ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 2 ottobre 2015

Rozzo e incolto Medioevo?

IL VERO UMANISTA

    Il vero umanista fu Tommaso d’Aquino. Alla cultura laicista e ateista oggi imperante è riuscito di accreditare l’immagine di un rozzo e incolto Medioevo nemico della ragione, si tratta di una falsificazione di Francesco Lamendola   

 Il vero umanista fu Tommaso d’Aquino




Alla cultura laicista e ateista oggi imperante ovunque, dalle università ai salotti culturali, dal cinema alla televisione, dalla stampa quotidiana e periodica all’editoria, è riuscito di accreditare e tramandare l’immagine di un rozzo e incolto Medioevo, nemico della ragione e delle scienze, al quale è subentrato, per reazione, un luminoso Umanesimo (sbocciato dal nulla, evidentemente), culminato, a sua volta, in un glorioso Rinascimento: preludio, entrambi, al gran trionfo della ragione nella Rivoluzione scientifica del XVII secolo e nell’Illuminismo del XVIII.

Si tratta di una falsificazione deliberata dei dati di fatto; ma che importa? Diceva qualcuno (il ministro della propaganda del Terzo Reich, un certo Goebbels) che il segreto è quello di ripetere una menzogna cento volte, mille volte, senza stancarsi mai: alla fine l’opinione pubblica l’accetterà come la verità più cristallina fra tutte. E così è stato, difatti, anche in questo caso. Quale studente non sa, o non crede di sapere, grazie ai suoi professori e ai suoi libri di testo, grazie al cinema e alla televisione, che al buio Medioevo è seguito il Rinascimento della ragione?
Che le cose stiano un po’ diversamente, e che la luce della ragione abbia sfolgorato nel Medioevo più che in qualsiasi altra epoca della storia, ma una ragione bene intesa, autonoma dalla fede, e, nondimeno, procedente insieme ad essa, accanto ad essa, e - nei passaggi più impervi - con l’ausilio di questa, tutto ciò sembra non interessare più ad alcuno, o quasi: eppure le cose stanno proprio così. E, per convincersene, basta considerare l‘opera del più grande filosofo medievale, San Tommaso d’Aquino; così come, del resto, basta considerare l’opera del più grande poeta medievale, Dante Alighieri (che fu anche filosofo e teologo, e non degli ultimi). C’è un inno alla ragione, in tutta l’opera dell’Aquinate, quale non si troverebbe in Diderot, Voltaire e Rousseau sommati l’uno con l’altro; neppure con l’aggiunta di Locke e Hume.
E tuttavia, obietterà qualcuno, Tommaso ha introdotto in maniera perfino eccessiva la ragione greca e il pensiero aristotelico, nel cristianesimo medievale: ha grecizzato quest’ultimo, lo ha allontanato e quasi snaturato rispetto alle sue radici giudaiche. Questa, delle radici giudaiche del cristianesimo, è una cosa che si sente ripetere in continuazione, sia dagli “amici” che dai nemici del cristianesimo: e va chiarita una volta per tutte. Il cristianesimo è stato fondato da Gesù, e Gesù era giudeo: la cosa è lapalissiana. Ma il cristianesimo è la religione dell’umanità, non dei Giudei (i quali, infatti, l’hanno rifiutata con orrore e con sdegno): e questo è altrettanto lapalissiano. Pertanto, il cristianesimo si è diffuso nel mondo grazie al suo contenuto universalistico e non in virtù delle sue origini giudaiche. Tale è stata la gloria imperitura di San Paolo: un giudeo cresciuto fuori della Palestina e imbevuto di cultura e di pensiero greco. Paolo ha rifiutato la ristretta interpretazione giudaica del cristianesimo e lo ha reso quello che è diventato: la religione, e il modo di pensare, di gran parte dell’umanità. A quell’epoca, l’umanità era, essenzialmente, la popolazione dell’Impero romano: nel quale la cultura e la filosofia greche erano prevalenti e godevano di un prestigio indiscusso. Alcune epistole di Paolo, che sono dei piccoli gioielli di teologia, riflettono la cultura greca dell’autore e il suo modo di ragionare, che è quello di un giudeo ellenizzato.
Nel corso del Medioevo, sotto l’assalto dell’islam, la cristianità ha dovuto ritirarsi dal Vicino Oriente e dal Nord Africa, ove pure aveva messo le sue prime radici, e concentrarsi in Europa: i due concetti divennero pressoché sinonimi. E il modo di sentire e di pensare degli Europei era essenzialmente greco (e romano), non certo giudaico: mai esso avrebbe potuto fare suo il messaggio cristiano in una versione giudaica “pura”, ammesso che questa sia mai esistita. Gesù era Giudeo, ma non pensava solo come Giudeo: pensava come il Pastore che si rivolge al mondo intero; e, se le sue parabole e il suo modo di esprimersi riflettono la mentalità giudaica, è perché egli voleva farsi ben capire dal suo uditorio, che era giudaico; non perché non si rivolgesse idealmente all’intera umanità.
Ecco, allora, che il cristianesimo, così come si è storicamente delineato fin dall’inizio, e poi come si è rafforzato e sviluppato nel corso dei secoli, non è una creazione giudaica, ma una creazione gigantesca, che, partendo da una base (contingente) giudaica, si è universalizzata, vale a dire che si è grecizzata: perché la cultura greca era universalista, quella giudaica no, tutto il contrario, era chiusa ed esclusivista. Poi la base è scomparsa, come il seme scompare allorché si forma la nuova pianta: non scompare nel senso che viene eliminato, ma nel senso che si trasforma, perché la sua ragion d’essere è quella di diventare altro da sé e di dare vita a qualcos’altro. Perciò la pianta del cristianesimo ha una struttura di pensiero greca, non giudaica. Noi siamo figli di questa trasformazione, di questa sintesi: che non snatura, ma invera il contenuto originario.
Ebbene, Tommaso ha messo il suo genio impareggiabile al servizio di questo processo storico: ha fornito al cristianesimo la struttura logica rigorosa di cui aveva bisogno, perché l’Europeo possedeva quel tipo di struttura logica e non avrebbe potuto accontentarsi di nulla di meno. Nell’opera di Tommaso si realizza la perfetta fusione di ragione e fede: proprio nella loro reciproca autonomia e distinzione. Questo, fra le altre cose, ha consentito la nascita, in Europa, della scienza moderna: la quale non avviene affatto contro il cristianesimo e nel corso di una lotta per emanciparsi dalle sue strettoie, ma, al contrario, come logico e naturale sviluppo delle sue premesse: specialmente dopo che Tommaso ebbe valorizzato al massimo l’elemento razionale, ricollegando il messaggio cristiano alle profonde esigenze razionali dell’Europa, attraverso la mediazione del pensiero greco. Senza Tommaso e senza il cristianesimo, la scienza moderna non sarebbe nata, non sarebbe stata neppure pensabile e immaginabile: come non è nata né nel Giudaismo, né nell’Islam. La scienza moderna (tenendola distinta dalle sue degenerazioni successive) è il frutto maturo del pensiero cristiano, permeato di filosofia greca.
Eppure, si dice, l’Europa ha ritrovato, e perfino riscoperto, Aristotele, per mezzo della filosofia araba e giudaica. Questa è solo una mezza verità, vale a dire una menzogna. Se fosse la verità tutta intera, non si capisce perché né il Giudaismo, né l’Islam, abbiano sviluppato qualche cosa di simile alla scienza moderna dell’Europa: che è, giova ripeterlo, la scienza del cristianesimo. Essa non è nata in Europa per caso, a dispetto del cristianesimo: è nata grazie ad esso. Opinare diversamente, significa prendere posizione contro l’evidenza e contro il buon senso; significa procedere in modo illogico, come se una cosa potesse nascere là dove non ci sono le condizioni favorevoli, anzi, là dove tutto congiura perché quella cosa non veda mai la lue. Eppure, sino a questo punto di illogicità si sono spinti i sedicenti campioni della ragione di oggidì: accecati dalla faziosità e dai loro pregiudizi anticristiani a segno tale, da diventare assurdi.
E adesso torniamo a Tommaso d’Aquino. Se le parole hanno un senso, Tommaso è stato il primo e vero umanista della cultura europea: sia per la sua indipendenza di giudizio (non è affatto vero che, avendo preso a modello la logica di Aristotele, egli sia stato un passivo epigono dello Stagirita), sia per la sua apertura intellettuale prodigiosa, spaziante su tutti gli ambiti dello scibile umano e curiosa di qualunque manifestazione del pensiero, della natura, della vita. La sua cultura era immensa; la sua lucidità di ragionamento, stupefacente; la sua imperturbabilità davanti alle critiche e agli attacchi, anche i più malevoli, assoluta; la sua modestia, infinita. Tommaso non si pone mai al centro del proprio pensiero: lo espone con la stessa oggettività che se fosse quello di un altro; e, in effetti, era esattamente questo che egli pensava della propria gigantesca opera speculativa: che non era realmente sua, ma di un Altro.
Fede e ragione, per lui, si sostengono a vicenda, meravigliosamente, in un equilibrio armonioso e solenne: Tommaso rappresenta il tipo umano più vicino alla perfezione, non solo intellettuale, ma anche umana, che ci sia dato incontrare nella storia del pensiero. Mai una espressione sopra le righe, mai una nota stonata, emotiva, umorale, nell’edificio superbo della sua speculazione; mai una benché minima traccia d’invidia, o impazienza, o fastidio, o rancore, o superbia, o ambizione, o vanagloria, o avidità, o imprudenza. Se Cesare è il tipo perfetto dell’uomo romano, geniale ma spietato, magnanimo ma ambiziosissimo, Tommaso è il tipo perfetto dell’uomo cristiano: geniale ma anche mite, magnanimo ma anche totalmente disinteressato. E non già che ignorasse le passioni e il fango che, talvolta, esse sollevano nell’anima: basta vedere con quanta incredibile precisione ne parla nelle sue opere, le analizza, le viviseziona. Eppure nessuno mai lo vide alterarsi, o spazientirsi, o insuperbire, o vantarsi, o invidiare, o agitarsi: sempre egli era padrone di sé, ma senza iattanza, al contrario, con mirabile dolcezza verso gli altri; incredibilmente lucido nel ragionamento, consequenziale come una freccia scoccata dall’arco, ma, nello stesso tempo, umano, comprensivo, benevolo, disposto a capire e a perdonare, ad accettare la natura umana per quella che è, realisticamente, compresi i suoi limiti, i suoi difetti, le sue brutture, però con lo sguardo ognora rivolto al Sommo Bene, dal quale unicamente si può e si deve aspettare aiuto nelle prove della vita.
Ha scritto Innocenzo Taurisano nella sua ormai classica biografia «S. Tommaso d’Aquino» (Torino, U.T.E.T., 1941, pp. 100-104):

«Più che la passione per la verità Tommaso ne ebbe un vero culto. Più che un dovere era per lui una gioia., un bisogno istintivo. La vedeva subito,  dovunque si trovasse; vi era una sintonia perfetta tra la sua intelligenza ed il vero, possedeva quasi il senso di orientamento come gli uccelli migratori. Perciò la sua calma di fronte agli avversari, il rispetto per delle opinioni e dei sistemi altrui, la sua indipendenza di fronte a qualsiasi autorità. In ogni errore vedeva un offuscamento della verità, e con bontà proverbiale rettificava, spingendo gli erranti verso la verità intravista.
Non ha bisogno di lunghi discorsi, il suo sillogismo è chiaro, limpido e porta naturalmente alla conclusione. Anzi egli si crea le difficoltà, le opposizioni, prevenendo così tutte le possibili future alterazioni del principio enunciato, in modo che mentre espone un principio già intravvede e manifesta tutto ciò che la sofistica umana potrà un giorno opporgli. Egli si trova di fronte alla verità in una forma di ricettività perfetta, per quanto è possibile alla natura umana, captandola senza interferenze. Tra la facoltà pensante e l’oggetto la via è sgombra. Nessuna di quelle tare umane, quali l’orgoglio, la vanità, l’ambizione che alterano l’intelligenza, limitandone la facoltà di assimilazione, di adattamento e comprensione delle cose, noi troviamo in Tommaso. Ha superato queste zone burrascose, forse non le ha mai subite né sentite. Quando egli enunciò quel principio così profondo: “la grazia non distrugge, ma perfeziona e completa la natura”, sembra che fotografi se stesso.
Le doti più rare, come raggi convergenti, si raccolgono in Tommaso. La natura raramente opera di questi prodigi: sembra che faccia uno sforzo massimo per concentrare in un essere umano quanto di meglio essa può dare. Su questo essere la grazia lavora, completando e purificando il capolavoro umano, che nelle mani di Dio serve quale strumento di elevazione per l’intera umanità. […]
Il suo grande cuore, la superiorità della sua intelligenza gli fanno sentire il palpito perfetto di tutte le cose, il grido di riconoscenza degli esseri al Creatore e l’ansia dei pensatori per lo studio della verità. Così potrà rispondere alle domande delle nuove generazioni sui fondamentali problemi dell’essere e della vita. Ha bisogno quindi Tommaso di studiare, conoscere, approfondire lo sguardo in tutta la sapienza antica, senza esclusivismi o paura. Nella sua geniale esplorazione interioga tutti: il filosofo, l’astronomo, il poeta, lo storico, il geografo, il giurista, il medico, l’oratore. Per giungere alla sintesi, verso cui si sente irresistibilmente attratto, deve far suoi gli immensi fasci di luci che si accendono di continuo sulla terra e nel firmamento, concentrare nel suo essere tutte le luci dell’infinito di cui coscientemente o inconsciamente i grandi sono l’eco e la voce. Non è un risparmio di fatica, ma la preparazione del materiale necessario. Non ricorre agli altri se non per cercare in virtù di molteplici richiami e controlli, la posizione più adatta e più sicura di fronte al vero. […]
Tommaso con questa larghezza di vedute ci si mostra vero umanista, nel senso più largo, che abbraccia e utilizza tutto; è un dovere che compie per rendere omaggio al sommo Fattore in nome di tutti. Attraverso i suoi articoli, un grande artista, poiché la sintesi che è la regola di tutte le arti, lo è a maggior ragione nella metafisica che si propone, per mezzo di concetti, di raffigurare l’equilibrio universale, le distinzioni e le conclusioni sentiamo il cantore , un grande artista, poiché la sintesi che è la regola di tutte le arti, lo è a maggior ragione nella metafisica che si propone, per mezzo di concetti,  di raffigurare l’equilibrio universale.»

Tommaso, dunque, sta al vertice del pensiero cristiano medievale, simile a un superba cattedrale che si slancia arditamente verso il Cielo; ed è un grandissimo umanista, perché valorizza al massimo ogni aspetto della natura umana. Dagli umanisti del XV secolo lo distingue non certo l’amore del vero, ma il fatto che, per lui, amare la Verità e amare Dio, non sono in alcun modo due cose distinte, ma un sola…

Francesco Lamendola
di

Francesco Lamendola

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.