ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 20 agosto 2015

I soliti noti..


Cremisan: ruspe in azione

Cremisan: ruspe in azione

BETLEMME – Bulldozer israeliani sono entrati in azione nella Valle di Cremisan, per la costruzione del Muro di Separazione. Molti alberi di ulivo sono stati già sradicati, secondo quanto riportato dalla società “Saint Yves”, e come documentato anche da fotografie.
La Società “Saint Yves”, Centro cattolico per i diritti umani, ha pubblicato lefoto sui suoi account Facebook e Twitter. In essi si possono vedere ruspe che sradicano gli ulivi, nei pressi di Beit Jala.
Solo pochi giorni fa, una nuova richiesta era stata presentata alla Corte Suprema israeliana da parte dell’organizzazione. La Società chiedeva infatti al Ministero israeliano della Difesa di presentare il nuovo tracciato del muro di separazione, prima di iniziarne la costruzione. E una decisione della Corte di giustizia era attesa.
Come promemoria, ricordiamo che una disposizione della Corte Suprema di Israele, nel mese di luglio, aveva approvato la costruzione del Muro di separazione nella Valle, che verrebbe divisa a metà. Il monastero e il convento salesiano rimarrebbero dalla parte palestinese, mentre le 58 famiglie cristiane della Valle vedrebbero le loro terre e case andare dal lato israeliano del muro.
Manuella Affejee

ISRAELE - PALESTINA
Leader palestinese: Il muro di Cremisan, nuovo ostacolo sul cammino della pace 
La Corte suprema israeliana, con un verdetto a sorpresa, ha dato ieri parere favorevole alla costruzione del muro. Il prof Sabella denuncia la politica di “confisca” dei terreni che “va contro i diritti umani” del popolo palestinese. Una decisione che “sconvolge” e una ulteriore “negazione del principio di giustizia”. Nessun rapporto con la firma fra Palestina e Santa Sede. 

Gerusalemme (AsiaNews) - Con questa decisione "Israele intende mettere ancora più pressione” in tema di sicurezza, sebbene questa politica di divisioni e “confisca delle terre dei palestinesi” sia un “nonsenso” che “non aiuta il processo di pace”. È quanto afferma ad AsiaNews il prof. Bernard Sabella, cattolico, rappresentante di Fatah per Gerusalemme e segretario esecutivo del servizio ai rifugiati palestinesi del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente. Con un verdetto a sorpresa ieri la Corte suprema israeliana ha concesso il via libera alla costruzione del muro di separazione tra Israele e Palestina nella valle del Cremisan, nei pressi della cittadina palestinese di Beit Jala. Il principio di “espropriare e costruire il muro”, aggiunge il leader cattolico, “va contro i diritti umani e le legittime rivendicazioni dei palestinesi”. 
Il verdetto dei giudici è un via libera ulteriore alle politiche nazionaliste e intransigenti promosse dal premier Benjamin Netanyahu, che vede nel muro una garanzia contro possibili attacchi terroristi. Secondo alcuni la sentenza potrebbe essere una risposta alla alla recente firma dell’Accordo globale fra Santa Sede e Stato di Palestina, anche se il prof. Sabella si mostra scettico e la giudica piuttosto “una continuazione della politica di espropriazione delle terre avviata da Israele”. E non vi sono legami, precisa, “con la decisione presa dalla Santa Sede”.
Questa scelta, prosegue l’intellettuale e politico cattolico, “ci sconvolge” ed è una ulteriore “negazione del principio di giustizia” per il popolo della Palestina. In nome della sicurezza, aggiunge, “hanno alienato i terreni” e questo mostra che “Israele non è abbastanza coraggiosa per perseguire una reale politica di pace. A loro non importa seguire progetti e programmi che alimentano il risentimento, l’obiettivo ultimo è la sicurezza e questa supera i diritti delle persone”. 
La sentenza della Corte sconfessa un pronunciamento dello scorso aprile, che avrebbe dovuto avere un carattere definitivo e mettere fine a una controversia in atto da almeno otto anni. In quel frangente i giudici avrebbero bocciato l’idea del muro anche se alcuni giuristi, interpellati da AsiaNews, affermano che il non aveva affatto “bloccato” il progetto ma “precisato alcuni termini” della eventuale realizzazione. 
Ora Israele potrà ricominciare i lavori, con una piccola variazione rispetto al progetto iniziale. In particolare, la scuola e i due conventi dei salesiani si troveranno sempre in territorio palestinese, e potranno essere raggiunti attraverso Beit Jala; di contro, il muro assegnerà alla parte israeliana i fondi agricoli della valle di Cremisan, appartenenti a 58 famiglie palestinesi dell’area. 
In passato i rappresentanti delle Chiese cattoliche di Terra Santa hanno condannato l’ipotesi di realizzazione del muro di Cremisan, peraltro già giudicata illegale da una sentenza della Corte internazionale di giustizia risalente al 2004. Con il muro vi è in ballo anche la sopravvivenza di 58 famiglie cristiane del villaggio palestinese di Beit Jala è in pericolo. Il loro sostentamento dipende principalmente dai 300 ettari di terreno che resteranno al di là del muro. La comunità perderà una delle sue ultime grandi aree agricole e ricreative, diverse fonti di acqua potabile fondamentali per irrigare le coltivazioni. 
Situata a pochi chilometri da Betlemme e famosa per la produzione vinicola e per i suoi uliveti, la valle di Cremisan è considerata una sorta dui polmone verde per i villaggi limitrofi, caratterizzati da sovrappopolazione e mancanza d'acqua. La separazione del territorio renderà di fatto impossibile la sopravvivenza della popolazione palestinese, che vive senza un reddito fisso e contribuirà all'esodo dei cristiani dalla Terra Santa.(DS)
http://www.asianews.it/notizie-it/Leader-palestinese:-Il-muro-di-Cremisan,-nuovo-ostacolo-sul-cammino-della-pace-34720.html#

Terra Santa, sradicati gli ulivi per il muro al Cremisan


Twal nella Valle del Cremisan
(©LaPresse)
(©LAPRESSE) TWAL NELLA VALLE DEL CREMISAN

Bulldozer in azione a Beit Jala nella zona da nove anni al centro di una battaglia giudiziaria tra l'esercito israeliano e 58 famiglie cristiane palestinesi

GIORGIO BERNARDELLIROMA

Sono arrivati i bulldozer ad abbattere i primi ulivi nella Valle del Cremisan. Dopo che all'inizio di luglio - con un clamoroso dietrofront rispetto a una sua sentenza di appena tre mesi prima - la Corte suprema israeliana ha dato il via libera, ieri l'esercito israeliano ha cominciato a sradicare gli ulivi di cinque famiglie cristiane palestinesi per la costruzione della «barriera di separazione» nella zona di Beit Jala, poco lontana da Betlemme. Sembra dunque vicina a un epilogo amaro la battaglia giudiziaria che da nove anni ormai vede 58 famiglie cristiane della Terra Santa - con il sostegno aperto del patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal - cercare di difendere i loro terreni minacciati dal tracciato scelto dalle autorità israeliane per l'alto muro di cemento che divide Israele dai Territori abitati dai palestinesi.

Quanto accaduto negli ultimi mesi ha davvero il sapore di una beffa per i palestinesi di Beit Jala: l'Alta Corte di Giustizia israeliana, infatti, il 2 aprile, aveva accolto le obiezioni presentate dalla Società di Sant'Yves, un organismo cattolico di Gerusalemme, secondo cui il tracciato scelto fin dal 2006 dal Ministero della Difesa per la costruzione del muro nella Valle del Cremisan non era affatto l'unico possibile. L'accusa è che sia stato scelto deliberatamente per permettere un possibile futuro ampliamento del vicini insediamenti israeliani di Gilo e Har Gilo, privando contemporaneamente 58 famiglie palestinesi della proprietà sugli ulivi che coltivano da sempre. Ad aggravare le cose c'era inoltre il problema dei due conventi salesiani che - nel progetto originario - sarebbero stati addirittura divisi e inaccessibili ai 450 ragazzi palestinesi che frequentano le loro scuole. Per questi motivi l'Alta Corte aveva invitato espressamente il Ministero della Difesa a presentare un tracciato alternativo che recasse meno danni possibili alla popolazione locale. E il patriarca Twal aveva salutato questa decisione come una «vittoria della stessa giustizia israeliana».

Lo scorso 6 luglio - però - c'è stato un clamoroso dietrofront: la medesima Corte suprema ha dato il via libera all'inizio dei lavori per la costruzione del muro nella valle del Cremisan, accontentandosi dell'assicurazione da parte del Ministero della Difesa che l'area dei due conventi non sarà toccata. Una posizione apparentemente contraddittoria, che non tiene più in alcuna considerazione i diritti delle 58 famiglie palestinesi e che - in un'intervista rilasciata all'agenzia Fides - il vicario del patriarca latino, monsignor William Shomali, ipotizzava poter essere «una reazione al recente riconoscimento ufficiale dello Stato di Palestina da parte della Santa Sede».

Contro questa decisione la Società di Sant'Yves il 30 luglio aveva presentato un nuovo ricorso d'urgenza all'Alta Corte di Giustizia, chiedendo che fosse bloccato l'inizio dei lavori almeno fino a quando non sia stato consegnato a tutte le parti l'intero nuovo tracciato del muro nella Valle del Cremisan, come richiesto dalla sentenza di aprile. Prima ancora della pronuncia della Corte suprema su quest'ultima richiesta - però - ieri il Ministero della Difesa ha inviato le ruspe ad abbattere i primi ulivi aprendo così il cantiere.

La notizia è stata accolta con sconcerto dalla comunità cristiana di Beit Jala che ha risposto con il gesto che da anni ormai accompagna questa battaglia: stamattina si sono recati insieme a pregare tra gli ulivi tagliati, esprimendo il proprio dolore ma anche la loro protesta per quanto sta accadendo.

https://www.youtube.com/watch?v=ylKMQnD4QfQ
https://www.youtube.com/watch?v=BqFme3j8zpY
https://www.youtube.com/watch?v=EMzTCrSjrKA


Massacro di Boko Haram, muoiono in 150: molti annegano nella fuga

La carneficina il 13 agosto scorso nel villaggio di Kukuwa Gari nello stato di Yobe già martoriato dalle violenze. I corpi recuperati anche a chilometri di distanza 

Almeno 150 persone sono state uccise o sono morte annegate in un fiume a nordest della Nigeria mentre tentavano di fuggire alle violenze degli estremisti islamici di Boko Haram. Lo riferisce PressTv. Il massacro è avvenuto il 13 agosto scorso, ma la notizia è stata diffusa solo successivamente dopo il racconto dei testimoni. Le autorità locali rivedono al ribasso il bilancio delle vittime e parlano di 50 morti ma i testimoni oculari indicano un numero molto più alto.
DISTRUTTE LE ANTENNE PER LE TELECOMUNICAZIONI
L’attacco, hanno raccontato, è avvenuto nel remoto villaggio di Kukuwa-Gari, nello stato nord-orientale di Yobe, martoriato dalle violenze. Gli integralisti islamici hanno assalito il villaggio a bordo di moto e di un’auto, costringendo gli abitanti a fuggire. A quel punto hanno aperto il fuoco: molte persone sono cadute nel fiume nel tentativo di fuggire ai colpi e sono morti annegati. I testimoni hanno riferito che i corpi di diverse persone sono stati recuperati a diversi chilometri di distanza. La notizia del massacro è stata diffusa solo oggi in quanto i terroristi hanno distrutto le antenne per la telecomunicazione intorno al villaggio e non ci sarebbero .
LA FORZA MULTINAZIONALE TRA RITARDI E DIFFICOLTÀ
Nonostante il dispiegamento di una vasta operazione militare della Task force multinazionale, che unisce diversi Paesi africani, per sconfiggere il gruppo jihadista che vuole imporre la sharia nel nord del Paese, senza risparmiare i civili, compresi donne e bambini. Come gli abitanti del piccolo villaggio colpito il 13 agosto, e come le vittime dell'attentato di appena due giorni prima: 50 persone uccise da una donna kamikaze che si è fatta esplodere nel mercato di Sabon Sari. Negli ultimi mesi l'esercito nigeriano ha compiuto diverse offensive per distruggere i campi di Boko Haram, liberando centinaia di persone prese in ostaggio dagli estremisti: 178 solo due settimane fa, per la maggior parte donne e bambini. Un'altra settantina di persone sono state liberate l'11 agosto anche nel confinante Camerun, dove Boko Haram ha esteso il proprio raggio d'azione. Lo scorso novembre si sarebbe dovuta dispiegare una forza multinazionale di quasi novemila mila uomini provenienti da cinque Paesi, per dare una svolta a questa guerra che finora ha prodotto oltre ventimila morti in sei anni. Ma le operazioni sono iniziate con molto ritardo, soltanto il mese scorso, anche per via dei difficili rapporti tra governo nigeriano e i suoi vicini. L'ultima ondata di violenza ha fatto seguito all'elezione in maggio del nuovo presidente Muhammadu Buhari, musulmano del nord. Da allora i morti accertati sono circa mille. I miliziani di Boko Haram, tra l'altro, sono sempre molti e ben armati, e non di rado rispondono ai raid dei governativi vendicandosi contro i loro stessi villaggi.

Il Presidente della Nigeria accusa gli Stati Uniti: siete voi che appoggiate il gruppo terrorista di Boko Haram.

Il presidente della Nigeria accusa Washington ci appoggiare il gruppo terrorista di Boko Haram, così come richiede al Ministero della Difesa di adoperarsi per ottenere l’indipendenza di armamento del suo paese.
Muhammadu Buhari, nel corso di una conferenza con i graduati dell’accademia militare del paese, citata la Domenica dai media francesi, has dichiarato che gli Stati Uniti si rifiutano di vendere le armi alla Nigeria, mentre al contrario fortificano ed alimentano il loro sostegno al gruppo terrorista di Boko Hara.
Buhar ha richiesto al Dipartimento della Difesa nigeriano di prendere misure efficaci per interrompere l’affiliazione militare del paese con gli USA ed di gettare le basi per l’autosufficienza militare della Nigeria.
“Il Ministero della Difesa è stato incaricato di elaborare un programma chiaro e misurabile per lo sviluppo di un modesto complesso Industriale Militare per la Nigeria”, ha aggiunto il presidente Buhari.
Gli Stati Uniti si erano impegnati ad aiutare la Nigeria ed a colpire gli elementi della banda dei takfiri di Boko Haram, tuttavia dal 2009, hanno rifiutato di mettere in pratica la loro offerta, ricorrendo alla legge Leahy, già che sostengono che la Nigeria violerebbe i diritti umani ( da notare che la stessa legge non vale per paesi come Arabia Saudita, Qatar o Bahrain che sono le monarchie assolutiste e totalitarie alleate degli USA).
In questo contesto, il presidente ha dichiarato alla fine di Luglio in un discorso Washington che la legge Leahy, applicata dal governi USA aiuta ed istiga i terroristi dei Boko Haram.
Il presidente Buharim di 72 anni, dopo aver vinto le elezioni presidenziali celebrate lo scorso 28 di Marzo, si era impegnato a fare fronte alle “enormi sfide” che vive il paese come la corruzione e Boko Haram.
Boko Haram ed il suo gruppo terrorista da 6 anni semina il terrore nel territorio nigeriano dove commette crimini di lesa umanità tra cui sequestri di massa.
In accordo con un rapporto delle Nazioni Unite, dal 2009, a causa degli scontri tra l’Esercito nigeriano e Boko Haram, circa 15.000 persone sono morte e più di mezzo milione si sono viste obbligate ad abbandonare le loro abitazioni.
Lo scorso 6 di Marzo, la banda terrorista ha confermato la sua lealtà allo Stato Islamico ed al suo capo, Ibrahim al-Samarrai (alias Abu Bakr al-Bagdadi), mediante un messaggio trasmesso a voce del suo leader, Abubakar Shekau.
Fonte: HispanTv
Emerge la strategia degli USA in Nigeria: favorire la destabilizzazione del paese appoggiando in modo occulto i terroristi collegati con l’ISIS e l’Arabia Saudita.
boko-haram gruppo
La denuncia pubblica fatta dal presidente nigeriano getta luce su quello che sapevamo da tempo. Dalle  molte informazioni trapelate, attraverso le rivelazioni di Wikileaks ed altre fonti, si sapeva che gli USA dispongono di un piano occulto per destabilizzare la Nigeria, il paese più importante dell’Africa per le sue riserve di petrolio, le sue risorse minerarie e la sua estensione.
In particolare l’obiettivo della Strategia USA attraverso l’AFRICOM (il comando militare USA per l’Africa) è quello di separare e mantenere il controllo del sud del paese (la zona dei giacimenti petroliferi) rispetto al nord, povero e sottosviluppato ed estromettere altre potenze come la Cina, la Russia o altre,  che mirano ad inserirsi nello sfruttamento delle risorse del paese. Per questo fine viene favorito  in modo occulto l’emergere dei gruppi islamici separatisti e fanatici come Boko Haram ( finanziato dall’Arabia Saudita) che forniscono un buon pretesto per l’intervento nel paese dove gli USA operano dal vicino Niger, ove dispongono di una base militare da cui partono i droni senza pilota.
Nel maggio 2014 l'”African Renaissance News” aveva pubblicato un dettagliato reportage su Boko Haram e la possibilità che questa organizzazione fosse un’altra operazione segreta della CIA per assicurarsi il controllo della Nigeria.
Un’indagine sulla setta Boko Haram realizzata dalla Green White Coalition ha scoperto che la “campagna di Boko Haram è di fatto una operazione segreta organizzata dalla Central Intelligence Agency (CIA) degli USA, coordinata dall’ambasciata statunitense in Nigeria”. Gli Stati Uniti in altre occasioni hanno già utilizzato le loro ambasciate per le loro operazioni segrete, come avvenuto ad esempio in Libia a Bengasi dove l’ambasciata USA veniva utilizzata per coordinare il traffico di armi e mercenari inviati in Siria.
Già nel 2012  Nile Bowie (analista della New Eastern Outlook)scriveva  :
“Il quotidiano Nigerian Tribune ha informato che Boko Haram è finanziata da diversi gruppi dell’Arabia Saudita e del Regno Unito, specialmente dal fondo fiduciario Al-Muntada, con sede nel Regno Unito, e la Società Islamica Mondiale dell’Arabia Saudita . (………..)
Risulta ampiamente documentato che membri di Al Qaida e del gruppo islamico che ha combattuto in Libia (GICL) hanno lottato insieme ai ribelli libici e ricevuto armi e appoggio logistico direttamente dei Paesi della NATO durante il conflitto libico nel 2011 […].
Per l’amministrazione Obama l’appoggio clandestino a organizzazioni terroriste destinato a raggiungere obiettivi di politica estera rappresenta un presupposto per l’intervento all’estero, come insegnano le vicende della Libia e quella attuale della Siria in particolare.  “Boko Haram  in Nigeria esiste come una divisione indipendente dell’apparato destabilizzatore statunitense orientato a spaccare il Paese più popoloso dell’Africa e maggior mercato potenziale” (Nile Bowie, CIA Covert Ops in Nigeria: Fertile Ground for US Sponsored Balkanization, Global Research, 11 de abril de 2012).
L’indagine della Green White Coalition su Boko Haram rivela un piano del National Intelligence Council USA in tre fasi destinato a “pakistanizzare” la Nigeria, internazionalizzare la crisi e dividere il Paese in virtù di un mandato e di una forza di occupazione ONU. Il piano prevedeva la frammentazione della Nigeria entro il 2015.        Vedi: Mondialisation.ca.
Le questioni africane possono sembrare lontane per gli europei ma in realtà le conseguenze della destabilizzazione di paesi come la Nigeria vengono pagate anche dall’Italia e da altri paesi d’Europa che sono destinati a ricevere migliaia di migranti e rifugiati che partono da quei paesi e, attraverso la Libia, sbarcano poi sulle coste italiane.
Traduzione e sintesi: Luciano Lago
Nella foto in alto: il presidente della Nigeria, Muhammadu Buhari
Nella foto al centro: il gruppo terrorista islamico di Boko Haram , finanziato dai sauditi

Esteri

BOKO HARAM/ Il vescovo nigeriano: 

ecco perché gli Stati Uniti non ci 

aiutano a combattere il terrorismo


Redazione


venerdì 20 febbraio 2015

Se la Nigeria non cambierà la sua legislazione a proposito di omosessualità, pianificazione familiare e controllo delle nascite gli Stati Uniti non aiuteranno il paese africano a combattere i terroristi islamici di Boko Haram che stanno insanguinando la nazione. A dire così è Emmanuel Badeyo, vescovo nigeriano di Oyo, nuovo presidente della comunicazione dei vescovi africani. Intervistato dal sito Aleteia mentre si trovava a Roma, il vescovo ha parlato di "colonizzazione ideologica" come ha anche detto il papa a proposito delle pressioni americane per distruggere la famiglia. I paesi occidentali, ha detto ancora, sono intenzionati a fare di tutto per ridurre la popolazione africana: "L'Africa sta soffrendo grandemente di un imperialismo culturale che minaccia di erodere i nostri valori culturali" ha detto. La civiltà occidentale, ha aggiunto, "è una civiltà malata perché capace di guardare morire migliaia di persone in Nigeria e girarsi dall'altra parte". Per quanto riguarda Boko Haram, il vescovo accusa decenni di corruzione e cattiva politica nigeriana per la sua nascita e sviluppo, un malgoverno che ha lasciato i giovani senza alcuna fiducia e speranza nel futuro tanto da finire vittime della propaganda dei fondamentalisti islamici. All'interno di Boko Haram, ha infine detto, ci sono elementi che provengono da altri paesi islamici, chiaramente connessi con Isis.



 

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