fortissimo. Ricordo, tempo fa, un discorso sulla carità, in cui Francesco invitava non solo ad aiutare i poveri, ma a farlo in modo cordiale, stringendo loro la mano, regalando un sorriso. D. Ricordo: chiedeva di “toccare i poveri”. R. Beh, quel giorno ho visto gente che, uscendo da piazza san Pietro, abbracciava chi chiedeva l'elemosina. Forse l'indomani quelle persone si saranno di nuovo irrigidite, ma in quel momento erano cambiate.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.