ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 6 aprile 2015

Passione e rassegnazione?


Persecuzione dei cristiani e prospettiva di fede
Pubblichiamo il commento di Vittorio Messori pubblicato il 3 aprile scorso dal Corriere della Sera. Pur scritto in occasione del Venerdì Santo presenta una prospettiva sul martirio di tanti cristiani nel mondo che non perde di attualità, e si lega ai costanti riferimenti a questo tema che papa Francesco ha fatto in questi giorni.

Venerdì di passione per il Cristo ma anche per troppi cristiani. Proprio mentre scrivo, giungono notizie  drammatiche, le ennesime: questa volta,  dal Kenya. La croce di Gesù sul Golgota è divenuta realtà per tanti suoi seguaci. 
I cristiani, infatti,  stando a insospettabili statistiche, sono da anni  la comunità umana  più perseguitata. Il totale delle vittime tende  ad aumentare e coinvolge tutte le confessioni che si rifanno al Vangelo, anche se i cattolici hanno un triste primato , rappresentando la parte maggiore. I carnefici non vengono certo solo dall’islam ma anche da comunità che la leggenda rosa occidentale rappresentava come miti, pacifiche, fraterne. La ferocia di alcune sette induiste sembra voler gareggiare con quelle musulmane,  ma pure da qualche ramo buddista viene una persecuzione crescente. Anche  l’animismo pagano dell’Africa nera vive  ormai da tempo un risveglio sanguinario e pratica volentieri la caccia al missionario cristiano e magari il genocidio verso gli autoctoni che hanno accettato il battesimo.
Perché questi massacri? Probabilmente, il fattore maggiore è un caso esemplare di quella "eterogenesi dei fini" che deforma ogni ideologia umana, rovesciando le intenzioni, anche le migliori, nell’esatto contrario. Ecco, dunque, l’utopia mondialista, le bandiere arcobaleno, tutti i popoli del globo che si tengono fraternamente per mano e vivono in pace, operando per un progresso, ovviamente "sostenibile". Ecco ancora, sul piano economico, l’ideologia globalista: un mondo integrato, con razionale  spartizione del lavoro e dei beni, con un benessere (o, almeno, una esistenza dignitosa) per ogni Paese e ogni popolo.
In realtà è avvenuto ciò che  sempre – historia docet –  è  sempre avvenuto e avverrà: nobili gli obiettivi, ma disastrosi i risultati. I popoli hanno sentito minacciate le loro culture proprio dal mondialismo politico e dalla globalizzazione economica, sono divenuti consapevoli di una diversità di tradizioni che li distingueva da ogni altro popolo. Di queste culture, di queste tradizioni la religione autoctona è un cardine essenziale. Dunque, i nazionalismi che, paradossalmente, l’utopia della mondialità ha risvegliato si sono fatti difensori, anche con le armi, della fede dei loro antenati, intesa come elemento di coesione politica per la salvaguardia della diversità.

Il cristianesimo, anzitutto, è stato ed è avvertito come un corpo estraneo, da scacciare o, se necessario, da schiacciare con la violenza. Ma perché il maggior accanimento verso i cattolici? Perché il suo cristianesimo è sentito come il più estraneo di tutti, come inassimilabile (a differenza di certe sette di un protestantesimo pronto ad ogni concessione) in quanto dipendente da un’autorità lontana e ritenuta nemica: la Chiesa romana e la rete di vescovi che da essa direttamente, e strettamente, dipendono.
Per stare ai cattolici: in certi settori ecclesiali c’è malcontento verso papa Francesco,sospettato di reagire in modo tiepido, timido, a questa mattanza di figli della Chiesa di cui pure è pastore. Verità imporrebbe di riconoscere che il rimprovero non sembra giustificato: in effetti, qualcuno ha potuto compilare una sorta di antologia delle denunce al proposito del pontefice. È comunque curioso: proprio coloro che lodano (e giustamente) la prudenza di Pio XII verso coloro che seguivano il Mein Kampf, si lagnano della prudenza del suo attuale successore  soprattutto verso coloro che seguono, fino alle estreme conseguenze, un altro libro, il Corano.

Il realismo cattolico ha portato  i papi a firmare concordati con Napoleone, con Mussolini, con Hitler, e con molti altri tiranni. È lo stesso realismo che li  ha indotti poi a una Ost Politik che scandalizzava i puri e duri dell’anticomunismo, che ha portato Giovanni XXIII a negoziare con i sovietici il silenzio del Concilio sul comunismo in cambio di una mitigazione della persecuzione e che porta ora Bergoglio a non ignorare il problema, ma a muoversi con prudenza obbligata. Obbligata, certo, come fu sempre quella ecclesiale coi tanti persecutori della storia: non dimenticare ma, al contempo, tutelare le pecorelle minacciate dai lupi, cercando di porre limite alla loro ferocia o con trattati o, almeno, non eccedendo con la protesta pubblica. Facili, edificanti, virtuose le altisonanti denunce al riparo delle mura vaticane. Non altrettanto benvenute per chi debba poi, in lontani Paesi, subirne le conseguenze.
Comunque, in una prospettiva di fede – confermata però anche, e sempre, dalla storia – il sangue dei martiri è, per il cristianesimo, il seme non solo più prezioso ma anche più fecondo. Ogni volta, alle persecuzioni ha fatto seguito una nuova fioritura sulle radici di una Chiesa desolata. Ma, già ora, sembra di scorgere qualche frutto in un Occidente forse meno secolarizzato di quanto si creda: proprio il confronto tra la mitezza cristiana e la ferocia di altre religioni porta a riflettere sui valori di un Vangelo che non incita alla guerra santa ma al perdono di tutti, soprattutto dei nemici. Un Vangelo il cui Protagonista vieta ai discepoli di difenderlo con la spada e che, sulla croce, prega il Padre di essere indulgente verso i suoi stessi carnefici e verso quel popolo che a lui ha preferito Barabba. Un Vangelo i cui discepoli hanno anch’essi commesso violenze ma non da esso istigati, anzi da esso condannati. Forse non è solo folklore la scritta che, ci dicono, sta già dilagando dopo questa serie di stragi, sulle magliette dei giovani tra Europa e America: Christianity is better.

di Vittorio Messori
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-persecuzione-dei-cristiani-e-prospettiva-di-fede-12290.htm

Un eterno Venerdì santo di rassegnazione

Quanto accaduto in Kenya non è stato un “bagno di sangue”, un atto terroristico è stata, come da rivendicazione, una “operazione contro gli infedeli”. Studiare in un College cristiano, appartenere a una comunità mista, equivale a una condanna a morte per miscredenza.
di Giuliano Ferrara | 04 Aprile 2015 

Sono entrati al mattino nel giorno dell’umiltà in coena Domini. Si sono sparsi per i dormitori del Garissa University College, nel Kenia orientale, e hanno selezionato i musulmani, per risparmiarli, e individuato le studentesse e gli studenti cristiani, per massacrare le une e gli altri. Come avranno fatto la cernita per arrivare al numero di 147 martiri? Due anni fa un’altra strage nel mall di Nairobi: domandavano che nome avesse la madre del profeta, o la sua prima moglie, e a una esitazione nella risposta fucilavano clienti del centro commerciale e passanti. Anche Bin Laden aveva dei dubbi sul gruppo operativo somalo al Shabaab, che non stava abbastanza attento a colpire solo crociati ed ebrei, ma dopo un anno dalla sua morte al Shabaab ha trovato la soluzione, o così pare, ed è entrato nell’organico di al Qaida.

ARTICOLI CORRELATI Davanti al genocidio di cristiani, più del dialogo potranno le bombe Il venerdì santo dei martiri cristiani. “L’occidente sembra Pilato” Kenya connection La lezione di Westgate che il Kenya sotto attacco non ha imparatoNon è stato un “bagno di sangue”, un atto terroristico. Sono definizioni improprie e falsamente consolatorie, per quanto macabre e paurose. E’ stata, come da rivendicazione, una “operazione contro gli infedeli”. Studiare in un College cristiano, appartenere a una comunità mista, equivale a una condanna a morte per miscredenza. Non c’entra se non simbolicamente l’imperialismo coloniale degli occidentali, il colore della pelle degli uccisi, la circostanza di fatto che è maschera di un’ideologia politica assassina. C’entra il discrimine tra chi si è assoggettato e chi no. Il confine della sottomissione è entrato con feroce violenza nell’istituzione educativa. Annichilirne 147 per colpirne a milioni, in una guerra a chi non si sottomette.

La reazione è di “dolore e preoccupazione”, le parole del Papa che appronta la via Crucis con il testo delle meditazioni sulle colpe del clero pedofilo e la sporcizia dei peccati nella chiesa. Obama farà in luglio un viaggio nel suo paese d’origine, il Kenya. Ha appena siglato un accordo con gli ayatollah iraniani, a Losanna non a Monaco, che promette “pace nel nostro tempo”. Ma dove è finita l’iradiddio? Dove si è rintanata la giustizia divina dei cristiani, dei cattolici? Dove è segnato universalisticamente il tracciato dell’inconciliabilità, dell’autodifesa, della guerra giusta?

Matteo Matzuzzi ha rubricato qui da mesi le implorazioni del clero orientale, dalla piana di Ninive agli altri luoghi della carneficina, in cui si chiede di approntare la difesa nella sua unica forma possibile, una reazione di violenza giusta incomparabilmente superiore a quella subita. Lo sterminio selettivo dei cristiani e degli ebrei, motivato dall’odio religioso e dottrinale, dovrebbe mettere un potente disordine là dove regna l’ordine della misericordia, dell’intimità della fede, della rassegnazione, dell’irenismo. Se un vento di morte paralizza l’Africa, se etnie e denominazioni religiose sono sotto attacco sradicante, se si moltiplicano le carneficine, se vengono abbattuti templi e persone e statue e campanili e crocifissi, è segno di compassione e di amore per il nemico evitare una reazione più che proporzionata, limitarsi al cordoglio? Non si può promettere una Pasqua di Resurrezione, atto liturgico fondativo della chiesa di Cristo, se la pietra che ingombra i sepolcri è sempre più grande, più dura, e sempre meglio sorvegliata dai carnefici. E’ difficile fare gli auguri di buona Pasqua. Farli pubblicamente. Farli oggi, quando sembriamo condannati a un eterno venerdì santo di rassegnazione, senza conseguenze.

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