ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 23 dicembre 2015

Di colpo seguitissimo !?

UNO STRANO MAGISTERO

    Il Magistero: sempre contestato e ora di colpo seguitissimo; non è strano? i casi sono due: o papa Francesco non si rende conto di venire strumentalizzato oppure si deve dedurre che approva l’appropriazione del suo nome da parte degli ex contestatori  



      

                                   
  
Il Magistero è l’insegnamento della Chiesa, che, per mezzo dei papi, dei vescovi e dei concili, custodisce e tramanda la Rivelazione cristiana, così come essa si è definita, nella Tradizione e nelle Sacre Scritture.
Si può dire che, fino al pontificato di Giovanni XXIII, il Magistero non sia mai stato contestato, se non per questioni limitate ed estemporanee, e, comunque, da gruppi o minoranze abbastanza sparuti; lo stesso modernismo, contro il quale reagì energicamente Pio X, non ardì contestare frontalmente il Magistero ecclesiastico, ma tentò, semmai, di insinuarsi dal basso, agendo, per così dire, nelle pieghe della dottrina, e di operare una trasformazione silenziosa, in accordo con i mutati orientamenti della società e della cultura laica e secolare.

Ma ecco che, a partire dal pontificato di Paolo VI, le cose cambiano; fa la sua comparsa un elemento nuovo: la contestazione. Il Magistero del papa è apertamente criticato e rifiutato; se si dovesse indicare un momento preciso di questo nuovo atteggiamento, dovremmo indicare la promulgazione della più celebre, nonché l’ultima, delle sue encicliche: la «Humanae vitae», il 25 luglio 1968. Essa era dedicata al matrimonio e alla famiglia cristiana e faceva la sua apparizione in un momento in cui, in piena contestazione studentesca, la famiglia “borghese”, come allora usava dire, e specialmente la figura paterna e l’autorità paterna, erano soggette ad un pesantissimo attacco da parte dei giovani e soprattutto degli intellettuali: da Moravia a Pasolini, da Bellocchio ad Antonioni, per non parlare dei “baroni” della psicanalisi, tutti, o quasi tutti, gli intellettuali “impegnati” e debitamente progressisti, facevano a gara nell’aggredire, svillaneggiare, deridere, maledire, disprezzare la famiglia e la figura del padre.
In realtà, la «Humanae vitae» non faceva altro che trarre le logiche e coerenti conclusioni da quanto stabilito nel corso del Concilio Vaticano II; la dichiarazione che l’aborto, la sterilizzazione e la contraccezione erano da considerarsi pratiche illecite per il credente, era perfettamente in linea con gli atti e i documenti conciliari: pure, il dissenso esplose subito, e fu enorme; il che la dice lunga sulla sincerità e sulla onestà intellettuale di quei cattolici “progressisti” che vorrebbero realizzare un “rinnovamento” radicale nel mondo della Chiesa e nella stessa dottrina della fede, e che hanno sempre in bocca il Concilio Vaticano II, o, meglio ancora, un certo qual vago ”spirito” del Concilio Vaticano II; ma poi, dovendo indicare su quali documenti conciliari, esattamente, essi basino le loro rivendicazioni e le loro pretese, restano muti e fanno la figura di autentici allocchi, perché non c’è nulla, proprio nulla, nei documenti ufficiali del Concilio, che fornisca la benché minima giustificazione alle loro teorie.
Il dissenso, dunque, alla promulgazione dell’enciclica, fu enorme; e, quel che è più significativo, esso non venne solo dal basso, dai fedeli o da qualche prete, ma anche dall’alto, dai vescovi e da intere Conferenze episcopali, e specialmente da quelle dell’Europa centro-settentrionale, dai Paesi di lingua tedesca; e anche questa sarebbe divenuta una costante, perdurante ancora ai nostri giorni. A contestare il papa, dunque, erano i pastori della Chiesa: e lo facevano apertamente, rilasciando interviste, stracciandosi le vesti per l’indignazione, come se Paolo VI avesse attuato una sorta di colpo di stato; come se avesse gettato, nel bel mezzo della modernità, della Chiesa “rinnovata” e post-conciliare, un residuato di oscurantismo, di autoritarismo, di Medioevo, guastando i loro bei sogni progressisti e le loro felici aspettative di palingenesi cristiana.
In buona sostanza, il comune denominatore delle critiche e delle contestazioni era questo: come osava, il papa, tentare un anacronistico recupero di una mentalità ormai superata, e imporre alla cristianità un fardello insopportabile, basato su dei “no” chiari e tondi, contrapponendosi in maniera così esplicita a dei costumi e a dei modi di pensare e di agire ormai talmente diffusi tra i credenti, da esigere una pura e semplice ratifica, una mera presa d’atto da parte del Magistero? E, più in generale: come osava riprendere in mano il timone della Chiesa con tanta sicurezza, dopo che, secondo loro, il Vaticano II aveva ripristinato la supremazia della “collegialità” e della “democrazia conciliare”, instaurando – sempre secondo loro - la prassi della conta dei voti a maggioranza; insomma, tentando di ripristinare il principio della gerarchia e la pratica della monarchia assoluta? Voleva forse, questo papa italiano sempre più conservatore – così pensavano molti vescovi tedeschi – riportare indietro le lancette della storia, azzerare i fermenti di rinnovamento del Concilio? Non aveva già fatto abbastanza danno, richiamando, nel 1972, l’ormai “superata” credenza nella realtà del Diavolo come essere personale, come astuto e temibile nemico di Dio e dell’uomo, e mettendo in guardia contro la sua presenza entro lo stesso Vaticano? E infine, per dirla tutta: chi credeva di essere, il papa, per dire ai cattolici come dovevano vivere la loro sessualità, che, come tutti ben sanno, è un fatto estremamente privato, che riguarda la dimensione più intima della vita familiare?
A partire da quel momento, la contestazione dentro la Chiesa divenne una cosa abituale: i seminari si svuotarono quasi dall’oggi al domani; i preti cominciarono a disobbedire ai loro vescovi, e a vantarsene, magari appellandosi direttamente ai parrocchiani e ai fedeli (celebre il caso di don Lorenzo Milani e del cardinale Ermenegildo Florit di Firenze): pessima abitudine, che non è cessata neppure oggi, se è vero che, per esempio, nel corso di una trasmissione radio, in diretta, gli ascoltatori hanno potuto assistere a un incredibile attacco all’arcivescovo di Verona, monsignor Giuseppe Zenti, da parte di un suo sacerdote, don Bruno Fasani, il quale, fra parentesi, era anche – in teoria - suo portavoce (don Fasani, per chi non lo sapesse, è quel sacerdote che si è reso celebre per aver ideato la Messa con… i burattini).
Dopo Paolo VI, anche Giovanni Paolo II è stato spesso contestato. Il prete Ernesto Cardenal, nel Nicaragua, poeta progressista e sostenitore della Teologia della liberazione, si rifiutò pubblicamente di obbedire all’invito del papa a dimettersi dal governo sandinista di Daniel Ortega, di cui era ministro, ragion per cui venne sospeso “a divinis”. Di Benedetto XVI non parliamo neppure: tutto il suo pontificato è stato caratterizzato da una contestazione permanente, rivolta non tanto a suoi singoli atti o documenti, ma, si direbbe, all’insieme della sua persona e al suo modo d’intendere il Magistero (cfr. il nostro precedente articolo: «Il “caso Williamson” fu un complotto per screditare il pontificato di Benedetto XVI», pubblicato su «Il Corriere delle Regioni» il 26/06/2015, e ripubblicato sul sito di Arianna Editrice il 29/07/2015). Invitato a tenere una lezione all’Università La Sapienza di Roma, dovette rinunciare per il clamore e la fortissima opposizione sollevati da un gruppo di studenti e professori di quell’ateneo. Non gli si perdonava la parziale riammissione della messa in latino (in verità, mai abolita dal Concilio Vaticano II), il ramoscello d’olivo offerto ai vescovi lefebvriani, ma soprattutto la saldezza teologica del suo impianto dottrinale, che, a giudizio dei suoi detrattori, aveva un che di autoritario, di anacronistico e quasi di “fondamentalista”.
Ora, però, tutto è cambiato: è arrivato un papa che piace a tutti, e il cui Magistero non è contestato da nessuno. Preti come don Giorgio De Capitani, che si sono specializzati nell’insulto, nella maledizione e nell’augurio di morte ai loro superiori “conservatori” e ai politici a loro sgraditi, gridano, trionfanti, dai loro siti Internet e dai loro pulpiti, che finalmente la Verità viene proclamata dalla massima autorità della Chiesa cattolica. Lo stesso papa Francesco sembra compiacersi di tanta popolarità e di tanta benevolenza; del fatto che sia uscito nelle sale cinematografiche un film agiografico sulla sua persona, e nel quale egli non appare praticamente mai in veste di pastore d’anime; del fatto che la Banca Mondiale abbia sponsorizzato lo spettacolo coreografico che ha inaugurato l’apertura del Giubileo straordinario, con la proiezione di immagini di animali selvaggi, cannibali con l’osso al naso e altre amenità “moderne” sulla facciata della Basilica di San Pietro. In breve: tutti coloro che, fino a ieri, contestavano il Magistero ecclesiastico, tutti quei preti irrequieti e quei vescovi o cardinali “progressisti” che facevano la fronda a Montini, a Wojtyla, a Ratzinger (il defunto Carlo Maria Martini, per citarne uno, ha anche scritto la presentazione di uno dei numerosi libro dell’ottimo don Capitani, pubblicato dalle Edizioni Paoline nel 1982), ora non contestano più: al contrario, si spellano le mani ad applaudire e proclamano che “anche il papa” dice quel che dicono loro e che andavano dicendo, poveri profeti incompresi e inascoltati e voci invocanti nel deserto, da un bel pezzo a questa parte. Ma ora il loro momento è arrivato: o questa, almeno, sembra essere la loro ferma convinzione. Hanno sopportato amarezze, incomprensioni, mortificazioni: adesso è giunto il tempo della loro meritata rivincita.
Non ce ne voglia il valente giornalista e saggista Marco Invernizzi, né pensi che vogliamo sforzare il senso delle sue parole, se partiremo dalla prima parte del suo ragionamento, nell’articolo «Il Magistero, questo sconosciuto», per procedere oltre, in una direzione che lui potrebbe anche non condividere, e di cui ci assumiamo, pertanto, la piena ed esclusiva responsabilità (sulla rivista: «Il Timone», Milano, Istituto di Apologetica, Anno XV, n. 133, maggio 2014, pp. 58-59):

«Nel 1968 accadono due avvenimenti destinati a diventare epocali: la celebre rivoluzione culturale che ebbe nel maggio francese il suo apice e che diventerà emblema della ribellione contro l’autorità (in particolare contro la figura del padre), e l’’enciclica “Humanae vitae” di papa Paolo VI, pubblicata il 25 luglio di quell’anno e destinata a diventare profetica perché avrebbe mostrato la deriva nichilista insita nella rivoluzione sessuale del Sessantotto, ma ancor di più perché avrebbe inaugurato una esplicita contestazione del Magistero pontificio interna alla Chiesa, come mai era accaduto prima di allora, almeno con le stesse modalità.
Infatti, fino ad allora, il Magistero della Chiesa non era quasi mai stato apertamente contestato  all’interno del corpo mistico di Cristo se non con modalità diverse,  come nel caso de modernismo a inizio secolo XX o del rifiuto di accogliere l’infallibilità pontificia  nel Concilio Vaticano I (1870) da parte dei cosiddetti vetero-cattolici.
Nel 1968 invece appariva chiaro come qualcosa stesse cambiando. Il clima culturale, cioè il modo di pensare dell’opinione pubblica assunse quell’atmosfera psicologica che si è soliti presentare con l’espressione “l’aria che si respira” e che portava molti a dire più esplicitamente che “tira una brutta aria”.
Ma per chi “tirava una brutta aria” dopo il 1968? Le principali vittime saranno coloro che incarnano il principio d’autorità, innanzitutto, quelli che credono che l’autorità non sia soltanto qualcosa di necessario in conseguenza del peccato originale,  per reprimere le inevitabili ribellioni, ma che il progetto di Dio prevede una differenziazione gerarchica all’interno delle nazioni, dei gruppi e delle famiglie, perché ogni autorità viene da Dio, anche se può sbagliare. E quindi questa “brutta aria” tirava anche dentro la Chiesa, in particolare contro il suo magistero, espressione vivente della massima autorità, il Pontefice e i vescovi in comunione con lui.
Prese corpo così l’abitudine, oggi sempre più diffusa, di contestare il magistero del Papa, così come di mettere in discussione ogni forma di insegnamento che non fosse gradita.
“Né Dio, né padre, né padrone”: se questo era uno dei principali slogan scritti sui muri parigini, durante il celebre Maggio sessantottino,all’interno della Chiesa fu facile aggiungere il rifiuto dell’autorità del Pontefice (né Papa”), soprattutto dopo che venne resa pubblica l’enciclica di papa Montini che ribadiva, fra tante altre cose, la condanna della contraccezione e in generale di tutti i presupposti ideologici della rivoluzione sessantottina.
Ma come mai oggi si è soliti contestare con tanta facilità ogni autorità, laica o religiosa? Il motivo principale della “morte del padre”, ormai confermata da tante analisi del corpo sociale, consiste nel fatto che si è perduto il rispetto nei confronti di chi deve esercitare un ruolo sociale che implichi l’esercizio dell’autorità: i padri, i maestri, gli anziani, i capi in generale.
Questo clima, impregnato di relativismo, è penetrato e rimane anche nella Chiesa.»

Appunto: questo clima, impregnato di relativismo, è penetrato e rimane nella Chiesa. Specialmente oggi. Perciò, i casi sono due: o papa Francesco non si rende conto di venire strumentalizzato, oppure si deve dedurre che approva l’appropriazione del suo nome da parte degli ex contestatori…


Il Magistero: sempre contestato e ora, di colpo, seguitissimo; non è strano?

di Francesco Lamendola

http://www.ilcorrieredelleregioni.it/index.php?option=com_content&view=article&id=7461:uno-strano-magistero&catid=70:chiesa-cattolica&Itemid=96
NOI SIAMO CHIESA: GIUBILEO POSITIVO, MA CON QUALCHE RISCHIO – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 23 dicembre 2015

Il movimento cattolico ‘progressista’ Noi siamo Chiesa ha prodotto un documento assai interessante sul Giubileo della Misericordia. E’ un evento molto legato al magistero di papa Francesco, che ha scelto “un nuovo percorso nella vita della Chiesa”. Il Giubileo non potrà essere fatto solo di preghiere, ‘atemporale’. Una lacuna: non sarà un Giubileo ecumenico. Religiosità popolare da tenere sotto controllo. Sulle indulgenze una svolta storica, di rottura con la tradizione.
E’ sempre interessante curiosare ogni tanto nel campo cattolico cosiddetto ‘progressista’: se ne ricavano non raramente indicazioni utili su pensieri e strategie che meritano di essere conosciuti anche da chi non può ritenersi organico a tale schieramento. Bisogna poi distinguere: preferiamo curiosare laddove operano i ‘progressisti’ d’annata - quelli che si sono fatti le ossa in tante battaglie (quasi sempre perse) negli ultimi decenni – piuttosto che negli attendamenti di un ‘progressismo’ molto velleitario e tanto politicamente corretto, insediato nei ‘giornaloni’ del pensiero dominante e guidato dalla famosa e gioiosa macchina da guerra (che, nel recente Sinodo, s’è trovata – poveretta - con le gomme a terra e i trombettieri sfiatati; solo l’incenso non è mai mancato).
Noi siamo Chiesa  (nata nella seconda metà degli Anni Novanta nella scia dell’austriaca Wir sind Kirche) fa parte certamente del ‘progressismo’ d’annata. Ce ne siamo occupati più volte in questo sito e continuiamo a farlo anche oggi, dato l’interesse oggettivo del documento che il movimento ha prodotto qualche giorno fa per il Giubileo della Misericordia.
Sotto il titolo riassuntivo: “Giubileo: il vento del Vangelo può scuotere i cristiani e la Chiesa” il testo presenta diversi passi che ben illustrano la posizione di Noi siamo Chiesa. Tre le caratteristiche individuate del Giubileo. La prima è quella di “un grande evento religioso” che appare come “particolarmente legato al magistero di papa Francesco”. La seconda riguarda l’indicazione del Giubileo “come il momento di rilancio del messaggio conciliare”. A tale proposito si cita il punto 4 della Bolla di indizione, in cui – secondo il movimento – papa Francesco sceglie tra le due ermetiche sul ruolo del Concilio (continuità o rottura con la storia della Chiesa?) la seconda (“un nuovo percorso nella storia della Chiesa”). Terza caratteristica: è un Giubileo “diffuso, proposto in ogni sede possibile”: “Le porte sante saranno innumerevoli”. Del resto l’apertura della Porta Santa a Bangui, rileva Noi siamo Chiesa, “è stato un messaggio importante, in controtendenza rispetto alla assoluta centralità di Roma, che nella storia ha caratterizzato Giubilei che avevano anche o soprattutto la funzione di rafforzare il ruolo del Pontificato nella Chiesa”.
Insomma: “L’ispirazione di fondo del Giubileo vuole essere – osserva Noi siamo Chiesa – lo stesso DNA del nuovo corso proposto alla Chiesa dal Papa”.
Tutto positivo dunque? No, per il movimento si impone una certa cautela sul “come il Giubileo sarà gestito e vissuto”. Noi siamo Chiesaavverte che il Giubileo non potrà essere “atemporale, fatto solo di preghiere e confessioni, espressione di una religiosità individuale che naturalmente è positiva, ma è del tutto insufficiente”. Perciò “possiamo iniziare un Giubileo senza condividere quanto ha scritto Pax Christiin questi giorni sulla pace e la guerra nel mondo”?
Noi siamo Chiesa introduce poi un’altra osservazione puntuale, dopo aver rilevato che nella Bolla di indizione “il Giubileo viene indicato come un possibile fondamento del dialogo interreligioso”. Ma non vi si parla di “occasione di incontro ecumenico”. Rileva qui il movimento: “Ci sembra che abbia fatto ostacolo a questo allargamento lo stretto legame che nella storia ha abbinato la pratica del Giubileo a quello delle indulgenze, causa prima della rottura di Lutero. Di qui, una prudenza comprensibile, ma che deve essere superata”.
Emerge poi un’altra preoccupazione “seria”: “La possibile generalizzata deriva, senza correzioni, verso le forme di pietismo che caratterizzano molti aspetti della religiosità popolare ritenuti propri del Giubileo (pellegrinaggi, indulgenze, porta santa…)”. Qual è il “rischio”? Se tali aspetti “non saranno interconnessi col messaggio biblico e con la consapevolezza della dimensione pubblica, collettiva del peccato, si rischia un Giubileo di conservazione del modo tradizionale di vivere nella Chiesa piuttosto senza il vento nuovo dello Spirito che aspettiamo”. Qui Noi siamo Chiesa propone di “organizzare il Venerdì Santo riti collettivi di perdono e di misericordia (che sostituiscano la confessione individuale) legati da una parte al vissuto del Popolo di Dio presente al rito, dall’altra alla situazione e ai problemi del mondo”. Se abbiamo ben capito si tratterebbe sostanzialmente di chiedere perdono collettivamente da cristiani per quelle che sono ritenute le colpe dell’Occidente nei confronti del Terzo Mondo. Altra proposta: “Riprendere seriamente la campagna per l’annullamento del debito dei Paesi poveri”.
L’ultima riflessione di Noi siamo Chiesa riguarda la questione delle ‘indulgenze’. Osserva ilmovimento che “nella Bolla di papa Francesco si parla di ‘indulgenza’ e non di ‘indulgenze’ e non si parla più di ‘remissione della pena temporale dei peccati’ “. Constata Noi siamo Chiesa: “Possiamo dire, con tutta tranquillità, che siamo di fronte a una vera e propria svolta nei confronti della dottrina tradizionale e di quanto ha capito e ha vissuto fino ad ora il cattolico di normale sensibilità e appartenenza ecclesiale”. E’ vero che “pochi se ne sono accorti, ma siamo di fronte ad una rottura rispetto al passato come ce ne sono state altre nella storia della Chiesa. Essa ci pare di buon auspicio per il dialogo positivo che nel 2017 dovremo avere con le sorelle e i fratelli evangelici, a 500 anni dall’inizio della Riforma”.

Conclusione attesa di Noi siamo Chiesa: “Ci sono le premesse per un atteggiamento fiducioso e di coinvolgimento in questo Giubileo per vederne e viverne lo spirito, ignorandone e contrastandone tutti gli aspetti solo rituali”.

1 commento:

  1. http://www.radiospada.org/2015/12/rigettare-la-chiesa-dellimpostura-una-lettera-da-un-prete-ex-conciliare/

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