San Giovanni Bosco e i Valdesi
Questo articolo riprende ed approfondisce i temi già trattati dall’articolo “Quando i valdesi tentarono di uccidere San Giovanni Bosco – intervista a Cristina Siccardi”, pubblicato su Riscossa Cristiana lo scorso 26 giugno. In particolare l’Autrice documenta alcune sarcastiche reazioni dei valdesi alla visita papale e risponde al commento del lettore Lucio Malan, uno dei fondatori del movimento «Sentieri Antichi Valdesi», fornendo ulteriori dati sul perdurare dell’avversione dei valdesi contro San Giovanni Bosco.
PD
San Giovanni Bosco e i Valdesi
di Cristina Siccardi
Se da una parte la comunità valdese è stata appagata dalla visita di Papa Francesco nel loro tempio di Torino, dall’altra ci sono state sarcastiche reazioni, che non possiamo tacere per dovere di informazione, ma, soprattutto, per amore dell’istituzione del Papato. Leggiamo infatti su «Riforma.it»[1]:
«L’invito del papa alla chiesa valdese di Torino il 22 giugno prossimo ha scatenato le reazioni sui social, in particolar modo da parte dei protestanti stessi. Diversi commenti sono negativi. Nei gruppi Facebook dove interagiscono maggiormente i protestanti e nei profili delle persone più social delle nostre chiese la discussione è stata molto accesa. Proprio come avviene nelle migliori famiglie.
Insomma, la reazione all’annuncio della visita di Francesco ha ricordato quelle vignette della Settimana enigmistica — settimanale di riferimento di chi scrive, oltre a Riforma — in cui la moglie dice al marito: «Domani sera viene mamma»; e lui risponde: «No, ma deve proprio?!»
Oppure la storica canzone di Elio e le Storie tese Cara ti amo, un dialogo surreale di una coppia sempre in tensione».
Questa dimostrazione di come viene desacralizzata la figura del Pontefice al di fuori del contesto cattolico (da quando esistono i protestanti il loro approccio anti-Roma si identifica con quello anti-Papa) oggi è presente anche e con profonda mestizia all’interno della stessa Chiesa, intimidita e umiliata dalla neociviltà postmoderna e neopagana; perciò il dolore che si percepisce in moltissimi cattolici è incommensurabile.
Fra i commenti all’articolo pubblicato su «Riscossa Cristiana» il 26 giugno scorso (Quando i valdesi tentarono di uccidere San Giovanni Bosco – intervista a Cristina Siccardi) c’è quello di Lucio Malan, uno dei fondatori del movimento «Sentieri Antichi Valdesi»:
«Su Don Bosco: in sostanza la stessa Siccardi afferma che non ci sono prove sui presunti tentativi valdesi di ucciderlo, altrimenti le autorità non dovevano perseguirle. Certo, se vi furono tentativi di ucciderlo poteva essere normale pensare ai valdesi, vista la sua ostilità verso di loro, ma in generale non c’è alcuna notizia di uccisione per motivi religiosi da parte dei valdesi al di fuori delle persecuzioni di cui erano oggetto. Purtroppo le notizie su Pio V sono vere, ma è anche vero ciò che dice Marco Crevani su pastori avventurieri. Infine: le atroci persecuzioni dei valdesi sono ampiamente documentate anche da fonti cattoliche».
A tali affermazioni rispondo come segue:
mentre oggi, dal Concilio Vaticano II in poi, una parte della Chiesa cerca, attraverso un dialogo impossibile (realisticamente parlando – senza utopie – non può esserci osmosi fra due fedi, ma tolleranza reciproca oppure conversione dall’uno all’altro credo), di svilire se stessa al fine di trovare una comunione con chi è orgogliosamente fiero di appartenere alla propria religione; da parte dei Valdesi, per attenerci agli ultimi accadimenti, l’atteggiamento è molto pericoloso: portare i cattolici verso i loro errori (si veda il chiaro discorso del moderatore della Tavola valdese, Eugenio Bernardini: http://www.chiesavaldese.org/aria_article_cat.php?ref=265 ). Inoltre, a riguardo di San Giovanni Bosco e per comprendere l’atteggiamento valdese, si veda come è stato considerato il passaggio a Chieri (TO) di una sua reliquia http://www.torinovaldese.org/archivio/NEWS_TO_100839.html».
Per quanto concerne, invece, gli attentati alla vita del Padre e Maestro dei giovani, e al grande formatore della santità sacerdotale del XIX secolo, confermo la piena attendibilità dei fatti che sono minuziosamente registrati nelle cronache della monumentale biografia del Santo piemontese[2], realizzata in 19 esaustivi tomi. Le prove, dunque, sono qui presentate con rigoroso scrupolo.
I Valdesi, per far desistere Don Bosco dalla sua instancabile disputa contro la loro eresia che disseminava errori a Torino ed altrove, presero a sfidarlo con accese discussioni animate dai dirigenti valdesi e, in particolare, dal celebre pastore Jean Pierre Meille, nato e morto a Luserna San Giovanni (TO), 1817- 1887, grande aggregatore, che portò alla fondazione di numerose società assistenziali e culturali della sua religione, fondando anche i primi giornali valdesi, L’ Echo des Vallées Vaudoises nel 1848 e La Buona Novella nel 1851. Nel 1855 promosse la nascita della Claudiana, casa editrice di riferimento del protestantesimo italiano.
Prendendo atto che con le dispute teologiche, filosofiche e catechetiche Don Bosco era sempre vincente perché portava sul tavolo argomentazioni inconfutabili, i Valdesi decisero di farlo tacere: alcuni di loro provarono con la corruzione, offrendogli denaro, altri con la violenza, progettando più piani delittuosi per eliminarlo definitivamente. Essendo diverse le descrizioni dei tentativi di uccidere Don Bosco riportiamo, in questa sede, quando tentarono di avvelenarlo; il fatto risalente al 1853 ed è presentato al capo LIX del Vol. IV (1904) delle Memorie biografiche di San Giovanni Bosco:
«Abbiamo esposto in uno dei capitoli precedenti come due ribaldi, venuti per intimare a D. Bosco che desistesse dallo scrivere Letture Cattoliche nell’uscire dalla sua camera avessero soggiunto con irato cipiglio: Ci rivedremo. Queste parole e le non oscure minacce lasciatesi sfuggire nel corso della loro conversazione danno il bandolo di una lunga serie di attentati contro la vita di D. Bosco. Essi furono tanti e così fraudolentemente preparati e violenti, che possiam dire senza esitazione, che fu solo per un tratto straordinario della divina Provvidenza, fu solo per miracolo, che D. Bosco ne scampò ogni volta.
[…] Una sera dopo cena stava D. Bosco facendo la consueta scuola serale, quando due uomini di tristo aspetto vennero [697] a chiamarlo, che andasse in fretta a Confessare un moribondo, in un sito poco distante, detto il Cuor d’oro. Sempre pronto al servizio delle anime, egli affida tosto ad un altro la sua classe, e si dispone a partire immantinente. Nell’uscire di casa, stante l’ora un po’ avanzata, gli venne in pensiero di menar seco alcuni dei giovani più grandicelli, affinchè gli facessero compagnia, e li chiama. – Non occorre che conduca giovani insieme, dissero quei due sconosciuti: noi stessi lo accompagneremo nell’andare e nel venire; e poi l’infermo potrebbe essere disturbato dalla loro presenza. – Non datevi pena di questo, soggiunse D. Bosco, i miei giovanotti hanno, piacere di fare una passeggiatina, e giunti alla camera del malato, si fermeranno al di fuori ai piedi della scala per tutto, il tempo ch’io passerò presso l’infermo. – E quei due, sebbene a malincuore, tacquero e lasciarono fare.
Arrivati alla casa destinata: – Entri un momento in questa stanza, dissero coloro, e noi andremo ad avvertire l’ammalato, della sua venuta. – I giovani, tra i quali Cigliuti, Gravano, Buzzetti, rimasero fuori, e D. Bosco entrò in una stanza a pian terreno, dove trovò una mezza dozzina di bontemponi, che dopo una lauta cena mangiavano o fingevano di mangiar castagne. Accolsero essi D. Bosco con molti segni di rispetto, lodandolo a cielo ed applaudendo. – Favorisca, sig. Don Bosco, di servirsi delle nostre castagne, gli disse poscia uno della brigata, porgendogli il piatto. – Non mi sento più di mangiare, rispos’egli; ho fatto cena solo poc’anzi e non prendo, più altro. – Almeno beverà un bicchiere del nostro vino, lo troverà buono, sa; viene dalle parti d’Asti, – Non mi sento; non sono abituato a bere fuori di pasto, e se bevessi mi farebbe male. – Oibò! Un piccolo bicchiere di buon vino non le farà male certamente, anzi le farà bene, aiuterà la digestione. Lei beverà dunque per farci piacere.
Ciò detto, colui dà di piglio ad una bottiglia posta sul tavolo e versa da bere nei bicchieri. Siccome studiosamente ne aveva messo uno di meno, così egli, versatone in tutti, va poscia a pigliare e bicchiere e bottiglia in disparte e ne mesce per D. Bosco. Non occorse d’avvantaggio, perchè questi si accorgesse del perverso loro divisamento, che era di fargli bere il veleno. Senza dare ad intendere che aveva scoperto la loro insidia, D. Bosco prende in mano il bicchiere colmo di spumeggiante vino e fa un brindisi alla salute di quei disgraziati; ma, invece di portarlo alle labbra, cerca di riporlo sul tavolo, ricusando di bere. – Non ci dia questo disgusto, cominciò a dire uno; non ci faccia questo insulto, soggiunse un altro: è un vino eccellente; vogliamo che lo assaggi alla nostra salute, gridarono tutti. – Ho già detto che non mi sento, ed ora aggiungo che non posso e non voglio bere, riprese D. Bosco. – Eppure bisogna che Lei beva ad ogni costo, esclamarono in coro quei furfanti. Poscia, dai detti passando ai fatti, uno di loro prese il povero prete per la spalla destra, un altro per la sinistra, dicendo: – Non possiamo tollerare questo insulto: se non vuol bere per amore, beverà per forza.
A questa violenza D. Bosco si trovò veramente tra l’incudine e il martello; e fu questo per lui certamente un brutto istante. Siccome l’usare contro di loro la forza non era nè prudente, nè facile, giudicò meglio ricorrere all’astuzia, e così fece. Disse pertanto: – Se assolutamente volete che io beva, lasciatemi in libertà, perchè prendendomi per le spalle e per le braccia mi fate tremare la mano e versare il vino. Ha ragione, risposero quelli, e si scostarono alquanto. Allora D. Bosco, colto il momento propizio, fa un lungo passo indietro, si avvicina all’uscio, che fortunatamente non era chiavato, perchè egli valicandone la soglia, aveva messo il piede [699] tra esso e il muro affinchè non si potesse chiudere, e quella brava gente non ci aveva badato: lo apre pertanto e invita i suoi giovani ad entrare. Lo spalancarsi improvvisamente dell’uscio e la comparsa di quattro o cinque giovanotti sui 18 e 20 anni pose freno alla tracotanza di coloro, il cui capo fattosi mogio disse: – Se non vuol bere, pazienza; lasci pure, e stia tranquillo. – Oh no; se non posso bere io, lo darò ad uno dei miei figli, che lo berranno in vece mia. – Non occorre, non occorre che altri beva, replicarono que’ sciagurati. – D. Bosco non avrebbe certamente dato ad altri quel bicchiere, ma così agiva per meglio scoprire la loro trama.
– Ma dov’è il moribondo? domandò allora D. Bosco; bisogna almeno che io lo veda. – Per coprire il loro vile attentato, uno di quei malfattori condusse il sacerdote in una camera al secondo piano. Colà invece di un malato, D. Bosco trovò coricato nel letto uno di quei due che era andato a chiamarlo all’Oratorio. D. Bosco gli fece tuttavia alcune domande, e quell’impostore matricolato, non ostante lo sforzo erculeo per contenersi, non potendone più, diede in uno scroscio di risa dicendo: Mi confesserò poi domani; e D. Bosco se ne partì, ringraziando in cuor suo il Signore di averlo per mezzo dei figli suoi protetto da quella mano di scellerati.
Avendo poi inteso per filo e per segno come erano andate le cose, alcuni giovani al domani fecero delle indagini intorno a questo fatto, e scoprirono che un cotale aveva pagato a quei vigliacchi una lauta cena, col patto che avessero fatto bere a D. Bosco un po’ di vino, che egli aveva preparato appositamente per lui. Coloro adunque erano compri sicarii.
Il sant’uomo non perdè mai più di memoria quel sito, e ancora negli ultimi mesi di sua vita, uscendo con alcuno di noi al passeggio, giunto a quel luogo ce lo indicava dicendo:
Ecco là la camera delle castagne».
Don Bosco, essendo Santo e non affidando la sua vita ad altri se non al Signore e alla Madonna, non presentò mai denuncia alle forze dell’ordine e senza denuncia le autorità non potevano procedere. Ecco perché polizia e magistratura non protessero mai Don Bosco; d’altro canto non va dimenticato che Don Bosco aveva molti nemici nelle istituzioni cittadine liberali e proprio perché liberali più in sintonia con le istanze civiche valdesi che a quelle del fondatore dei Salesiani (ricordiamo che Vittorio Emanuele II, il quale appoggiò la politica massonica anticlericale, era già salito al trono il 24 marzo 1849). Nelle Memorie biografiche, precedentemente citate, si trovano, allo stesso tempo, diversi attentati alla vita di Don Bosco pianificati e messi in atto proprio dalla liberalmassoneria.
Nell’anno dell’accadimento prima descritto ai danni del fondatore dei Salesiani, venne eretto il tempio valdese nella capitale del Regno subalpino: il primo edificato, dopo l’emancipazione del 1848, fuori dalle terre valdesi del pinerolese. La casa di preghiera protestante fu costruita in stile neogotico inglese nel Viale del Re (ora corso Vittorio Emanuele II): l’iniziativa venne osteggiata dai ferventi cattolici e fra essi, oltre a Don Bosco, la straordinaria e onesta figura del Conte Clemente Solaro della Margarita (1792- 1869).
Infine: le atroci persecuzioni a danno dei cattolici riempiono le pagine della storiografia. Se la Spagna, la maggior potenza cattolica del tempo (siamo nel XVI secolo), aveva espulso gli ebrei dal proprio territorio rinunciando così a convertirli, la Santa Sede percorse una strada diversa sia con gli ebrei che con i Valdesi, puntando alla conversione degli uni e degli altri, per questo le relazioni fra San Pio V (il Papa della battaglia di Lepanto) e i Valdesi, quelli che non rinunciarono all’eresia, furono di grande scontro. Allo stesso tempo ricordiamo che i Valdesi commisero omicidi ai danni dei cattolici, come si può evincere alla chiusa di questo articolo (http://www.corrispondenzaromana.it/lequivoco-perdono-degli-eretici-valdesi/ ).
Fra il XIV ed il XV secolo l’Italia settentrionale era infestata da numerose correnti religiose ed ideologiche errate, ma i Domenicani (domenicano era anche San Pio V di origini piemontesi) si dimostrarono sempre pronti a morire piuttosto che vedere alterata la retta fede. Il convento di Savigliano, nel cuneese, diede alla Chiesa in tale contesto storico tre beati martiri: Antonio Pavoni, Pietro Cambiani e Bartolomeo Cerveri, nonché il confessore Aimone Taparelli. Il martire Cerveri (1420-1466) nel 1451 venne nominato Inquisitore della fede per il Piemonte e la Liguria, compito pericoloso dato l’elevato numero di eretici. Il suo metodo missionario ottenne copiose conversioni (come d’altra parte accadrà per San Giovanni Bosco). La sua attività apostolica ed inquisitoria gli attirò l’odio dei Valdesi. Padre Cerveri era consapevole di essere chiamato a dare la vita e venne avvertito anche in modo soprannaturale della sua fine. Il 21 aprile 1466 si incamminò verso Cervere (CN) con i confratelli fra Giovanni Boscato e Gian Piero Riccardi. Si confessò con profonda contrizione ad uno dei due confratelli e poi confidò che quella sarebbe stata la prima ed ultima volta che si sarebbe recato in quel luogo, di cui il suo casato portava il nome: «Mi chiamo Bartolomeo da Cervere e mai vi ho messo piede, oggi vi andrò come Inquisitore per lasciarvi la vita». Lasciata Bra, a circa un chilometro da Cervere presso un avvallamento, che poi prese il nome di “la cumba dla mort”, i tre religiosi vennero circondati da cinque Valdesi, che ferirono gravemente uno di loro e colpirono mortalmente al ventre Bartolomeo con più colpi di lancia. Il martire spirò pregando per i suoi assassini.
Dopo la sua morte seguirono molti fatti miracolosi. Si narra che al momento stesso dell’eccidio, i saviglianesi videro il sole verso oriente, cioè in direzione di Cervere, mentre essendo sul far della sera esso avrebbe dovuto ormai tramontare ad occidente. «Sul luogo del delitto, ove oggi sorge una cappella in suo onore, crebbe un albero i cui rami e le cui fronde assunsero la conformazione di una croce. Merita infine ricordare ancora un episodio inspiegabile, cioè che dal corpo del martire non fuoriuscì alcuna goccia di sangue sino a quando, quattro mesi dopo, i saviglianesi ed i domenicani giunsero nella chiesa di Cervere per riavere il suo corpo. Solo allora, dunque, fuoriuscirono rivoli di sangue dalle numerose ferite, tra lo stupore generale» (http://www.santiebeati.it/dettaglio/90756 ). Giunta a Savigliano, la salma fu sepolta con grandi onori e ottenne numerose grazie; fu così che il domenicano martire iniziò ad essere invocato contro la folgore e la grandine. Nel 1802, con la soppressione del convento saviglianese, si rese necessario traslare nuovamente a Cervere le sue reliquie, ove ancora oggi riposano in un’urna sotto l’altar maggiore della chiesa parrocchiale. Il beato Pio IX il 22 settembre 1853 confermò il culto “ab immemorabili”.
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[1] «Riforma» è l’organo di informazione delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi in Italia. Nato nel 1993 come settimanale cartaceo, dall’autunno 2014 il suo progetto editoriale si articolerà in quattro prodotti:
San Giovanni Bosco e i Valdesi
di Cristina Siccardi
Se da una parte la comunità valdese è stata appagata dalla visita di Papa Francesco nel loro tempio di Torino, dall’altra ci sono state sarcastiche reazioni, che non possiamo tacere per dovere di informazione, ma, soprattutto, per amore dell’istituzione del Papato. Leggiamo infatti su «Riforma.it»[1]:
«L’invito del papa alla chiesa valdese di Torino il 22 giugno prossimo ha scatenato le reazioni sui social, in particolar modo da parte dei protestanti stessi. Diversi commenti sono negativi. Nei gruppi Facebook dove interagiscono maggiormente i protestanti e nei profili delle persone più social delle nostre chiese la discussione è stata molto accesa. Proprio come avviene nelle migliori famiglie.
Insomma, la reazione all’annuncio della visita di Francesco ha ricordato quelle vignette della Settimana enigmistica — settimanale di riferimento di chi scrive, oltre a Riforma — in cui la moglie dice al marito: «Domani sera viene mamma»; e lui risponde: «No, ma deve proprio?!»
Oppure la storica canzone di Elio e le Storie tese Cara ti amo, un dialogo surreale di una coppia sempre in tensione».
Questa dimostrazione di come viene desacralizzata la figura del Pontefice al di fuori del contesto cattolico (da quando esistono i protestanti il loro approccio anti-Roma si identifica con quello anti-Papa) oggi è presente anche e con profonda mestizia all’interno della stessa Chiesa, intimidita e umiliata dalla neociviltà postmoderna e neopagana; perciò il dolore che si percepisce in moltissimi cattolici è incommensurabile.
Fra i commenti all’articolo pubblicato su «Riscossa Cristiana» il 26 giugno scorso (Quando i valdesi tentarono di uccidere San Giovanni Bosco – intervista a Cristina Siccardi) c’è quello di Lucio Malan, uno dei fondatori del movimento «Sentieri Antichi Valdesi»:
«Su Don Bosco: in sostanza la stessa Siccardi afferma che non ci sono prove sui presunti tentativi valdesi di ucciderlo, altrimenti le autorità non dovevano perseguirle. Certo, se vi furono tentativi di ucciderlo poteva essere normale pensare ai valdesi, vista la sua ostilità verso di loro, ma in generale non c’è alcuna notizia di uccisione per motivi religiosi da parte dei valdesi al di fuori delle persecuzioni di cui erano oggetto. Purtroppo le notizie su Pio V sono vere, ma è anche vero ciò che dice Marco Crevani su pastori avventurieri. Infine: le atroci persecuzioni dei valdesi sono ampiamente documentate anche da fonti cattoliche».
A tali affermazioni rispondo come segue:
mentre oggi, dal Concilio Vaticano II in poi, una parte della Chiesa cerca, attraverso un dialogo impossibile (realisticamente parlando – senza utopie – non può esserci osmosi fra due fedi, ma tolleranza reciproca oppure conversione dall’uno all’altro credo), di svilire se stessa al fine di trovare una comunione con chi è orgogliosamente fiero di appartenere alla propria religione; da parte dei Valdesi, per attenerci agli ultimi accadimenti, l’atteggiamento è molto pericoloso: portare i cattolici verso i loro errori (si veda il chiaro discorso del moderatore della Tavola valdese, Eugenio Bernardini: http://www.chiesavaldese.org/aria_article_cat.php?ref=265 ). Inoltre, a riguardo di San Giovanni Bosco e per comprendere l’atteggiamento valdese, si veda come è stato considerato il passaggio a Chieri (TO) di una sua reliquia http://www.torinovaldese.org/archivio/NEWS_TO_100839.html».
Per quanto concerne, invece, gli attentati alla vita del Padre e Maestro dei giovani, e al grande formatore della santità sacerdotale del XIX secolo, confermo la piena attendibilità dei fatti che sono minuziosamente registrati nelle cronache della monumentale biografia del Santo piemontese[2], realizzata in 19 esaustivi tomi. Le prove, dunque, sono qui presentate con rigoroso scrupolo.
I Valdesi, per far desistere Don Bosco dalla sua instancabile disputa contro la loro eresia che disseminava errori a Torino ed altrove, presero a sfidarlo con accese discussioni animate dai dirigenti valdesi e, in particolare, dal celebre pastore Jean Pierre Meille, nato e morto a Luserna San Giovanni (TO), 1817- 1887, grande aggregatore, che portò alla fondazione di numerose società assistenziali e culturali della sua religione, fondando anche i primi giornali valdesi, L’ Echo des Vallées Vaudoises nel 1848 e La Buona Novella nel 1851. Nel 1855 promosse la nascita della Claudiana, casa editrice di riferimento del protestantesimo italiano.
Prendendo atto che con le dispute teologiche, filosofiche e catechetiche Don Bosco era sempre vincente perché portava sul tavolo argomentazioni inconfutabili, i Valdesi decisero di farlo tacere: alcuni di loro provarono con la corruzione, offrendogli denaro, altri con la violenza, progettando più piani delittuosi per eliminarlo definitivamente. Essendo diverse le descrizioni dei tentativi di uccidere Don Bosco riportiamo, in questa sede, quando tentarono di avvelenarlo; il fatto risalente al 1853 ed è presentato al capo LIX del Vol. IV (1904) delle Memorie biografiche di San Giovanni Bosco:
«Abbiamo esposto in uno dei capitoli precedenti come due ribaldi, venuti per intimare a D. Bosco che desistesse dallo scrivere Letture Cattoliche nell’uscire dalla sua camera avessero soggiunto con irato cipiglio: Ci rivedremo. Queste parole e le non oscure minacce lasciatesi sfuggire nel corso della loro conversazione danno il bandolo di una lunga serie di attentati contro la vita di D. Bosco. Essi furono tanti e così fraudolentemente preparati e violenti, che possiam dire senza esitazione, che fu solo per un tratto straordinario della divina Provvidenza, fu solo per miracolo, che D. Bosco ne scampò ogni volta.
[…] Una sera dopo cena stava D. Bosco facendo la consueta scuola serale, quando due uomini di tristo aspetto vennero [697] a chiamarlo, che andasse in fretta a Confessare un moribondo, in un sito poco distante, detto il Cuor d’oro. Sempre pronto al servizio delle anime, egli affida tosto ad un altro la sua classe, e si dispone a partire immantinente. Nell’uscire di casa, stante l’ora un po’ avanzata, gli venne in pensiero di menar seco alcuni dei giovani più grandicelli, affinchè gli facessero compagnia, e li chiama. – Non occorre che conduca giovani insieme, dissero quei due sconosciuti: noi stessi lo accompagneremo nell’andare e nel venire; e poi l’infermo potrebbe essere disturbato dalla loro presenza. – Non datevi pena di questo, soggiunse D. Bosco, i miei giovanotti hanno, piacere di fare una passeggiatina, e giunti alla camera del malato, si fermeranno al di fuori ai piedi della scala per tutto, il tempo ch’io passerò presso l’infermo. – E quei due, sebbene a malincuore, tacquero e lasciarono fare.
Arrivati alla casa destinata: – Entri un momento in questa stanza, dissero coloro, e noi andremo ad avvertire l’ammalato, della sua venuta. – I giovani, tra i quali Cigliuti, Gravano, Buzzetti, rimasero fuori, e D. Bosco entrò in una stanza a pian terreno, dove trovò una mezza dozzina di bontemponi, che dopo una lauta cena mangiavano o fingevano di mangiar castagne. Accolsero essi D. Bosco con molti segni di rispetto, lodandolo a cielo ed applaudendo. – Favorisca, sig. Don Bosco, di servirsi delle nostre castagne, gli disse poscia uno della brigata, porgendogli il piatto. – Non mi sento più di mangiare, rispos’egli; ho fatto cena solo poc’anzi e non prendo, più altro. – Almeno beverà un bicchiere del nostro vino, lo troverà buono, sa; viene dalle parti d’Asti, – Non mi sento; non sono abituato a bere fuori di pasto, e se bevessi mi farebbe male. – Oibò! Un piccolo bicchiere di buon vino non le farà male certamente, anzi le farà bene, aiuterà la digestione. Lei beverà dunque per farci piacere.
Ciò detto, colui dà di piglio ad una bottiglia posta sul tavolo e versa da bere nei bicchieri. Siccome studiosamente ne aveva messo uno di meno, così egli, versatone in tutti, va poscia a pigliare e bicchiere e bottiglia in disparte e ne mesce per D. Bosco. Non occorse d’avvantaggio, perchè questi si accorgesse del perverso loro divisamento, che era di fargli bere il veleno. Senza dare ad intendere che aveva scoperto la loro insidia, D. Bosco prende in mano il bicchiere colmo di spumeggiante vino e fa un brindisi alla salute di quei disgraziati; ma, invece di portarlo alle labbra, cerca di riporlo sul tavolo, ricusando di bere. – Non ci dia questo disgusto, cominciò a dire uno; non ci faccia questo insulto, soggiunse un altro: è un vino eccellente; vogliamo che lo assaggi alla nostra salute, gridarono tutti. – Ho già detto che non mi sento, ed ora aggiungo che non posso e non voglio bere, riprese D. Bosco. – Eppure bisogna che Lei beva ad ogni costo, esclamarono in coro quei furfanti. Poscia, dai detti passando ai fatti, uno di loro prese il povero prete per la spalla destra, un altro per la sinistra, dicendo: – Non possiamo tollerare questo insulto: se non vuol bere per amore, beverà per forza.
A questa violenza D. Bosco si trovò veramente tra l’incudine e il martello; e fu questo per lui certamente un brutto istante. Siccome l’usare contro di loro la forza non era nè prudente, nè facile, giudicò meglio ricorrere all’astuzia, e così fece. Disse pertanto: – Se assolutamente volete che io beva, lasciatemi in libertà, perchè prendendomi per le spalle e per le braccia mi fate tremare la mano e versare il vino. Ha ragione, risposero quelli, e si scostarono alquanto. Allora D. Bosco, colto il momento propizio, fa un lungo passo indietro, si avvicina all’uscio, che fortunatamente non era chiavato, perchè egli valicandone la soglia, aveva messo il piede [699] tra esso e il muro affinchè non si potesse chiudere, e quella brava gente non ci aveva badato: lo apre pertanto e invita i suoi giovani ad entrare. Lo spalancarsi improvvisamente dell’uscio e la comparsa di quattro o cinque giovanotti sui 18 e 20 anni pose freno alla tracotanza di coloro, il cui capo fattosi mogio disse: – Se non vuol bere, pazienza; lasci pure, e stia tranquillo. – Oh no; se non posso bere io, lo darò ad uno dei miei figli, che lo berranno in vece mia. – Non occorre, non occorre che altri beva, replicarono que’ sciagurati. – D. Bosco non avrebbe certamente dato ad altri quel bicchiere, ma così agiva per meglio scoprire la loro trama.
– Ma dov’è il moribondo? domandò allora D. Bosco; bisogna almeno che io lo veda. – Per coprire il loro vile attentato, uno di quei malfattori condusse il sacerdote in una camera al secondo piano. Colà invece di un malato, D. Bosco trovò coricato nel letto uno di quei due che era andato a chiamarlo all’Oratorio. D. Bosco gli fece tuttavia alcune domande, e quell’impostore matricolato, non ostante lo sforzo erculeo per contenersi, non potendone più, diede in uno scroscio di risa dicendo: Mi confesserò poi domani; e D. Bosco se ne partì, ringraziando in cuor suo il Signore di averlo per mezzo dei figli suoi protetto da quella mano di scellerati.
Avendo poi inteso per filo e per segno come erano andate le cose, alcuni giovani al domani fecero delle indagini intorno a questo fatto, e scoprirono che un cotale aveva pagato a quei vigliacchi una lauta cena, col patto che avessero fatto bere a D. Bosco un po’ di vino, che egli aveva preparato appositamente per lui. Coloro adunque erano compri sicarii.
Il sant’uomo non perdè mai più di memoria quel sito, e ancora negli ultimi mesi di sua vita, uscendo con alcuno di noi al passeggio, giunto a quel luogo ce lo indicava dicendo:
Ecco là la camera delle castagne».
Don Bosco, essendo Santo e non affidando la sua vita ad altri se non al Signore e alla Madonna, non presentò mai denuncia alle forze dell’ordine e senza denuncia le autorità non potevano procedere. Ecco perché polizia e magistratura non protessero mai Don Bosco; d’altro canto non va dimenticato che Don Bosco aveva molti nemici nelle istituzioni cittadine liberali e proprio perché liberali più in sintonia con le istanze civiche valdesi che a quelle del fondatore dei Salesiani (ricordiamo che Vittorio Emanuele II, il quale appoggiò la politica massonica anticlericale, era già salito al trono il 24 marzo 1849). Nelle Memorie biografiche, precedentemente citate, si trovano, allo stesso tempo, diversi attentati alla vita di Don Bosco pianificati e messi in atto proprio dalla liberalmassoneria.
Nell’anno dell’accadimento prima descritto ai danni del fondatore dei Salesiani, venne eretto il tempio valdese nella capitale del Regno subalpino: il primo edificato, dopo l’emancipazione del 1848, fuori dalle terre valdesi del pinerolese. La casa di preghiera protestante fu costruita in stile neogotico inglese nel Viale del Re (ora corso Vittorio Emanuele II): l’iniziativa venne osteggiata dai ferventi cattolici e fra essi, oltre a Don Bosco, la straordinaria e onesta figura del Conte Clemente Solaro della Margarita (1792- 1869).
Infine: le atroci persecuzioni a danno dei cattolici riempiono le pagine della storiografia. Se la Spagna, la maggior potenza cattolica del tempo (siamo nel XVI secolo), aveva espulso gli ebrei dal proprio territorio rinunciando così a convertirli, la Santa Sede percorse una strada diversa sia con gli ebrei che con i Valdesi, puntando alla conversione degli uni e degli altri, per questo le relazioni fra San Pio V (il Papa della battaglia di Lepanto) e i Valdesi, quelli che non rinunciarono all’eresia, furono di grande scontro. Allo stesso tempo ricordiamo che i Valdesi commisero omicidi ai danni dei cattolici, come si può evincere alla chiusa di questo articolo (http://www.corrispondenzaromana.it/lequivoco-perdono-degli-eretici-valdesi/ ).
Fra il XIV ed il XV secolo l’Italia settentrionale era infestata da numerose correnti religiose ed ideologiche errate, ma i Domenicani (domenicano era anche San Pio V di origini piemontesi) si dimostrarono sempre pronti a morire piuttosto che vedere alterata la retta fede. Il convento di Savigliano, nel cuneese, diede alla Chiesa in tale contesto storico tre beati martiri: Antonio Pavoni, Pietro Cambiani e Bartolomeo Cerveri, nonché il confessore Aimone Taparelli. Il martire Cerveri (1420-1466) nel 1451 venne nominato Inquisitore della fede per il Piemonte e la Liguria, compito pericoloso dato l’elevato numero di eretici. Il suo metodo missionario ottenne copiose conversioni (come d’altra parte accadrà per San Giovanni Bosco). La sua attività apostolica ed inquisitoria gli attirò l’odio dei Valdesi. Padre Cerveri era consapevole di essere chiamato a dare la vita e venne avvertito anche in modo soprannaturale della sua fine. Il 21 aprile 1466 si incamminò verso Cervere (CN) con i confratelli fra Giovanni Boscato e Gian Piero Riccardi. Si confessò con profonda contrizione ad uno dei due confratelli e poi confidò che quella sarebbe stata la prima ed ultima volta che si sarebbe recato in quel luogo, di cui il suo casato portava il nome: «Mi chiamo Bartolomeo da Cervere e mai vi ho messo piede, oggi vi andrò come Inquisitore per lasciarvi la vita». Lasciata Bra, a circa un chilometro da Cervere presso un avvallamento, che poi prese il nome di “la cumba dla mort”, i tre religiosi vennero circondati da cinque Valdesi, che ferirono gravemente uno di loro e colpirono mortalmente al ventre Bartolomeo con più colpi di lancia. Il martire spirò pregando per i suoi assassini.
Dopo la sua morte seguirono molti fatti miracolosi. Si narra che al momento stesso dell’eccidio, i saviglianesi videro il sole verso oriente, cioè in direzione di Cervere, mentre essendo sul far della sera esso avrebbe dovuto ormai tramontare ad occidente. «Sul luogo del delitto, ove oggi sorge una cappella in suo onore, crebbe un albero i cui rami e le cui fronde assunsero la conformazione di una croce. Merita infine ricordare ancora un episodio inspiegabile, cioè che dal corpo del martire non fuoriuscì alcuna goccia di sangue sino a quando, quattro mesi dopo, i saviglianesi ed i domenicani giunsero nella chiesa di Cervere per riavere il suo corpo. Solo allora, dunque, fuoriuscirono rivoli di sangue dalle numerose ferite, tra lo stupore generale» (http://www.santiebeati.it/dettaglio/90756 ). Giunta a Savigliano, la salma fu sepolta con grandi onori e ottenne numerose grazie; fu così che il domenicano martire iniziò ad essere invocato contro la folgore e la grandine. Nel 1802, con la soppressione del convento saviglianese, si rese necessario traslare nuovamente a Cervere le sue reliquie, ove ancora oggi riposano in un’urna sotto l’altar maggiore della chiesa parrocchiale. Il beato Pio IX il 22 settembre 1853 confermò il culto “ab immemorabili”.
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[1] «Riforma» è l’organo di informazione delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi in Italia. Nato nel 1993 come settimanale cartaceo, dall’autunno 2014 il suo progetto editoriale si articolerà in quattro prodotti:
- il nuovo portale www.riforma.it,
- il quotidiano on-line Riforma (con una newsletter pubblicata dal lunedì al venerdì: il primo numero uscirà il 29 settembre),
- il settimanale cartaceo Riforma – L’Eco delle Valli Valdesi (che esce ogni venerdì – agli abbonati alla versione on-line arriva in formato PDF il mercoledì precedente)
- il supplemento mensile L’Eco delle Valli Valdesi, dal 3 ottobre distribuito gratuitamente negli esercizi commerciali del territorio delle Valli valdesi (Val Pellice, Chisone e Germanasca e zona urbana di Pinerolo), in Piemonte.
Oramai il "vescovo di roma"é un VALDESE D.O.C.
RispondiEliminaChe Gesú ci aiuti .