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lunedì 25 maggio 2015

Non tradì mai la fede

PER LIBERARE IL BEATO OSCAR ROMERO DALLA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE, CUI NON È DAVVERO MAI APPARTENUTO

Per liberare il beato Oscar Romero dalla teologia della liberazione, cui non è davvero mai appartenuto
Da ieri la Chiesa Cattolica ha un beato in più, monsignor Óscar Arnulfo Romero y Galdámez (1917-1980), arcivescovo di San Salvador, la capitale di El salvador, abbattuto il 24 marzo 1980 da un proiettile sparato dritto al cuore da un cecchino dei famigerati "squadroni della morte" governativi mentre celebrava Messa nella cappella di un ospedale.
Sin dal giorno del suo martirio, Romero ha subito un grave e spudorato tentativo di manipolazione della memoria. Se ne è voluto infatti fare un "santo socialista", un profeta della teologia della liberazione, un "catto-marxista" abbattuto dalle "Destre" proprio per il suo impegno a favore dei poveri. È stata una colossale bugia.

Il beato Romero non ebbe proprio nulla a che fare con la teologia della liberazione di stampo marxista. Non cedette mai a compromessi. Non tradì mai la fede, il suo mandato espiscopale e la madre Chiesa. Lo ha detto bene monsignor Jesus Delgado, già segretario del beato Romero. Il presule criticava il governo salvadoregno, ma altrettanto criticava l'ideologia marxista. Si spendeva a favore dei poveri, ma nel segno del Vangelo e di null'altro. Vale la pena di ricordarlo davanti a tutti, soprattutto oggi che la teologia della liberazione, o quel che ne rimane, sembra riprendere vigore e molti credono che il suo patrono sia proprio il povero, bistrattato ma sempre limpido beato Romero.

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Romero: politica, beatitudine e revolución

Ignorato, scomodo, bistrattato, amato, seguito, ucciso, beatificato. Un libro non basterebbe a parlare di una delle figure del XX secolo più famose della Chiesa Cattolica e dell’America Latina: Óscar Arnulfo Romero y Galdámez.
DI  - 25 MAGGIO 2015
Il 23 maggio scorso a San Salvador, capitale del piccolo Stato di El Salvador, è stato beatificato da Papa Francesco dopo anni in cui tale pratica è stata ignorata o bloccata, l’arcivescovo salvadoregno Oscar Romero mentre il giorno seguente, il 24 maggio, è caduto il trentacinquesimo anniversario della sua morte, avvenuta per mano di un sicario molto probabilmente appartenente al gruppo paramilitare degli “squadroni della morte” comandati da Roberto D’Aubuisson, capo del partito nazionalista ARENA. L’arcivescovo fu la “voce dei senza voce”, cioè l’unica figura che pubblicamente alla radio e durante i sermoni domenicali accusasse in modo schietto e diretto gli assassini del suo popolo, da lui tanto amato. Famose furono le sue omelie, le sue parole diffuse in tutto il Paese; famosi furono i suoi appelli e tutta la sua azione da arcivescovo. Eppure, in un periodo storico in cui la Chiesa dovette affrontare apertamente il comunismo – siamo in piena guerra fredda – e ha dunque appoggiato, in generale, le destre, le sue parole, così rivoluzionarie e popolari fecero sì che rimanesse isolato, seguito unicamente dal popolo oppresso. Accusato di essere troppo invischiato negli affari della politica e di appoggiare le idee di “Teologia della Liberazione”, un movimento che vede in Marx e nella lotta ai più ricchi un modello per il cattolicesimo, era semplicemente un autentico cristiano che amava e soffriva con e per gli oppressi.
I suoi discorsi, veri e propri gridi di aiuto, tuonavano nelle chiese dove officiava messa e gracchiavano dalle vecchie radio locali: «Io vorrei fare un appello particolare agli uomini dell’Esercito e in concreto alla base della Guardia Nazionale, della Polizia, delle caserme: Fratelli, appartenete al nostro stesso popolo, uccidete i vostri stessi fratelli contadini; ma rispetto a un ordine di uccidere dato da un uomo deve prevalere la legge di Dio che dice “Non uccidere”. Nessun soldato è tenuto ad obbedire ad un ordine contrario alla Legge di Dio. Vi supplico, vi chiedo, vi ordino in nome di Dio: cessi la repressione!». Romero non denunciò solo i crimini compiuti dalle forze armate, ma anche quelli compiuti direttamente dal governo, come il mandare in avanscoperta i bambini per disegnare e aggiornare le mappe dei campi minati. Inutile dire come si capiva dove fossero le mine.
Ma le critiche, evidentemente portate avanti da coloro che gli sono sopravvissuti, ancora non si sono estinte, anche se ormai il processo di beatificazione, sbloccato da Papa Benedetto XVI nel 2012, è stato portato a termine da Papa Francesco. La Chiesa Cattolica ha solo che da gioire di quest’ultimo fatto, poiché porta finalmente alla luce la verità su chi era e su cosa fece Oscar Romero, colui che rifiutò onori come la costruzione del palazzo vescovile e che non piegò la testa davanti a una dittatura oppressiva e violenta, ma lo fece solo dinanzi al volere di Dio su di lui, cioè che fosse pastore del suo gregge. Esempio per tutti i cristiani laici e non, è stato l’uomo che ha portato la revolucion dell’amore – non quello svenduto a basso prezzo nell’ideologia gender o nella retorica attuale – nella politica di un Paese martoriato dalla tirannia. Autentico e vero, coerente e diretto, infangato e ucciso e ora beato.

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