ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 2 settembre 2015

Liquidità nel corpo asfittico della Chiesa ?


Giuliano Ferrara boccia il Papa sull'aborto: si perde il senso del peccato?

Giuliano Ferrara boccia il Papa sull'aborto: si perde il senso del peccato?

Se Marco Pannella ha “benedetto” le parole di Papa Francesco con riferimento soprattutto all’amnistia per i detenuti,Giuliano Ferrara le ha invece bocciate per ciò che concerne la decisione di estendere il potere di assoluzione per i casi di aborto a tutti i sacerdoti. Non è un mistero che Ferrara non ami Bergoglio e non condivida il suo metodo di governo della Chiesa; non a caso il quotidiano La Repubblica è andato a sentire il suo parere sulla questione sollevata dalla lettera del Papa indirizzata a monsignor Rino Fisichella, a capo del dipartimento vaticano chiamato ad organizzare il Giubileo straordinario dal punto di vista spirituale.
 Ferrara, ricorderanno molti, condusse una battaglia in favore di una moratoria dell’aborto nel mondo e alle elezioni politiche del 2006 schierò in campo una lista di sostegno alla vita (che ebbe però scarsissimo successo). 
“È nel pieno diritto del Papa amministrare la misericordia come crede – spiega Ferrara - e non ho nessuna imputazione da muovere al pentimento. Il clero, il sacerdozio consacrato, possono risolvere al loro interno, nel segno che il Papa ha scelto della misericordia, la questione. 
Questa cosa non mi fa nessuno scandalo. 
Diverso è commisurare questa linea della misericordia a una certa sordità culturale sull'aborto in generale. Questa sordità mi fa più specie. E qui sì auspicherei che la Chiesa e i governi del mondo proponessero azioni concrete per combattere questa piaga, per darle il nome che si merita. Una legittimazione delle battaglie pro-life, per me opportuna, non viene dalla chiesa di Papa Francesco. Devo però dire, a onor del vero, che in merito anche Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno agito con una certa sofferenza e titubanza, anche se la loro predicazione andava nella direzione di una difesa esplicita e culturalmente rilevante della vita". 

Come dire, Papa Francesco ponendo il primato della misericordia avanti a tutto rischia di far passare in secondo piano il principio della difesa della vita umana. 

Una polemica condivisa da molti in ambito cattolico; una politica quella di Bergoglio che starebbe facendo perdere nei fedeli il “senso del peccato” almeno secondo le tesi degli osservatori più tradizionalisti. Secondo l’ex direttore di Panorama e de Il Foglio "Il Papa, della difesa della vita umana sembra non volersene preoccupare troppo. Credo perché le sue frontiere sono quelle della povertà e delle miserie sociali, frontiere certamente importanti. Egli ritiene che la biogenetica, la bioingegneria, il trattamento strumentale della vita e la sordità verso l'aborto siano caratteristiche del tempo a cui non si può fare una vera e frontale opposizione. E questo non c'entra nulla con la legittimità del perdono conferito a chi abortisce. Sono due piani diversi". 

Ferrara insomma accusa esplicitamente la Chiesa di essersi arresa al relativismo fino a ritenere che non valga più la pena di combattere per la difesa dei principi etici come invece hanno fatto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. 

I quali non hanno mai negato la misericordia a nessuno (fu proprio Wojtyla a voler istituire la “giornata della divina misericordia” la domenica immediatamente successiva alla Santa Pasqua) ma mantenendo comunque accesi i riflettori sul “senso del peccato” e sulla gravità di certe pratiche. Insomma sempre più spesso si fa riferimento al Gesù misericordioso che ha perdonato la donna adultera e i pubblicani, preferendo la compagnia dei pubblici peccatori ai farisei e agli ipocriti del tempo; sempre più spesso però ci si dimentica di come, dopo il perdono, Gesù abbia posto la condizione di “non peccare più”. 

E come ricordava papa Giovanni XXIII è sempre necessario distinguere il peccato dal peccatore, perché mentre il secondo va compreso e accolto, nessun compromesso può mai esistere nei confronti del peccato. 

Ciò che manca forse nella Chiesa di oggi, secondo l’opinione di molti, è l’assenza, di fronte ad un eccessivo spirito misericordioso, di una forte ed esplicita condanna del peccato (o che non viene ben comunicata), fino a far ritenere, erroneamente, che il peccato sia quasi una concezione culturale superata e da abolire.
02 settembre 2015, Americo Mascarucci


«La Chiesa cattolica e il Papa hanno tutto il diritto di trovare al proprio interno tempi e modi più opportuni per assolvere il peccato dell’aborto. In questo caso, è chiara la linea della misericordia messa in campo da Francesco. Ciò che tuttavia a mio avviso oggi manca è un discorso culturale forte che sappia rispondere alla sordità del mondo verso l’aborto stesso, un evento considerato ormai dalla stragrande maggioranza della gente un’opzione necessaria».Giuliano Ferrara, ex direttore del Foglio, l’amnistia sull’aborto ordinata da Francesco non la infastidisce?

«Assolutamente no. È nel pieno diritto del Papa amministrare la misericordia come crede. E non ho nessuna imputazione da muovere al pentimento. Il clero, il sacerdozio consacrato, possono risolvere al loro interno, nel segno che il Papa ha scelto della misericordia, la questione. Questa cosa non mi fa nessuno scandalo. Diverso è commisurare questa linea della misericordia a una certa sordità culturale sull’aborto in generale. Questa sordità mi fa più specie. E qui sì auspicherei che la Chiesa e i governi del mondo proponessero azioni concrete per combattere questa piaga, per darle il nome che si merita».
Ritiene che in passato la Chiesa abbia agito diversamente?
«Una legittimazione delle battaglie pro-life, per me opportuna, non viene dalla chiesa di Papa Francesco. Devo però dire, a onor del vero, che in merito anche Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno agito con una certa sofferenza e titubanza, anche se la loro predicazione andava nella direzione di una difesa esplicita e culturalmente rilevante della vita».
La cosa non avviene con Francesco?
«Il Papa sembra non volersene preoccupare troppo. Credo perché le sue frontiere sono quelle della povertà e delle miserie sociali, frontiere certamente importanti. Egli ritiene che la biogenetica, la bioingegneria, il trattamento strumentale della vita e la sordità verso l’aborto siano caratteristiche del tempo a cui non si può fare una vera e frontale opposizione. E questo non c’entra nulla con la legittimità del perdono conferito a chi abortisce. Sono due piani diversi».
Insomma, il problema di cui parla non è né sacramentale né religioso.
«Esatto. Per me la Chiesa è importante come cattedra di umanità, come luogo che riconosca pubblicamente il portato catastrofico della sentenza “Roe contro Wade” che il 22 gennaio 1973 decretò l’incostituzionalità della legge del Texas che vietava l’aborto. Da quel momento in poi la libertà di abortire diventò un diritto costituzionale. L’aborto divenne una questione di privacy delle donne, misconoscendo che il permissivismo in materia in materia di omicidio è un qualcosa di critico. La cosa sconcertante è che proprio come cattedra di umanità la Chiesa ha rinunciato a porre la questione da un punto di vista culturale».
Repubblica.it (Paolo Rodari) 
http://ilsismografo.blogspot.it/2015/09/italia-giuliano-ferrara-cosi-la-chiesa.html
La scelta informale di Francesco, ma la dottrina non cambia 
 Corriere della Sera 
(Luigi Accattoli) Allargata la facoltà di comprendere, resta la dimensione della «gravità» -- Un testo informale per decisioni forti: la lettera di ieri sull’indulgenza giubilare ha il tono dimesso e nuovo dell’apparizione di Francesco al balcone dopo l’elezione. Come quando scrive ai nuovi cardinali per richiamarli alla sobrietà, o quando dice a braccio ai vescovi italiani che occorre ridurre il numero delle diocesi, così per il «perdono» giubilare (indulgenza vuol dire perdono) dice di più dei predecessori senza ricorrere al latino e senza citare i sacri canoni.
Le decisioni che comunica con un testo in italiano, firmato «Francesco», sono tutte nel segno dell’avvicinamento della Chiesa all’umanità tribolata (donne che hanno abortito, malati, persone sole e anziani, carcerati) e nel segno della semplificazione del linguaggio e delle norme. Ma non è una bolla, non è un motu proprio , non è una «lettera apostolica», esce da tutte le forme della tradizionale decretazione pontificia: è una lettera all’arcivescovo Fisichella, responsabile organizzativo del Giubileo. In pratica, una comunicazione di servizio.
Per l’aborto c’è la scomunica e dunque ordinariamente il confessore dirà alla donna che ha interrotto la gravidanza: non posso assolverti, vai dal vescovo. Già i vescovi potevano concedere a tutti i sacerdoti, negli Anni Santi e in altre occasioni, la facoltà di assolvere quel peccato. Ma qualcuno lo faceva e qualcuno no: con la decisione di ieri il Papa ha dato a quella facilitazione la massima estensione.
«Non dobbiamo porre dogane, dobbiamo essere facilitatori della Grazia», ha detto una volta Francesco. Con questa disposizione non tocca la dottrina sulla gravità del «peccato d’aborto», che qualifica come un atto «profondamente ingiusto», ma vuole che nei mesi del Giubileo si dia un segno più ampio di comprensione per chi ne sia pentito.
Lo stesso per i carcerati: non possono andare in pellegrinaggio, ma forse possono andare alla cappella del carcere, o comunque hanno una porta che chiude la loro cella; ebbene, dice Francesco con un salto simbolico di straordinaria efficacia: ogni volta che passeranno per la porta della cella, «possa questo gesto significare il passaggio della Porta Santa».
Per le carceri Francesco non chiede formalmente «una grande amnistia», pur usando queste parole, ma forse la chiederà prossimamente. Il documento di ieri si limita a ricordare che la tradizione vedeva legati fra loro i giubilei e le amnistie: ieri parlava alla Chiesa, forse un giorno parlerà alle autorità degli Stati, come già Wojtyla nel 2000 e chiederà «un gesto di clemenza».
La lettera di Francesco è il documento papale con meno forma e più sostanza che sia mai stato fatto sul perdono giubilare, che una volta era anche detto «perdonanza». Esso potrebbe anche avere un effetto liberante rispetto allo spinoso tema delle indulgenze, che sono state all’origine della «protesta» di Lutero e che divide oggi gli stessi teologi cattolici tra quanti le ritengono imprescindibili e quanti le vorrebbero abbandonare.
Francesco le propone, ma con tale novità di linguaggio e di contenuti da sottrarle, almeno in parte, alla polemica. Non dice «lucrare» o «acquistare l’indulgenza», come voleva il linguaggio tradizionale, non distingue tra indulgenza parziale o «plenaria», usa la parola indulgenza come sinonimo di «grazia del Giubileo». Insomma riduce ancora, più di quanto non avessero fatto gli ultimi Papi, gli elementi rituali e normativi di questo aspetto della prassi penitenziale cattolica che arriva con il secondo millennio della storia cristiana e che risulta ostica ai cristiani che non appartengono alla Comunione cattolica.
Corriere della Sera, 2 settembre 2015

Giubileo, Papa Francesco inietta ulteriore liquidità nel corpo asfittico della Chiesa. Le conseguenze politiche della lettera

Mentre la Federal Reserve si predispone a rialzare i tassi, sfidando le reazioni cinesi e confidando di superare la crisi, Francesco al contrario non cambia politica monetaria. Il Papa persegue, e prosegue, il suo personale, spirituale Quantitative Easing e inietta ulteriore liquidità nel corpo asfittico della Chiesa, per farlo risorgere dalla stasi. Manovra di vasto raggio, alla stregua delle finanziarie d’autunno, che investono a trecentosessanta gradi la società, toccandone tutte le corde, progressiste o conservatrici che siano: dall’aborto a Lefebvre, dalle grate del confessionale a quelle del carcere. Tra sacrestie e amnistie.
In attesa che il commissario entrante, Franco Gabrielli, e il sindaco rientrante, Ignazio Marino, mettano mano ai cantieri materiali, la lettera del 1° settembre a Monsignor Fisichella, conduttore strategico e costruttore teologico del Giubileo, configura la prima grande opera dell’Anno Santo e allarga virtualmente le strade che portano a Roma, con una serie di svincoli e rampe d’accesso, corsie d’emergenza e sottopassaggi, come nemmeno ai tempi del Concilio e dell’Olimpiade.
Il “maxiemendamento” di Francesco spazia dal consultorio interno della coscienza individuale, dove si tracciano i bilanci personali, all’osservatorio esterno delle scienza sociale, dove si intrecciano i consuntivi epocali. Bergoglio estende formalmente a ciascun prete la facoltà di assolvere dall’aborto, riservata de iure al vescovo diocesano ma de facto già oggetto di ampie deleghe operative, sburocratizzando la procedura del rito, senza tuttavia declassificare, o banalizzare, la natura del peccato, che per il Papa rimane “gravissimo”. Un gesto principalmente simbolico dunque, accolto però e interpretato come un evento rivoluzionario, rimuovendo l’immagine di una Chiesa che si erge a giudizio in cattedrale: al pari della Bastiglia, che quando fu presa non svolgeva più notoriamente una funzione di rilievo, ma continuava, nondimeno, a incarnare l’ancien régime.
E a proposito di regimi, spostandoci sul piano geopolitico, da oggi non pochi autocrati e dittatori, scorrendo la lettera del Pontefice, cominceranno a temere gli effetti di un Giubileo che de-localizzando le porte sante apre spiragli, e crepe, destabilizzanti nei meandri delle frontiere più chiuse. Per non parlare dell’amnistia universale, una sorta di svuota carceri planetario che il Papa con tutta probabilità si accinge a rilanciare, e amplificare, nell’emiciclo dell’ONU, il 25 settembre, in un discorso storico, davanti al consesso plenario dei capi di stato e di governo.
Ma l’investimento più “politico” e apparentemente a perdere, nel Quantitative Easing di Francesco, è dato dall’apertura di credito verso i seguaci di Lefebvre. Alla maniera di Sergio Marchionne, che dopo il prolungato corteggiamento del CDA di General Motors, si volge direttamente agli azionisti e prospetta i vantaggi della fusione, così Francesco manda un messaggio ai fedeli della Fraternità San Pio X, in quello che l’amministratore delegato di FCA definirebbe un “abbraccio forte”, consentendo di “lucrare” il Giubileo nelle proprie parrocchie, con i propri presbiteri, e toccare con mano, concretamente, i benefici della comunione.
Un cedimento gratuito, in apparenza, che all’orizzonte realizza un’OPA e offre un prezzo sacramentale, alto e incondizionato per ogni “azione”, ricevendo in cambio, in automatico, il premio della legittimazione reciproca, mediante la preghiera per le intenzioni del Pontefice, che tradizionalmente accompagna il dispositivo dell’indulgenza.
Si tratta di un prototipo assolutamente innovativo, che di qui a qualche mese potrebbe venire applicato, e imprimere accelerazione, ai rapporti con la Chiesa Patriottica di Pechino: in un contesto ideologicamente lontano, eppure teologicamente analogo, di una comunità che condivide la stessa fede, ma non la fedeltà nei confronti del Papa. Spingendo la profezia gesuitica e l’astuzia diplomatica dove nemmeno il precursore Matteo Ricci, quattro secoli fa, nel suo slancio missionario e impeto visionario, avrebbe mai pensato di poter giungere.
Piero Schiavazzi,

"Questo Giubileo della Misericordia non esclude nessuno": aborto, carcerati, scismatici

Una conferma è la decisione di utilizzare il Giubileo per presentare il volto misericordioso della chiesa nei confronti di "quanti lo hanno procurato e pentiti di cuore ne chiedono il perdono", estendendo "a tutti i sacerdoti la facoltà di assolvere dal peccato di aborto". La decisione era stata comunicata poco dopo l'annuncio del Giubileo, e in alcuni paesi (come, per esempio, negli Stati Uniti) non avrà un grande effetto pratico, dato che già da tempo i vescovi avevano dato ai sacerdoti questa facoltà. Tuttavia contiene un messaggio simbolicamente importante, specialmente a pochi giorni dalla visita del papa negli Stati Uniti, dove l'aborto è da quaranta anni a questa parte la questione politicamente più importante per la gerarchia cattolica. Ma non è solo un problema americano.
L'aborto è la questione che ha definito più di tutte le altre la percezione della chiesa cattolica nello spazio pubblico, contribuendo a plasmare l'immagine (incompleta fino ad essere falsa) di un'istituzione religiosa inconsapevole dei dilemmi morali della vita dei cristiani comuni. Il fatto che tutti i preti e vescovi siano maschi ovviamente non aiuta la chiesa a farsi ascoltare sull'aborto, e papa Francesco più di altri è consapevole del problema per la chiesa di farsi ascoltare. È parte della sua esperienza pastorale, che rispetto ai suoi predecessori lo ha portato molto più a contatto con quegli strati poveri della popolazione per i quali una gravidanza inattesa può avere conseguenze economiche e sociali che sono sconosciute ai cattolici benestanti: "Penso, in modo particolare, a tutte le donne che hanno fatto ricorso all'aborto. Conosco bene i condizionamenti che le hanno portate a questa decisione. So che è un dramma esistenziale e morale. Ho incontrato tante donne che portavano nel loro cuore la cicatrice per questa scelta sofferta e dolorosa".
L'insegnamento morale della chiesa sull'aborto non cambia, ma la postura di coloro che insegnano - quella può e deve cambiare. Papa Francesco ha più volte, fin dalla sua elezione, scoraggiato i pastori dal fare della chiesa una lobby concentrata solo sulle questioni della sessualità.
Una seconda conferma è quella della richiesta di un'amnistia per i detenuti, che già Giovanni Paolo II aveva chiesto: Francesco ha visitato spesso i carcerati, anche da papa (una delle "opere di misericordia" per il Giubileo). È una delle questioni su cui il papa sfida l'opinione pubblica e la mentalità "law and order" particolarmente sensibile in tempi di crisi economica, sociale e migratoria come oggi.
La sorpresa della lettera a mons. Fisichella è nella decisione che tocca "quei fedeli che per diversi motivi si sentono di frequentare le chiese officiate dai sacerdoti della Fraternità San Pio X" - il milione circa (sul totale di un miliardo) di cattolici ultra-tradizionalisti scismatici guidati dal vescovo francese Marcel Lefebvre che lasciarono la chiesa cattolica dopo il concilio Vaticano II (1962-1965). Papa Francesco afferma che "questo Anno giubilare della Misericordia non esclude nessuno [...] Mosso dall'esigenza di corrispondere al bene di questi fedeli, per mia propria disposizione stabilisco che quanti durante l'Anno Santo della Misericordia si accosteranno per celebrare il Sacramento della Riconciliazione presso i sacerdoti della Fraternità San Pio X, riceveranno validamente e lecitamente l'assoluzione dei loro peccati".
Questo è un elemento nuovo, che apparentemente avvicina Francesco al predecessore Benedetto XVI, che per un lungo periodo, prima come cardinale a Roma e poi come papa, si adoperò per far rientrare nella chiesa questi cattolici che si oppongono al dialogo ecumenico e interreligioso e al dialogo col mondo moderno. Benedetto XVI intavolò lunghe trattative, facendo significative concessioni (come sulla liturgia in latino nel luglio 2007), fino a quando nel gennaio 2009 tolse le scomuniche a quattro vescovi scismatici, salvo scoprire qualche giorno dopo che uno di essi (Richard Williamson) era un notorio antisemita. Papa Francesco non intavola trattative, ma imposta l'opera di riconciliazione con i lefebvriani nel quadro del Giubileo. Si tratta di uno di quegli atti di papa Francesco, ecumenico ad extra (coi protestanti e ortodossi) quanto lo è ad intra (con quei tradizionalisti che fin dalla sua elezione lo hanno accusato di essere la rovina della chiesa).
Il Giubileo straordinario è parte integrante della visione di chiesa di Francesco, incentrata sulla misericordia (tema-chiave già per Giovanni XXIII, vero antecedente di Francesco). Ma fa parte anche del passaggio cruciale per il pontificato che sono i prossimi mesi: visita negli Stati Uniti (fine settembre) e Sinodo dei vescovi (inizio ottobre) su matrimonio e famiglia. È presto per sapere come finirà il Sinodo, che ha avviato in tutta la chiesa un dibattito su matrimonio e divorzio, omosessualità, ruolo della donna nella chiesa. Ma tutti i vescovi che voteranno al Sinodo sanno già che la visione di chiesa di Francesco non esclude nessuno, neanche coloro che vedono in papa Bergoglio un pericoloso innovatore.
L'apertura ai tradizionalisti lefebvriani rientra nello spirito profondo del Giubileo e di tutto il pontificato: vedere in essa una manovra di Francesco per coprirsi le spalle sullo schieramento della "destra" ecclesiale in vista del Sinodo pecca di tatticismo. Francesco ha riportato nella chiesa un'atmosfera di evangelica normalità: una chiesa in cui cattolicità significa che posizioni diverse possono e devono parlarsi in vista di un discernimento comune, in cui il papato interpreta senza dominare a priori il discernimento. Il tatticismo ecclesiale è uno di quei mali da cui la chiesa spera di guarire (almeno in parte) col Giubileo.

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