ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 10 settembre 2015

Profugo, ergo sum..

Le suore sfrattano le studentesse per ospitare 24 profughe

La scelta delle religiose Gianelline di Genova. Chiudono lo studentato e lo mettono a disposizione della Prefettura per ospitare le migranti. A suon di 35 euro
Il Papa ha fatto l'appello: "Tutte le parrocchie ospitino i profughi". Così oltre ai Vescovi, si sono cominciate a muovere anche le suore.
Alcune di loro, però, hanno anticipato il Santo Padre, mettendo a disposizione parte del loro convento per accogliere le migranti.


Come sempre, c'è un "però". Perché a farne le spese sono state 15 studentesse che in quel pensionato avevano la loro casa. A giugno, infatti, le sorelle si sono riunite ed hanno deciso di 'convertire' il loro studentato in un centro d'accoglienza. Una manna dal cielo per la Prefettura, cui non è sembrato vero di poter inviare 24 ragazze immigrate in una struttura già adibita all'abitazione di giovani dedite allo studio.
"Ora, nelle stanze prima dedicate alle ragazze universitarie - ha detto al SecoloXIX madre Cupini, 90 anni - hanno trovato rifugio 24 donne, 21 nigeriane, 2 provenienti dalla Costa d'Avorio e 1 del Ghana". "Le nuove ospiti hanno detto che stanno vivendo il periodo migliore della loro vita - ha aggiunto Suor Letizia, responsabile della struttura - Abbiamo riflettuto se fosse davvero necessario continuare a mantenere lo studentato. E' stato deciso di chiuderlo per dare aiuto a chi ora ha più bisogno".
Le studentesse, invece, sono rimaste con il cerino in mano. "Erano ospiti da molti anni - continua suor Letizia - ed erano molto affezionate alla nostra struttura. La nostra è stata una scelta verso chi in questo momento soffre di più. L'hanno capito e accettato".
Ma saranno costrette a trovarsi un'altra sistemazione.
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/suore-sfrattano-studentesse-ospitare-24-profughe-1169072.html



La Russia affronta l’Isis mentre l’Occidente sta a guardare

Kerry fa la voce grossa, ma sa che la Russia è l’unica in grado di salvare il Medio Oriente dall’assalto del terrorismo (e la faccia agli USA). In un momento di critica impasse per Washington, che non può tenere a bada le pressioni di Turchia e Arabia Saudita, ostili alla Siria, il Cremlino ha la soluzione a portata di mano: il ponte aereo per Damasco è allestito, e uomini e tecnologie militari russe sono pronti per dare sostegno al governo di Assad. La lotta al terrorismo di fabbricazione occidentale la conduce Mosca, generando imbarazzo tra le ormai ingiustificabili prese di posizione occidentali.


La Russia è l’unica che può fermare l’Isis. Chiacchiere da “caffè geopolitico” spesso reiterate, con maggiore o minore autorevolezza, da chiunque abbia una grossolana infarinatura di quello che è il cruento quadro di guerra nella Repubblica araba Siriana che, ormai da quattro anni, combatte strenuamente per difendere i propri territori dagli attacchi dei ribelli jihadisti, primi tra tutti quelli dello Stato Islamico. Bashar-al-Assad, il presidente nemico dell’Occidente, accusato in maniera invisa di aver impiegato armi chimiche contro il suo stesso popolo, è in realtà l’unico baluardo che ancor resiste in Medio Oriente; ma ormai l’esercito di Damasco, allo stremo, non è più in grado di schierare una efficace difesa contro gli attacchi dei ribelli fondamentalisti. È per questo che Putin ha ormai apertamente deciso di voler procedere all’invio di veri e propri contingenti militari, armi pesanti e, probabilmente, anche l’aviazione militare a supporto del legittimo governo siriano. Essenzialmente, nulla di nuovo: la Russia non ha mai creato particolari aloni di mistero sul supporto diplomatico, umanitario e tecnico fornito alla Siria negli ultimi anni nella lotta al terrorismo di matrice islamica, così come ribadito a RIA Novosti da Mariya Zakharova, portavoce del Ministero degli Esteri russo.
La nota stonata della disapprovazione americana giunge puntuale. Nel colloquio telefonico tra il Segretario di Stato americano John Kerry ed il suo omologo presso Mosca, Sergey Lavrov, avvenuto il 5 settembre, il primo si è duramente opposto ad un intervento militare russo nelle vicissitudini siriane, denunciando che tale intervento avrebbe soltanto perpetrato ulteriori violenze, con notevoli ripercussioni sull’ingrossamento delle fila di migranti che tuttora invadono i centri di accoglienza di tutta Europa. L’azione dissuasiva americana è stata portata avanti anche su altri fronti, primo tra tutti la chiusura dello spazio aereo greco al transito degli aeromobili russi che hanno creato un ponte aereo con la Siria, così da far giungere gli aiuti alle popolazioni locali e all’esercito di Assad. La diplomazia greca si è responsabilmente opposta alle pressioni di Washington, ma non è detto che sia in grado di resistere alle intimazioni a stelle e strisce. La Russia aveva richiesto in prima istanza tale concessione al governo di Atene, che non ha avuto difficoltà ad accettare ma, qualora le direttive NATO dovessero mutare, Mosca, come riferito da Interfax, è pronta a far riferimento all’Iran, piuttosto che alla Turchia. L’azione russa in Siria, che potrebbe rivelarsi decisiva per una svolta sul piano strategico, ha trovato una dura opposizione in Occidente. La posizione di Assad è fortemente attaccata anche da Parigi che, così come già compiuto in Libia, si dichiara pronta a bombardare il territorio siriano e portare a termine un altro eccidio di stato, reclamando la testa del presidente di Damasco così come già accaduto con il colonnello Gheddafi. Il solito pasticcio in salsa mediorientale che la politica estera attuata dall’Occidente ripropone ad ogni crisi. Tale scenario corrisponde ad una realtà di fondo ben precisa: gli Stati Uniti si trovano in una impasse diplomatica dalla quale non riescono, per il momento, a tirarsi fuori.
La gestione della crisi siriana da parte dell’amministrazione Obama è stata decisamente poco equilibrata. La coalizione anti Stato Islamico messa in campo da Washington ha attuato una strategia colabrodo: le azioni sferrate contro i gruppi ribelli si sono concentrate soprattutto nell’area di Kobane, verso il confine con la Turchia, territorio occupato dalle minoranze kurde, alleati degli USA, mentre nell’Est del Paese Isis è arrivato a 30 km dalla M5, l’arteria autostradale che connette Damasco agli altri centri della Siria, dopo aver strappato Palmira all’esercito regolare siriano. Washington ha la colpa di non aver mosso un dito per difendere il sito archeologico, onde dover giustificare l’azione di supporto a quelle truppe vicine al tanto odiato regime del terrore di Assad, che solo due anni fa l’amministrazione Obama voleva bombardare secondo le (infondate) accuse di utilizzo di armi chimiche contro il popolo siriano. Già all’epoca la Russia, per via diplomatica, aveva salvato la faccia a Washington e, qualora dovesse decidere di intervenire militarmente contro i ribelli, risparmierebbe agli americani un nuovo imbarazzo. Nonostante le ripetute proposte del Cremlino di formare una coalizione internazionale contro il terrorismo, pare che Kerry voglia proseguire su un terreno incerto ed accidentato, fatto di incoerenza e spavalderia. Non attendere alle pressioni della Turchia e dei sauditi nella regione sarebbe una matassa molto imbrogliata per l’America, ma tant’è che per non inciampare nuovamente nell’ostile territorio mediorientale, forse meglio assecondare il “male minore”?DI  - 10 SETTEMBRE 2015

Bloccare le armi russe per Assad, l'autogol occidentale
di Gianandrea Gaiani 10-09-2015
Cargo russo
Le pressioni di Washington su greci e bulgari hanno avuto successo e i velivoli cargo militari che da giorni stanno portando mezzi e consiglieri militari in Siria per rafforzare l’esercito di Bashar Assad non potranno più sorvolare lo spazio aereo dei due Paesi europei.
Un portavoce del governo greco ha fatto sapere ieri che i cargo russi diretti in Siria non sorvoleranno più lo spazio aereo della Grecia. La decisione comunicata da Mosca di scegliere rotte alternative è arrivata dopo che gli Stati Uniti avevano lanciato un appello ad Atene perché negasse il suo spazio aereo per i voli sospettati di trasportare armi per il regime di Bashar Assad. 
Già il 5 settembre l’ambasciata statunitense ad Atene aveva chiesto di proibire il transito degli aerei ma le autorità greche avevano risposto negativamente adducendo le ottime relazioni con la Russia. Evidentemente Washington ha trovato nelle ultime ore forme di pressioni convincenti su una Grecia che, dopo anni di crisi economica e politica, non ha più alcuna sovranità nazionale. 
Anche la Bulgaria ha negato l'uso del proprio spazio aereo ai cargo russi con aiuti diretti in Siria. Lo ha reso noto una portavoce del ministero degli Esteri di Sofia affermando che "abbiamo sufficienti informazioni per nutrire seri dubbi sul carico di questi velivoli" ha aggiunto in riferimento alla possibilità che gli aerei trasportino anche armi per il regime.
Armi però necessarie a combattere l’ISIS e i qaedisti che dovrebbero essere anche nemici dell’Occidente e degli Stati Uniti. Il condizionale è d’obbligo a giudicare dalla politica statunitense che in Medio Oriente ha superato in ambiguità persino quella dei Paesi arabi. 
Mosca ha sempre utilizzato queste rotte per portare aiuti umanitari e militari in Siria. Il Cremlino non nega l’invio di armi e consiglieri militari (pare una quarantina anche col compito di fornire a Damasco le informazioni d’intelligence e le immagini riprese dai satelliti russi) che non dovranno combattere ma “solo insegnare alle truppe governative  a impiegarle”, come ha detto la portavoce del ministero degli Esteri di Mosca, Maria Zakharova, ribadendo che "la Russia non ha mai fatto segreto della sua cooperazione tecnico-militare con la Siria". La stessa portavoce ha poi affermato che la Russia potrebbe prendere inconsiderazione delle "misure extra per intensificare gli sforzi nella lotta al terrorismo" in Siria, "ma solo sulla base del diritto internazionale". La scorsa settimana Vladimir Putin aveva definito “prematuro” parlare di un intervento diretto di truppe russe nel conflitto siriano. 
Una fonte russa ha detto al quotidiano arabo al Hayat che l’obiettivo di Mosca è “mantenere l'equilibrio militare in Siria e prevenire il collasso dell'esercito regolare, per garantire un compromesso politica che prevede l'insediamento di un organo di governo transitorio sulla base della dichiarazione di Ginevra”. Un'altra fonte ha detto che il coinvolgimento russo include l'invio di alti ufficiali e un certo numero di piloti, per condurre attacchi aerei, oltra alla consegna di un numero di cacciabombardieri inclusi gli intercettori Mig31, inutili contro i ribelli ma essenziali in caso di attacchi al regime da parte dei jet della Coalizione. 
Con il rafforzamento delle posizioni militari russe in Siria c'è il rischio di un "confronto" con le forze della coalizione internazionale guidata dagli Usa, ha detto ieri con estremo sprezzo del ridicolo il portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest. "Gli Stati Uniti sono preoccupati per le notizie sul dispiegamento da parte della Russia di ulteriore personale militare e di aerei in Sira - ha affermato Earnest – queste azioni potrebbero far aumentare il numero dei morti, potrebbero far aumentare i flussi di rifugiati e il rischio di un confronto con la coalizione anti-Isis che sta operando in Siria". Se venisse intensificato il sostegno militare di Mosca al governo siriano, ha rincarato Earnest, "sarebbe destabilizzante e controproducente per gli interessi della comunità internazionale". 
Frasi che confermano come l’amministrazione Obama sia in stato confusionale oppure, come è più probabile, persegua un caos di cui stiamo già pagando il conto noi europei. Bashar Assad è in guerra con ribelli islamisti, qaedisti e Stato Islamico e ha finora consentito ai jet della Coalizione di sorvolare senza ostacoli il suo spazio aereo accettando una forte e umiliante limitazione alla sua sovranità. Se Washington teme che gli aiuti russi possano minacciare la Coalizione significa che gli alleati prevedono di attaccare Damasco e non l’ISIS che in un anno hanno colpito in modo così blando di consentire ai jihadisti di conquistare intere province siriane. 
Ostacolando le forniture di armi russe a Damasco, gli USA e l’Occidente si schierano ancora una volta con i jihadisti che Turchia e monarchie del Golfo vorrebbero vedere al governo in Siria. Se così non fosse non si spiegherebbe perché Emirati Arabi, Arabia Saudita e Qatar hanno inviato 30 mila militari in Yemen a combattere i ribelli sciiti Houthi mentre contro l’ISIS non hanno effettuato che sporadiche azioni aeree per lo più senza l’impiego di armi. 
Quanto ai riflessi sui flussi di immigrati clandestini diretti in Europa è il caso di ricordare agli Stati Uniti che i siriani in fuga provengono per lo più dalle zone “liberate” da ISIS , qaedisti e salafiti e solo in minima parte (per lo più giovani che vogliono sottrarsi alla leva militare) dal quel 30 per cento di territorio controllato dal regime ma abitato da 12 milioni di siriani. Su 18 milioni di abitanti della Siria di prima della guerra 4 milioni sono fuggiti all’estero e 7 milioni sono sfollati all’interno del Paese. 
Se la Siria venisse “liberata” da Assad diventerebbe senza alternative uno Stato islamico retto dalla sharia imposta da ISIS e al-Qaeda e i fuggitivi diretti in Europa supererebbero  i 10 milioni facendo impallidire per dimensioni anche l’esodo dei sud vietnamiti che nella seconda metà degli anni ’70 scapparono con ogni mezzo dal regime comunista. 
Non saranno certo le armi russe a far aumentare i flussi migratori. Anzi, il loro impiego a difesa della fascia costiera ha l’obiettivo di proteggere le popolazioni sciite di quella regione (roccaforte del regime) e la base navale russa di Tartus dai qaedisti dell’Esercito della Conquista (che riunisce salafiti, fratelli musulmani e qaedisti con il supporto turco, saudita e del Qatar) che premono sulle alture che circondano il porto di Latakya. 
Ostacolare il flusso di armi russe in questa regione, come fanno americani, turchi e arabi col complice silenzio dell’Europa, significa schierarsi con i tagliagole islamici e favorire il massacro di centinaia di migliaia di siriani sciiti. Del resto affermare, come fa la Casa Bianca, che le armi russe  destabilizzerebbero la Siria è ridicolo. La Siria è stata fatta a pezzi da turchi, arabi e americani che da anni armano e finanziano i ribelli. Abbiamo già dimenticato che l’anno scorso le milizie dell’ISIS hanno conquistato Mosul e il nord dell’Iraq imbracciando le armi che arabi e CIA avevano fatto arrivare attraverso la Turchia ai cosiddetti “ribelli moderati” siriani? 
Più delle armi e dei consiglieri militari russi l’Occidente dovrebbe preoccuparsi dei successi dell’ISIS che conquista posizioni in tutto il Paese inclusi i sobborghi di Damasco e dell’offensiva dei qaedisti che pare abbiano preso la base aerea di Abu al Dohur, dive le truppe siriane erano sotto assedio da due anni. Qualcuno in Europa sembra finalmente svegliarsi ribellandosi alle ambiguità arabo-americane. Non si tratta tanto di Francia e Gran Bretagna il cui intervento aereo contro l’ISIS esteso anche alla Siria non influirà molto sul conflitto considerando che le due potenze europee non schierano più di due dozzine di velivoli e droni da combattimento in Medio Oriente. 
Segnali di pragmatismo giungono invece da Spagna e Austria. A Teheran il ministro degli esteri spagnolo, Josè Manuel Garcia Margallo, ha detto senza mezzi termini che "è giunto il momento di avviare negoziati con il regime di Bashar al Assad".Gli ha fatto eco da Dubai il collega austriaco Sebastian Kurz:"abbiamo bisogno di un approccio pragmatico che includa il coinvolgimento di Assad nella lotta contro il terrore dell'Isis" aggiungendo che contro l’ISIS vanno coinvolti anche Russia e Iran. 
Vale la pena sottolineare che il ministro Kurz aveva riferito il monito espresso sabato scorso al vertice Ue di Lussemburgo dal ministro degli Esteri macedone, Nikola Poposki per la presenza di miliziani jihadisti e foreign fighters nelle masse di immigrati fuori controllo nei Balcani. Le autorità macedoni ne hanno individuato alcuni (anche di origine balcanica) veterani del jihad siriano, iracheno e afghano. Una notizia che sui nostri media travolti dalla “foga buonista” non ha avuto molta eco.

     

Sul Corriere leggo che Obama si trova nei guai in Siria, perché fra l’altro “ha sottovalutato la minaccia dell’ISIS”, ed ora non sa come batterlo – anche perché Putin ha fornito armi e uomini ad Assad. Che è chiaramente un ostacolo alla lotta occidentale contro l’ISIS.
Siamo qui per aiutare. Il Grande Alleato depositario dei Nostri Valori occidentali, merita questo ed altro. Ecco dunque la nostra modesta proposta per debellare l’ISIS, altrimenti detto Daesh o come volete chiamarlo.
Ci pregiamo presentare anzitutto questa carta:
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Raffigura la strada che collega Mossul – conquistata dal Califfo nel 2012, sorprendendo gli americani – alla raffineria di Batman in Turchia. Sono 344 chilometri, non pochi. Ebbene: per questa trafficatissima strada passa, su un gran traffico di camion, il greggio che Daesh succhia dai pozzi iracheni in suo possesso. Almeno 20 mila barili al giorno, il 10 per cento della produzione irachena, che vengono convogliati alla raffineria turca per la raffinazione. L’arteria che garantisce l’autonomia finanziaria, anzi la prosperità del Califfo.
In piena guerra, il balletto dei camion cisterna non ha mai rallentato, avendo il governo turco deciso di chiudere gli occhi su questo traffico a grande scala, una complicità che assicura ai jihadisti un introito regolare e inesauribile”: non m’invento niente, sto citando un bel reportage della tv ARTE trasmesso il 10 febbraio e poi ancora il 23 giugno. Titolo « Daech, naissance d’un État terroriste », fatto bene, con esperti pronti a spiegare i meravigliosi successi dello Stato Islamico in Irak.
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Nel video, un trafficante turco, a volto scoperto, spiega pure: “Tutti lo sanno…quelli (Daesh) sbolognano il barile a 30 o 32 dollari…possono guadagnare 10 milioni di dollari al giorno”. La voce fuori campo la spara grossa: “…più di 35 miliardi di euro, l’equivalente del bilancio militare di un paese come la Francia. Mai Al Qaeda né Bin Laden hanno avuto una simile forza d’urto”. L’esperto Jen Charles Brisard, già attaché militare francese, laurea alla Georgetown University di Washington (diciamo, la Cia), conferma. Anzi rincara: “Se lo Stato Islamico si quotasse in Borsa, varrebbe 2 mila miliardi di dollari!”. Eh sì, sospira la voce fuori campo:







L'esperto Brisard
L’esperto Brisard

Daesh è diventata una multinazionale. Dispone di denaro, di armi, di 40 mila combattenti e del controllo totale del territorio conquistato sulle rovine di Siria e Irak”. Tutto per dire che Daesh è invincibile, molto più di quanto fosse Al Qaeda, o il terribile Bin Laden.
Qui interviene la nostra modesta proposta, che osiamo presentare ai Comandi americani:
Perché non bombardare la strada Mossul-Batman? Perché non hanno pensato ad obliterare l’arteria, ben visibile dall’alto, lunga 344 chilometri e piena di camion?
Forse i camion sollevano troppa polvere ed accecano  il vigile occhio dei satelliti militari americani – specie il WCSF4 e USA234, lanciati in orbita nel 2012 proprio per sorvegliare la zona del Medio Oriente in fiamme e ricchissima di greggio, ma ahimé destabilizzata dagli errori di Obama. Perchè allora non usare i droni, che volano basso? Armati magari? Qualche superbomba a penetrazione che aprisse un cratere profondo alcuni metri, rovinerebbe gli affari di Daesh.
Questa è una zona che gli Usa controllano da decenni, come minimo da quando hanno invaso l’Irak. Una zona in cui sono stati capacissimi di imporre una “zona di esclusione aerea” anche quando non avevano, come si dice, gli stivali sul terreno: la imposero a Saddam tra il 1993 e il 2003, con la motivazione di proteggere i curdi, povera minoranza perseguitata…bastava che un aereo di Saddam entrasse nella zona, e veniva fulminato. E adesso, come mai lasciano passare i camion cisterna che Daesh riempie con i petrolio rubato al governo iracheno, rendendosi prospero e trionfante sugli infedeli?
Sembra così facile: obliterare a suon di bombe la strada Mossul -Batman.
Non si può? Eh già: il motivo è stato dato dal documentario ARTE. Eccolo:

Gli americani non vogliono fare vittime civili sulla strada”.

Lo scriviamo in grassetto, perché tutti si inchinino a questa profonda umanità. La Superpotenza non dimentica mai i Valori dell’Occidente: accogliere immigrati, far sposare omosessuali, e soprattutto – mai produrre vittime civili in un teatro di guerra. Non l’ha mai fatto (a parte qualche danno collaterale disgraziato, circa un milione di morti in Irak) e non lo farà mai.
Sicché la strada resta intatta. Capiamo, e ci inchiniamo. Ma allora è proprio così difficile – come propone il caro Presidente – “degradare e ultimamente debellare” lo Stato Islamico?
Fatemi pensare…rivedere il documentario ARTE…una soluzione si troverà. Eccola! Infatti è proprio l’esperto Brisard che (da vero chiacchierone) mostra un punto vulnerabile, un tallone d’Achille del Califfo.
…Il fatto interessante – dice Brisard – è che (i jihadisti) hanno mantenuto l’attività bancaria. Si stima che controllino 24 banche e filiali tra Irak e Siria…e il fatto supefacente, è che queste banche continuano a funzionare anche mentre vi parlo: queste banche effettuano transazioni internazionali, non ci sono sanzioni al momento””.




Esente da sanzioni
Esente da sanzioni

Non ci sono sanzioni.

Daesh con le sue banche effettua transazioni internazionali.
Ohimé, presidente Obama! Lei è veramente distratto! Crea una intera coalizione con francesi, inglesi e sauditi e turchi per incenerire una buona volta DAESH, fa’ decollare decine di F-22 al minuto per andare a bombardarne le posizioni, lancia missili che devastano le infrastrutture civili del governo siriano e di quello irakeno…e mi dimentica di decretare l’embargo sulla transazioni finanziarie del Califfato? Eppure contro l’Iran ha posto le sanzioni, contro Cuba le ha poste. Sono durate decenni, hanno impedito ogni transazione finanziaria, hanno provocato gravi danni a quei paesi – e gli hanno fatto abbassare le orecchie. Contro la Russia di Putin, ha imposto sanzioni: subito in vigore, e subito vigorosamente applicate dai suoi obbedienti satelliti europoidi.






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il 52mo stato americano

Lei capisce che può dare adito alle calunnie peggiori. Quelle, per dire, che sostengono che Daesh è una vostra creazione, che l’avete armato incaricandolo di destabilizzare il governo iracheno (che è sciita e dunque non piace a Israele e ai sauditi), e di formare una fascia sunnita attraverso quegli stati. C’è persino chi insinua che l’ISIS sia il 52 esimo stato americano…E’ proprio vero che lei sottovaluta, fa’ errori, si fa’ prendere di sorpresa in Medio Oriente. Come assevera il Corriere.
(Da un’idea  di Egalité et Réconciliation, “Daesh pou le Nuls”, 23 agosto – Ringraziamo)

Ex ministro iracheno denuncia il “gioco sporco” degli USA che inviano armi e rifornimenti all’ISIS

L’ex ministro dei Trasporti dell’Iraq, Salam al Maliki, ha segnalato, nel corso di una intervista rilasciata all’agenzia Farsnews, che Washington si trova di fatto dalla stessa parte dell’ISIS (Stato Islamico) ed ha fatto richiesta alle forze delle milizie popolari dell’Iraq di accelerare le operazioni di ripulitura dai terroristi nella provincia irachena di Anbar.
“Esistono solide evidenze che dimostrano che gli USA hanno fornito all’ISIS armi e dati di intelligence”, ha dichiarato Maliki alla Fars News, Sabato scorso.
Tuttavia Maliki ha riferito che le forze irachene stanno preparando nuove operazioni a Faluja ed a Ramadi, nella provincia di Anbar.
Nello scorso mese di Agosto, un responsabile dell’intelligence irachena aveva rivelato che elicotteri nordamericani avevano lanciato armi ed altri aiuti ai gruppi terroristi dell’ISIS nella provincia occidentale di Anbar.
“I combattenti presenti sul fronte di battaglia contro l’ISIS vedono gli elicotteri americani sorvolare in continuazione le zone controllate dal gruppo terrorista e vedono paracadutare armi e rifornimenti sulle loro posizioni”, ha riferito l’ufficiale iracheno sotto copertura di anonimato alla stessa Fars News.
Ha aggiunto di ritenere  probabile che gli elicotteri potrebbero provenire dalla Turchia o da Israele.
Lo stesso ufficiale ha rivelato che, oltre a lanciare aiuti e rifornimenti, gli elicotteri trasferiscono i leaders del gruppo ed i loro feriti lontano dal campo di battaglia, verso ospedali in Siria o in altri paesi (in Israele).
L’ufficiale ha inoltre detto che questi aiuti nordamericani all’ISIS stanno di fatto prolungando il conflitto su Anbar ed ha aggiunto che, quando l’Esercito iracheno e le forze popolari ripuliscono la provincia dai terroristi, come già accaduto, gli elicotteri statunitensi trasferiranno i capi dei terroristi ad altre regioni per impedire alle forze irachene di accedere ai segreti dell’ISIS.
Nota: Questa denuncia dell’ex ministro iracheno si aggiunge alle denunce fatte in precedenza da parlamentari iracheni che avevano stigmatizzato il comportamento delle forze USA che erano state viste rifornire i gruppi terroristi. In particolare il deputato iracheno Qasim Al-Araji aveva riferito al Parlamento iracheno che il suo gruppo, l’Organizzazione Badr, è in possesso di prove che il governo degli Stati Uniti sta fornendo sostegno militare allo Stato Islamico. Vedi: U.S. Helicopter Delivering Weapons to the Islamic State (ISIS), Shot Down by Iraqi “Popular Forces”
Le denunce non avevano però avuto alcun riscontro ed erano state oscurate dai media ufficiali.
Traduzione e nota: Luciano Lago

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