ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 16 maggio 2015

Lottare, con perseveranza

CENNI FINALI DI APERTURA ALLA TRADIZIONE IN SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II? Approfondimenti di qualche spunto contenuto in alcuni libri

«Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato Me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma Io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia. Ricordatevi della parola che vi ho detto: un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato Me, perseguiteranno anche voi». (Evangelo di Nostro Signore Gesù Cristo – che, sebbene letto in italiano, continua a non essere preso sul serio. «Forse non hanno tanta fede?», scriveva una nostra bambina della Prima Comunione. O manca l’uso della ragione? O mancano entrambe?).
Chiosa sull’odio del mondo, che è proprio ciò che distingue i seguaci del Signore Gesù dalla diabolica contraffazione anticristica del cristianesimo: «Tutta l’inimicizia, l’ostilità, tutta la calunnia […] tutto questo che si usa contro di noi stiamo bene attenti a non lasciare che ci inganni. Prende degli spunti, ma la ragione è qui; la ragione sta nell’odio, nell’odio violento prodotto dalla menzogna, perché “il mondo è figlio del demonio”, ha detto Cristo […] la Chiesa è perseguitata, la verità della Chiesa è intollerabile per la mentalità di oggi. […] È un tremendo onore, sotto il quale la nostra timidità sembra essere schiacciata, quello di essere diventati il pretesto per l’attacco del mondo e della menzogna alla verità […] La nostra vita così fragile, così carica di limite, così debole, così peccatrice, è chiamata a difendere la verità». (Mons. Luigi Giussani, Esercizi spirituali di Pasqua degli universitari di Comunione e Liberazione, 1988. Altro che le banali chiacchiere da Onu, che vanno di moda, sul “fanatismo religioso”! Ma oggi, tante volte, non replicano questo: un peggioramento frutto del pragmatismo? Contropartita del voler essere, “troppo”, una realtà di popolo?).
«Ha proprio ragione la Madonna a Fatima: i laici salveranno la Chiesa dai sacerdoti e dai Vescovi». (Padre Ignace de la Potterie S.I., celebre esegeta “nuovo corso” e amico personale del card. Ratzinger – da cui plausibilmente lo ha saputo –, in un’intervista ad Avvenire del 1996)
«Cardinali si opporranno a Cardinali, Vescovi a Vescovi». (Dalla “versione diplomatica” del Terzo Segreto)
8 maggio 2015
Apparizione di S. Michele Arcangelo
Supplica alla Madonna del Rosario
Come abbiamo rilevato in diversi articoli, tra cui l’ultimo ma anche alcuni del 2014, sussiste la concreta possibilità che si stia andando verso la grande rottura – con il mondo e all’interno della Chiesa –, forse già tra pochi mesi. Rottura che avevamo previsto da tempo, certo non a cuor leggero, come plausibilmente necessaria. Qualcosa del genere, se non vado errato, l’aveva ipotizzato don Giulio Maria Tam: lo sbloccarsi della situazione postconciliare poteva essere collegato a una rottura, nel “campo ufficiale” cattolico, tra i liberali moderati e i progressisti. Tra “il centro” ecclesiale e “la sinistra”. Come abbiamo detto tante volte, prospettando uno scenario diverso da quello dello “spirito (e mentalità) di Summorum Pontificum” (e degli “integrati” in genere): sembra che si vada allo scontro finale con il mondo – nel senso evangelico della parola –, coi martiniani al seguito, sul punto su cui gli ultimi Pontificati hanno “tenuto duro”, il campo dell’insegnamento morale. E noi, pur sottolineando «il primato della Fede» (come da considerazione che Nicolas incisivamente opponeva alle linee direttrici delle scelte pratiche di amici “liturgisti”), osserviamo l’evolversi della situazione, in partecipe preghiera, con attenzione e interesse.
*          *          *
S.S. GIOVANNI PAOLO II APPENA ELETTO
TRA IL CARD. GIUSEPPE SIRI E MONS. NOE'
Qualche previsione del genere era contenuta anche in Non disprezzate le profezie: una siffatta rottura collegata all’ “alzarsi delle richieste” dei poteri mondani (pp. 209, 212, 214). In questo libro, che vive anch’esso l’anno decennale, libro ormai in parte superato dai successivi sviluppi ma soltanto dopo essere stato stimolante, «un “sasso nello stagno” oltre le attese» (“Non esiste” perché distrutto?, primavera 2012, pag. 9) – l’autore (l’umile sottoscritto) si era chiesto se già con Giovanni Paolo II sarebbe partito l’atteso ritorno (pp.186-192); considerando che, in ragione del carattere forte e della diffusa popolarità (dopo il crollo del muro), egli «sarebbe particolarmente adatto ad essere il Papa della svolta, della restaurazione, del ritorno (con spirito rinnovato) alla Tradizione (pag.189)». Si dirà che questo non è accaduto (essendo evidente che chi scrive non considera tale, di per sé, né l’impegno per la famiglia e la vita né l’opposizione alla filocomunista Teologia della Liberazione né la propensione, ben maggiore del predecessore, a dare indulti per la “Messa tridentina”: giacché noi non diamo importanza soltanto all’uno o all’altro di questi notori punti, certo buoni e importanti, avendo evidenza della loro insufficienza per il bene comune della Chiesa). E lo si dirà facilmente, vista la qualità scadente anche di non pochi degli ambienti contrapposti ai progressisti; con le attitudini e gli interessi anche contrapposti ma talvolta, nella realtà, convergenti. Eppure, un’analisi attenta indicherebbe che qualche conato in tal senso, qualche segno di ripensamento, c’è stato. Purtroppo, quando ormai non aveva più la forza per dare loro un seguito compiuto; peraltro  sono elementi scarsamente di dominio pubblico, sicché a maggior ragione questi rilevamenti e considerazioni nulla tolgono all’altro aspetto, già espresso (cfr. E’ libero il Santo Padre?), di perplessità e dubbi su certe procedure affrettate. «Il Papa del mio amore e del mio dolore», l’avrebbe detto – con formula plausibilmente “agrodolce” – la Madonna nei presunti messaggi a don Stefano Gobbi, pio fondatore del Movimento Sacerdotale Mariano.
Qualche elemento del genere è presente, pur in forma embrionale e non sempre prevalente, nell’ultimo libro di Socci, Non è Francesco. La Chiesa nella grande tempesta (Mondadori, ottobre 2014). Alle pp. 33-34 si legge: «pare che Wojtyla avesse in animo di convocare un sinodo nel quale fissare per scritto l’interpretazione corretta [un po’ quella che negli anni successivi sarebbe stata la proposta di mons. Gherardini, in pratica un’aggiunta di note o postille, nda] di quei punti del Concilio che continuavano a essere male interpretati e che, in un futuro prossimo, potevano essere usati [e dunque anche i «documenti» di tale Concilio, certamente oltrepassati e abusati dai fautori dell’«abusivo Vaticano III», non sarebbero immuni dalle logiche influenze dell’inquietante «paraconcilio»: e infatti Socci, che a pag.9 nel card. Siri aveva riconosciuto la presenza anche di «timori sullo stile letterario adottato che può favorire errori di interpretazione», poco dopo parlerà di «una riflessione» del vecchio Papa malato «sulla necessità di chiarire alcuni contenuti del Concilio», il che presupporrebbe la reale e problematica presenza di ambiguità già nei testi; e la necessità di applicare diffusamente la formula, inizialmente enunziata in astratto, del “Concilio alla luce della Tradizione” – concetto poi reso con quella, che a noi piace meno, di “ermeneutica della continuità”, nda] da chi intendeva riprendere [o meglio completare: giacché, come talvolta Socci ha espressamente riconosciuto, il “salto in basso” più recente attesta, ad analizzare bene le cose, che la crisi nella Chiesa in questi ultimi decenni non era davvero finita. Pur essendo vera anche l’altra faccia della medaglia: ovvero che svariati lefebvriani, di tutti i campi, tendono a non cogliere la reale novità della situazione più recente. È dunque falso sia che questa sarebbe una novità assoluta, salvo magari il virulento primo postconcilio, sia che essa non rappresenta in assoluto nessuna novità, nda] l’autodemolizione della Chiesa. Ma fu chiaro al Pontefice polacco che non aveva più né tempo né energie. E che solo Joseph Ratzinger avrebbe potuto realizzare questo compito per ridare pace alla Chiesa e scongiurare nuove terribili tempeste.
Deve essere in questa cornice che s’inquadra un episodio di cui dà notizia Marco Damilano»: «L’8 gennaio 2005 [un mese prima della morte di suor Lucia, nda], Joseph Ratzinger era stato designato come successore di Giovanni Paolo II. Era stato il vecchio Papa in persona a farlo, durante un pranzo in cui erano presenti gli uomini di curia più in vista, decisivi nel conclave […] Aveva messo in moto la macchina del conclave… e aveva fatto capire agli uomini più influenti della curia che spettava a Ratzinger raccogliere il suo testimone». Con il che, visto il profilo del Porporato bavarese e il fatto che dei “papabili” era notoriamente il più “conservatore”, avrebbe indicato una direzione piuttosto chiara (anche al netto dei luoghi comuni e guardando al senso di fondo).
Una testimonianza convergente è riportata in un libro di qualche anno prima, L’ultima veggente di Fatima (Rizzoli, maggio 2007). Di quest’opera i più, che non l’hanno letta ma presumono di conoscerla, sanno soltanto che smentirebbe assolutamente le tesi della critica fatimita; qualche “fatimologo” di vostra conoscenza, che ne è anche evocato e che l’ha studiata bene, l’ha invece analizzata e discussa criticamente: rilevando che – pur con l’utilizzo prevalente della forma implicita, poco evidente, e pur in maniera piuttosto “sommersa” tra aspetti di segno opposto – qualcosa la “parte ufficiale” iniziava ad ammettere (cfr. ad esempio il mio libretto di disamina Una “risposta” significativa, dicembre 2007. Qui ci interessa la testimonianza del coautore, S.E. il Card. Tarcisio Bertone, sulla genesi della dichiarazione Dominus Jesus (6 settembre A.D. 2000). Anche perché il card. Bertone a quel tempo era il Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede: dunque la sua testimonianza, sul contesto e la motivazione di questo documento più che sul testo in sé (pp. 112-113), è particolarmente rilevante, essendo per così dire una testimonianza “di prima mano”. Fu un documento scomodo, pur essendo la dichiarazione «tutta cucita coi documenti conciliari», ciononostante un atto non facile: «Gli ecumenisti non erano soddisfatti della seconda parte, perché sembrava porre troppi freni», e appena pubblicata «le reazioni furono vivacissime» (prendendo il presunto Panzerkardinal Ratzinger come “capro espiatorio”). Sicché Giovanni Paolo II disse ai collaboratori: «Io voglio dedicare un Angelus alla Dominus Jesus e dire che l’ho voluta io, che è perfettamente conforme al mio pensiero» (respingendo con «un pugno sul tavolo» la proposta di «rimandarlo»). Colpisce che un Papa così instancabilmente impegnato nel «cammino ecumenico» abbia voluto così risolutamente procedere, anche senza il consenso e per così dire “motu proprio”, a pubblicare e difendere delle puntualizzazioni chiaramente e pesantemente invise agli acattolici e ai cattoprogressisti (qualcuno, pur esagerando, la dirà una «pietra tombale sul dialogo ecumenico e interreligioso», pag. 111). Il motivo è detto a pag. 112: «La Dominus Jesus è stata una risposta alle tante lettere arrivate al Papa dopo l’enciclica Redemptoris missio. “Se ormai tutti hanno l’etichetta di ‘salvatore’ alla stregua di Gesù Cristo, come Maometto, Buddha, Confucio, Che Guevara, che ci stiamo a fare noi? Perché dovremmo spendere la nostra vita per annunciare la parola di Gesù fino ai confini della terra?” [Mons. Lefebvre, Vescovo missionario che a differenza del Vescovo Bergoglio aveva alle sue spalle un bilancio decisamente attivo, nel dire che Assisi era la condanna a morte della missione non era dunque lontano dal vero, nda]. Erano le obiezioni dei missionari che provenivano specialmente dal mondo asiatico. Giovanni Paolo II ne fu turbato e amareggiato […] Il Papa allora chiese di lavorare attorno a una dichiarazione dogmatica su Gesù Cristo, unico e universale Salvatore. Fu il cardinale Ratzinger a fare da guida per la composizione del documento». Il “Papa dell’ecumenismo”, dunque, fu «turbato e amareggiato» (come è detto del Papa della visione di Fatima, afflitto dai rimorsi): forse si è infine reso conto dei pericoli, gravissimi, della dilagante marea ecumenista (agli antipodi pure con la Sacra Scrittura)? Sembrerebbe indicare in questa direzione anche il fatto che in alcuni rimproveri correttivi mossi alla Fraternità San Pio X, a nome della Santa Sede, subito dopo l’Anno Santo, sostanzialmente manca quello per la massiccia critica pubblica degli incontri ecumenici (evidentemente riconosciuti come possibile materia di discussione). Anzi: nel 2004, quando la San Pio X realizzò un opuscolo di forte critica dell’ecumenismo “ufficiale”, S.S. Giovanni Paolo II – scrisse il più informato dei vaticanisti italiani – volle leggerlo; il che, viste le condizioni di salute che evidentemente gli imponevano ormai di centellinare al massimo le energie, sembrerebbe attestare un notevole interesse a confrontarsi con quelle sostanziose obiezioni.
Negli ultimi anni, del resto, Giovanni Paolo II – che lodò le «bellissime preghiere» del Messale Romano detto di San Pio V, che «rivelano la sostanza stessa di qualsiasi liturgia», e concesse, per la prima volta, una struttura giuridica ad hoc e un Vescovo agli eredi di mons. De Castro Mayer in Brasile – desiderò vivamente ricucire la dolorosa rottura della principale opera del mondo “tradizionalista”, appunto la FSSPX. Probabilmente con dei rimorsi, giacché prima (come disse lo stesso mons. Lefebvre) la si sarebbe potuta evitare: sicché ebbe a cuore la realizzazione di un accordo, che tra il 2000 e il 2005 tentò ripetute volte. (Ma mons. Fellay non volle farlo subito, plausibilmente soprattutto per non spaccare l’opera di cui era a capo, sennonché oscillando e tatticheggiando si sta spaccando lo stesso: oltre all’emorragia al centro, verso il “Sistema”, che si può comprendere ma che è stata in questi ultimi anni piuttosto pronunciata, stanno avendo perdite consistenti anche sul versante destro, con la crescente scissione del movimento denominatosi Resistenza Cattolica, che è atta a essere un “martello” più incalzante dei classici sedevacantisti. Ancor più notevole – caso più unico che raro! – è che il nostro accordo, da tanti disprezzato, né ci ha imborghesiti né ha ingenerato crisi di rigetto: intanto ha portato – secondo il giudizio sia nostro sia dell’autorità ecclesiastica locale – a qualche miglioramento, contenuto ma reale, e ancora dura, va avanti…).
Anche sul Segreto di Fatima, S.S. Giovanni Paolo II – che nell’Anno Santo aveva oggettivamente avallato l’assai discutibile operazione “Fatima 2000” e che nell’autunno 2001 avrebbe ricevuto da suor Lucia una «lettera monito», che tra l’altro «incoraggia[va] il Papa a rivelare per intero il Terzo Segreto» (cfr. Il quarto segreto di Fatima, pp.114-115) – sembra abbia pensato, in extremis, alla pubblicazione del famoso “allegato” interpretativo. Di questa non improbabile intenzione, che secondo alcuni avrebbe avuto già prima del famoso attentato, compare forse un’eco in un romanzo del ben informato vaticanista Thornborn, nell’intervista a la Repubblica del card. Bertone il 17 febbraio 2005, e comunque mi è stata espressamente accreditata da un autorevole Cardinale, in una conversazione di cui parlo in “Non esiste” perché distrutto? (pp. 96-98). Detto per inciso: Fatima, «simbolo di una religiosità combattiva, militante» (L’ultima veggente di Fatima, pag.112), si conferma spesso un segno indicatore più ampio. E il suo testo inedito sembra essere, più che assolutamente non pubblicabile neppure per ipotesi come è stato scritto da alcuni dei critici, piuttosto – da alcune frasi e comportamenti soprattutto di Giovanni Paolo II e del card. Ratzinger – proprio sulla soglia, sia dell’accettabilità che della pubblicabilità. Ma il Papa era ormai in stato di preagonia, e alla fine si optò per l’annosa via della “rivelazione velata” – non letterale e non ufficiale bensì implicita –, tuttavia con notevole estensione e visibilità, inserendola nella Via Crucis (presente anche nella visione del Segreto) del Venerdì Santo di quell’anno (cfr. Non disprezzate le profezie pp.XX-XXII della ristampa e Non è Francesco pp.36-39).
"PASSAGGIO DI CONSEGNE"
GIOVANNI PAOLO II-BENEDETTO XVI.

I profeti di sventura non avevano tutti i torti:
non è Pentecoste, ma Venerdì Santo.
Quell’atto chiuse il lungo pontificato di papa Wojtyla, che esattamente una settimana dopo “vedeva e toccava il Signore” (per dirla con il Cardinal Vicario di Roma), e in pratica lo suggellava con un solenne atto penitenziale (un mea culpa stavolta sul proprio petto) per un bilancio che così, in qualche modo, riconosceva oggettivamente non positivo, comunque gravato da problemi molto seri. Va peraltro notato che in questo atto pubblico –quantunque relativizzato dai malevoli e dai distratti attribuendolo alla sensibilità personale (presunta monolitica, almeno prima della contrastata elezione) del card. Ratzinger – la Santa Sede riconosce diffusamente, e in qualche modo pone “sotto i riflettori”, l’esistenza di gravi mali all’interno della Chiesa, laddove in precedenza, salvo qualche sparuta eccezione, era dai famosi lamenti di Paolo VI che il Sommo Pontefice parlava soprattutto o pressoché soltanto di alcuni dei mali esterni, come il materialismo e il consumismo (la “cultura della morte”). Come ho rilevato in Non disprezzate le profezie, «a me sembra di cogliere, tra due documenti di Giovanni Paolo II come la Novo millennio ineunte (inizio del 2001, predisposto nel 2000) e l’Ecclesia in Europa (2003), una differenza (direi quasi “uno sbalzo”) di tono […] che maggiormente vede il disastro» (pag. 211).
Forse quell’atto ebbe anche un certo valore esorcistico sull’imminente Conclave: quella volta l’operazione Bergoglio, già allora tentata dopo che il tempo aveva anche affossato il “papabile” Martini, non riuscì nel sorpasso pomeridiano; anzi, stavolta il papa Giuseppe uscì sul Balcone… Sebbene qualcosa di segno opposto è altresì accaduto, subito dopo l’avvenuta elezione e/o durante il pranzo del secondo giorno, e – come abbiamo accennato da subito – qualcosa di condizionante, negativamente e illegittimamente condizionante, lì c’è stato. Sarebbe assai rivelatore (e dirompente) se venisse tolto il segreto del Conclave, da quelli tenuti dal 1958 al 2013: lo spazzerà via la famosa rivoluzione di Papa Francesco? O qui sarà più conservatore del cardinal Siri, che ne propose l’abolizione, e – legalista e chiuso – il “muro” della Sistina si guarderà bene dall’abbatterlo?
Il crepuscolo del pontificato wojtyliano ha comunque visto una presenza oggettiva (e sorprendente) di tendenze nel senso di cui stiamo dicendo: si pensi, oltre a un certo ravvivato interesse per la “questione tradizionalista”, al Conclave che gli è seguito… all’aria che tirava in quella primavera pasquale, testimoniata da diversi interventi alle Congregazioni e dall’esito non “condiviso” che ne è uscito.
*          *          *
Ad ogni modo, le cose si muovono. E questo più volte si vede soltanto dopo, si vede meglio più avanti. Non c’è da scoraggiarsi, né da avere quel tipico scetticismo illuministico né da “annoiarsi”, ma da combattere. Viviamo in una terra purtroppo “menefreghista”, con tanta grettezza d’animo, che a tali cose (anche a grandi movimenti in corso) neppure fa caso, finché non sono a un palmo dal proprio naso… E questo è desolante. Ma non c’è da lamentarsene troppo, sterilmente a chiacchiere. Non c’è da essere sempre insoddisfatti, stoltamente; senza dare importanza al bene presente (come fanno, con poca sapienza, i cuori vagabondi). C’è da lottare, con perseveranza, innanzitutto per la vera fede e quindi per i beni collegati (tanti, ricchi e potenzialmente appaganti). Non c’è da lavarsene le mani, non c’è da fuggire. C’è da stare qui nella vera unità: in memoria e attesa, in speranza e prudenza, mentre tutto si va disgregando. Vigilanti e resistenti, come sentinelle, testimoniando – con una presenza distinta, critica, “mirata” – i contenuti e le questioni.

Solideo Paolini

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.