Nozze omosessuali in Irlanda. Il tramonto della chiesa cattolica
di Patrizia Fermani
Ci voleva un evento politico come quello del voto irlandese sull’ultima follia dell’occidente, per segnare anche la resa ufficiale della chiesa cattolica al mondo, e per mostrare a tutti la realtà di una fine annunciata. La fine preparata negli anni da un lavorio costante di erosione, che soltanto quanti non hanno voluto sentire e non hanno voluto vedere sono riusciti ad ignorare.
Le dichiarazioni dei vescovi irlandesi non sono le uscite stravaganti di qualche vecchio marpione diventato prima prete e poi vescovo per caso. Sono l’atto liberatorio di una falsa chiesa che finalmente ha gettato via gli abiti di scena e si presenta per quello che è. Una chiesa che ha tradito il proprio compito, ha nascosto il messaggio cristiano dietro il fumo di parole vuote di un contenuto che non fosse quello richiesto dal mercato. Alle dichiarazioni in libertà omofila dei vescovi irlandesi non è seguito ovviamente il disconoscimento di Roma, l’anatema richiesto dalle scritture (vedi Avvenire). È seguito un grande silenzio rotto solo dalla voce impudente del sempre garrulo Galantino, venuto dalla fine d’Italia per rassicurare tutti sulla estinzione del cattolicesimo , così come un altro è venuto dalla fine del mondo per portarci con soddisfazione la stessa bella notizia.
Anche se qualche parola di rammarico venisse ora, magari solo per ragioni di bon ton, in ogni caso sarebbe già inutile, perché la capacità del cosiddetto popolo di Dio di adattarsi e assuefarsi a tutto è sperimentata, e anche questa nuova ultima versione del vangelo immaginario sarà subito assorbita e spesa a sua volta come cattolica. Perché a null’altro ha impiegato le proprie energie la chiesa dell’amore in saldo, se non ad addormentare le coscienze.
Il voto irlandese è un’altra tappa raggiunta dai demolitori della civiltà occidentale, venuti dall’America a fornire i propri modelli ad una moltitudine senza più cervello e senza capacità morale, senza ethos e senza memoria , senza aspirazione di continuità e senza responsabilità. Una moltitudine che ha già abdicato al dono della propria natura superiore e si accomoda nella nicchia subumana in cui la sta sistemando il potente conquistatore . E in mezzo a questa follia suicidiaria dell’occidente, finanziata dal potente alleato con la stesso zelo distruttivo impiegato dai bombardieri della liberazione, l’evento che emerge ora con disarmante chiarezza è la volontà di autodissoluzione della chiesa cattolica, dissimulata finora agli occhi dei più dietro gli stucchevoli paramenti dell’aggiornamento caritatevole ai tempi nuovi. Ed emerge quindi il tradimento di Cristo, cominciato tanti anni fa e continuato senza trovare ostacoli significativi, anzi incoraggiato dalla capacità di assuefazione e di rassegnazione del ”nuovo popolo di Dio”, trionfalmente uscito dal Concilio.
La chiesa ha combattuto le eresie e le ha vinte. Ma l’eresia della chiesa sta a significare davanti a tutti che il grande inganno, come nelle commedie antiche, adesso è stato definitivamente svelato e ora si può solo chiudere il sipario su uno spettacolo che da mediocre è diventato indecente.
La distruzione dei resti del patrimonio spirituale europeo va sinistramente di pari passo con quella materiale compiuta dall’Islam sulle ultime delle vestigia delle antiche civiltà mediorientali. Questa sincronia ha qualcosa di apocalittico che non dovrebbe ormai sfuggire a nessuno e dovrebbe piuttosto bastare per risvegliare l’orgoglio della ragione, se un grande sonno di morte non ci avvolgesse tutti.
Ma ora chi ha continuato a dedicare la propria vita di sacerdote alla chiesa di Cristo, senza accorgersi fino in fondo che essa era già stata minata senza via di scampo, deve scegliere se continuare la strada con i demolitori, cioè con i traditori, o fermarsi e cominciare a ricostruire finalmente la casa di Dio.
– di Patrizia Fermani
Repubblica 25.5.15
Lo Spirito del mondo
di Vito Mancuso
VIENE da lontano l’esito del referendum irlandese con cui oltre il 62 per cento dei votanti ha detto sì alle nozze gay. Viene dalla lotta a favore dei diritti umani.
UNA lotta iniziata più di due secoli fa nel nome dell’uguaglianza e che ha portato a una serie di conquiste sociali tra cui il suffragio universale, la libertà di stampa, la libertà religiosa, l’istruzione per tutti, la parità uomo-donna nel diritto di famiglia, il superamento legale di ogni discriminazione razziale e altri traguardi di questo genere, tutti riconducibili al valore dell’uguaglianza di ogni essere umano. Sabato l’ha ribadito la maggioranza degli irlandesi: “ Yes Equality”.
In queste trasformazioni dei costumi e del diritto si manifesta l’evoluzione della cultura e del pensiero prodotta da ciò che Hegel denominava “Spirito del mondo”, nel senso che noi non siamo i padroni delle nostre idee, ma sono le idee a entrare in noi. C’è però una differenza rispetto al filosofo tedesco, e cioè che ora il primato non è più dello “Spirito oggettivo” rispetto allo “Spirito soggettivo”, ma al contrario. Assistiamo a una radicale riscrittura dei rapporti tra singolo e società: il primato non è più della società e delle sue istituzioni a cui il singolo si deve uniformare come nei secoli passati, ma è piuttosto del singolo a cui la società deve sapersi adattare servendone la felicità e la realizzazione. Prima erano i singoli a piegarsi alle istituzioni, ora sono le istituzioni a piegarsi ai singoli, modificando persino la Costituzione, come in Irlanda.
Il valore in gioco era il diritto di ogni essere umano all’amore integrale. Fino a poco tempo fa nei Paesi più avanzati del mondo (ma in Italia ancora oggi) se una persona nasceva con un orientamento sessuale di tipo omosessuale si vedeva negato il diritto all’amore integrale, che non si accontenta di esprimersi solo come passione privata ma desidera uno statuto pubblico, nel senso che esso entra a definire l’identità sociale di una persona, non più singolo, ma legato a un’altra persona in permanente comunità di vita. È questo desiderio dell’amore di acquisire una dimensione pubblica che porta le persone a sposarsi, e non semplicemente a convivere. Chi desidera sposarsi non riesce più a pensare se stesso a prescindere dall’altro e chiede alla società di riconoscere pubblicamente il suo nuovo statuto, mutando per così dire la sua carta d’identità sociale e dicendo al mondo: “non sono più solo io, io sono unito con l’altro”. Questo è ciò che io chiamo “amore integrale” e che ritengo essere un diritto costitutivo di ogni essere umano. L’aspirazione all’amore integrale deve essere riconosciuto come diritto inalienabile che ogni essere umano acquisisce alla nascita, un diritto nativo, radicale, di cui nessuno può essere privato.
Ormai il tempo è compiuto anche da noi per sostenere nel modo più esplicito che tutti hanno il diritto di realizzarsi nell’amore integrale, senza distinzione. Il ritardo italiano non va colmato procedendo solo al riconoscimento delle unioni civili senza parlare di matrimonio, ma occorre procedere al matrimonio anche per le coppie gay, perché sono in gioco l’uguaglianza e il diritto nativo all’amore integrale.
Il senso complessivo di questo movimento è altamente evangelico, perché sempre, quando trionfa la singolarità della persona rispetto alla logica di Stato delle istituzioni e delle tradizioni, si afferma il punto di vista di Gesù, il quale sosteneva che il sabato era per l’uomo e non l’uomo per il sabato, e che per questo venne eliminato dal potere istituzionale. La Chiesa gerarchica però non l’ha ancora capito. Non l’ha capito nel 1789 quando il movimento è iniziato, e non l’ha capito in questi giorni in Irlanda con i vescovi che hanno lanciato un appello per il «rispetto dei valori della famiglia tradizionale ». I singoli credenti invece sì. A meno infatti di non ritenere che essi in una nazione tra le più cattoliche al mondo siano solo il 37,9%, occorre riconoscere che per la maggioranza dei fedeli le posizioni della gerarchia cattolica non hanno rilevanza quando sono in gioco questioni etiche e diritti umani. L’arcivescovo di Dublino ha detto che «la Chiesa ora deve fare i conti con la realtà». È vero, e spero che qualcosa avverrà. Ma ancora più importante è che i conti con la realtà li faccia la politica italiana, dando al nostro Paese una legge che consenta a ogni cittadino di vivere, nella pienezza del matrimonio, il diritto nativo all’amore integrale.
La Stampa 25.5.15
“La Chiesa non può interferire
Le coppie gay non vanno ignorate”
Monsignor Mogavero: gli omosessuali non sono malati
di Giacomo Galeazzi
Ai governanti spetta il compito di normare l’esistente». Perciò «in Italia non si può far finta che le unioni gay non esistano e che non ci siano diritti da riconoscere a queste coppie». L’esito del referendum irlandese, osserva il vescovo di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero, canonista e commissario Cei per l’immigrazione, «non va ignorato nel nostro paese».
Un’analisi lucida, senza fughe in avanti o sottovalutazione della portata del cambiamento. «In Irlanda il primo ministro Enda Kenny ha fatto i conti con la realtà: anche in Italia il governo deve prendere atto che esistono centinaia di migliaia di convivenze tra persone dello stesso sesso». Realtà che «hanno diritto a una regolamentazione». Anche la Chiesa deve fare la sua parte. «Noi come vescovi siamo chiamati ad accompagnare e assistere le persone nelle situazioni concrete in cui si svolge la loro vita piuttosto che a condannare ed escludere». Insomma, una voce autorevole dell’episcopato italiano ritiene che la vicenda irlandese suoni come un campanello anche per Matteo Renzi. Da Pantelleria, dove è in prima linea nel soccorso dei «boat people», l’ex sottosegretario Cei unisce alla missione di pastore la formazione da giurista: «Non si può nascondere la testa sotto la sabbia e lasciare una realtà sociale diffusa senza riconoscimento giuridico». E «i gay non sono malati da curare e sia nell’azione del legislatore, sia nella pastorale della Chiesa al centro deve esserci sempre la persona». E ciò a maggior ragione perché «non tutti hanno una professione di fede e i non credenti hanno parimenti diritto a veder tutelato un loro diritto di dignità». Senso pratico maturato nella decennale esperienza al fianco di Camillo Ruini al vertice della Chiesa italiana. Né barricate né sacri strali . Politica e cura d’anime. Ovunque.
La valanga dei sì alle nozze gay si riverbera da Dublino a Roma. «Quello che è accaduto in un paese più cattolico dell’Italia come è l’Irlanda non può essere derubricato ad anomalia». Tanto più che nello spirito della misericordia di Francesco e della Chiesa che non chiude le porta, a un intervento legislativo da parte del governo non si contrapporrebbero «crociate né scontri Stato-Chiesa». L’attenzione nelle gerarchie è confermata anche dalla «sensibilità mostrata dal Sinodo dei vescovi sulla famiglia». Da parte sua, evidenzia, il Papa ha il merito di «aver portato il discorso sul piano della persona».
Rimangono «dei limiti che la dottrina cattolica rileva sul tema del matrimonio e delle unioni», ma oggi «si può parlare di questi argomenti senza paure e senza considerare queste situazioni dei fenomeni da additare». Mogavero lo ha detto chiaro e tondo nel pieno del pieno del dibattito sinodale. «Bisogna superare i pregiudizi ecclesiastici che riducevano l’omosessualità a perversione e pericolo pubblico, il legislatore civile non può far finta che non esistano le unioni gay e le coppie di fatto». Quindi «non hanno alcun fondamento» le proteste dell’episcopato per le proposte di riconoscimento delle coppie gay: «Uno Stato laico non può fare scelte di tipo confessionale e la Chiesa non può interferire nella sfera delle leggi civili». Dublino «non è così lontana». Occorre «prenderne atto con realismo e dare una risposta». «Meglio il dialogo della finzione.
“La Chiesa non può interferire
Le coppie gay non vanno ignorate”
Monsignor Mogavero: gli omosessuali non sono malati
di Giacomo Galeazzi
Ai governanti spetta il compito di normare l’esistente». Perciò «in Italia non si può far finta che le unioni gay non esistano e che non ci siano diritti da riconoscere a queste coppie». L’esito del referendum irlandese, osserva il vescovo di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero, canonista e commissario Cei per l’immigrazione, «non va ignorato nel nostro paese».
Un’analisi lucida, senza fughe in avanti o sottovalutazione della portata del cambiamento. «In Irlanda il primo ministro Enda Kenny ha fatto i conti con la realtà: anche in Italia il governo deve prendere atto che esistono centinaia di migliaia di convivenze tra persone dello stesso sesso». Realtà che «hanno diritto a una regolamentazione». Anche la Chiesa deve fare la sua parte. «Noi come vescovi siamo chiamati ad accompagnare e assistere le persone nelle situazioni concrete in cui si svolge la loro vita piuttosto che a condannare ed escludere». Insomma, una voce autorevole dell’episcopato italiano ritiene che la vicenda irlandese suoni come un campanello anche per Matteo Renzi. Da Pantelleria, dove è in prima linea nel soccorso dei «boat people», l’ex sottosegretario Cei unisce alla missione di pastore la formazione da giurista: «Non si può nascondere la testa sotto la sabbia e lasciare una realtà sociale diffusa senza riconoscimento giuridico». E «i gay non sono malati da curare e sia nell’azione del legislatore, sia nella pastorale della Chiesa al centro deve esserci sempre la persona». E ciò a maggior ragione perché «non tutti hanno una professione di fede e i non credenti hanno parimenti diritto a veder tutelato un loro diritto di dignità». Senso pratico maturato nella decennale esperienza al fianco di Camillo Ruini al vertice della Chiesa italiana. Né barricate né sacri strali . Politica e cura d’anime. Ovunque.
La valanga dei sì alle nozze gay si riverbera da Dublino a Roma. «Quello che è accaduto in un paese più cattolico dell’Italia come è l’Irlanda non può essere derubricato ad anomalia». Tanto più che nello spirito della misericordia di Francesco e della Chiesa che non chiude le porta, a un intervento legislativo da parte del governo non si contrapporrebbero «crociate né scontri Stato-Chiesa». L’attenzione nelle gerarchie è confermata anche dalla «sensibilità mostrata dal Sinodo dei vescovi sulla famiglia». Da parte sua, evidenzia, il Papa ha il merito di «aver portato il discorso sul piano della persona».
Rimangono «dei limiti che la dottrina cattolica rileva sul tema del matrimonio e delle unioni», ma oggi «si può parlare di questi argomenti senza paure e senza considerare queste situazioni dei fenomeni da additare». Mogavero lo ha detto chiaro e tondo nel pieno del pieno del dibattito sinodale. «Bisogna superare i pregiudizi ecclesiastici che riducevano l’omosessualità a perversione e pericolo pubblico, il legislatore civile non può far finta che non esistano le unioni gay e le coppie di fatto». Quindi «non hanno alcun fondamento» le proteste dell’episcopato per le proposte di riconoscimento delle coppie gay: «Uno Stato laico non può fare scelte di tipo confessionale e la Chiesa non può interferire nella sfera delle leggi civili». Dublino «non è così lontana». Occorre «prenderne atto con realismo e dare una risposta». «Meglio il dialogo della finzione.
http://spogli.blogspot.it/2015/05/la-stampa-25_48.html
Ora la chiesa fa i conti con la realtà
Il Messaggero
Ora la chiesa fa i conti con la realtà
Il Messaggero
Ora la chiesa fa i conti con la realtà
Il Messaggero
(Lucetta Scaraffia) Nei commenti al risultato del referendum irlandese tutti hanno sottolineato l’eccezionalità positiva della scelta di un Paese cattolico. Un Paese cattolico che, in dissenso con la gerarchia della Chiesa, si dichiara favorevole al riconoscimento del matrimonio delle coppie omosessuali. Risultato considerato ancora più stupefacente dal momento che proprio in Irlanda – fino al 1993 – l’omosessualità era punita per legge.
Nessuno ha però notato che è stata proprio questa ingiusta colpevolizzazione dell’omosessualità – eccezionale per un Paese cattolico – a spingere gli irlandesi, vergognosi della loro arretratezza, a votare in favore della legge. Per di più, dobbiamo ricordarci che l’Irlanda è la patria di uno dei più celebri omosessuali della storia, quell’Oscar Wilde che la legge britannica costrinse in prigione per questo “delitto” nei primi anni del Novecento. Reclusione che gli ispirò uno dei più bei libri mai scritti sul significato della fede cristiana, De profundis. In realtà è molto probabile che ci sia una connessione fra l’assurda pratica repressiva nei confronti degli omosessuali in anni ancora recenti – atteggiamento che ha caratterizzato soprattutto i Paesi protestanti - e la rapida apertura al matrimonio gay oggi. Così come esiste un percepibile disagio nella definizione scientifica dell’omosessualità in contesti in cui, circa un secolo fa, la medicina eugenetica aveva classificato quest’ultima come una tara ereditaria, come minimo da curare ma spesso anche da risolvere con l’internamento e la sterilizzazione.
La Chiesa non ha mai accettato questa interpretazione del fenomeno, anche se veniva sbandierata come moderna e scientifica: per la morale cattolica gli omosessuali sono sempre state persone come le altre, pur facendo una scelta sbagliata, pur incorrendo in un peccato. Ma è preferibile essere giudicati peccatori piuttosto che essere mandati in prigione o in casa di cura.
Proprio perché la coscienza cattolica non è gravata da questo passato, da questa evidente ingiustizia nei confronti degli omosessuali, oggi può affrontare la questione del matrimonio gay in modo più equilibrato, può riflettere sui suoi effetti nella società. Può soprattutto far presente che non si tratta tanto di riconoscere dei diritti economici e civili – come l’assistenza in ospedale, o la possibilità di subentrare nell’affitto, tutte cose in Italia da tempo stabilite – quanto piuttosto di cambiare simbolicamente il significato di una istituzione fondante la società, come il matrimonio, e di conseguenza aprire alla possibilità che le coppie omosessuali siano riconosciute come genitori. Stupisce che una persona intelligente come Adriano Sofri liquidi la questione del significato del matrimonio come nucleo generativo della famiglia – e quindi necessariamente eterosessuale – dicendo che ragionando in questo modo non sarebbero considerati matrimoni quelli di coppie senza figli. Come se non fosse decisivo, in un contesto culturale, il significato simbolico di una istituzione, al di là di ogni sua realizzazione concreta. E non è un caso che Sofri scriva questo: nella sua celebrazione del risultato irlandese non parla delle possibili conseguenze del matrimonio omosessuale nel campo della procreazione. Come se si trattasse solo del coronamento di un amore romantico, un’esigenza ineluttabile. Senza rendersi conto che ormai la maggioranza dei giovani preferisce coronare il suo amore con un lucchetto su un ponte di una città europea piuttosto che in municipio. Anche se c’è il divorzio, e pure il divorzio breve.
Le perplessità di chiamare matrimonio l’unione – più che legittima e rispettabile fra due omosessuali – riguardano la trasformazione radicale che in questo modo viene impressa a un’istituzione fondamentale della nostra società, e la conseguente apertura di un altro problema, molto più spinoso: quello delle famiglie omosessuali.
Il Messaggero, 25 maggio 2015
Nessuno ha però notato che è stata proprio questa ingiusta colpevolizzazione dell’omosessualità – eccezionale per un Paese cattolico – a spingere gli irlandesi, vergognosi della loro arretratezza, a votare in favore della legge. Per di più, dobbiamo ricordarci che l’Irlanda è la patria di uno dei più celebri omosessuali della storia, quell’Oscar Wilde che la legge britannica costrinse in prigione per questo “delitto” nei primi anni del Novecento. Reclusione che gli ispirò uno dei più bei libri mai scritti sul significato della fede cristiana, De profundis. In realtà è molto probabile che ci sia una connessione fra l’assurda pratica repressiva nei confronti degli omosessuali in anni ancora recenti – atteggiamento che ha caratterizzato soprattutto i Paesi protestanti - e la rapida apertura al matrimonio gay oggi. Così come esiste un percepibile disagio nella definizione scientifica dell’omosessualità in contesti in cui, circa un secolo fa, la medicina eugenetica aveva classificato quest’ultima come una tara ereditaria, come minimo da curare ma spesso anche da risolvere con l’internamento e la sterilizzazione.
La Chiesa non ha mai accettato questa interpretazione del fenomeno, anche se veniva sbandierata come moderna e scientifica: per la morale cattolica gli omosessuali sono sempre state persone come le altre, pur facendo una scelta sbagliata, pur incorrendo in un peccato. Ma è preferibile essere giudicati peccatori piuttosto che essere mandati in prigione o in casa di cura.
Proprio perché la coscienza cattolica non è gravata da questo passato, da questa evidente ingiustizia nei confronti degli omosessuali, oggi può affrontare la questione del matrimonio gay in modo più equilibrato, può riflettere sui suoi effetti nella società. Può soprattutto far presente che non si tratta tanto di riconoscere dei diritti economici e civili – come l’assistenza in ospedale, o la possibilità di subentrare nell’affitto, tutte cose in Italia da tempo stabilite – quanto piuttosto di cambiare simbolicamente il significato di una istituzione fondante la società, come il matrimonio, e di conseguenza aprire alla possibilità che le coppie omosessuali siano riconosciute come genitori. Stupisce che una persona intelligente come Adriano Sofri liquidi la questione del significato del matrimonio come nucleo generativo della famiglia – e quindi necessariamente eterosessuale – dicendo che ragionando in questo modo non sarebbero considerati matrimoni quelli di coppie senza figli. Come se non fosse decisivo, in un contesto culturale, il significato simbolico di una istituzione, al di là di ogni sua realizzazione concreta. E non è un caso che Sofri scriva questo: nella sua celebrazione del risultato irlandese non parla delle possibili conseguenze del matrimonio omosessuale nel campo della procreazione. Come se si trattasse solo del coronamento di un amore romantico, un’esigenza ineluttabile. Senza rendersi conto che ormai la maggioranza dei giovani preferisce coronare il suo amore con un lucchetto su un ponte di una città europea piuttosto che in municipio. Anche se c’è il divorzio, e pure il divorzio breve.
Le perplessità di chiamare matrimonio l’unione – più che legittima e rispettabile fra due omosessuali – riguardano la trasformazione radicale che in questo modo viene impressa a un’istituzione fondamentale della nostra società, e la conseguente apertura di un altro problema, molto più spinoso: quello delle famiglie omosessuali.
Il Messaggero, 25 maggio 2015
Il Messaggero
(Lucetta Scaraffia) Nei commenti al risultato del referendum irlandese tutti hanno sottolineato l’eccezionalità positiva della scelta di un Paese cattolico. Un Paese cattolico che, in dissenso con la gerarchia della Chiesa, si dichiara favorevole al riconoscimento del matrimonio delle coppie omosessuali. Risultato considerato ancora più stupefacente dal momento che proprio in Irlanda – fino al 1993 – l’omosessualità era punita per legge.
Nessuno ha però notato che è stata proprio questa ingiusta colpevolizzazione dell’omosessualità – eccezionale per un Paese cattolico – a spingere gli irlandesi, vergognosi della loro arretratezza, a votare in favore della legge. Per di più, dobbiamo ricordarci che l’Irlanda è la patria di uno dei più celebri omosessuali della storia, quell’Oscar Wilde che la legge britannica costrinse in prigione per questo “delitto” nei primi anni del Novecento. Reclusione che gli ispirò uno dei più bei libri mai scritti sul significato della fede cristiana, De profundis. In realtà è molto probabile che ci sia una connessione fra l’assurda pratica repressiva nei confronti degli omosessuali in anni ancora recenti – atteggiamento che ha caratterizzato soprattutto i Paesi protestanti - e la rapida apertura al matrimonio gay oggi. Così come esiste un percepibile disagio nella definizione scientifica dell’omosessualità in contesti in cui, circa un secolo fa, la medicina eugenetica aveva classificato quest’ultima come una tara ereditaria, come minimo da curare ma spesso anche da risolvere con l’internamento e la sterilizzazione.
La Chiesa non ha mai accettato questa interpretazione del fenomeno, anche se veniva sbandierata come moderna e scientifica: per la morale cattolica gli omosessuali sono sempre state persone come le altre, pur facendo una scelta sbagliata, pur incorrendo in un peccato. Ma è preferibile essere giudicati peccatori piuttosto che essere mandati in prigione o in casa di cura.
Proprio perché la coscienza cattolica non è gravata da questo passato, da questa evidente ingiustizia nei confronti degli omosessuali, oggi può affrontare la questione del matrimonio gay in modo più equilibrato, può riflettere sui suoi effetti nella società. Può soprattutto far presente che non si tratta tanto di riconoscere dei diritti economici e civili – come l’assistenza in ospedale, o la possibilità di subentrare nell’affitto, tutte cose in Italia da tempo stabilite – quanto piuttosto di cambiare simbolicamente il significato di una istituzione fondante la società, come il matrimonio, e di conseguenza aprire alla possibilità che le coppie omosessuali siano riconosciute come genitori. Stupisce che una persona intelligente come Adriano Sofri liquidi la questione del significato del matrimonio come nucleo generativo della famiglia – e quindi necessariamente eterosessuale – dicendo che ragionando in questo modo non sarebbero considerati matrimoni quelli di coppie senza figli. Come se non fosse decisivo, in un contesto culturale, il significato simbolico di una istituzione, al di là di ogni sua realizzazione concreta. E non è un caso che Sofri scriva questo: nella sua celebrazione del risultato irlandese non parla delle possibili conseguenze del matrimonio omosessuale nel campo della procreazione. Come se si trattasse solo del coronamento di un amore romantico, un’esigenza ineluttabile. Senza rendersi conto che ormai la maggioranza dei giovani preferisce coronare il suo amore con un lucchetto su un ponte di una città europea piuttosto che in municipio. Anche se c’è il divorzio, e pure il divorzio breve.
Le perplessità di chiamare matrimonio l’unione – più che legittima e rispettabile fra due omosessuali – riguardano la trasformazione radicale che in questo modo viene impressa a un’istituzione fondamentale della nostra società, e la conseguente apertura di un altro problema, molto più spinoso: quello delle famiglie omosessuali.
Il Messaggero, 25 maggio 2015
Nessuno ha però notato che è stata proprio questa ingiusta colpevolizzazione dell’omosessualità – eccezionale per un Paese cattolico – a spingere gli irlandesi, vergognosi della loro arretratezza, a votare in favore della legge. Per di più, dobbiamo ricordarci che l’Irlanda è la patria di uno dei più celebri omosessuali della storia, quell’Oscar Wilde che la legge britannica costrinse in prigione per questo “delitto” nei primi anni del Novecento. Reclusione che gli ispirò uno dei più bei libri mai scritti sul significato della fede cristiana, De profundis. In realtà è molto probabile che ci sia una connessione fra l’assurda pratica repressiva nei confronti degli omosessuali in anni ancora recenti – atteggiamento che ha caratterizzato soprattutto i Paesi protestanti - e la rapida apertura al matrimonio gay oggi. Così come esiste un percepibile disagio nella definizione scientifica dell’omosessualità in contesti in cui, circa un secolo fa, la medicina eugenetica aveva classificato quest’ultima come una tara ereditaria, come minimo da curare ma spesso anche da risolvere con l’internamento e la sterilizzazione.
La Chiesa non ha mai accettato questa interpretazione del fenomeno, anche se veniva sbandierata come moderna e scientifica: per la morale cattolica gli omosessuali sono sempre state persone come le altre, pur facendo una scelta sbagliata, pur incorrendo in un peccato. Ma è preferibile essere giudicati peccatori piuttosto che essere mandati in prigione o in casa di cura.
Proprio perché la coscienza cattolica non è gravata da questo passato, da questa evidente ingiustizia nei confronti degli omosessuali, oggi può affrontare la questione del matrimonio gay in modo più equilibrato, può riflettere sui suoi effetti nella società. Può soprattutto far presente che non si tratta tanto di riconoscere dei diritti economici e civili – come l’assistenza in ospedale, o la possibilità di subentrare nell’affitto, tutte cose in Italia da tempo stabilite – quanto piuttosto di cambiare simbolicamente il significato di una istituzione fondante la società, come il matrimonio, e di conseguenza aprire alla possibilità che le coppie omosessuali siano riconosciute come genitori. Stupisce che una persona intelligente come Adriano Sofri liquidi la questione del significato del matrimonio come nucleo generativo della famiglia – e quindi necessariamente eterosessuale – dicendo che ragionando in questo modo non sarebbero considerati matrimoni quelli di coppie senza figli. Come se non fosse decisivo, in un contesto culturale, il significato simbolico di una istituzione, al di là di ogni sua realizzazione concreta. E non è un caso che Sofri scriva questo: nella sua celebrazione del risultato irlandese non parla delle possibili conseguenze del matrimonio omosessuale nel campo della procreazione. Come se si trattasse solo del coronamento di un amore romantico, un’esigenza ineluttabile. Senza rendersi conto che ormai la maggioranza dei giovani preferisce coronare il suo amore con un lucchetto su un ponte di una città europea piuttosto che in municipio. Anche se c’è il divorzio, e pure il divorzio breve.
Le perplessità di chiamare matrimonio l’unione – più che legittima e rispettabile fra due omosessuali – riguardano la trasformazione radicale che in questo modo viene impressa a un’istituzione fondamentale della nostra società, e la conseguente apertura di un altro problema, molto più spinoso: quello delle famiglie omosessuali.
Il Messaggero, 25 maggio 2015
cadono le maschere dei finti cristiani.....attenti Gesù ha detto :"Rimanete in me e io in voi. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui porta molto frutto perché senza di me non potete fare nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e poi secca: poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.” questa è la fine di chi decide di seguire lo spirito del mondo.....altro che misericordia sarà pianto e stridore di denti.....
RispondiEliminaGorgoglio e la sua gang sono l'anticristo. Ora venga qualche testa di vitello a negarlo.
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