Una messa sotto il ritratto del Che: a Cuba l’ultima rivoluzione del Papa
All’Avana aspettando il grande evento di domenica. Ma i fedeli saranno schedati
Operaio allestiscono l’altare per la messa del Papa in Plaza de la Revolución all’Avana
NEL NOME DEL PADRE, DEL FIGLIO E DEL CHE - DOMENICA PAPA FRANCESCO CELEBRERA' LA MESSA ALL’AVANA SOTTO AL RITRATTO STILIZZATO DI GUEVARA. IL REGIME SPERA IN UN INTERVENTO SUGLI USA PER LA FINE DELL’EMBARGO
Attesa a Cuba per l’arrivo di Bergoglio, ma non ci sarà la classica folla oceanica: per assistere all’evento bisogna dare nome, cognome e indirizzo e i cattolici temono una “schedatura” da parte del regime…
Paolo Mastrolilli per “la Stampa”
È semplice l’altare che aspetta il Papa in Plaza de la Revolución, dove domenica Francesco celebrerà la messa sotto al ritratto stilizzato del suo compatriota Ernesto Che Guevara. Un palco giallo, una tettoia bianca, una sedia in legno scuro e velluto rosso. In cima, una croce essenziale.
Tutto intorno a lui i simboli della rivoluzione, Hasta la Victoria Siempre, il monumento a José Martì, si mescolano con i manifesti sobri che gli danno il benvenuto a Cuba, e uno striscione piazzato sopra al Teatro nazionale che mostra il Santo Padre mentre lava i piedi ai dimenticati, e lo accoglie come «Misionero de la Misericordia». Qui il regime castrista spera di ricevere due doni: la spinta per convincere gli Stati Uniti a togliere l’embargo, dopo la ripresa delle relazioni, e un messaggio politico che salvi almeno le intenzioni della rivoluzione, se non proprio i suoi risultati.
«COME NOSTRO PADRE»
Alejandro è venuto con la sua chitarra, sotto un pirotecnico scroscio tropicale, per provare con i ragazzi del coro i brani della messa: «Gli organizzatori diocesani sono stati molto chiari: vogliono solo musica cubana. E noi siamo felici di suonarla». Lui, trent’anni, occhiali, barbetta appena incolta e moglie sorridente al fianco, potresti scambiarlo per l’animatore di un oratorio italiano:
«Nella nostra vita abbiamo già avuto la fortuna di vedere due Papi, Giovanni Paolo II, e Benedetto XVI, però non vi nascondo che stavolta è diversa. Francesco lo sentiamo molto più vicino. Sarà perché è latino, parla spagnolo, viene dalla nostra cultura, ma è come incontrare nostro padre. E poi, c’è quello che ha fatto». Cioè? «L’apertura con gli Stati Uniti. Non so se si capisce bene da fuori, ma per noi significa che la vita adesso può davvero cambiare. E sappiamo che non sarebbe avvenuto, senza lui».
«CI SARÀ UN MARE DI GENTE»
Alejandro prevede che «verrà un mare di gente, soprattutto giovani. Molti più di quelli che si aspettano le autorità». Già, le autorità. Loro vogliono che la visita sia un successo, ma non troppo. Stimano che alla messa di domenica verranno fra 150 e 200 mila persone. Il numero è basso, secondo fonti vicine al Vaticano, ma c’è una ragione che potrebbe convincere molti fedeli a guardare Francesco in tv.
Per avere il biglietto bisogna dare nome, cognome e indirizzo: «In altre parole - dice una fonte impegnata nell’organizzazione - sarà una schedatura. Quindi i cattolici dovranno scegliere se professare la loro fede apertamente, scrivendola nero su bianco, col rischio poi di essere tenuti d’occhio e magari discriminati, oppure coltivarla nell’intimo, come hanno fatto per oltre mezzo secolo». Il dubbio di sempre: seguire la strategia del cardinale di L’Avana Ortega, che non ha mai preso di punta il regime perché era più importante tenere aperte le chiese e i seminari, oppure sfidarlo.
VICINO AI POVERI
Parlando al telefono da Miami Ofelia Acevedo, la vedova del dissidente cattolico Oswalda Payà, indica una possibile strada: «Il Papa è un leader religioso, e viene a Cuba per ragioni spirituali. La sua pastorale, però, è molto incentrata sui poveri, e sull’isola purtroppo ne vedrà molti, creati da oltre mezzo secolo di dittatura». Ofelia non chiede a Francesco gesti clamorosi:
«No, niente. Il Papa è una persona molto saggia, conosce benissimo la situazione, e dirà tutte le cose giuste. Il cambio a Cuba non può venire dall’esterno: lo devono fare i cubani. È importante però che sentano la vicinanza di un pastore come Francesco, perché questo farà capire loro che non sono soli, e darà il coraggio di vivere la fede senza paure». Quando ad agosto era venuto in visita il segretario di Stato Kerry, Ofelia gli aveva chiesto di domandare alle autorità cubane l’autopsia di suo marito Oswaldo, mai pubblicata per non rispondere al sospetto che sia stato assassinato. Al Papa, però, non chiede neppure questo: «Sa già tutto, non serve».
IL DISCORSO IN BOLIVIA
Fonti diplomatiche dicono che il regime era rimasto molto colpito dal discorso pronunciato da Francesco in Bolivia davanti ai movimenti popolari, e sperano che lanci un messaggio simile anche a Cuba. Magari senza assolvere la rivoluzione, ma riconoscendo che le intenzioni non erano malvage, e non tutto è da buttare. Poi si aspettano che il Pontefice, tra la sosta a L’Avana e quella a Washington, metta pressione sui parlamentari Usa affinché tolgano l’embargo. L’ex speaker della Camera Nancy Pelosi, durante una recente visita sull’isola, ha pure spiegato come: non tutto insieme, ma pezzo per pezzo, con leggine per ogni provvedimento.
YOANI SÁNCHEZ
La blogger Yoani Sánchez, però, avverte: «Il Papa dovrà compiere un equilibrismo diplomatico molto delicato, per ottenere le cose che vuole per la Chiesa e la popolazione, senza correre il rischio di essere strumentalizzato dal regime». Le Damas de Blanco, parenti di prigionieri politici che si riuniscono ogni domenica nella chiesa di Santa Rita a Miramar, vanno anche oltre e chiedono concessioni in cambio del dialogo.
Il regime, ad esempio, ha liberato 3.522 detenuti comuni per celebrare la visita, ma proprio domenica scorsa ha arrestato una quarantina di persone durante la processione delle Damas. Francesco lo sa. Andrà pure a trovare Fidel, ma senza dimenticare la storia, e soprattutto senza perdere di vista il futuro.
AMBASCIATA CUBANA A WASHINGTONSTEVE MCCURRY FOTO CUBA 21
CUBA - AMBASCIATA AMERICANA 1961http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/nome-padre-figlio-che-domenica-papa-francesco-108856.htm
CUBA - AMBASCIATA AMERICANA 1961http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/nome-padre-figlio-che-domenica-papa-francesco-108856.htm
(di Mauro Faverzani) Certo, l’ambasciata americana ha riaperto i battenti all’Avana, come da copione. Certo, per la prima volta dopo 56 anni di regime comunista, copie della Sacra Bibbia han cominciato a circolare, sia pure nell’ambito di un programma definito «sperimentale».
Certo, tra pochi giorni giungerà in visita anche il Papa. Ma proprio per questo è troppo parlare di “normalizzazione” a Cuba. I fatti si son svolti in modo sin troppo precipitoso e, quel che è peggio, per nulla esente da ombre. In ballo non c’è solo la questione dei risarcimenti milionari, già chiesti agli Stati Uniti da Fidel Castro. In ballo c’è molto di più, ci sono decenni di persecuzione religiosa, c’è un regime oppressivo, c’è la credibilità della Chiesa, c’è una situazione estremamente pesante nota alle cancellerie ed ai governi di tutto il mondo. Anche se nessuno ne parla.
In un clima così ci si può immaginare lo sconcerto provocato dall’intervista rilasciata lo scorso 5 giugno all’emittente spagnola Cadena Ser, dall’Arcivescovo dell’Avana, il card. Jaime Ortega. Il quale ha espressamente negato la presenza nell’isola di detenuti politici, gettando l’opposizione interna nel più totale smarrimento.
Armando Valladares, scrittore e poeta cubano, è stato uno di questi detenuti. È stato incarcerato, sottoposto a pene disumane e costretto ai lavori forzati per un paio di decenni con l’unica colpa di essersi rifiutato di sostenere il regime. In un articolo dello scorso 14 giugno, ha commentato: «Il Card. Jaime Lucas Ortega y Alamino, nel corso dei suoi 34 anni a capo dell’Arcidiocesi dell’Avana, si è trasformato in uno dei maggiori, indispensabili difensori del regime comunista». Si tratta «di un pastore pronto a dare la vita per i lupi e non per il gregge affidatogli, gregge orfano e impotente».
Valladares, in un precedente articolo, già si espresse in modo molto critico circa l’incontro avvenuto tra papa Francesco ed il presidente Raúl Castro lo scorso 10 maggio in Vaticano, incontro da lui definito «agghiacciante e terribile, davanti a Dio ed alla Storia», tale da segnare «in modo indelebile l’attuale Pontificato», spiegando come la teologia della liberazione abbia lasciato il posto alla «teologia della collaborazione».
Come una sorta di colpo di teatro son state interpretate le parole pronunciate al termine dallo stesso Castro: «Se continua così, tornerò alla Chiesa Cattolica. Potrei ricominciare addirittura a pregare, anche se sono comunista». Par prospettarsi il contrario: don René David, docente di Teologia presso il Seminario dell’Avana, ha invocato una «riconciliazione tra Cattolicesimo e comunismo», ritenendo, tutto sommato, in quest’ultimo l’ateismo un fatto non sostanziale, bensì incidentale.
Ma critiche indignate sul Card. Ortega sono piovute anche da Ada Maria López Canino del movimento Damas de Blanco, da ex-prigionieri politici come Daniel Ferrer e Ciro Alexis Casanova Pérez, che hanno bollato con indignazione, in un’intervista rilasciata al Diario de Cuba, come «una totale menzogna» le esternazioni del Cardinale, accusandolo di «appoggiare la dittatura dei fratelli Castro».
Anche il giornalista indipendente Mario Félix Lleonart ha osservato come le dichiarazioni dell’Arcivescovo non abbiano giovato «né alla Chiesa che rappresenta, né a sé stesso», ma anzi abbiano smontato quella «Dottrina Sociale della Chiesa, che lui è chiamato a sostenere e praticare».
In tutta risposta, a giugno, la Ccdhrn-Commissione cubana dei diritti umani e per la riconciliazione nazionale ha diffuso un primo elenco parziale, contenente 71 nominativi di persone «condannate perché perseguite o per motivi politici o con processi condizionati politicamente». La metà di questi casi risale ad un anno fa ovvero a quando già s’era messa in moto la grande macchina della “pacificazione guidata”. Il portavoce della Ccdhrn, l’ex-prigioniero Elizardo Sánchez, ha parlato di processi negati e di condanne «sproporzionate». Senza essere ascoltato.
Da 56 anni questi sono detenuti – “fantasma”, da quando cioè nell’isola si è instaurato il feroce regime comunista. Già nell’ottobre 1999 alcuni di loro giunsero a Roma da Miami con un appello per l’allora Pontefice Giovanni Paolo II, appello firmato da 500 personalità – uomini di Chiesa, della cultura, dei media, della politica – e pubblicato integralmente dal quotidiano Las Américas. Conteneva due richieste: la prima, esser strappati dall’oblio, perché «la coscienza addormentata dell’uomo post–moderno» non si dimenticasse di loro; la seconda, la canonizzazione dei martiri cattolici cubani: «Santo Padre, ai suoi piedi filialmente la supplichiamo di riscattare» quanti siano caduti «vittime del comunismo».
Armando Valladares, con le sue memorie, fu tra i primi a strappare il velo del silenzio, sotto cui si sarebbero volute nascondere le fucilazioni, che squarciarono le tenebre della notte nel carcere di La Cabaña tra le urla dei giustiziati: «Viva Cristo Re! Abbasso il comunismo!». Tra questi, Rogelio Gonzalez Corzo, membro dell’Acu-Associazione Cattolica Universitaria, freddato dopo un processo sommario e senza prove. O ancora Alberto Tapia e Virgilio Campanería, entrambi studenti presso l’Università Cattolica di La Salle. Di loro e di molti, molti altri si parla nel libro La Passione di Cristo a Cuba, scritto in Cile nel 1962 da un giovane sacerdote, che venne lì esiliato.
Il regime decise ben presto di cancellare le tracce della persecuzione religiosa nell’isola: ieri, bloccando le mascelle ai condannati; oggi, cancellandoli agli occhi del mondo, fingendo che siano gli autori di banalissimi “reati comuni”.
Chi, nel 2003, in piena guerra del Golfo, si occupò delle sorti dei promotori, per lo più cattolici, del Proyecto Varela, che richiese le libertà fondamentali tramite referendum? Oltre 11 mila cittadini firmarono tale appello, depositato in Parlamento col sostegno esplicito di aggregazioni quali il Movimiento Cristiano Liberación. I suoi vertici vennero rinchiusi in carcere con pene oscillanti dai 12 anni all’ergastolo.
L’accusa, per tutti, fu quella d’aver attentato alla sicurezza dello Stato. La Chiesa, in quell’occasione, fece sentire la sua voce, proclamò anche una giornata di preghiera, in tanti vi parteciparono nella chiesa di San Giovanni in Laterano, all’Avana. IlConsiglio dei laici della Diocesi di Pinar del Rio denunciò pubblicamente l’accaduto. Oggi nemmeno quelle voci si odono più.
Sandro Magister lo scorso 11 settembre ha fornito sul suo blog una interpretazione geopolitica della situazione, di grande interesse: papa Bergoglio potrebbe sorvolare su certe criticità in vista della costituzione, nella regione, di una sorta di «Patria grande», cattolica ed anticapitalista, che includerebbe anche Cuba e la sua Alianza Bolivariana già stretta coi regimi populisti di Nicaragua, Venezuela, Ecuador e Bolivia. In quest’ottica, secondo Magister, sarebbero da interpretarsi i silenzi in merito alla «deriva totalitaria» di Chávez e di Maduro, in merito all’«immeritevole presidente boliviano Evo Morales». Ed ora anche in merito a Cuba.
La visita di papa Francesco non prevede visite nelle carceri o incontri coi profughi ed i senzatetto. Papa Francesco, scrive Magister, «a Lampedusa gettò fiori in mare e gridò “Vergogna!”, ma è improbabile che lo faccia dal Malecón dell’Avana, davanti al braccio di mare che ha inghiottito migliaia di cubani in fuga verso le coste della Florida. È difficile che in una prigione incontri qualcuno delle centinaia di detenuti politici». Come ai tempi della Ostpolitik vaticana promossa dal Card. Agostino Casaroli. Alla cui scuola, non a caso, sono cresciuti anche l’attuale Segretario di Stato, Card. Pietro Parolin, ed il suo sostituto, l’Arcivescovo Angelo Becciu, già rispettivamente Nunzi, uno in Venezuela, l’altro a Cuba, come ricorda Magister.
Del resto, accadono strane coincidenze a Cuba. Capita, ad esempio, che il Nunzio apostolico giunto nel 2011, l’Arcivescovo Bruno Musarò, sia stato trasferito in Egitto il 5 febbraio scorso, pochi mesi dopo aver dichiarato che a Cuba «lo Stato controlla tutto» e che «l’unica speranza è quella di fuggire dall’isola», lamentando il degrado, la povertà e l’oppressione fatti patire al popolo.
Dal canto suo, il regime cubano ha tutto l’interesse a strumentalizzare al massimo l’imminente visita del Pontefice, come già fece in occasione di quella di Giovanni Paolo II nel 1998 e di quella di Benedetto XVI nel 2012.
Il Minrex, ministero per gli Affari Esteri cubano, nell’annunciare il programma dell’evento, ha già ricordato gli articoli 8 e 55 della Costituzione, che «riconoscono e rispettano la libertà religiosa», benché vincolata dall’art. 62, assolutamente “dimenticato”, in cui si specifica come «nessuna delle libertà riconosciute» possa «essere esercitata contro l’esistenza e gli scopi dello Stato socialista», né contro «la costruzione del socialismo e del comunismo», promettendo conseguenze per i trasgressori, quelle previste dal codice penale, considerato uno dei più repressivi in vigore. Per ritrovarsi incriminati, è sufficiente esprimere il benché minimo disaccordo col regime.
Tornano alla mente le chiare e forti parole di condanna del comunismo, cui, senza timori né strategie, ricorse un altro Pontefice, Pio XI, nell’enciclica Divini Redemptoris del 1937; qui tale ideologia venne definita senza mezzi termini un«satanico flagello» (n. 7), «intrinsecamente perversa», specificando anche come sia impossibile collaborarvi, pena cadere «vittime» dello stesso «errore» (n. 58). Anche tacere, fingere di non vedere, di non sapere, di non sentire, anche tutto questo significa “collaborare”. (Mauro Faverzani)
I nuovi protestanti? I cattolici ispanici americani
Se è vero che la riconciliazione fra Washington e L’Avana, ritenuta internazionalmente uno dei maggiori successi diplomatici di papa Francesco, ha suscitato reazioni contrastanti fra gli ispanici residenti negli Stati Uniti, presso la stessa popolazione, tradizionalmente cattolica, la Chiesa sembra aver perduto negli anni parte della sua attrattiva.
Papa Francesco sarà impegnato in un viaggio apostolico a Cuba e negli Stati Uniti dal 19 al 27 settembre. Secondo il programma, il Pontefice incontrerà la comunità ispanica e altri immigrati nell’Independence Mall a Philadelphia il pomeriggio del 26 settembre. Negli Stati Uniti la popolazione di origine ispanica contava nel 2014 oltre 55 milioni di persone, pari al 17,37% della popolazione totale.
Pur con significative differenze fra i diversi gruppi che la compongono, nel suo complesso la popolazione ispanica residente negli Stati Uniti può dirsi storicamente ad ampia maggioranza cattolica. Secondo il rapportoHispanic Churches in American Public Life redatto dall’Institute for Latino Studies dell’Università cattolica di Notre Dame, in Indiana, nel 2000 si dichiaravacattolico il 70% degli ispanici, con una netta preponderanza sui protestanti (20%) e sui membri di altre religioni d’ispirazione cristiana (3%). Solo l’1% dichiarava di appartenere ad una religione non cristiana, mentre lo 0,37% si diceva agnostico o ateo. Nonostante i rapporti di grandezza si siano mantenuti netti, negli ultimi anni le tendenze mostrano un quadro in profondo mutamento.
Nonostante la maggioranza degli ispanici permanga cattolica – il gruppo costituiva nel 2013 un terzo di tutti i cattolici residenti negli Stati Uniti – secondo uno studio condotto a metà 2014 dal Pew Research Center quasi un adulto ispanico su quattro (24%) è un ex cattolico. Una tendenza in atto già da alcuni anni. Se nel 2010, infatti, era il 67% degli ispanici a dichiararsi cattolico, la percentuale appariva inferiore l’anno successivo, attestandosi al 62%, per continuare a scendere nel 2012 (58%) e nel 2013 (55%). Dodici punti percentuali perduti in tre anni.
Di rilievo appare l’abbandono della Chiesa cattolica da parte della popolazione di origine ispanica a favore dei protestantesimi, con particolare afflusso nei movimenti pentecostali ed episcopaliani. Similmente, anche in seno alla Chiesa cattolica riscuotono successo di numeri fra gli ispanici i movimenti carismatici, come quello del Rinnovamento carismatico cattolico. D’altra parte, sempre più l’abbandono della Chiesa cattolica si accompagna all’abbandono completo delle pratiche religiose. In questo senso, appare rappresentativa la popolazione ispanica di origine cubana. Nel 2013, infatti, essa presenta la più alta percentuale di abbandono delle pratiche religiose dopo la fuoriuscita dalla Chiesa cattolica (26%, contro una media del 18% nella popolazione ispanica nel suo complesso) e nello stesso anno soltanto il 49% dei cubani residenti negli Stati Uniti si dichiarava cattolico (contro il 55% degli ispanici in genere).
Uno scenario che è in linea con i cambiamenti in corso tanto negli Stati Uniti quanto in America Latina, confermato anche dal fatto che gli ispanici nati all’estero che hanno abbandonato il Cattolicesimo lo ha fatto indifferentemente prima di immigrare negli Stati Uniti e successivamente. Il cambiamento vede protagonisti gli ispanici di ambo i sessi e di ogni grado d’istruzione, con una preponderanza nella fascia d’età fra i 18 e i 49 anni. Particolarmente rilevante è la fuoriuscita dalla Chiesa cattolica da parte dei giovani fra i 18 e i 29 anni, largamente a favore dell’abbandono completo delle pratiche religiose. In questo senso, i dati appaiono in linea con la generale rinuncia alle pratiche religiose da parte dei giovani negli Stati Uniti e il sempre più limitato ruolo riservato alla religione nel quotidiano.
In un quadro sul fronte cattolico per certi versi sconfortante, viene confermata l’importanza dell’educazione cattolica, tanto nel contesto familiare quanto in quello scolastico. Nel bene e nel male. I dati, infatti, non solo indicano che il 95% degli ispanici che si dichiaravano cattolici nel 2013 ha ricevuto un’educazione cattolica (e il 2% un’istruzione protestante), ma anche che il 52% di coloro che hanno abbandonato la Chiesa cattolica lo ha fatto perché ha smesso di credere a ciò che vi viene insegnato. In linea con quest’ultimo dato, appare rilevante che il 47% degli ispanici protestanti abbia ricevuto una formazione cattolica (e soltanto il 41% una formazione protestante) e che fra coloro che hanno abbandonato la pratica religiosa, ben il 61% sia stato cresciuto in un contesto cattolico.
Un criticità con la quale, unitamente alla sempre più scarsa presa della Chiesa cattolica sui giovani, dovrà fare i conti papa Francesco, tanto più considerando l’attenzione del Pontefice per l’educazione cattolica. Il 7 luglio scorso, incontrando a Quito il mondo della scuola e dell’università, papa Francesco si era soffermato su una «particolarità» del racconto della Genesi, il quale, «insieme alla parola “coltivare”, immediatamente ne dice un’altra: “custodire”, avere cura. Una si comprende a partire dall’altra. Una mano va verso l’altra. Non coltiva chi non ha cura e non ha cura chi non coltiva”». Ci si attende che a Cuba e ancor più negli Stati Uniti le due operazioni vadano sempre più di pari passo, durante e dopo il viaggio apostolico del Pontefice.
C' è da mettersi le mani nei capelli e urlare dalla disperazione nel vedere il papa che si appecorona ad un branco di assassini . E' una cosa talmente orribile da rimanere........ , non so trovare le parole. Che Dio abbia pietà di noi . jane
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