ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 17 novembre 2015

Il Kommissario sperduto nella doppia morale?

Priesthood's simulator – Il simulatore del sacerdozio 

L'ex abate di Montecassino Pietro Vittorelli

Nun ce se po' fida' più de nessuno, nemmeno sarvognuno de 'n abbate! 
De onesto ce sta ancora quarcheduno? Puro voi preti pe' campa' rubbate? 
Pare che ha combinato un bèr casino, 'sto Vittorelli inzieme cór fratello, 
si la Procura de Montecassino j'ha sequestrato tutto sur più bello! 
De certo sarà la Maggistratura, a stabbili' si questo è un gran ladrone: 
pe' lui sarà 'na grossa fregatura, de dove' rinuncia' a mezzo mijone! 
Ma è giusto che perfino un'Abbazzia, mo' deve da subbi' 'na rubberia?

La tragedia che ha coinvolto in queste ore la Francia, con gli attentati e le vittime provocate dagli estremisti islamici a Parigi contribuirà certamente a far dimenticare l'ennesimo scandalo clericale italiano del quale moltissimi italiani non hanno colto il significato profondo, vedendovi solo una grave incoerenza di tipo morale (1).

Mi riferisco all'ex abate benedettino Pietro Vittorelli (2), colto con le mani nel sacco dalla finanza che, l'11 novembre, gli ha sequestrato 500.000 euro, soldi non suoi ma impossessati dal religioso per condurre una vita di lusso, con vestiti, cene, profumi e, pure, droghe assunte in compagnie tutt'altro che edificanti.

I semplici si chiedono come sia possibile tutto ciò ma i fatti sono lì, spietati, a inchiodare il reo. Post factum, alcuni tra la maggioranza lo maledicono usando parole che in questo blog non ripeto. Inutile dire che quest'atteggiamento lascia il tempo che trova. Solo pochissimi si chiedono come mai la cosa sia passata inosservata fino a poco tempo prima. Tra questi pochissimi nessuno si chiede sulla base di cosa, la comunità monastica e, in seguito, il Vaticano, eleggono un abate: su una convenzione esteriore, una preparazione intellettuale, un'apparente pietà o su una reale formazione spirituale?

Sembra, infatti, che ci si dimentichi la cosa più fondamentale e che la tradizione patristica, viceversa, aveva assolutamente chiara: la vita religiosa autentica non è una formazione intellettuale ma una formazione (spesso assai impegnativa) di cuore perché la sede dell'autentica religione non sta nel cervello ma nel cuore purificato (3).

Il cuore purificato, toccato dalla presenza divina (la grazia) ha modo di rendere consapevole il soggetto di Dio: “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio”(Mt 5, 8). Il centro di tutta la vita religiosa è sempre e solo il cuore.

Come il gusto nell'uomo è in grado di valutare il sapore di una pietanza, il cuore è in grado di intuire, in modo ineffabile ma reale, la presenza divina. Questa consapevolezza è chiara a tutta la patristica e attinge alla tradizione biblica stessa. Tutto nasce da qui, tutto consegue da qui, tutto si orienta da qui. Per questo l'uomo “trovata la perla preziosa, vende tutto, pur di acquistarla” (cfr. Mt 13, 46), ossia va contro le sue passioni negative che oscurano l'occhio del cuore, la possibilità di percepire l'ineffabile presenza divina, pur di rimanere sempre con il Signore, come diceva san Paolo.

Ecco perché la memoria del Signore, ossia la preghiera, può divenire un'attività incessante, secondo san Gregorio di Nazianzo, per cui non si dovrebbe fare altro che questa e accompagnare a questa ogni attività quotidiana.

Questo tipo di esperienza mistica è completamente dimenticata in Occidente (salvo, forse, rarissimi casi). Ed è esattamente ciò a provocare la rovina del Cristianesimo. Avviene, allora, la sostituzione della realtà (l'esperienza divina) con una sua immagine intellettuale (lo studio, le definizioni concettuali). 
Qui non si vuole ostracizzare l'utilizzo dell'intelletto ma il suo uso deviato in modo che i concetti argomentativi finiscono per sostituire l'indispensabile esperienza mistica trasformando il cristianesimo in un'ideologia religiosa, in un'idolatria dove lo stesso Dio coincide con l'immagine intellettuale che l'uomo se ne è fatto (4)
E, dal momento che la foto di una pastasciutta non è assolutamente come un bel piatto di pastasciutta davanti a sé (ossia, fuor di metafora, l'immagine intellettuale di Dio non è come il contatto con Dio), la deriva di laici e clero verso l'agnosticismo è irrefrenabile!

La più chiara professione di agnosticismo, se non di ateismo, viene dunque fatta da quel clero che, vittima più di tutti di un'ideologizzazione del Cristianesimo, finisce inevitabilmente per vivere il contrario di quanto professa a parole.

Questo è il background nel quale, c'è da supporre, si è mosso pure Pietro Vittorelli, ex abate di Montecassino.

Vincendo una certa ritrosìa naturale di fronte a questi personaggi, ho voluto ascoltare attentamente alcune sue dichiarazioni ancora disponibili su youtube (temo che a breve le cancelleranno) per capire meglio la mentalità di questa persona, il modo in cui è stato formato (o deformato) poiché è chiaro che costui riflette anche e soprattutto tutto un ambiente di tipo clericalistico.

Ho dunque fatto riferimento a due eventi:

  1. Il discorso di ringraziamento del neo abate Pietro Vittorelli in occasione della sua benedizione abbaziale (nel 2007) udibile in questo link;
  2. L'intervista rilasciata dallo stesso presule al giornalista Alessio Porcu udibile al seguente link

Prima di tutto c'è un elemento costante, presente in entrambi gli interventi, da me riscontrato pure in molto clero: la tendenza ad autocelebrarsi (5). Il clero ha il delicato compito di portare luce a Cristo, facendo come un saggio terapeuta che cura gli altri e se stesso, accompagnando a Dio tutti. Quando un chierico fa un discorso religioso, se ha avuto una reale formazione spirituale, sarà ben attento a non far focalizzare l'attenzione degli altri su sé stesso perché questo atteggiamento psicologico distoglierà inevitabilmente gli altri da Dio fissandoli sul puro contingente o, peggio!, sul chiacchiericcio. Questa sensibilità spirituale era talmente chiara in determinati santi che li portava a raccontare di eventi soprannaturali, avuti da loro stessi, attribuendoli ad altre persone. In questo modo edificavano i loro ascoltatori e, allo stesso tempo, non si esaltavano. Al contrario, un contesto fortemente umanistico (in cui l'uomo è al centro di tutto e il proprio essere sta al centro del cosmo) si mostrerà inevitabilmente per ciò che è finendo per deformare sensibilmente l'ordine di valori del Cristianesimo. L'umiltà sarà la prima cosa ad essere sacrificata!

Questa tendenza autocelebrativa l'ho notata nel primo discorso, laddove l'abate dichiara: “Ogni giorno, ogni istante, quanti mi accosteranno possano scorgere qualcosa della bellezza eterna dell'immagine di Dio ... mi sento pienamente figlio di san Benedetto”.

“Il buongiorno si vede dal mattino, si dice normalmente e qui si nota una pericolosa voglia di elevarsi, in nome di Dio. Qualsiasi persona spiritualmente più accorta avrebbe, al contrario, detto: “Ogni giorno, ogni istante quanti mi accosteranno preghino perché possa essere fedele e incarni la bellezza eterna dell'immagine di Dio della quale sono perfettamente indegno … mi sento indegnamente figlio di san Benedetto”.

Nell'intervista rimbalza la stessa autocelebrazione, suggerita in modo inopportuno dallo stesso intervistatore (non è così che ci si rivolge ad un monaco, solleticando il suo egocentrismo!):

“A quale dei suoi predecessori si ispira di più?”.

Mi ispiro al grande abate Desiderio di questo monastero che ha dato grande impulso a Montecassino; penso a Bernardo Iglerio che ha amato moltissimo il territorio diocesano ... Noi ciociari siamo persistenti e pervicaci negli obbiettivi che ci diamo […] L'esperienza politica mi ha dato quell'esperienza nel mondo che mi aiuta a prevenire piuttosto che a combattere certe situazioni”.

È chiaro che il prelato non voleva essere in nulla inferiore ai presuli di cui esaltava la grandezza e si dichiara ricco dell'esperienza del mondo, facendo quello che è, a mio avviso, un discorso poco opportuno per un chierico. L'orgoglio personale riceve ulteriore foraggiamento il che è particolarmente stridente, soprattutto in un monaco ...

Quello a cui invito a porre particolare attenzione è il seguente discorso, come risposta alla domanda cosa sia più necessario alla nostra epoca:

Oggi c'è la necessità di tornare ad uno studio serio, serrato delle cose. In un momento di crisi come questo è importante per tutti quanti riprendere a studiare e non osservare per sentito dire o con una visione superficiale delle cose ... Noi cristiani dobbiamo avere la convinzione che Dio è presente ovunque e non esiste uno spazio nel quale sia assente. E mi riferisco anche a spazi, o situazioni o sistemi di peccato dove comunque Dio entra e cerca di illuminare il cuore degli uomini”.

Qui i valori tradizionali (della patristica cristiana) sono completamente capovolti. Quanto è importante per un cristiano non è, prima di tutto, studiare ma avere un contatto con Dio. È questo contatto che da un orientamento e un modo di vedere le cose nel mondo. Lo studio è sempre seguente e non è assolutamente essenziale, tant'è vero che Cristo non ha voluto scegliere i suoi discepoli tra i dotti farisei ma tra gli ignoranti pescatori. È vero che la patristica più elevata l'abbiamo quando si congiunge l'esperienza del divino con una buona formazione intellettuale ma il discorso dell'abate, non menzionando la prima, non solo è monco ma è eretico in senso etimologico. Un'eresia ampiamente diffusa, soprattutto nell'odierno ambito clericale in cui lo stesso papa pare abbia steso la spiritualità cristiana sul letto di Procuste di un buonismo sociologistico.

Mi impressiona, poi, quanto segue: Dio è presente ovunque, anche nei sistemi di peccato per cercare d'illuminare il cuore degli uomini.

Che Dio sia presente ovunque non ne ho dubbi. Ma che possa illuminare gli uomini nel peccato, se costoro non si convertono a lui, è completamente errato. Il sole in una giornata di agosto può illuminare ovunque ma non potrà mai entrare in una casa che ha porte e finestre ben chiuse! Ecco cosa manca a questa frase dell'abate, una parolina molto evidente al mondo monastico antico: la conversione! (6)

L'abate poco dopo menziona la conversione ma in un modo molto parziale che puo' essere totalmente fuorviante:

Il sacrificio vero è quando ci rivolgiamo al Signore e manifestiamo a Dio la nostra disponibilità a cambiare, pur riconoscendone la difficoltà e il fatto che siamo fragili e che, magari, in quel momento siamo davvero disponibili a cambiare ma che, dopo un'ora, capita qualcosa e ritorniamo ad errare”.

Tutto si ferma ad una pura intenzionalità, senza accampare le basi per rendere concreto questo cambiamento con la rinuncia ai beni terreni, cosa che un monaco dovrebbe praticare vigorosamente ogni giorno e che purtroppo l'abate in oggetto non praticava affatto. L'ascesi diviene, così, una pura intenzionalità, non qualcosa di realmente praticato. Interessante l'appunto: “dopo un'ora capita qualcosa e ritorniamo ad errare” perché, letto oggi ha un sapore fortemente autobiografico; sembra che l'abate descriva se stesso!

Per un monaco è importante la liturgia. Per questo l'intervistatore chiede all'abate il senso della liturgia nella vita cristiana. La risposta è ancora una volta  poco concreta perciò teorica come l'asserzione di un libro di metafisica filosofica. Alla fine, è puramente umanistica risolvendosi in qualcosa di solamente umano.

La liturgia è un totale invito alla gioia ... aver la percezione che in situazioni anche drammatiche Dio si rende presente ... questo passa attraverso la comunione degli intenti, mettersi insieme per fare cose buone. Per questa pasqua è essenziale essere presi per mano e condotti alla comprensione di questi gesti e simboli straordinari che possono caricarci di speranza per il futuro e il domani, facendoci credere che il domani è meglio di oggi. Questa speranza ci fa vivere diversamente ogni situazione. Gli uomini devono mettersi attorno ad un tavolo, guardarsi negli occhi e dire con franchezza quali sono i problemi e cercare insieme di risolverli”.

La liturgia è, invece, il luogo in cui la grazia di Dio (che non viene nominata!) agisce e la sua azione, se è reale, non può non essere sentita dal credente. Questo tipo di percezione sperimentale è tale da dare la speranza nell'Al di là, una speranza che illumina anche il nostro mondo, nonostante molti problemi possano non essere mai risolti (per cui il domani non è affatto detto che sia meglio di oggi). La vera soluzione ai problemi umani, dunque, non si risolve in un rapporto orizzontale (gli uomini si mettono attorno ad un tavolo e cercano di risolverli) ma, per il cristiano, nel rapporto autentico con Dio che da la forza per sopportare certe contraddizioni irrisolvibili dell'umanità.

La soluzione dell'abate è una soluzione puramente politica, non evangelica. Questo secolarismo evidentemente confessato, questa speranza secolare professata, sentimentale e teorica, è il tipico segnale di chi ha ridotto il Cristianesimo ad un'ideologia, non ad un rapporto autentico con la divinità.

Molti si sono scandalizzati davanti al comportamento immorale di questo abate. I presupposti teologici, però, rimanendo inalterati continueranno a produrre persone di tal genere. Ecco perché, alla fine, questo tipo di clero non è espressione reale del sacerdozio del Nuovo Testamento, quanto una sua caricatura, una mal riuscita simulazione.

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Note

1) Credo che l'istituzione ecclesiastica faccia affidamento sulla straordinaria capacità di dimenticare questo e altri eventi da parte del popolo italiano pensando, così, che l'oblio possa porre una soluzione a problemi endemici che spesso non si vogliono affatto risolvere o si crede di risolvere con palliativi puramente esteriori e superficiali. In realtà se anche il popolo dimentica, dal momento che i presupposti non si vogliono toccare, o prima o poi si ripresenteranno altri fatti simili. Pare essere questo il destino delle istituzioni ecclesiastiche in questo nostro travagliato tempo.

2) Per una generica presentazione di questo prelato vedi il seguente sito.

3) Tutto ciò è talmente ignorato in Occidente che perfino alle stesse persone che si recano in Chiesa – e che ne dovrebbero essere edotte – se si chiede loro quale sia l' “occhio” con il quale si percepisce Dio rimangono esterrefatte e non sanno cosa rispondere. L'approccio "sperimentale" è considerato irreale, superstizioso; la religione è confinata nell'ideale, nel moralistico. Non è dunque strano che gran parte del mondo cattolico si mobiliti contro il matrimonio dei gay e che sia quasi indifferente dinnanzi allo scempio della liturgia, della teologia e della spiritualità.  

4) La patristica, soprattutto greca, condanna severissimamente questo processo di idolatrizzazione che, in realtà, contraddistingue moltissima religiosità cristiana in Occidente. C'è, inoltre, da aggiungere una precisazione: oggi per "mistica" nel nostro contesto s'intende qualcosa di fuorviante, di sentimentale e psicologistico. Non c'è dubbio che alcuni la vedano così, soprattutto in quegli ambiti che cercano sensazioni "speciali", eventi "spettacolari" per poter credere. La patristica antica e la letteratura ascetica dei primi secoli, al contrario, non aveva quest'impostazione, dal momento che aveva chiaramente distinto tra ciò che è prodotto da uno psichismo religioso malato e ciò che è reale segno di una presenza spirituale, non umana, quindi divina.

5) Tale tendenza l'ho trovata pure nella presentazione, fatta dal card. Sarah ad un suo recente libro. Inutile dire che i cattolici più ferventi (o più fanatici?) sono ben lungi dall'accorgersi della pericolosità di quest'atteggiamento autocelebrativo, assolutamente stigmatizzato nell'antichità cristiana,  evidente segnale di clericalismo.

6) Che sia questo il fondamento teorico con cui l'abate perseguiva la sua doppia vita? Non dimentichiamo che quest'atteggiamento spirituale è assai diffuso nel clero odierno, soprattutto in una sua corrente libertina che non è certo composta da pochissime persone...
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Il monsignore gay e l'ex abate: la doppia morale
di Tommaso Scandroglio 17-11-2015 Cospirazioni sinodali, il caso di monsignor Chamarsa, Vatileaks hanno sfilato di recente sul red carpet di tutti i principali media mondiali. Da ultimo, la notizia che l’ex abate di Montecassino, Pietro Vittorelli, è stato indagato per aver usato in modo indebito 500mila euro, soldi che appartenevano alla Curia.
Monsignor Chamarsa con il
Il gossip ecclesiale gode di ottima salute in queste settimane. Cospirazioni sinodali, il caso di monsignor Chamarsa, Vatileaks hanno sfilato di recente sul red carpet di tutti i principali media mondiali. Da ultimo la sete di scandali di giornali e Tv ha trovato appagamento nella notizia che l’ex abate di Montecassino, Pietro Vittorelli, è stato indagato per aver usato in modo indebito 500mila euro, soldi che appartenevano alla Curia. Vittorelli vantava plurime aderenze con esponenti del mondo della politica non proprio immacolati dal punto massmediatico e non solo. 
Ricordiamo Piero Marrazzo, ex governatore della Regione Lazio, il quale si era rifugiato a Montecassino per sfuggire al polverone mediatico-giudiziario scatenatosi per le sue frequentazioni con transessuali, e Angelo Balducci, già presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, arrestato nel febbraio 2010 nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti per le Grandi opere. Dopo l’esperienza monastica don Pietro scoprì la politica. Lo troviamo, infatti, in abiti borghesi nell’ottobre del 2014 ad un convegno organizzato nella sede italiana del Parlamento europeo a Roma, accanto al consigliere regionale del Lazio Mario Abbruzzese e ad Antonio Tajani, primo vicepresidente del Parlamento europeo. Il viso di dom Pietro era però conosciuto anche nell’ambiente gay, dove si presentava con il nome di Marco Venturi. Si vocifera di festini e orge in una casetta sulla Casilina, di pratiche erotiche estreme, di viaggi e cene sontuose, di pernottamenti in hotel pentastellati (a volte le ricevute erano a 4 zeri), nonché di uso di droghe, a cui Vittorelli non avrebbe rinunciato nemmeno dopo un ictus che lo avrebbe lasciato malconcio su una sedia a rotelle. 
Tutte licenze che il Vittorelli-Venturi si concedeva distraendo fondi dell’ordine, destinati - ripetono i media - ai poveri. Insomma l’ex abate è la sintesi perfetta dell’incarnazione del male per la vulgata corrente: un religioso che ruba ai poveri, si dà a pratiche omosessuali, vive sfarzosamente, fa uso di droghe, è amico di politici e uomini danarosi (tra i molti, Lapo Elkan) su cui girano molte voci poco lusinghiere ed è pure indagato. Eppure, ci vien da dire, il giudizio sulle condotte oggettivamente riprovevoli di dom Pietro è un tantino ipocrita. Si rabbrividisce di fronte ai suoi festini a luci rosse. Ma la libertà sessuale secondo i cliché correnti non dovrebbe essere concessa a tutti, religiosi compresi? Per la cultura laica se Dio non esiste così come i suoi precetti sulla castità, perché vietare godimenti venerei ai sacerdoti? Nei giornali patinati in allegato ai quotidiani è tutto un florilegio del sesso libero da tabù, di triangoli amorosi, di scappatelle e orgette con effetto catartico sulla psiche e la vita di coppia. Perché negarlo anche a chi ormai è un ex prete? 
Si grida “Vergogna!” perché dom Pietro frequentava bei maschioni. Eppure quei giornali che sbattono in prima pagina le vicende di Vittorelli sono gli stessi che berciano in continuazione sulla normalità di ogni orientamento sessuale. E che dire poi della presunta tossicodipendenza dell’ex abate? Il governo e molti esponenti politici è da tempo che spingono per una liberalizzazione dei trip a base di droghe.
In breve, il caso Vittorelli mette in luce che ci sono vizi e vizi, peccati cattolici e peccati laici. Prendiamo ad esempio la vicenda del “collega” Chamarsa.  Questi dai media è stato trattato bene, anzi benissimo, spesso elogiato per quel suo ormai famigerato outing. Perché Chamarsa aveva rispettato alcune regole auree del politicamente corretto: non era stato scoperto con le mani nella marmellata, ma era stato lui per primo ad aprire il vaso di Pandora; appariva come vittima di una Chiesa conservatrice e retriva e pioniere del nuovo che avanza in campo dottrinale, non aveva mai rubato (peggior peccato mortale in questa nuova chiesa dei pauperisti) e la sua relazione omosessuale non aveva il baricentro sulla voglia di trasgressione, bensì sull’ “affetto”. Insomma nel salotto del mondo che conta si presenta bene Chamarsa, con l’abito buono.
Il raffronto tra Vittorelli e Chamarsa è allora illuminante. A ben vedere non importa di quali nefandezze si macchia un prelato, ma è questione di stile. Importa il come, non il cosa. In altri termini non esiste una dose minima di peccato ad uso personale che non suscita riprovazione sociale. Dose, superata la quale, scatta la censura e la lacerazione di vesti. Tu uomo in talare puoi comportarti come i tuoi omologhi laici in fatto di sesso e sballo, l’importante è rispettare le regole del gioco dettate dalla vulgata corrente. Rivendica per te il piacere erotico in ogni sua declinazione come sana espressione della tua personalità e scamperai alla censura. Non farti scoprire nel godere di ogni bassezza edonistica, ma vendila come conquista sociale e rivendicala come gesto di libertà. Vivi pure di istinti, ma vestili con i panni nobili dei diritti civili. Si badi bene. Non è stata questa una difesa di Vittorelli, ma solo prurito per l’incoerenza di giudizio.

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