ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 26 agosto 2015

La “rivoluzione d’Ottobre” ?

Verso il secondo Sinodo sulla famiglia: cinque posizioni a confronto su due fronti

A circa un mese dall’apertura del secondo e decisivo Sinodo sulla famiglia, facciamo un breve panorama delle posizioni che si sono delineate nel mondo cattolico durante la fase di passaggio tra la prima e la seconda assise. E’ un un panorama istruttivo, perché quelle posizioni potrebbero ripetersi nel prossimo dibattito autunnale sulle coppie di fatto, sul gender e sulla omofobia.

di Guido Vignelli
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Laicisti e progressisti
Prima posizione: quella dei laicisti. Essi sperano che il prossimo Sinodo realizzi la “rivoluzione d’Ottobre”, ossia una sovversione diretta della disciplina, e indiretta anche della dottrina, riguardante il matrimonio e la famiglia, in preparazione di quella “abolizione del peccato” auspicata da Scalfari nella sua famosa intervista al Papa. Questa posizione è chiara e radicale: la verità deve arrendersi alla “vita”, per cui la Chiesa deve adeguarsi al mondo accettando la rivoluzione antropologica pansessualista e liberalizzando norme e pratiche, sia nel campo morale che in quello sacramentale.
La strategia usata dai laicisti è abile: da una parte promettono alla Gerarchia onori e vantaggi se cederà alle loro richieste, ma dall’altra minacciano ritorsioni, vendette e persecuzioni se resisterà alle profferte.
Seconda posizione: quella dei cattolici progressisti. Essi condividono la posizione radicale dei laicisti: pur sostenendo di lavorare per il matrimonio e la famiglia, in realtà essi lavorano per il “matrimonio” tra il mondo e la Chiesa e per la “famiglia” pluralistica e multisessuale. Tuttavia la loro strategia è diversa: essa punta ad inoculare “germi di laicità” nella Chiesa, come progettavano Gramsci e Berlinguer, e lo fanno insidiosamente dal suo interno, con l’aiuto non solo dei poteri laicisti ma anche di certa diffusa stampa sedicente cattolica, anzi perfino di autorevoli esponenti della Gerarchia ecclesiastica. Secondo i cattolici progressisti, la Legge divina deve adeguarsi al costume umano, la dottrina deve cedere alla “pastorale”, ossia a una prassi permissiva che da tempo proprio essi hanno diffuso nella Chiesa.
Purtroppo, proprio per la sua radicalità ideologica e abilità strategica, il fronte che unisce laicisti e progressisti ha buone probabilità di vittoria, se non viene adeguatamente contrastata da un fronte avverso. Ma esiste davvero questo fronte avverso unito e agguerrito? Vediamo le altre posizioni in campo.
Cattolici moderati
Terza posizione: quella dei cattolici moderati. Essi ritengono che la dottrina morale non debba essere abolita ma nemmeno rafforzata, anzi debba essere aggiornata mettendola al servizio della “pastorale”. Essi quindi auspicano che, in nome della misericordia, la Chiesa realizzi una “svolta pastorale” che adegui la prassi (sia disciplinare che sacramentale) alle nuove “esigenze affettive” del nostro tempo. Quanto alla strategia, i cattolici moderati si propongono di “salvare l’essenziale” della morale sul matrimonio e la famiglia, ma pretendono di farlo mediante il “confronto” e il “dialogo”, evitando le contrapposizioni frontali e gli scontri ideologici tra gli “opposti estremismi” del laicismo e del cattolicesimo intransigente (si veda la posizione del recente Meeting ciellino di Rimini, espressa da Caterina Tartaglione, presidente del Sindacato delle Famiglie: cfr. Avvenire, 25-8-2015). Questo terzaforzismo quindi punta ad ottenere un compromesso finale che accontenterebbe tutti conciliando i diritti di Dio con quelli dell’Uomo, i diritti della Chiesa con quelli dello Stato permissivo, i diritti della famiglia con quelli dell’ “affettività” libertaria.
Appare però evidente che tale pastorale, ben lungi dall’applicare la Legge divina all’agire umano, la riduce a una teoria bella ma inapplicabile, da eludere mediante una prassi permissiva in cui la regola viene prima sottomessa e poi soppiantata dall’eccezione, aprendo la strada all’anarchia. Notava già ai suoi tempi Chesterton: «Nella società sta passando lo spirito secondo cui l’eccezione è permessa allo scopo di alterare la regola»; ciò rivela «quella moderna debolezza, fondata sul sacrificare sistematicamente il normale all’anormale» (La superstizione del divorzio, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 2011, pp. 52 e 55). Nota recentemente mons. Tony Anatrella: «Il moltiplicarsi di leggi ad hoc per rispondere a richieste particolari, non può che togliere valore al significato della legge e questa disistima incoraggia a non rispettarla. (…) In questa prospettiva, la norma non deve più essere ricercata nella verità delle cose e nel loro carattere universale, ma nella particolarità delle situazioni individuali e marginali, nonché nelle sensazioni; la soggettività diventa fonte di diritto» (La teoria del gender e l’origine dell’omosessualità, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 2013, pp. 57, 58). Una tale deregulation ispirata dalla “misericordia” e giustificata dall’ “etica della situazione” aprirà la strada all’anarchia.
A differenza delle posizioni laicista e progressista, quella cattolica moderata è dottrinalmente compromissoria e strategicamente subordinata al fronte rivoluzionario. Pertanto, essa è destinata ad essere sconfitta dal radicale e agguerrito schieramento progressista… a meno che, umiliata dalle sue sconfitte e spinta dal timore di un crollo della morale, non rinunci ai suoi pregiudizi e si allei alla posizione intransigente della quale parlerò più avanti.
Cattolici conservatori
Quarta posizione: quella dei cattolici conservatori. Essi meritano un’analisi dettagliata. Per quanto riguarda il Sinodo, alcuni di loro ritengono che bisogna lasciar lavorare la Gerarchia e confidare nella capacità di moderazione e di correzione finale che avrà Papa Francesco. Secondo loro, i fedeli rispettosi della Santa Sede debbono esprimerle opinioni in maniera riservata, limitandosi a usare la procedura burocratica da essa predisposta, ossia i questionari referendari rivolti al mondo cattolico in preparazione dei due Sinodi.
Di conseguenza, questi cattolici conservatori criticano chi osa far pressione sull’autorità ecclesiastica indirizzandole petizioni sostenute da raccolte di firme, quasi dubitando della indefettibilità della Chiesa, e ancor più chi fa pressioni direttamente sul Papa rivolgendogli suppliche filiali, quasi pretendendo d’insegnargli come fare il suo mestiere. Questa critica non risparmia nemmeno alcuni noti cardinali, accusati di essere imprudenti, invadenti o addirittura tendenzialmente scismatici, per il solo fatto di aver sollevato riserve su dibattiti, procedure e conclusioni del passato Sinodo.
Per valutare tale critica, è bene ricordare quanto è accaduto da allora ad oggi. Alcune potenti organizzazioni cattoliche progressiste hanno pubblicamente preteso che la Santa Sede realizzi finalmente cambiamenti radicali, minacciando velatamente che, se non verranno accontentate, promuoveranno una sorta di scisma “pastorale”. Tali pretese sono state appoggiate da alcuni episcopati dell’Europa centrale, quasi ripetendo il fenomeno del Reno che sfocia nel Tevere descritto dal padre Wiltgen nel suo omonimo famoso libro sull’ultimo Concilio Ecumenico.
Orbene, con sorpresa dei soliti ingenui ottimisti, la Santa Sede non solo non ha condannato quelle arroganti pretese progressiste, ma anzi le ha tenute in debita considerazione e ne ha accolte alcune sia nelle conclusioni del primo Sinodo, sia nel testo preparatorio del secondo. Né poteva fare altrimenti, visto che proprio essa, nei suoi questionari pre-sinodali, aveva inserito temi, norme e procedure che non avrebbero dovuto essere messi in discussione tramite referendum, come se la Legge divina e la disciplina ecclesiastica fossero negoziabili a piacimento della pubblica opinione.
Questo parziale successo progressista dimostra, da una parte, che la Santa Sede è disposta a ricevere opinioni e correzioni, e che dall’altra, se ci s’impone, si ottengono risultati. Ma allora, perché i cattolici fedeli non avrebbero diritto di alzare la voce come hanno fatto quelli progressisti? Come mai la tanto strombazzata parresìa (franchezza) sarebbe concessa ai progressisti, anche se arroganti ed eretici, mentre sarebbe vietata ai conservatori, anche se rispettosi e ortodossi? Qui si evidenzia lo sconcertante paradosso, per cui tali cattolici conservatori avversano più le “esagerazioni” o le “imprudenze” degl’intransigenti che le eresie e le efferatezze dei progressisti. Ciò avvicina pericolosamente la posizione conservatrice a quella moderata e quindi rischia di favorire quella progressista, nei termini che ho esaminato in un mio precedente articolo, apparso su Riscossa Cristiana, che ha suscitato molte discussioni.
zzzzfmg2Proviamo a valutare tale posizione cattolica conservatrice. A differenza di quella laicista e progressista, nella teoria essa mantiene la sana dottrina, ma nella pratica strategica risulta timida e inadeguata, dunque inefficace nel cogliere le buone occasioni di riscossa; del resto, ciò è tipico del conservatorismo, talvolta valido nel difendere lo statu quoper “salvare il salvabile”, ma sempre invalido nel contrastare la sovversione riuscendo a sconfiggerla. Questi cattolici conservatori si appellano al valido motto secondo cui “non basta fare il bene, ma bisogna anche farlo bene”; tuttavia, talvolta questa loro preoccupazione di “far bene” in realtà pretende di ottenere quell’ “ottimo” che in realtà “è nemico del bene”, come dice il proverbio. Essi inoltre si appellano alla virtù della prudenza, ma dimenticano che essa consiste nel “moderare” le azioni impedendo non solo gli eccessi ma anche i difetti, come ad esempio la debolezza nel combattere quel male, che va contrastato usando ogni mezzo (lecito), “todo modo”, come ammoniva sant’Ignazio di Loyola.
Secondo la dottrina e la disciplina cattolica, ai fedeli è pienamente lecito rivolgere ai loro Pastori non solo timide e riservate proposte ma anche pubbliche e franche richieste, correzioni e perfino proteste, specie se riguardano un campo (quello matrimoniale-familiare) che, non dimentichiamolo, coinvolge i laici e decide del futuro della società. Lo prevede il Codice di Diritto Canonico fra i diritti del fedele nella Chiesa. Lo prevede il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 2038): «Lo Spirito Santo può servirsi dei più umili per illuminare i sapienti e i più eminenti in dignità», anche ecclesiale. Anzi, lo prevede lo stesso Papa Francesco, che ha esortato i fedeli in questi termini: «Vi chiedo, per favore, d’importunare i pastori, disturbare i pastori, tutti noi pastori, perché noi diamo a voi il latte della grazia, della dottrina e della guida» (Discorso del Regina Coeli, 11-5-2014). «In quanto Vescovo di Roma, a me spetta rimanere aperto ai suggerimenti orientati a un esercizio del mio ministero, che lo renda più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle attuali necessità dell’evangelizzazione» (Evangelii gaudium, n. 32). Pertanto, non si può essere più papisti del Papa, come si suol dire.
Cattolici intransigenti
Infine, quinta posizione: quella dei cattolici intransigenti (In questo termine intendiamo includere quelli detti reazionari e tradizionalisti). Essi non si limitano a proporre riservatamente timide proposte, ma osano diffondere pubblicamente libri e dossier chiarificatori, denunciare le insidie laiciste e le manovre progressiste, chiedere correzioni alle autorità ecclesiastiche, protestare per il loro cedimento alle pretese mondane ed eretizzanti, sia pure usando un linguaggio rispettoso e senza pretendere di dar lezioni. Valga come esempio il famoso libro dei 5 cardinali (Permanere nella verità di Cristo), oggi seguìto da due altri libri appena usciti, il primo scritto da altri 11 tra cardinali e vescovi, il secondo promosso dall’Unione Internazionale dei Giuristi Cattolici. Inoltre, un Comitato Internazionale ha rivolto al Papa una Supplica Filiale, sostenuta da oltre 500.000 firme, nella quale gli chiede d’intervenire nel prossimo Sinodo per fare chiarezza e salvare la verità morale rivelata messa in discussione dai recenti dibattiti ecclesiali strumentalizzati dai media anticristiani. Altre analoghe iniziative sono state organizzate da associazioni, sia laiche che ecclesiastiche, le quali non possono certo essere accusate di essere “tradizionaliste di tendenza scismatica”.
Questa strategia sembra essere la sola efficace, dunque la sola davvero “prudente”, il solo modo di “far bene il bene”, di fermare oggi la sovversione ecclesiale nella prospettiva di sconfiggerla domani. Ciò è dimostrato proprio dalle recenti vicende post-sinodali. Infatti, supportata da quei 5 cardinali di cui dicevo sopra, l’azione intransigente è riuscita ad arginare l’offensiva progressista, limitandone i danni nei testi finali approvati dal primo Sinodo. Ma soprattutto è riuscita a sollevare un dibattito che, lungo la fase preparatoria del secondo Sinodo, sta incoraggiando le speranze dei buoni, scuotendo la pusillanimità dei timidi, allarmando l’ottimismo dei moderati e realizzando una tacita alleanza tra tutti coloro che non sono disposti a mercanteggiare la verità evangelica per ottenere consensi o vantaggi ecclesiali.
Ciò ha costretto i progressisti a correggere la loro strategia moderando i toni e riducendo le pretese, cercando un “dialogo” con gli oppositori, tentando di coinvolgerli in un compromesso che accontenti tutti, forse sperando nella mediazione di certi cattolici moderati o conservatori. E’ proprio ciò che bisogna evitare ad ogni costo. Un finale documento sinodale che risultasse dottrinalmente ambiguo o che “pastoralmente” liberalizzasse divorzi e secondi matrimoni, servirebbe solo a indebolire verità e beni morali, sacramentali e disciplinari già compromessi da decenni di relativismo e permissivismo ecclesiale. Piuttosto che produrre un tale risultato, è meglio che il Sinodo si concluda con un fallimento, facendo emergere uno scisma sommerso che solo in tal modo può essere contrastato e curato: uno scisma che, allora lo si capirà meglio, non è quello tradizionalista ma quello progressista.

 – di Guido Vignelli



Redazione
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