BALDUCCI: VELLEITA' PROGRESSISTE Il cristianesimo di padre Balducci pasticcio inestricabile di velleità progressiste. Piaceva molto a sinistra da acceso fautore del dialogo fra cattolici e comunisti e vantava molti amici in quell'area politica di Francesco Lamendola
Il cristianesimo di padre Balducci, pasticcio inestricabile di velleità progressiste
Quella di padre Ernesto Balducci (Santa Fiora, Grosseto, 1922 – Cesena, 1992) è più di una figura, pur notevole, nel panorama del cattolicesimo progressista e “di sinistra” italiano degli anni del Concilio e del post-Concilio: egli è stato un maestro, un’icona, un mito, accanto ad alte icone e ad altri miti splendenti e intramontabili - come Giorgio La Pira, padre Davide Maria Turoldo, don Lorenzo Milani. -, o che tali erano per i loro seguaci e ammiratori.
Piaceva molto anche a sinistra, visto che era stato un acceso fautore del dialogo fra cattolici e comunisti negli anni ’70 del secolo scorso, e vantava amici ed estimatori in quell’area politica e ideologica, tra i quali Lelio Basso in Italia, e, fuori dei confini nazionali, come il francese Roger Garaudy. Le sue polemiche roventi, le sue forti prese di posizione, i suoi atteggiamenti profetici (celebri, in particolare, i suoi interventi a favore del disarmo) ne hanno fatto una figura carismatica e pressoché inimitabile, insieme a poche altre, di quella particolare stagione culturale e spirituale; e molti studenti ed insegnanti hanno letto e apprezzato, in mezzo alla sua vastissima produzione saggistica, la sua storia della filosofia ad uso dei licei («Storia del pensiero umano», Edizioni Cremonese, 1986, 3 volumi), caratterizzata da un originale impianto non eurocentrico e da una speciale attenzione per il pensiero dell’Asia e per le altre tradizioni speculative e religiose diverse da quella cristiana.
La sua idea del cattolicesimo, del resto, o meglio del cristianesimo – perché, pur essendo stato ordinato sacerdote fin dal 1944, egli sembra aver fatto parte di quei cattolici ai quali definirsi tali appare come qualcosa di meno, e non qualcosa di più, che definirsi, genericamente, “cristiani”), era tale da piacere, tutto sommato, più a chi non era cattolico, che a chi lo era: nel senso che soddisfaceva tutte le pregiudiziali a-religiose (o anti-religiose) della cultura di matrice marxista, mentre si sottraeva a molti punti dottrinali di ciò che un cattolico considera, o dovrebbe considerare, come essenziali e irrinunciabili per la sua fede e per la sua visione del mondo. E se questo giudizio dovesse destare la sorpresa o la contrarietà di qualcuno, invitiamo il lettore di buona volontà a seguirci in una brevissima disamina del suo pensiero, così come esso è stato da lui medesimo riassunto e formulato nelle ultime settimane di vita, qualesumma delle riflessioni e delle esperienze di una vita intera e non quale documento estemporaneo, scovato, magari, in chissà quale suo scritto giovanile, semi-dimenticato dallo stesso Autore.
Affermava, dunque, padre Ernesto Balducci nel corso di una intervista – l’ultima rilasciata ad un giornalista prima di spegnersi – con Sergio Zavoli, di cui omettiamo le domande, senza con ciò pregiudicare la chiarezza del pensiero dell’intervistato; il colloquio verteva sull’ultimo libro dell’Autore, «La terra del tramonto», che si può considerare come il suo testamento spirituale (da: S. Zavoli, «Di questo passo», Roma, Nuova Eri, 1993, pp. 355-363):
«… Secondo me siamo arrivati a una svolta, appunto, antropologica. Perché? Perché l’uomo occidentale è chiamato ad assumersi la responsabilità della condizione umana nella consapevolezza della deriva catastrofica che ci trascina. Solo da qui, dal confronto con culture “altre” dalla nostra, possiamo superare questa crisi epocale, quasi da apocalisse, e aprirci a una nuova alba. In essa il soggetto della storia non sarà l’Occidente, ma l’intera assemblea umana nella multiforme ricchezza delle sue vite. […]
La mia critica all’uomo occidentale non è alla maniera nichilistica, un po’ alla moda; è dialettica. Prenda l’eroe della modernità: Cristoforo Colombo. Portava a tutti il battesimo, ma insieme sottraeva a ciascuno l’oro. L’uomo occidentale è bifronte: sostiene valori universali – liberté, egalité, fraternité – ma in realtà insegue ben altro. C’è in lui, lo riconosco, un afflato di universalità, ha il merito di elaborare una cultura davvero adatta a tutti, penso a quella dei diritti umani, ma nel contempo se n’è fatto schermo per instaurare una strategia del dominio. Io mi sento un occidentale, un figlio del mondo moderno, perché la critica alla modernità è una melanconica geremiade dei reazionari. Vorrei usare il termine dell’amico Edgar Morin: presumo di avere respinto il mondo moderno perché l’ho “metabolizzato, accettandolo nelle sue grandi, irrinunciabili conquiste, egli dice. E tuttavia quelle conquiste, dentro il modulo della modernità, non vivono più ma si corrompono. Occorre passare oltre. […]
Certo, quando i giacobini dicevano fraternité erano pericolosissimi: ghigliottinavano a tutto spiano Ma in quanto aspiranti della fraternità, parlava in essi l’uomo inedito, parlavano gli oppressi della Terra. Quando Washington e Jefferson firmarono la celebre dichiarazione sull’uguaglianza dei diritti dell’uomo (uno aveva 220 schiavi, l’altro 320) non sapevano di vivere un grande contraddizione… […]
Noi ci troviamo in un momento storico nel quale le religioni , espressione di strutture culturali diverse, non possono più vivere come nel passato: perché sono costretta a coabitare, quindi a confrontarsi. Non dimentichiamo che ieri, dentro la mappa culturale dell’umanità, le religioni erano delle isole, distinte l’una dall’altra, conflittuali: il cristianesimo era la religione dell’Occidente, l’Islam la religione dei popoli arabi, e così via. Ora, in questa era planetaria, le barriere si infrangono. Ci sono, in Francia, tre milioni di musulmani [oggi sono il doppio: nota nostra] che hanno costruito mille moschee. A Roma è sorta la grande moschea dell’architetto Portoghesi, non molto lontana da San Pietro. Il muezzin si affaccia la mattina e, come dire?, vede il papa che si affaccia a sua volta. […]
[L’ateismo è religioso, sostiene Balducci, ] perché l’ateo nega il Dio edito. Anch’io, dico la verità, lo nego. Il Dio del sistema: “Dio, patria e famiglia”, “per grazia di Dio e volontà della Nazione” – non lo sopporto! Nell’ateismo storico c’è una grande carica religioso, c’è il rifiuto di Dio come sigillo ideologico. Di qui passa il discorso profetico. Del resto, lo stesso Gesù Cristo fu condannato perché bestemmiava il Dio edito, quello di Caifa, con cui Pilato si trovava bene. Quel sodalizio va sepolto. L’ateismo è un passaggio necessario della vera fede, in quanto essa implica negazione del Dio edito per affermare il Dio, mi lasci ripetere, inedito: che non aveva nome, e a cui Cristo ha dato un nome. […]
Una cosa è certa: che Cristo non era cristiano, se si attribuisce a Cristo tutti ciò che noi cristiani facciamo. Il cristianesimo è una entità culturale e religiosa importantissima, ma non è la traduzione assoluta della profezia del Cristo. […]
Cominciamo a dire che il Cristo da noi frequentato è il Cristo edito quindi il Cristo Re, con i suoi soldati, le sue insegne, eccetera. Cristo, insomma, trasformato dalle nostre culture. Quel Cristo edito è un Cristo moribondo, è quello che vediamo patire in tante opere d’arte! Il Cristo inedito è invece il Cristo che ha detto: “Io attirerò tutti a me quando sarò sollevato da terra”….»
Sostiene, dunque, padre Ernesto Balducci, che si è verificata una “svolta antropologica” (riecheggiando la celebre espressione dei teologi progressisti, dal Concilio Vaticano II in poi), consistente nel fatto che l’uomo occidentale è chiamato ad assumersi la responsabilità della condizione umana.
Questa, dal punto di vista cattolico, è, puramente e semplicemente, una eresia: che l’uomo possa o debba assumersi la responsabilità, non già di se stesso, individualmente e personalmente, ma nientemeno che della condizione umana, questo è precisamente il peccato di Adamo ed Eva: la causa e l’origine di tutti i peccati umani, ossia del loro allontanamento da Dio: il Peccato originale. È l’antica, e proterva, pretesa dell’uomo di farsi il piccolo dio di se stesso, assumendo in prima persona la responsabilità di decidere che cosa sia il bene e che cosa sia il male: sostituendo alla morale naturale, inscritta da Dio nell’anima dell’uomo, una morale puramente razionale, storica, frutto della sua pretesa di poter giungere ad una conoscenza assoluta.
Inoltre, non si capisce perché questa “responsabilità” spetti proprio all’uomo occidentale: e questo dopo aver fatto della critica implacabile all’eurocentrismo la pietra fondante del suo discorso. Padre Balducci si affretta a precisare che tale “responsabilità” incombe sull’uomo occidentale per la coscienza della catastrofe imminente, e anche per il dovere di aprirsi e confrontarsi con le altre culture, perché solo da un ecumenismo cosmico, per così dire, potrà venire una speranza di salvezza. Eppure, avevamo sempre saputo, o creduto di sapere, che la salvezza del genere umano, così come del singolo individuo, non viene in alcun caso da noi, dalle scelte che noi uomini possiamo prendere o non prendere, sulla base del nostro farci misura di noi stessi e del nostro destino, ma da Gesù Cristo, dalla sua Incarnazione e dalla sua Resurrezione: ovvero dal grande mistero della Redenzione. Forse qualcuno dovrebbe spiegarci in che cosa la teologia preconciliare era sbagliata, se lo era; oppure come mai sacerdoti e scrittori cristiani, come padre Balducci, maneggino con tanta disinvoltura concetti inediti e sconcertanti su punti fondamentali del messaggio cristiano. Qualcuno li ha autorizzati, o addirittura incaricati, di riformare la teologia cattolica, senza che i comuni fedeli ne fossero informati? I comuni fedeli si sono persi qualcosa, negli anni successivi al Concilio, ed ora si trovano davanti a dei cambiamenti sostanziali, ai quali devono adattarsi, anche se sono in contrasto con duemila anni di teologia cattolica?
Poi padre Balducci afferma di sentirsi sia un occidentale, sia un figlio del mondo moderno, perché lo ha metabolizzato, ne ha accettato le “conquiste” (quali?: liberté, egalité, fraternité; che sono la brutta copia, massonica e anticristiana, del messaggio originario cristiano; ma allora, perché non rifarsi all’originale?) e perché, sostiene, « la critica alla modernità è una melanconica geremiade dei reazionari». A padre Balducci, è evidente, i “reazionari” non piacciono: meglio la modernità (anche se anticristiana: perché gli atei, secondo lui, come per padre David Maria Turoldo, sono, in fondo, i veri credenti); meglio stare in compagnia di Edgar Morin, ex surrealista, ex stalinista, gran celebratore del Maggio 1968 e del mito della rivoluzione dei figli di papà di tutta Europa, piuttosto che rischiare di trovarsi accanto ai cattolici che quelli come lui hanno sempre considerato, con un disprezzo che non si curano affatto di nascondere, “tradizionalisti”, o, appunto, “reazionari”. Perché Gesù Cristo, per costoro, è stato un grande rivoluzionario: come lo ha rappresentato, nel film «Il Vangelo secondo Matteo», un altro cattolico, o quasi-cattolico, progressista e di sinistra: Pier Paolo Pasolini. E padre Balducci bandiva un “umanesimo planetario”, più che il cattolicesimo.
Che cosa poi volesse dire, per Balducci, sentirsi “occidentale”, non lo spiega. Evidentemente, per lui, il concetto di “Occidente” è auto-evidente; per noi, no. Per noi, l’Europa è l’Europa e gli Stati Uniti sono gli Stati Uniti: due cose, cioè, profondamente diverse. Ma Balducci non fa distinzioni: si vede che assumere su di sé il senso di colpa per tutte le colpe dell’Occidente, dall’Impero Romano a Hiroshima, gli dà il senso di essere figlio di una sola tradizione culturale, quella dei conquistatori, dei crociati, degli oppressori, con il fervido bisogno di farsi perdonare. E poco importa se, per esempio, è stato calcolato che almeno un milione di Europei sono stati fatti schiavi dagli Islamici fra il 1500 e il 1700; e se gli islamici sono stati responsabili di una “tratta” dei neri, sulle coste orientali dell’Africa, che non ebbe nulla da invidiare, quanto a brutalità, a quella attuata dai bianchi. L’Occidente rimane l’unico soggetto cattivo della storia, il solo che debba fare ammenda.
Poi Balducci sostiene tre cose a dir poco straordinarie: che il muezzin e il papa, affacciandosi al balcone di Roma, si vedono come due ottimi vicini (perché tutti sanno che l’Islam è la religione più tollerante e dialogante che si possa desiderare quale vicina di casa); che l’ateismo è religioso, perché nega non Dio, ma il Dio “edito”, strana formula che potrebbe voler dire qualcosa come “il Dio dei preti”, o “il Dio della Chiesa cattolica”; infine, che Cristo non era cristiano e che nessuno di noi è cristiano, se si rivolge al Cristo “edito”, fatto di soldati, potere, denaro. Non dice che nella Chiesa vi sono stati anche momenti di cedimento, di corruzione, distinguendo, peraltro, la Chiesa visibile, umana, dalla Chiesa invisibile, santa perché guidata da Dio stesso: no, fa di tutta l’erba un fascio, e la liquida con l’espressione sprezzante “Cristo edito”. Ma edito, se le parole hanno senso, significa annunciato. E non è forse questo il compito dei cristiani e della Chiesa: annunciare Cristo?
di
Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
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