Papa Bonifacio VIII promulgò per primo l’Anno Santo, che
avrebbe dovuto essere celebrato ogni secolo da un Natale all’altro; ma fu papa
Clemente VI ad introdurre la parola Giubileo (in occasione dell’Anno Santo del
1350) da celebrarsi ogni 50 anni. Più tardi i Papi ridussero i termini del
Giubileo da 50 a 33 anni (Urbano VI) e poi a soli 25 anni (Paolo II) come si
osserva tuttora nel Giubileo ordinario, mentre il Giubileo straordinario o
quello particolare possono esser indetti dal Papa anche prima dei 25 anni per
un motivo particolare.
Tra i Giubilei straordinari si ricorda specialmente quello, tristemente famoso, indetto da Paolo VI. “Il Papa ha concesso questo Giubileo a ricordo dell’evento del Concilio Vaticano II, a titolo di ringraziamento e per implorare l’aiuto per l’osservanza delle disposizioni conciliari”. Lo stesso ha fatto Francesco I col Giubileo straordinario della Misericordia per festeggiare il 50° anniversario del Vaticano II, ancor più tristo di quello del 1966 poiché dopo 50 anni di post-concilio non ci si può più illudere sui suoi frutti, che son stati “triboli e spine” (come han dovuto riconoscere Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI) sino ad arrivare allo sfacelo attuale del 2013-2105.
Il nuovo Giubileo straordinario inizierà l’8 dicembre del 2015, esattamente 50
anni dopo il giorno di chiusura del Concilio Vaticano II (8 dicembre 1965) “per
festeggiare questo anniversario” ed assieme “per recuperare la piena comunione
con i sacerdoti” che non avevano accettato le novità di questo Concilio
pastorale e quindi non infallibile poiché in difformità con la Tradizione
apostolica.Tra i Giubilei straordinari si ricorda specialmente quello, tristemente famoso, indetto da Paolo VI. “Il Papa ha concesso questo Giubileo a ricordo dell’evento del Concilio Vaticano II, a titolo di ringraziamento e per implorare l’aiuto per l’osservanza delle disposizioni conciliari”. Lo stesso ha fatto Francesco I col Giubileo straordinario della Misericordia per festeggiare il 50° anniversario del Vaticano II, ancor più tristo di quello del 1966 poiché dopo 50 anni di post-concilio non ci si può più illudere sui suoi frutti, che son stati “triboli e spine” (come han dovuto riconoscere Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI) sino ad arrivare allo sfacelo attuale del 2013-2105.
In latino Giubileo viene dal verbo iubilare, che significa gioire, esultare, rallegrarsi. Ora ci si può rallegrare del 50° anniversario del Concilio Vaticano II? no! Mons. Marcel Lefebvre lo ha definito “una sciagura più grave, in un certo senso, delle due guerre mondiali”. Quindi come di fronte agli infausti conflitti mondiali ci si rattrista, si è mesti, addolorati, così a maggior ragione di fronte ad una terza guerra mondiale spirituale quale è stata il Vaticano II si è profondamente costernati anche se la “Speranza non muore mai”. Ora sarebbe una follia rallegrarsi delle due guerre mondiali, ogni uomo sano di mente lo capisce. Quindi, analogamente, sarebbe ancor più folle giubilare per il Vaticano II, eppure anche da parte tradizionalista si giubila….
Il modernismo è la “cloaca che raccoglie tutte le eresie” (S. Pio X) e il modernista, conseguentemente, odia e vorrebbe distruggere tutto ciò che è Tradizione apostolica e cattolicesimo romano tradizionale (S. Pio X). Papa Francesco I è manifestamente (e non fa nulla per nasconderlo) un ultramodernista (appartenente alla corrente marxisteggiante della Teologia della Liberazione), che concede un primato alla prassi sulla dottrina. Ora come il lupo ha insito nella sua natura l’istinto pratico di sbranare l’agnello, così il modernista vorrebbe distruggere la Tradizione apostolica, il cattolicesimo romano tradizionale e i cattolici integralmente non-modernisti (S. Pio X). Quindi se il modernista teorico odia teologicamente e metafisicamente la dottrina cattolica, il modernista pratico la odia istintivamente e visceralmente, ma entrambi la vorrebbero morta.
La loro tattica cambia, ma il loro fine è identico, son sostanzialmente lupi anche se vestiti da agnelli o addirittura da Pastori, ma divergono solo accidentalmente quanto al modo di pensare e di agire. Per fare un esempio, un modernista a marcia lenta e dottrinario come Joseph Ratzinger avrebbe voluto piegare gli antimodernisti ad approvare teoricamente e dottrinalmente il Vaticano II e il post-concilio dietro firma (nero su bianco) della loro accettazione (come avvenne col Protocollo del 5 maggio del 1988 e poi nei dialoghi semi-pubblici nel 2010-12), ma ciò era troppo palese per essere accettato dalla maggior parte dei tradizionalisti. Invece un modernista a marcia accelerata e pratico, come Francesco I, si accontenta (molto astutamente) di far vivere, tramite il dialogo con i capi-tradizionalisti, il modernismo implicito agli antimodernisti dottrinali – senza esigere abiure, firme, accettazioni di dottrina – contentandosi, per quanto riguarda i tradizionalisti dell’accettazione, del silenzio o della non-critica pubblica degli errori conciliari (per evitare che i tradizionalisti vedano in piena luce la trappola tesa loro) e di “camminare assieme” senza fare disputate teologiche (come insegnavano Ernest Bloch, Franco Rodano e compagni) ben sapendo che “agere sequitur esse” e se si agisce assieme modernisticamente lo si diventa immancabilmente pian piano anche dottrinalmente, almeno per omissione di professione integra della verità. “Se non vivi come pensi, finirai per pensare come vivi”.
La teologia cattolica insegna che non si può, sotto pena di peccato mortale contro la Fede, tacere la Verità rivelata quando essa è negata e calpestata o messa in pericolo dagli eresiarchi (S. Th., II-II, q. 9, a. 2; CIC del 1917, can. 1325, § 1). “Un silenzio arrendevole su questioni di Fede mette facilmente in pericolo la propria personale fedeltà alla Fede e può essere di scandalo agli altri. […]. Si ha negazione indiretta della Fede quando si tace su questioni religiose in circostanze speciali. […]. Le occasioni principali che portano all’indebolimento della Fede sono da ricercarsi nei contatti con società irreligiose, indifferenti, laiche. Difendersi e tenersi lontani da tali pericoli è prima di tutto un dovere di diritto naturale”.
“Chi tace acconsente” ci insegna il buon senso popolare. Ora se di fronte al pan-ecumenismo taccio, significa che acconsento e lo accetto praticamente ed implicitamente; così pure di fronte alla nuova morale della situazione, la quale vorrebbe concedere il perdono e i sacramenti al peccatore che non vuol pentirsi, tacere significa acconsentire ed accettare. “Il cattivo Pastore fugge davanti al lupo non solo scappando fisicamente, ma anche tacendo” (S. Giovanni Crisostomo). Ma ciò porta alla dannazione. Infatti “Senza la Fede è impossibile piacere a Dio” (S. Paolo) e “La Fede senza le Opere è morta” (S. Giacomo). Per quanto riguarda il Concilio Vaticano II, anche se non si sottoscrive un protocollo di accettazione, ma si tace e non si condannano più i suoi errori in pubblico, lo si accetta implicitamente e si diventa “modernisti impliciti o anonimi”, parafrasando Rahner e Schillebeeckx.
Attenzione! la concessione fatta il 1° settembre da Francesco I ai tradizionalisti fa un tutt’uno con il suo motu proprio dell’8 settembre 2015 per snellire al massimo le cause di nullità del matrimonio, basandosi sulla immaturità psicologica dei giovani sposi ammessa dal CIC del 1983; motu proprio che prepara il Sinodo per la famiglia del 15 ottobre del 2015 durante il quale si vuol far tacere i tradizionalisti, e soprattutto i circa 50 vescovi e cardinali, che si erano opposti nell’ottobre del 2014 alla concessione dei sacramenti ai peccatori non pentiti, che vogliono continuare a vivere nel peccato. Si capisce quindi l’enorme gravità, la pericolosità e la malizia di questa concessione del 1° settembre.
Tacere sul Vaticano II, infatti, significa accettare implicitamente 1°) la collegialità episcopale e rinnegare l’Episcopato monarchico del Papa (Lumen gentium); 2°) la libertà concessa, di diritto, alle false religioni anche in pubblico, la quale ha portato alla cancellazione dei Concordati che riconoscevano la Religione cattolica come quella ufficiale dello Stato (Dignitatis humanae); 3°) il pan-ecumenismo (Unitatis redintegratio), che ha portato all’abominio di Assisi 1986; 4°) il pan-cristismo teilhardiano, che ha portato all’antropocentrismo e al culto dell’Uomo al posto del culto di Dio (Gaudium et spes) definito da S. Pio X “il segno distintivo del regno dell’Anticristo”; 5°) il permanere della Vecchia Alleanza come se la Nuova ed Eterna nel Sangue di Cristo non l’avesse abolita e perfezionata (Nostra aetate); dottrina che ha condotto al discorso di Giovanni Paolo II alla sinagoga di Magonza nel 1981, in cui disse che “L’Antica Alleanza non è stata mai revocata” e alla visita del medesimo Pontefice alla sinagoga maggiore di Roma il 13 aprile del 1986, in cui il Papa definì gli Ebrei che non hanno accettato Gesù “nostri fratelli maggiori nella Fede di Abramo”, il quale invece credeva nel Cristo venturo (“Abramo desiderò vedere il mio giorno lo vide e ne tripudiò”). Queste sono dottrine ereticali e giudaizzanti, che rinnegano la definizione dogmatica del Concilio I di Gerusalemme presieduto da S. Pietro, nel 50 d. C.
Con questo compromesso tacito con Francesco I (proprio nel momento in cui tanti parroci, vescovi e cardinali si pongono seri dubbi sull’operato di papa Francesco e pensano di dover resistere alla sua nuova pastorale matrimoniale) i tradizionalisti stanno per giubilare e gioire per il 50° anniversario del Concilio Vaticano II, ma ciò oltre che dannoso per la Fede dell’anima sarebbe anche svantaggioso praticamente. Infatti equivarrebbe a far giocare una pecorella assieme al lupo, che finirebbe immancabilmente per sbranarla. “Il pesce grosso mangia quello piccolo”. È ciò che è successo nel 1926 in Messico ai Cristeros, che deposero le armi fidandosi dei massoni finirono tutti fucilati o peggio torturati e poi uccisi nel più barbaro dei modi. È una questione di buon senso. Il male odia il bene, l’errore non sopporta la verità, le tenebre non possono coesistere quando si fa luce. È una guerra all’ultimo sangue. Non volerlo ammettere significa andare incontro alla morte dell’anima e del corpo. Se accendo la luce in una stanza buia la luce svanisce, così se spengo l’interruttore tornano le tenebre; analogamente se non professo pubblicamente la dottrina cattolica di fronte agli errori contemporanei le tenebre invadono l’anima poiché ho rinnegato indirettamente la Fede. [...]
Molti sacerdoti oggi son perplessi tra l’obbedienza al loro superiore e la fedeltà alla Tradizione apostolica, ma il problema fu risolto già nel 1976 e poi nel 1988 quando si dovette dir no agli uomini (e specialmente al Papa nel suo magistero pastorale e non ad un semplice superiore di un Istituto di vita sacerdotale) per obbedire a Dio, come ci hanno insegnato gli Apostoli e Gesù Cristo: “Bisogna obbedire a Dio prima che agli uomini”. [...]
Tacere di fronte a ciò che sta succedendo dal Vaticano II e soprattutto oggi, con la negazione teorico/pratica dei 10 Comandamenti, non è possibile. La neutralità di fronte a Dio non è ammessa: “Chi non sta con Me è contro di Me!”. “Non potete servire due Padroni, Dio e Mammona. Infatti o odierete il primo e amerete il secondo o viceversa”. Anche i seminaristi sono posti da questi avvenimenti in “una tragica necessità di opzione” (cardinali A. Ottaviani – A. Bacci).
Nella vita bisogna schierarsi pubblicamente, non fa piacere ma è necessario e son proprio i neutrali per principio a far scoppiare le guerre più disastrose. Nascondere la testa dentro la sabbia come lo struzzo lascia tutto il resto del corpo in balìa del nemico, illudersi che tacendo si possa mantenere la Fede integra è una chimera ed è smentito dalla sana teologia e dal Diritto della Chiesa.
DON CURZIO NITOGLIA (doncurzionitoglia.wordpress.com)
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