Nel peccato mi ha concepito mia madre
Ecco, nella colpa sono stato generato, nel peccato mi ha concepito mia madre (Sal 51 [50], 7).
Non è fra i passi biblici più citati nella teologia contemporanea e nella nuova pastorale del “nessuno escluso”. Non perché affermi che ogni madre avrebbe commesso peccato nel concepire (ciò che il testo non vuol certamente dire, anche se in molti casi, purtroppo, risulta vero di fatto), ma perché esprime inequivocabilmente l’effetto più grave del peccato originale: ogni essere umano viene al mondo in stato di separazione da Dio, indipendentemente dalla qualità morale dei suoi genitori e da ciò che farà in seguito. È forse questa una situazione senza via d’uscita? Ovviamente no, come tutti sappiamo: con la predicazione del Vangelo effettuata dalla Chiesa, la fede da essa suscitata e i Sacramenti dell’iniziazione cristiana, ogni uomo può rinascere da acqua e da Spirito (cf. Gv 3, 5) per diventare nuova creatura.
Il catechismo ci informa altresì – ma è pure esperienza comune – che il Battesimo, pur riconciliando l’uomo con Dio e conferendogli la vita soprannaturale, non risana immediatamente i danni inferti alla natura umana dal peccato originale, come l’oscuramento dell’intelletto, l’indebolimento della volontà e l’inclinazione al male; per questo è indispensabile essere istruiti nella verità rivelata ed esercitarsi nella pratica delle virtù: «Nell’intimo mi insegni la sapienza», prosegue il salmo al versetto successivo. La nuova legge tuttavia, per essere scritta nei cuori dallo Spirito Santo, richiede nel credente una fondamentale disposizione interiore: «Tu vuoi la sincerità del cuore» (Sal 51 [50], 8). Chi non vuol riconoscere in sé il bisogno di essere guarito e corretto dall’immutabile Parola di verità non può progredire nella vita cristiana, rende anzi vana la grazia che ha ricevuto e dovrà rispondere a Dio, nel giudizio particolare, di questa scelta gravissima.
Per quanto possa apparire paradossale, oggi molti fedeli sono in parte scusati dal fatto che i loro Pastori, anziché trasmettere fedelmente ad essi il genuino insegnamento che salva, li illudono e fuorviano con una presentazione della dottrina parziale e lacunosa. Una verità costantemente presentata in modo incompleto finisce inevitabilmente con l’indurre in errore; una disciplina che non preveda alcuna correzione rimane del tutto inefficace. Una diagnosi corretta, viceversa, è presupposto di ogni guarigione; una terapia adeguata ne è l’avvio. Ad un arto slogato si applica un tutore; una ferita va disinfettata e fasciata. La riabilitazione conseguente a una frattura è necessaria, per quanto dolorosa, a meno che uno non preferisca rimanere storpio.
Tra pochi mesi inizierà un anno santo. Già si è annunciato l’invio di missionari della misericordia che avranno facoltà di assolvere da qualsiasi censura (quindi, in teoria, anche dalle scomuniche connesse all’aggressione del Sommo Pontefice e all’ordinazione di vescovi senza suo mandato…). Ora, in un testo peraltro privo di tenore e valenza giuridici, si concede ad ogni sacerdote (anche a quelli dimessi dallo stato clericale?) la facoltà di assolvere dall’aborto, delitto che, comportando la scomunica per tutte le persone coinvolte, compreso chi lo consiglia o coopera in qualsiasi modo, era finora riservato al vescovo. Non una sola parola è spesa per ricordarne la gravità e sollecitare le disposizioni interiori e gli atti esteriori che assicurano un pentimento sincero, senza il quale non c’è remissione dei peccati e l’assoluzione è invalida. Se, giusto per fare un esempio, due ragazzi non sposati confessano un aborto, ma persistono abitualmente in rapporti sessuali e non hanno alcuna intenzione di smettere, mancano le condizioni di un vero pentimento. Quanti sacerdoti lo sanno e ne terranno conto?
Ma questo è legalismo farisaico! – sbotteranno alcuni. La misericordia tutto scusa, tutto copre, tutto dimentica… Certo, ma la vera misericordia non si ferma lì, in quanto mira alla reale conversione del peccatore, così come un buon medico persegue la reale guarigione dell’ammalato e non si limita a propinargli un po’ d’acqua zuccherata perché si senta psicologicamente sollevato. Quando non c’è altro da fare, l’effetto placebo può anche essere d’aiuto a livello psico-fisico; a livello morale e spirituale, invece, ci vuole necessariamente qualcosa di più consistente: la grazia non è soltanto una parola, almeno per quei cattolici che conoscono la sana dottrina e non sono caduti nell’errore protestante, tipico esempio di nominalismo tardo-medievale.
Dopo che il divorzio e la separazione sono stati sdoganati come scelte in certi casi – di conseguenza in tutti – moralmente obbligatorie, ora è il turno di quella che chiamanointerruzione volontaria di gravidanza (quasi che il portarla a termine fosse facoltativo…). Estendere a tutti i sacerdoti la facoltà di assolvere da questo delitto – per poi sospenderla di nuovo l’ultimo giorno dell’anno santo? – equivale di fatto ad abrogare la relativa scomunica e a banalizzare questo crimine orrendo. Come per qualsiasi altro peccato, le circostanze in cui è commesso possono parzialmente attenuare la responsabilità del soggetto, ma ciò non toglie che, sul piano oggettivo, si tratti di una delle colpe più gravi in assoluto e che occorra quindi imperativamente fare tutto il possibile per dissuadere i fedeli dal commetterla.
Anche qualora una persona ne sia sinceramente pentita e riceva validamente l’assoluzione, pur se liberata dalla dannazione eterna deve comunque espiare la propria colpa, in questa vita o nell’altra; la carità di Cristo ci spinge quindi a tentare tutte le vie per trattenerla – per non parlare del bambino che potrebbe non veder mai la luce. Se, oltre il peccato originale, quest’ultimo è stato effettivamente concepito con un atto peccaminoso perché posto per pura libidine oppure in assenza del vincolo matrimoniale, non ne ha colpa alcuna; per qual motivo condannarlo a morte? Bisognerebbe porre la domanda a quei “cattolici” che si battono indefessamente per l’abolizione della pena capitale o per la salvaguardia del creato, ma non spendono mezza parola per i bimbi non nati, pur essendo membri o dirigenti di potentissime associazioni, molto influenti nei salotti che contano… Forse ritengono che le battaglie pro-life siano roba da tradizionalisti beceri e retrogradi.
Fa molto riflettere, a questo proposito, l’affermazione di un sedicente teologo francese intervistato dalla Radio Vaticana: la Chiesa dovrebbe impegnarsi non solo per la salvezza dell’umanità, ma anche per la salvezza del mondo. A parte il fatto che, nel linguaggio evangelico, le due locuzioni sono perfettamente equivalenti, vien da chiedersi da che cosa dovrebbe essere salvato il mondo, inteso come universo visibile: per quanto l’uomo – questo intruso ingrato e pericoloso – possa danneggiarlo, esso è pur sempre governato dalla Provvidenza divina, che lo conduce infallibilmente verso il suo fine con la cooperazione degli uomini redenti e in via di santificazione. D’altronde gli elementi della natura inanimata o incosciente, non avendo il libero arbitrio e la possibilità di peccare, non corrono certo il rischio di dannarsi, a differenza di quanti, visto che più nessuno li ferma, sprofondano inesorabilmente nell’abisso.
Pubblicato da Elia
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