ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 27 settembre 2015

Il cappone nel cortile

Cardinale Gianfranco Ravasi ad HuffPost: "Gesù ha inventato i tweet. E Papa Francesco lo sta seguendo"


“Uno dei maggiori elementi di forza di Papa Francesco è la sua capacità istintiva di comunicare in modo semplice, con frasi coordinate e non subordinate che colgono la lunghezza d’onda delle persone. In fondo, l’inventore dei tweet è Gesu Cristo, 'a Dio quel che è di Dio, a Cesare quel che è di Cesare'. Non erano più di 50 caratteri nel greco dei vangeli, spazi inclusi…”. Il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio della Cultura, sorride per un istante di questo parallelo tra la Parola di Cristo e il social network. Siede su un piccolo divano, in una saletta del Sacro convento di Assisi, in una pausa dei lavori del “Cortile di Francesco”, l’evento culturale dei padri francescani che lui stesso concluderà domenica 27.

“Nella comunicazione, Papa Francesco torna dunque alle nostre stesse origini ed è l’unico modo per farsi comprendere dall’uomo di oggi”, spiega Ravasi. “Non è un caso che da secoli si citino i ‘tweet’ del Signore, e oggi Francesco fa lo stesso con formule come ‘la Chiesa ospedale da campo’, ‘il Sudario non ha tasche’, l’odore delle pecore’. Il mio modo di parlare, invece, è molto simile a quello di Benedetto XVI, un discorso ramificato, ricco di subordinate. Certo, per una sede come questa funziona anche questo, e spero che in ambienti come questo, quando si parla di teologia, non si perda questa modalità espressiva: ma fuori da noi non è più efficace e il Papa ha superato questo ostacolo in modo spontaneo, senza averlo programmato. Una volta gli ho detto, ‘Il grande vantaggio è che lei usa la coordinata…’ e lui mi ha risposto: ‘Ma cosa vuol dire?’”.
“Oltre a questo elemento simbolico, alla creazione di immagini, che è fondamentale per l’uomo di oggi che è abituato all’immagine più che all’ascolto, c’è anche un elemento somatico nel Santo Padre, che ha a che fare con il corpo: l’uomo ha bisogno oggi più che mai di un incontro non virtuale, e non a caso Francesco nelle udienze generali utilizza la maggior parte del tempo a parlare con le persone, avvicinandosi e ascoltando…le persone hanno strutturalmente bisogno dell’incontro con l’altro, del contatto diretto”. “Io credo che questo debba valere per tutta la Chiesa: guai a un parroco che reciti l’omelia recitando semplicemente un testo teologico, magari ineccepibile. Perché oggi uno dei problemi fondamentali per la Chiesa è il linguaggio, comunicare a un popolo che ha un linguaggio completamente diverso dal passato”.
Eminenza, ritiene che questo viaggio del Papa negli Usa abbia un carattere storico?
“Dico senza dubbio di sì, e conoscendo la cultura americana ne sono ancora più convinto. Il Papa poteva correre il rischio di non trovare il giusto equilibrio tra Scilla e Cariddi, tra la critica ai mali della società americana e l’esigenza di mandare dei messaggi positivi e comprensibili. E invece ha trovato il crinale perfetto: ha affermato i valori condivisi, ha citato l’inno nazionale e alcuni autori americani e tuttavia ha inserito alcune spine nel fianco. E posso assicurare che non è semplice. Quando abbiamo fatto ‘Il Cortile dei gentili’ al Congresso a Washington ho avuto contezza del rischio di toccare nervi sensibili, come possono essere le armi per i repubblicani o i temi etici per i democratici. E poi mi ha colpito il discorso del Papa davanti alla folla a Washington, una benedizione laica in spagnolo che ha avuto un significato particolare per l’America di oggi. E’ interessante l’uso dello spagnolo in una società dove la presenza ispanica è così ampia e talvolta crea qualche problema”.
L’ha colpita vedere il Santo Padre “giustificarsi” per aver detto una cosa “un po’ sinistrina” e ha proposto di recitare il Credo quasi come una conferma della sua Fede?
“Credo sia necessario che ci siano le critiche, lo diceva Gesù stesso quando usava parole come ‘scandalo’ e ‘provocazione’. Come diceva Graham Greene ‘se nessuno vi contesta mai qualcosa significa che non avete detto la verità…’. Il Papa faceva riferimento agli ambiti che sono presenti negli Usa e in misura minore anche in Italia che criticano le sue posizioni, talvolta violentemente, ad esempio sul tema degli immigrati. Francesco ha voluto sottolineare di essere perfettamente consapevole che le cose che dice possono essere sgradite a qualcuno, ma lui ritiene – e ha voluto ribadirlo- che siano parte integrale della dottrina sociale della Chiesa, e non certo dette per ragioni politiche”.
Venerdì lei ha partecipato a un dibattito qui nella Basilica con le tre ministre Boschi, Pinotti e Giannini. In quella occasione ha fatto riferimento al sacerdozio femminile. Lei ritiene che in questo Pontificato possa avvenire anche questa “rivoluzione”? 
“Non credo che il tema sia quello del sacerdozio, ma sono convinto che il ruolo della donna nella Chiesa sia destinato a crescere in modo significativo, anche se non in chiave strettamente clericale. Il riferimento è il Cenacolo, al ruolo di Maria che è più importante di quello degli apostoli-vescovi. Noi abbiamo una responsabilità, direi anche una colpa, nel fatto che la struttura della Chiesa attuale sia troppo dominata da un modello maschile e clericale che occupa tutti gli spazi. Dopo il Concilio non siamo riusciti ad attuare in modo pratico un cambiamento che pure avvertiamo come necessario. Occorre trovare delle funzioni, dei ministeri che siano propri delle donne, ma anche dei laici di entrambi i sessi, dando così spazio alla molteplicità della comunità ecclesiale”.
Può fare qualche esempio concreto?
“Nel mio dicastero tutta la sequenza delle funzioni direttive e operative è nelle mani di sacerdoti. Le donne hanno solo funzioni di tipo tecnico e amministrativo. Ecco, questo può cambiare. Chi ha detto che le deleghe dentro i dicasteri debbano essere solo appannaggio degli uomini? Parlo anche di ruoli come la guida di qualche dicastero Vaticano, come già avviene per i ruoli di sottosegretario. Inoltre, ho introdotto una consulta femminile che possa dare un giudizio anche politico su tutte le cose che facciamo, compresa questa iniziativa ad Assisi. Penso anche alle parrocchie, dove ormai i parroci non gestiscono tutto da soli. Nella catechesi, ad esempio, spesso protagoniste sono le donne, e questa polifonia anche nelle scelte pastorali è un bene prezioso”.
Lei avverte un deficit di presenza femminile?
“Da prima del Concilio sono stati fatti passi avanti importanti. E tuttavia c’è ancora molto da fare. C’è da formare una sorta di naturalezza all’interno dell’organizzazione della comunità ecclesiale”.
Perché non arrivare al sacerdozio femminile?
“La funzione del pastore nella comunità cattolica è modellata sulla funzione di Cristo e resterà affidata all’uomo”.
Lei ritiene che sia una svolta prematura o un nodo strutturale?
“Ritengo che sia strutturale e non credo che maturerà un cambiamento di questa portata neppure con Francesco. E’ una questione teologica, come hanno ribadito diversi Papi. In gioco c’è la figura e la rappresentazione di Cristo. Ma questo non esclude che le donne possano accedere ad altre funzioni. Molte donne affermano che non esistono solo rivendicazioni di tipo clericale, ma pastorale. Dal punto di vista dei sacramenti, il battesimo ad esempio può essere gestito da una donna, e lo stesso matrimonio prevede due ministri di cui uno è donna. In alcune comunità dove non ci sono sacerdoti le suore svolgono anche funzioni di distribuzione dell’eucarestia senza compiere il sacramento. Credo che ci sia anche una mentalità dei fedeli da cambiare, e alcune nuove funzioni da pensare per le donne. Per me questa Consulta non è una cosa formale o un contentino, ma una cosa molto seria. Abbiamo smarrito la categoria della tenerezza, e questa manca alla Chiesa di oggi. Sono convinto che in questo pontificato il ruolo della donna avrà una presenza maggiore e diversa, partendo da questo bisogno di tenerezza di cui le donne sono le migliori custodi”.
Andrea Carugati, L'Huffington Post
http://www.huffingtonpost.it/2015/09/26/ravasi-gesu-tweet_n_8200336.html

La redenzione di Mark Wahlberg

Sul palco di Philadelphia l'attore che "deve tutto alla fede" porta la chiesa fuori dallo squallore comunicativo
di Mattia Ferraresi | 27 Settembre 2015 

Philadelphia. Una delle ultime volte in cui Mark Wahlberg è salito su un palco del genere ha messo sotto pressione i censori di MTV, quelli che sfruttano i cinque secondi della differita salvaparolacce per mettere un “bip” sulle espressioni sconvenienti. L’attore 42enne aveva ricevuto il Generation Award, una specie di riconoscimento per attori di mezza età che fra il serio e il faceto aveva rinominato come il premio “sei fottutamente troppo vecchio per essere invitato di nuovo”. Significa “you’re fucking done”, ha detto mentre brandiva il cestino di popcorn d’oro, condendo il resto del discorso con ampio uso dell’impronunciabile parola con la effe. Wahlberg era immediatamente passato alla cronaca come il ragazzaccio volgare e frustrato che deve ricorrere al turpiloquio per acchiappare ancora qualche clic.

Già aveva dato un anno prima con il leggendario “ma come cazzo di permetti?” rivolto a Tom Cruise, che aveva paragonato la pressione e la fatica del suo lavoro a quella dei militari, cosa inaccettabile per lui che il valore dei soldati lo aveva magnificato in “Lone Survivor”. Seguiva un’articolata serie di insulti a uno degli intoccabili principi di Hollywood. Insomma, non è un bad boy del genere il primo che viene in mente nel casting per introdurre gli ospiti sotto gli occhi del Papa alla veglia per la giornata mondiale delle famiglie. E invece sul palco Wahlberg ha fatto una gran figura, non soltanto perché ha detto “devo tutto alla mia fede cattolica”, e chi ha scorso rapidamente la sua biografia sa cosa significa. E’ stato grande perché ha strappato l’evento dallo squallore comunicativo in cui spesso queste serate ecclesiastico-mondane tendono a precipitare, con derive sanremoidi, schitarrate, battute da oratorio, ospiti tolti dalla naftalina e altre brutture. 

La serata di Philadelphia non era la notte degli Oscar, si capisce, e il cuore della faccenda erano le testimonianze potenti della vita famigliare, davanti il quale il Papa ha preso diligentemente appunti, ma Wahlberg ci ha messo il ritmo, la presenza e la forza comunicativa fatta tanto di gravitas quanto di leggerezza, tutta merce molto bergogliana. E’ riuscito pure a buttare lì un “Go Eagles!”, l’augurio ai beniamini locali con cui si deve sempre finire un discorso alla città dell’amore fraterno. Walhberg è un bostoniano cresciuto in una famiglia cattolica ma che già a quindici anni aveva sviluppato una dipendenza dalla cocaina. E’ finito in carcere per tentato omicidio che non era ancora maggiorenne, ha menato le mani e insultato poliziotti, si è meritato una reputazione di testa calda e ragazzo irrecuperabile, una fama che in famiglia non era il primo ad aver ottenuto.

ARTICOLI CORRELATI Ecumenico ed emotivo, Francesco chiede “pace” a Ground Zero Il Papa: "Difendere la famiglia, lì si gioca il nostro futuro" L'effetto collaterale di Francesco Papa Francesco e il modello di integrazione americano in crisiE’ rimasto invischiato in storie di gang di quelle dalle quali è difficile uscire. Ci è riuscito grazie al rapporto con il suo parroco, attraverso cui ha recuperato la fede e si è ricostruito una vita, con una degna carriera hollywoodiana – con cadute di cui scherza, anche di fronte al Papa – e una famiglia con moglie e quattro figli. Faccenda di perdizione e redenzione, di ghiande per porci e di vitelli grassi. In una fresca serata di settembre, Walhberg è finito su un palco di Philadelphia a fare il master of ceremonies del Papa dei diseredati, intrattenendo senza distrarre. Una piccola rivincita sui bacchettoni che lo avevano bollato come quello che dice troppi “fuck”.

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.